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Autore: Jane Ale    29/12/2012    1 recensioni
Greta è sempre stata strana, di poche parole, introversa. Non ha mai avuto un buon rapporto con gli altri, figuriamoci con se stessa. Ma, dopo essersi trasferita a New York, trova David. David rappresenta per lei una sfida, un ostacolo da superare, un muro da abbattere e solo aiutandolo potrà guarire. Perché lo si sa, a volte, l'amore guarisce.
Dalla storia:
«Non riuscivo a sopportarti, eri sempre nel mezzo. Poi, però, ho pensato che se mi davi così noia, forse, non eri tanto sbagliata. Solitamente le persone ti colpiscono in due modi: o ti innamori di loro, o le odi. Altrimenti non contano niente, capisci?»
Annuii.
Non si agisce mai perché qualcuno ci è indifferente, mi avevano detto, si agisce perché ci si sente toccati, smossi, persino attaccati. Ci si protegge, o ci si apre completamente.
[...] «E adesso?» gli chiesi.
«Adesso cosa?»
«Mi odi?»
«No.»
Sentii una fitta all'altezza dello stomaco, ma non riuscii a classificarla.
Sarà fame, pensai.
Non feci più domande.
Avrei dovuto capire che la fame non si percepisce con l'anima.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 5
Verità



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«Bene, allora credo di aver bisogno del tuo non-aiuto.» concluse serio.

Erano già passati cinque minuti, ma David non aveva accennato a parlare. Si era seduto sul mio letto e, sempre chiuso nel suo mutismo esasperante, si era preso la testa tra le mani. Guardai la lancetta dell'orologio compiere il suo sesto giro, poi mi decisi a rompere quel silenzio.
«David, va tutto bene?» chiesi incerta.
Non mi rispose, così feci un passo avanti. Contai fino a dieci, poi mi decisi ad avvicinarmi ancora a lui. Stavo per sedermi in fondo al letto di Mandy, quando parlò, facendomi sobbalzare.
«Perché dovrei fidarmi? Spiegamelo Greta, per quale fottutissimo motivo dovrei fidarmi di te, eh?»
Il suo tono era colmo di rabbia, amarezza e delusione. Non risposi, fu lui a continuare.
«La fiducia è una bastarda, comunque vada ti lascia sempre a terra, lo sai? Non c'è ragione per cui io dovrei riuscire ad aprirmi con te, sarebbe soltanto l'ennesima condanna. Eppure, cazzo..!»
Lo stavo ascoltando in silenzio. Se avessi proferito parola, probabilmente, avrei prodotto un suono sconosciuto.
Sapevo quale fosse il suo stato d'animo in quel momento: frustrazione e debolezza insieme, un mix che, il più delle volte, è letale per l'anima. Continuai ad aspettare, non c'era cosa migliore da fare, nonostante quell'eppure mi stesse logorando dentro. Poco dopo parlò ancora.
«Io sento il bisogno di fidarmi di te, non come una necessità, ma come unica via possibile. Comprendi? Non so spiegarlo, ma io devo parlarti, non solo perché mi capisci, ma perché quando parli vai dritta al punto, mi colpisci dietro le barriere. È come se tu sapessi quello che penso! Fa paura, ma non saprei dirlo diversamente.»
Era, senza dubbio, il discorso più lungo che gli avessi mai sentito pronunciare e, nonostante tutto, anche il più sofferto. Vedevo la fatica sul suo volto: aveva tirato fuori quelle parole contro la sua volontà, aveva ammesso di aver bisogno di aiuto e adesso, raggiunta la consapevolezza, era a pezzi. Mi decisi a muovermi. Mi alzai lentamente e andai a sedermi al suo fianco.
«David..» sussurrai il suo nome. Alzò la testa e puntò i suoi occhi dritti nei miei. Erano belli, grandi e sofferenti.
«Non posso farti promesse, non sarei in grado di rispettarle, non lo sono mai stata; posso, però, assicurarti che non ti farei mai del male. So quello che si prova, te lo assicuro.»
Erano parole banali, stupide, le più inadatte che avessi mai pronunciato, ma lui non disse niente, continuò a fissarmi e poi annuì, come per confermarmi che mi credeva.
Ci ritrovammo nuovamente avvolti in un silenzio pressante, uno di quelli durante il quale riesci persino a sentire il rumore dei pensieri della persona che ti sta accanto. Non parlavamo, ma sapevamo che ci sarebbero state parecchie cose da dire.
Presi coraggio e appoggiai una mano sulla spalla. Stavo cercando un contatto di qualche tipo con lui, qualcosa che gli impedisse di richiudersi nuovamente su se stesso, una conferma al fatto che lui era lì e voleva davvero il mio aiuto.
«David..» pronunciai il suo nome per la terza volta in quella mattina. «Posso farti una domanda?» gli chiesi titubante.
«Sì.» rispose lui flebilmente.
«Quando hai deciso di fidarti? Voglio dire, cosa ti ha convinto?». Mi sentivo ipocrita nel rivolgergli una domanda del genere in quel momento, come se volessi sentirmi adulata, ma volevo sapere cosa poteva averlo spinto a venire da me, ci doveva pur essere una ragione valida.
«Non ti piacerebbe saperlo.» mi disse, storgendo la bocca in una strana smorfia.
«Te l'ho chiesto, voglio saperlo; non sempre le domande che facciamo hanno risposte che ci piacciono, ma non per questo non dobbiamo ascoltarle, no?» chiesi retorica.
Sorrise debolmente.
«Saggia.»
«Allora?» insistetti.
Sbuffò, quasi scocciato.
«Ehi, cosa ti aspettavi?» gli dissi scherzando.
«Hai ragione.» Rispose sorridendo, questa volta sul serio. «Ricordi la prima volta che ci siamo scontrati nel corridoio? Io sono stato sgarbato nei tuoi confronti, e anche le volte dopo.»
Ovvio che me lo ricordassi. Erano passati pochi giorni, ma non si dimentica facilmente uno scorbutico che si infiamma per niente in mezzo a un corridoio vuoto. Ma non dissi nulla, lasciandolo proseguire.
«Poi tu mi hai detto quelle cose sul muro, sul fatto di capirmi, sulla..terapia e ho pensato che non importava se quello che dicevi era vero, tu mi stavi sulle palle. Non riuscivo a sopportarti, eri sempre nel mezzo. Poi, però, ho pensato che se mi davi così noia, forse, non eri tanto sbagliata. Solitamente le persone ti colpiscono in due modi: o ti innamori di loro, o le odi. Altrimenti non contano niente, capisci?»
Annuii.
Non si agisce mai perché qualcuno ci è indifferente, mi avevano detto, si agisce perché ci si sente toccati, smossi, persino attaccati. Ci si protegge, o ci si apre completamente.
Me l'avevano insegnato quando ancora non sapevo chi fossi, quando ancora mi guardavo allo specchio e vedevo il vuoto di fronte a me. La maggior parte delle volte le persone cambiano perché qualcosa le ha spinte una direzione nuova, diversa, sia che questo qualcosa rappresenti l'amore, il bene, la positività, sia che rappresenti la paura, l'odio, il conflitto. Se non ci fossero le persone che amiamo, non svilupperemmo mai quel senso di protezione nei loro confronti, quello che ci fa tentare di tutto pur di non vedere la sofferenza sui loro volti. Se non ci fossero i conflitti, non saremmo mai spinti a difenderci, a guardarci dentro per costruire nuovi sistemi di fortificazione e, nel peggiore dei casi, di rinascita.
Le cose più sublimi e quelle più infime coesistono e sono essenziali nel cammino di ogni individuo.
Io avevo rappresentato il conflitto, il tentativo di difesa, la voglia di lottare di David.
E, probabilmente, lo rappresentavo anche in quel momento.
«E adesso?» gli chiesi.
«Adesso cosa?»
«Mi odi?»
«No.»
Sentii una fitta all'altezza dello stomaco, ma non riuscii a classificarla.
Sarà fame, pensai.
Non feci più domande.
Avrei dovuto capire che la fame non si percepisce con l'anima.

Quando uscii di camera per andare a mangiare qualcosa, David se ne era andato da poco. Ero ancora confusa dalla conversazione appena avuta, ma che ancora non era stata conclusa: certo, David  si era aperto, aveva deciso di venire a parlare con me, aveva tentato di abbattere gli ostacoli che gli permettevano di fidarsi, eppure non mi aveva detto niente. Eravamo pur sempre al punto di partenza, si teneva ancora tutto dentro.
Sbuffai. Era frustrante quella situazione, avrei voluto fare di più, saperne di più.
Ancora immersa nei pensieri, non mi accorsi della figura che camminava a passo svelto nella mia direzione, fino a quando non si fermò davanti a me.
«Greta.»
«Santana.»
Non era un buon segno il fatto che avesse pronunciato solo il mio nome: era arrabbiata, lo avevo capito ancora prima di guardarla negli occhi.
«Ti avevo detto di stare lontana da Josh. Perché hai fatto di testa tua?» Il suo tono era calmo, sembrava quasi un leggero rimprovero di una mamma alla figlia.
«Perché non credo che spettasse a te la decisione, né spettava a te impormi di rifiutare. Santana, parliamo chiaro: tu hai lasciato Josh. Josh adesso non vuole stare con te. Nessuno di questi due è un mio problema.» Era inutile girarci intorno: essere diretta, andare dritta al punto, quella era la soluzione.
«Sì, ma lo diventeranno se ti ostini ad uscire con lui. Mi pare di avertelo già detto, io rivoglio Josh indietro e nessuno potrà fermarmi. Perciò ti consiglio di farti da parte.»
L'occhiata che mi lanciò fu tutt'altro che rassicurante, ma la mia voglia di discutere era pari a zero. Perché dovevo finire sempre al centro di situazioni assurde e degne dei migliori telefilm? Quello era il mistero buffo della mia vita: facevo parte di una tragi-commedia, eppure la parte comica non faceva ridere come narravano i libri.
La guardai in faccia e le risposi: 
«Santana, lascia che te lo dia io un consiglio: la vita fa già abbastanza schifo, non peggiorarla!». Poi la superai e mi diressi verso il bar, avevo assolutamente bisogno di cibo.
Continuavo a chiedermi perché una ragazza come Santana, bella ed intelligente,
dovesse abbassarsi a certi livelli per un ragazzo. Non dubitavo del fatto che a lei piacesse Josh, ma sembrava che per lei fosse importante averlo. Se si fosse trattato solo di trovare un ragazzo con cui divertirsi, non avrebbe avuto nessun problema a sceglierne un altro, eppure lei voleva Josh. Perché? Cosa spinge una persona a decidere di volerne un'altra? Quale meccanismo si aziona nel cervello per permettere ad un essere umano di compiere una scelta così radicale? Ci doveva essere una risposta logica e razionale a quel quesito. Non riuscivo a trovare una ragione valida da giustificare la decisione di Santana, un perché che giustificasse la sua irrazionalità, la sua posizione, il suo volere.
Eppure non capivo. Non ancora.

Erano le dieci di sera quando sentii bussare alla porta della mia stanza. Ero sdraiata sul letto a leggere un libro, Mandy era ancora fuori dalla mattina, così non mi restava che alzarmi per andare ad aprire.
«Josh!» esclamai.
«Greta, senti devo parlarti.» mi disse sfregandosi le mani insieme e tenendo lo sguardo basso.
«Dimmi tutto.»
«Posso entrare?» mi chiese gentilmente, ma senza alzare il viso.
«No Josh, forse è meglio se mi dici qui quello che mi devi dire.» gli risposi cercando di non essere sgarbata.
«Sì, hai ragione, scusa. Greta, io non so come spiegartelo, ma tu mi piaci! Ma non solo per il fatto che sei bella e che io mi sento attratto da te..»
Lo interruppi subito.
«Frena, Josh, fermati un secondo!»
«No! Se non ti dico tutte queste cose adesso, non lo farò più. Mi piaci, Greta! Non riesco a fare altro che pensarti e poi quando ti parlo mi sento uno scemo, non riesco a trovare le parole, la lingua non si vuole muovere, capisci? Mi sento come uno di quei ragazzini nei film dal primo momento che ti ho vista!»
«Adesso basta, Josh!»
«Ho quasi finito. Voglio solo dirti che so di aver sbagliato ieri sera, sono stato troppo avventato, ma ti prego, dammi un'altra possibilità! Seguirò i tuoi tempi, le tue modalità, farò tutto quello che vuoi, ma non dirmi di no.» concluse.
Restai immobile, pietrificata. Non sapevo cosa dire.
Gli piacevo e fino a lì potevo arrivarci. Si sentiva attratto da me, poteva essere. Non faceva altro che pensarmi e non riusciva a trovare le parole giuste quando parlava con me. No, quello no, non avrei potuto accettarlo! Non avevo mai sopportato le dichiarazioni d'amore dei film, sembravano false e smielate e, la maggior parte delle volte, il protagonista maschile diceva quelle cose solo per portarsi a letto la ragazza. Non stavo accusando Josh di volermi portare a letto (o forse anche quello), ma non potevo credere che lui provasse davvero certe cose nei miei confronti dopo così poco tempo, era impossibile! I fatti della sera precedente, inoltre, non facevano altro che alimentare la mia teoria: lui ci provava con me per fare numero, come se fossi una delle tante. Mi dispiaceva pensare quelle cose, in fondo non lo reputavo un cretino, ma non volevo uscire con lui un'altra volta.
«Josh, potrei dirti che mi dispiace, ma non avrebbe senso, alimenterei solo le tue speranze. Non uscirò più con te, non voglio. E non dare la colpa a quello che è successo ieri sera, non è solo quello: non provo quello che tu provi per me e, per quanto tu possa essere un bel ragazzo, non sono attratta da te in quel senso. In altre parole, potrei dirti che non sei il mio tipo, che tra noi non potrebbe mai funzionare, ma sarebbe banale: non voglio uscire con te.»
Ero stata cattiva, non ne dubitavo, ma ero sicura che la sincerità sarebbe stata il miglior mezzo per chiudere la cosa: addolcire il concetto, far sembrare che a me dispiacesse non uscire con lui, utilizzare frasi del tipo "il problema sono io, non sei tu" non avrebbe fatto altro che peggiorare la cosa. Via il dente, via il dolore. Me lo avevano sempre ripetuto quando ero piccola e, crescendo, avevo capito quanto le bugie e le illusioni non facessero altro che ingigantire i problemi. Solo la verità, brutta o bella che fosse, poteva rappresentare la soluzione.
Ma non avevo fatto i conti con il lato ironico del mondo: ho già detto che la mia vita somigliava molto ad un film?
Non avevo previsto che Josh mi afferrasse saldamente per le spalle e premesse le sue labbra contro le mie. Provai a liberarmi, ma la sua stretta si fece più stretta e sentii la sua lingua accarezzare le mie labbra per farle schiudere.
"Permesso negato!", pensai. Ma, ancora una volta, il regista di quel film che era la mia vita, mi sorprese.
«Brutta puttana, allora non sono stata chiara!»
L'urlo di Santana mi giunse chiaro e forte nelle orecchie. Josh sobbalzò e si staccò da me, lasciandomi finalmente libera.
«Santana, calmati!» le intimò Josh.
«Calmati un cazzo, Josh!! Non osare dirmi di stare calma, perché è l'ultima cosa che farò!»
«Non credo tu abbia il diritto di intervenire nella mia vita!» rispose Josh alzando la voce.
«Ma nella sua sì, l'avevo avvertita!» urlò Santana indicandomi con una mano.
«Che vuol dire che l'avevi avvertita? Tu sei pazza!» disse Josh passandosi una mano tra i capelli.
«Sì, io sono pazza, ma lei è una puttana!»
E ancora una volta non fui in grado di prevedere quello che sarebbe successo: Santana si mosse veloce e, senza permettermi di realizzare, mi afferrò per i capelli. Non ebbi la velocità di spostarmi, né la forza di reagire. Mi tirava per i capelli facendomi inarcare la schiena, mentre sentivo le lacrime affiorare.
«Non mi hai dato ascolto? Bene, ecco quello che ti meriti! Sei una puttana, una di quelle che cercano di apparire dolci ed indifese, mentre non vedono l'ora di portarsi a letto i ragazzi delle altre. Ma qui non funziona così, cara, io so difendere ciò che è mio e riprendermi quello che voglio!» mi urlò in un orecchio.
«Basta! Smettila!» gridai, sperando che allentasse la presa, ma ancora una volta mi sbagliai: infatti tirò ancora più forte, facendomi cadere per terra. Stava per tirare di nuovo i capelli, quando qualcuno parlò.
«Lasciala andare. Ora.»
Non riconobbi chi aveva pronunciato quelle parole, ma lei fece come aveva detto. Sentii i miei capelli tornare liberi e, asciugandomi le lacrime che erano sfuggite ai miei occhi, mi alzai per vedere chi fosse colui che mi aveva "salvata".
«Cosa fai, David, adesso la difendi anche? Non eri tu quello che la odiava?» gli chiese Santana con un sorriso strafottente sulla faccia.
«Cosa fai tu, piuttosto! Sei andata fuori di testa?» tuonò David.
«Le avevo detto di stare lontana da Josh, ma lei ha fatto di testa sua e li ho trovati avvolti in un romantico bacio poco fa.» disse lei facendo una smorfia.
Alle parole di Santana, David si girò verso Josh e, solo in quel momento, mi accorsi che lui era stato lì tutto il tempo, ma non era intervenuto.
«Cosa cazzo aspettavi, idiota? Volevi forse che le strappasse tutti i capelli?» chiese David a Josh, dando voce ai miei pensieri. «Che ti cagassi in mano anche a vedere Harry Potter lo sapevo, ma non credevo potessi arrivare a questo punto.»
Josh alzò il capo e lo guardò irato.
«E tu? Arrivi qui, mi giudichi, fai il supereroe, ma glielo hai detto a Greta? Glielo hai detto il perché di tutto questo casino?»
Guardavo Josh e lo vedevo per la prima volta: parlava con odio e rancore e si rivolgeva a David con disprezzo, come se volesse annientarlo.
«Che casino? C..cosa?» chiesi confusa.
«Come David, non glielo hai detto alla nostra Greta che mentre io e Santana stavamo insieme, te la sbattevi alle mie spalle?»
Poi il buio calò.
Per la prima volta capii che, per quanto fosse giusto dire la verità, non sempre si può dirla senza danneggiare qualcuno.




-Note dell'autrice-

Salve! :)
Eccomi di nuovo, anche se dopo mesi. So di averci impiegato una vita e mi scuso tanto, ma ho davvero avuto problemi a scrivere questo capitolo: ci sono stati giorni in cui non voleva saperne di uscire, altri in cui le idee erano fin troppe, ma alla fine ce l'ho fatta!

Sarei curiosa di sapere cosa ne pensate..:)

Ci tengo a ringraziare coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate, ovvero:

Afeffa
juliet327
Lucia92
ventisette_
AlexDavis
Lollizzata
AllyCoffey
Carrie L
CiUffEttA
GoodbyeCalm
HopeCrazy
kikathefly
kitty0890
leonedifuoco
maryfrance90
maya tabitha
shana_musi
_maddy_25

Grazie per aver atteso tutto questo tempo ed essere ancora qui! :)

A presto (prometto!).

Baci,
Jane Ale

  
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