Lady
War
Capitolo 4:
'Piccole' incomprensioni per iniziare alla grande...
La sua mano,
tesa all’inverosimile nello stringere con forza il colletto
dell’uomo, tremò. Il suo pugno, carico di tutta la
rabbia e il dolore, si rilassò riportandosi allineato al suo
fianco. La celestiale visione che le era parsa dinnanzi aveva
cancellato con la sua luce pura ogni ombra, ogni segno malvagio
scaturito dal suo essere e l’aveva disperso
nell’aria.
Leda fissava il piccolo Alan con sconcerto, incredulità,
gioia. Un viso contratto in tante espressioni diverse, tutte rivolte a
quella piccola sagoma che ai suoi occhi sembrava illuminata dalle luci
del paradiso. In realtà, il bambino stava solo stringendo
nella mano destra una torcia, che rischiarava l’ambiente
abbastanza da lasciarne notare la sporcizia sparsa ovunque: acqua
stagnante raccolta in larghe pozzanghere nere, pareti di metallo e
pietra arrugginite e sporche, feci di animali e topi sui bordi del
condotto. In altre parole, realtà. Una orribile
realtà: Leda era fuggita dalla sede Nordamerica,
‘aiutata’ da un uomo misterioso che
l’aveva portata lì, in mezzo a quello schifo. Ma
la presenza salvifica di Alan rendeva quell’atroce situazione
molto meno tragica. Per lo meno il fatto di essere sporca di sangue,
terra, acqua e chissà che cos’altro passava in
secondo piano.
La sua mano mollò lo straniero, che la guardò
circospetto finché non si accorse che la sua attenzione non
era rivolta più a lui, ma a Alan. Con calma si
rialzò spolverandosi con una certa cura il lungo mantello
sudicio ai bordi e appesantito dall’acqua di quella
fogna. Si andò poi a toccare la guancia sulla quale Leda lo
aveva schiaffeggiato. La sentì calda, e gonfia.
Leda si alzò e, ancora incredula che suo fratello fosse
davvero lì, di fronte a lei, gli corse incontro. Sotto ai
suoi piedi l’acqua schizzava ovunque e le bagnava la caviglia
dolorante, che ora importava ben poco però. Quando lo
raggiunse lo strinse a sé con quanta forza il suo animo
riuscì a sprigionare, assieme alla gioia di saperlo vivo e
in salute. Sentiva la sua pelle chiara e vellutata sulla sua, il suo
respiro calmo e regolare, i suoi capelli scuri tra le dita…
tutte conferme, meravigliose conferme. Lui era lì,
finalmente. Era lì, era lì davvero, dannazione,
proprio lì!!
Leda non faceva altro che ripeterselo, dentro di sé, mentre
abbracciava sempre più forte Alan. Le lacrime che avrebbe
voluto versare dalla gioia però non scesero. Non voleva
più piangere, soffrire, anche se positivamente. Sarebbe
stata forte, per lui. Per non vederlo mai triste. Per proteggerlo. Ora
avrebbe potuto.
Alan l’abbracciò di rimando, rischiando di
bruciarle i capelli con la torcia, che tenne a debita distanza.
Quando si separarono sentì le dita della sorella stringergli
la mano, come se avesse paura che potesse sparire di nuovo. Sorrise. Le
voleva molto bene. E lui gliene voleva altrettanto.
- Come hai fatto a venire fin qui, Alan? – domandò
Leda, rendendosi improvvisamente conto del fatto che la porta dalla
quale era entrata era chiusa ermeticamente, e che quindi un bambino non
avrebbe mai potuto aprirla.
Alan inclinò la testa, andando oltre il viso della ragazza e
volgendo i suoi occhi smeraldini all’uomo.
Leda si girò e lo fissò. Capì che era
stato lui a trarlo in salvo, e che poi era tornato indietro per lei. Si
sentì una totale idiota, per avergli dato uno schiaffo e
averlo insultato pesantemente mentre lui la stava aiutando.
Si bloccò, incerta su ciò che avrebbe dovuto
dire. In realtà, lo sapeva benissimo, ma il suo orgoglio
stava assemblando un discorso implicito e allusivo sufficientemente
architettato da dargli l’impressione che lei fosse
dispiaciuta per quanto successo. Perché non avrebbe mai
detto ‘scusa’ a nessuno.
Senza mai mollare la mano del fratello, lentamente si
sollevò da terra con l’aiuto delle ginocchia. Si
fermò a guardare l’uomo con gli occhi di chi
rimprovera. Lei era fatta così, non si abbassava a chiedere
scusa agli altri. Dentro di lei, però, gli era immensamente
grata per essersi preso cura di suo fratello.
Aprì la bocca per iniziare il suo discorso di scuse
sottintese, ma l’altro fu più veloce.
- Tranquilla – pronunciò, quasi scocciato, mentre
una mano saliva lentamente alla guancia arrossata,
sfiorandola.
- Ti fa male? – domandò Leda con un tono premuroso
nella voce.
- Non è niente di che – rispose apatico lo
sconosciuto.
Leda s’innervosì. Il tono con cui le aveva
risposto non le era piaciuto per niente. Sembrava quasi volerla
incolpare e al tempo stesso prendersi chissà quali meriti
per essere rimasto impassibile di fronte al suo gesto. A quel punto non
c’era più posto per la diplomazia…
- Che vorresti dire?! – attaccò la ragazza
avvicinandosi pericolosamente al viso dell’uomo.
- Assolutamente niente – fece questo, con un sorriso beffardo
in volto – Dico solo che uno schiaffo del genere non
è lontanamente paragonabile a uno schiaffo vero. Tutto qui.
- Allora adesso ti do qualcos’altro così vedi
quanto male fa! – gridò infuriata Leda, al limite
della sopportazione.
Lo afferrò nuovamente per il colletto e preparò
un altro pugno. Stava per scagliarglielo dritto in faccia ma Alan
s’intromise tra i due agitando allarmato le braccia.
- Fermi!! – gridò – Leda, per favore
smettila! Lui ci ha aiutati!
- Per come si comporta, sembra quasi che il suo sia stato un atto di
masochismo! – ribatté Leda mantenendo la minaccia
del suo pugno a non più di qualche millimetro dal naso
dell’uomo.
- Però ci ha aiutati lo stesso! E questa è una
ragione sufficiente per non accanirsi contro di lui!
- Un debito è sempre un debito… -
mormorò con aria di superiorità lo straniero,
mentre le sue mani afferravano con forza quella di Leda e la staccavano
dal colletto come se fossero la cosa più repellente del
mondo.
La ragazza lo guardò con riluttanza, mentre si sistemava il
mantello senza badare allo sguardo assassino che le stava rivolgendo.
Alan guardò i due con rassegnazione. Se cominciavano a
litigare così presto, Dio solo sapeva come sarebbe andata a
finire!
- L’unico motivo per cui non ti ho ancora fatto fuori
– sentenziò Leda, in tono duro –
è perché hai salvato Alan. Nulla di
più. Quindi considera quel debito in parte cancellato.
L’uomo sorrise divertito.
- Come sarebbe a dire ‘in parte cancellato’?
– domandò sarcastico – Pensi che abbia
paura di te?
- Dovresti – pronunciò tombale Leda.
- Perché? – chiese con tono di sfida lo straniero.
La ragazza si sentì esplodere di rabbia.
- Ora lo vedrai… ! – ringhiò serrando
nuovamente i pugni.
Alan però fu più veloce di lei ed
esclamò:
- Ehm, grazie per averci salvati, signore! Se non ci fosse stato lei, a
quest’ora non so cosa io e mia sorella avremmo fatto!
- Tranquillo, piccoletto – rispose con un sorriso
l’uomo, scompigliandogli amichevolmente i capelli scuri.
- Io mi chiamo Alan – si presentò il bambino,
posando una mano sul proprio petto per indicarsi – E lei
è mia sorella Leda.
E per tutta risposta la ragazza emise una specie di grugnito scocciato,
voltando stizzita la testa altrove.
L’uomo la guardò con divertimento, trattenendo una
piccola risata.
- Io mi chiamo Tyki, molto piacere – disse, stringendo
solidale la mano di Alan in segno di saluto.
Il bambino sorrise, vedendo la tensione nell’ambiente
disperdersi, anche se di poco. Tutto sommato, se riusciva a mettersi
tra di loro come aveva appena fatto, forse sarebbe riuscito a evitare
la catastrofe.
Leda mosse incerta un passo verso la porta. Avvertiva ancora dentro di
sé una voce che la implorava disperata di sfondarla e andare
a cercare i suoi amici. Sentiva di essersi spaccata a metà:
da una parte, la speranza che Ted, Anais, Emily e tutti gli altri
fossero vivi e in salute; dall’altra,
l’accettazione di una tremenda verità: erano tutti
morti. Inconsciamente non riusciva a non credere alle parole di Tyki.
Lui l’aveva salvata, aveva aperto una porta bloccata da anni
che nessuno era mai riuscito a smuovere, era stato gentile con
Alan…
Tutte queste cose lo rendevano quasi una figura onnisapiente, ai suoi
occhi. Se la sua parte più intima si rifiutava ancora di
accettare quella che probabilmente era la verità,
l’altra invece lottava furiosa per far prevalere il suo
flebile credo.
Inoltre, un altro grande dilemma l’attanagliava: chi era in
realtà quell’uomo?
Il modo con cui, quasi magicamente, aveva aperto la porta, lasciava
intendere che ci fosse qualcosa sotto quelle sembianze un po’
trasandate ma che celavano nel profondo una cura quasi insolita per la
sua persona. Lo avrebbe tenuto d’occhio, e ad ogni occasione
buona ne avrebbe approfittato per capire chi fosse! Perché,
nonostante avesse salvato lei e Alan, e le sue parole
l’avessero resa conscia della realtà, non riusciva
ancora a fidarsi totalmente di lui. Era come se, attorno a lui, ci
fosse stata una sorta di aura nera e tenebrosa, che le impediva di
vedere chiaramente la sua vera identità. Una barriera,
all’apparenza impenetrabile, che però si sarebbe
impegnata a sfondare nei giorni a venire.
Ormai, infatti, era chiaro che lei e suo fratello avrebbero fatto
gruppo con lui. Oltre all’aspetto misterioso, pareva anche
avere le idee ben chiare e probabilmente conosceva la zona dei canyon
nordamericani, essendo un viaggiatore. Lei e Alan non sarebbero
resistiti a lungo in mezzo a sassi e polvere e al nulla assoluto,
avevano bisogno di una guida. Quella guida.
Arretrò di un passo.
No, non doveva tornare. Se fosse stato lì, al suo fianco,
Ted le avrebbe sicuramente detto di non farlo. Di andare avanti, sicura
di lei. Di proteggere Alan e impedire che quanto fatto fino a quel
preciso momento non diventasse improvvisamente vano.
Chiuse gli occhi, strizzandoli con quanta forza poteva.
“Perdonatemi, amici cari…”
implorò dentro di sé, sperando che le sue scuse
arrivassero a destinazione, nei cuori di quelle persone che erano state
tutto per lei per ben due anni.
“Perdonatemi se vi abbandono… Ma prometto che
tornerò!”
Si voltò, lo sguardo acceso di decisione come mai prima
d’ora.
- Tyki – pronunciò, solenne, ottenendo il suo
sguardo – Sapresti condurci il più lontano
possibile da qui?
Tyki abbozzò un sorriso soddisfatto. Finalmente la vedeva
decisa e coraggiosa, con gli stessi occhi che aveva scorto ore prima
seduto davanti a quel boccale di birra.
- Sì, credo sia possibile – rispose, mettendo le
mani sui fianchi.
Leda sorrise, soddisfatta. Finalmente riusciva a strappare qualche
parola da quello straniero che non fosse un insulto e, cosa
più importante, la sua totale collaborazione.
- Allora faremmo meglio ad allontanarci –
sentenziò così, avviandosi lungo la conduttura
con passo sicuro. Alan le andò dietro con un piccolo
sorrisetto fiducioso stampato in volto, mentre Tyki stette qualche
attimo a guardarli, come se il solo vederli l’avesse
pietrificato. Alla fine anche lui li raggiunse, mettendosi direttamente
in testa al gruppo e guidando i due fratelli verso l’uscita.
†
Strinse l’impugnatura della pistola fino a sentirla
scricchiolare sotto la sua forza. La rabbia lo rodeva, lo pervadeva
ogni secondo di più.
Davanti a lui, tante masse di cadaveri ammucchiati tra loro, come a
formare macabre composizioni artistiche. Il sangue era ovunque, persino
addosso a lui. Storse il naso. Il sangue umano lo disgustava
terribilmente. Si levò la giacca imbrattata, quasi
strappandosela di dosso con stizza, e la gettò a terra
sollevando una timida nuvola di polvere.
Ripose la pistola nel fodero. Si ravviò i capelli con un
gesto della mano. Avrebbe voluto tanto poter vedere lo spettacolo
dinnanzi a lui… La meravigliosa opera che aveva compiuto.
- Signore! – una voce metallica, spenta, lo
richiamò alla realtà. Un Akuma di livello 3,
dall’armatura color rame, gli si affiancò
aspettando una risposta.
- Parla – acconsentì, con tono di sufficienza,
senza nemmeno voltarsi nella sua direzione.
Il demone esitò.
- Allora? – domandò scocciato il superiore.
- Ehm, ecco, Signore… Non siamo riusciti a
trovarla…
L’altro emise un breve ringhio di dissenso. E in un attimo
l’Akuma si ritrovò una pallottola fumante piantata
in mezzo agli occhi. Cadde a terra con un tonfo, mentre una sempre
più vasta pozza di sangue si apriva sotto di lui.
Gli Akuma vicini sussultarono lievemente, alla vista del loro compagno
ucciso. Tornarono però a drizzare le schiene
sull’attenti, quando il loro capo si girò e
ruggì:
- Pezzi di metallo inutili… ecco cosa siete! Il Conte aveva
detto che sareste stati all’avanguardia per questa missione.
Eppure non siete stati neanche in grado di trovare una fottuta
Esorcista!!
A quell’urlo furioso seguirono altri scoppi. Altri tonfi.
Altro sangue che colava via da corpi senza vita.
- Livello tre, livello quattro… non sono altro che numeri!
– sibilò, irato, quando una voce lo sorprese alle
spalle.
- Perché ti lamenti, tu, che sei solo un livello due?
Si girò. Una donna, dalla pelle cinerea e i capelli neri
come la disperazione era in piedi dietro di lui. Indossava abiti
formali, scuri, e un paio di guanti candidi sulle mani delicate. La sua
voce era come una nota grave di pianoforte: suadente, malinconica,
eppure fredda.
- Chiedo perdono, mia Signora Noah – pronunciò,
quasi a fatica, girandosi verso di lei.
- Come procede la missione? – tornò a domandare la
nuova arrivata, senza badare alle sue parole.
- Abbiamo avuto delle difficoltà nel penetrare la barriera e
occupare le porte stagne di emergenza; alcuni Akuma sono stati
distrutti, Signora.
Menzogne. Dalla prima all’ultima parola. Non aveva incontrato
alcun problema durante l’assalto, né per quanto
riguardava l’uccisione dei civili. E di perdite, ne avevano
avuta solo una, per mano del loro reale obbiettivo. Ma raccontare la
verità sarebbe stato un vero e proprio suicidio.
- Che cosa ci state a fare ancora qui, allora? –
sibilò aspra la Noah.
L’Akuma stava per rispondere, quando qualcosa lo
afferrò e lo strinse violentemente attorno al collo,
impedendogli di respirare. Cadde a terra, stringendo le spire violente
che lo stavano soffocando per allontanarle, ma la presa era troppo
forte.
La mano destra della donna era diventata lunga come una corda e veloce
aveva immobilizzato il demone, il quale annaspava in cerca
d’aria, rosso in viso.
- Stai al tuo posto, Jeremy, e ricordati che gli ordini del Maestro
devono essere di assoluta priorità. Non perdere altro
inutile tempo e trovala. Mi hai capito?
In risposta ricevette solo una serie di gemiti soffocati.
Mollò la presa, e la lunga corda si ritirò rapida
tornando a essere la sua mano.
L’Akuma respirò a pieni polmoni, massaggiandosi il
collo leso su cui erano rimasti dei segni arrossati
tutt’attorno. Poggiò i gomiti a terra e
recuperò il fiato, rivolto verso il terreno.
- Raduna i livelli 3 e 4 e trovala. In caso contrario, sai
già quale sarà la fine che ti
attenderà.
Puntò lo sguardo impassibile e freddo sui corpi senza vita
degli Akuma morti. Avrebbe tanto voluto ucciderlo subito, ma gli ordini
del suo Maestro erano assai più importanti.
- Ai suoi ordini… mia Signora Noah… -
ansimò il demone, mentre a fatica si rialzava dal pavimento
sporco di sangue umano della sede Nordamerica.
†
Leda guardò dietro di sé. Il tunnel buio e
metallico che lei, suo fratello Alan e Tyki stavano attraversando, era
buio e umido, e l’oscurità divorava insaziabile i
residui di luce più lontani prodotti dalla torcia che
stringeva in mano.
A terra una sottile scia d’acqua salmastra percorreva tutto
il canale come un serpente viscido e puzzolente. Le pareti erano
scrostate e arrugginite, e i topi squittivano nell’ombra, con
un leggero eco che ne amplificava le vocine.
Certo, ritrovarsi dall’avere quella che si poteva chiamare
una vita allo sguazzare nelle fogne, non era proprio il genere di
futuro che Leda si sarebbe immaginata per lei e Alan quella mattina.
Anzi, non pensava affatto all’eventualità che
potesse succedere un paradosso del genere. Aveva ancora molta
confusione in testa, ma aveva deciso di fidarsi di Tyki, che comunque
sembrava una persona affidabile. Almeno, secondo Alan. La sensazione di
tenebra che attorniava quella misteriosa figura non se n’era
andata, affatto, ma gli ultimi avvenimenti avevano fatto sì
che la ragazza pensasse che lui fosse meglio di molte altre cose che le
sarebbero potute capitare. In fin dei conti, se avesse dovuto scegliere
tra l’essere uccisa da un Akuma o l’essere salvata
da un tizio misterioso e antipatico, avrebbe certamente preferito la
seconda opzione. Ma solo per poco.
I tre camminavano avvolti dal silenzio. Nemmeno Alan, il più
gran chiacchierone mai visto, sembrava essere in vena di parlare.
L’unico rumore esistente era quello dei loro passi, che
calpestando l’acqua producevano un leggero scalpiccio e
qualche schizzo.
Leda non sapeva dire con precisione da quanto tempo stessero
camminando, ma a giudicare da come la torcia si era consumata, da
quando l’aveva accesa, dovevano essere parecchie ore.
Gliela aveva data Tyki. L’aveva tirata fuori da una borsa che
la ragazza non sospettava nemmeno che avesse indosso. Forse dentro
c’era anche del cibo. Lei non aveva avuto occasione di
tornare indietro a recuperare nulla, nemmeno il bellissimo carillon
comprato poche ore prima dell’assalto da donare a Alan,
quindi sperava vivamente che almeno lui conservasse un po’ di
viveri. Non aveva alcuna intenzione di morire di fame.
- Hey – lo chiamò. Si era già
dimenticata il suo nome.
Tyki si voltò verso di lei, intuendo che quel verso fosse
rivolto a lui.
- Sì?
- Quanto manca per arrivare in superficie?
- Poco.
Sulla fronte di leda comparve una piccola vena di rabbia. Segno che la
‘spiegazione’ appena ricevuta non era affatto
sufficiente.
- Quanto poco? – domandò, imboccando
già la via dell’impazienza.
Tyki si fermò bruscamente. Alan cozzò contro la
sua schiena, perso com’era a guardare la scia
d’acqua putrida come fosse una traccia da seguire.
Sollevò lo sguardo rassegnato e si preparò a una
nuova imminente bufera.
- E’ un po’ che camminiamo, non trovi? Eppure avevi
detto che tramite questo condotto saremo arrivati in superficie in poco
tempo.
- Il motivo è che siete lenti, e con questo passo non
raggiungeremo la nostra meta prima di domani.
Leda s’innervosì ancor di più.
- Secondo me è perché tu ti sei perso.
Tyki la fulminò con lo sguardo.
- Io non mi perdo mai – pronunciò, altezzoso
– E non ho bisogno che tu mi faccia la paternale, ragazzina.
Alan, che si trovava tra i due e li guardava dal basso verso
l’alto, vedeva chiaramente accendersi tra i loro sguardi
piccole scintille gialle fulminee. Si spostò appena, quel
tanto che bastava per tirarsi fuori dalla zona calda di quello che, con
tutta probabilità, sarebbe potuto diventare un incontro di
lotta assai acceso.
- Non possiamo vivere nelle fogne, lo sai questo? –
domandò Leda, come se, dato il fatto che probabilmente lui
ci viveva, non riusciva a capire che per loro era diverso.
In assenza di una buona risposta per controbatterle, Tyki tacque.
- Dammi la torcia – pronunciò duro, al termine di
una piccola pausa. Leda gliela porse, un po’ sorpresa da
quella reazione improvvisa.
- Ora seguitemi e camminate veloci. Riusciremo ad uscire da
qui… fosse l’ultima cosa che faccio.
Angolo di Momoko
Prima di propinarvi le solite cavolate, volevo chiedere scusa a tutti.
Chi mi conosce avrà sicuramente capito che la
puntualità
non è il mio forte, e che quindi dire 'posterò il
capitolo entro due o tre settimane' è come dire 'non so
quando
aggiornerò, forse entro quindici anni...'.
Vi chiedo perciò di avere molta pazienza.
Cercherò di non
deludervi mai con i capitoli nuovi, e metterò sempre molta
cura
e dedizione nello scriverli. Non mi faccio assolutamente beffa di voi,
credetemi. Spesso non c'è tempo, o manca l'ispirazione, o
non
è possibile proprio scrivere. Ma su una cosa voglio
tranquillizzarvi: anche de dovessi farvi aspettare un po', il capitolo
arriverà comunque. Non interromperò mai una
storia,
quindi se non vedete aggiornamenti freschi non demordete xDD
In questo capitolo non c'è molto di cui parlare. Compaiono
dei
personaggi nuovi, una Noah misteriosa e ci sono le prime zuffe tra Leda
e Tyki. Nel prossimo le cose comincieranno a mettersi in moto, quindi
preparatevi! xD
Tyki: per come vanno le cose, di tempo per prepararsi ce ne
sarà parecchio ù_ù
Sei snervante, lo sai?
Sanji: *circondato di cuoricini* Momoko-san! Ti ho portato della
cioccolata calda! ♥
Grazie, Sanji caro. Almeno tu mi dai un po' di soddisfazione!
E con questo, vi comunico che a breve comparirà anche il
secondo capitolo di Tears, la sfida tra me e Myrae.
Ora mi dileguo!
A prestoooo,
Momoko ♥
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