14. fuori dalla nebbia
Era mattina inoltrata e l’aereo volava
sull’Atlantico che
si intravedeva ogni tanto tra le nuvole, Liliana lo fissava senza
vederlo realmente, il pensiero fisso su Aaron. "Devo distrarmi,
devo concentrarmi su qualcos’altro o rischio di dirottare
l’aereo per tornare da lui. Ma se voglio lui,
perché sono
partita?" Quell’interrogativo la perseguitava da quando la
sera prima aveva convinto Mary ad accompagnarla nel suo appartamento
per preparare le valigie per il suo ritorno in Italia. Era stato strano
rimettere piede in quella che era stata la sua casa per più
di
tre anni e in cui non era più rientrata dalla sera del
rapimento. Un sottile strato di polvere ricopriva i mobili,
l’armadio era un po’ incasinato, dato che era stato
Aaron a
prenderle i vestiti quando l’aveva riportata a casa
dall’ospedale. Aveva preso il minimo indispensabile, non
aveva
molto tempo, l’aereo partiva alle sei. Le si era stretto il
cuore
per ogni cosa che metteva in valigia. Mary l’aveva aiutata in
silenzio, senza commenti ma con un’aria di rimprovero sul
viso.
E adesso era in viaggio per tornare a casa, da visi amici e in posti
che non avessero memoria di quello che le era accaduto. "Anche se
ci sarà sempre il mio viso a ricordarmelo." Pensò
accarezzandosi la guancia ferita. "Decido i miei spostamenti per
scappare dai ricordi dolorosi, sono arrivata a Washington per fuggire
da tutto ciò che mi ricordava Marco e adesso torno in Italia
per
fuggire da… Da cosa, da Pavlovich? O dal dolore del
possibile
rifiuto di Aaron? Sto giocando d’anticipo per facilitarmi le
cose?" Appoggiò la testa al sedile, era stanca e triste.
"Voglio smettere di stare male, vorrei solo essere felice."
Gideon era seduto fuori dal reparto di chirurgia. "Ormai passo
più tempo qui che in ufficio." Fu presto raggiunto da Reid
e Morgan.
- Come stai? - chiese all’agente biondo.
- Niente di grave, anzi niente e basta. Volevano tenermi in
osservazione ancora per qualche ora ma io ho firmato per uscire. - gli
rispose.
- Allora farai meglio ad andare a casa a riposarti. -
- Che novità ci sono? - domandò Morgan indicando
la porta chiusa.
- Non mi hanno ancora dato nessuna notizia. - rispose Jason
stringendosi nelle spalle.
- Allora aspetteremo con te. - disse Morgan.
Dopo due ore uscì un chirurgo che li avvicinò. -
Siete gli agenti dell’FBI? - chiese loro sfogliando una
cartella
clinica. I tre assentirono. - Mi dispiace ma non ce l’ha
fatta a superare l’operazione, aveva perso troppo sangue e la
pallottola aveva danneggiato l’aorta. Abbiamo fatto il
possibile. - disse a voce bassa. Poi si voltò e
rientrò nel
reparto.
Gli agenti si sedettero. - E adesso? - chiese Reid.
- Adesso informiamo i parenti e torniamo a casa a riposare, finalmente.
- gli rispose Hotchner voltando l’angolo del corridoio.
- Come sta Carter? - chiese Gideon.
- E’ sotto shock, ma non ha ferite. E’ andato a
stare in
albergo per qualche giorno, almeno finché non saranno finiti
i rilievi
a casa sua. -
Uscirono dall’ospedale nel mattino assolato.
- Non riesco a disperarmi per avergli sparato. - mormorò
Hotchner.
- E’ normale. - rispose Gideon.
- Ci sarà un’indagine, vero? - Non sembrava
preoccupato per quell’eventualità.
- E’ inevitabile; ma ne uscirai pulito, hai fatto solo quello
che
andava fatto. - lo rassicurò in ogni caso il
collega.
Quando Aaron arrivò a casa rimase stupito non vedendo
né
la macchina di scorta né quella di Mary. "Gli agenti
saranno stati richiamati dopo gli eventi di ieri sera e Mary
sarà al lavoro." Cercò di convincersi.
Ma quando entrò in casa il silenzio lo rese sospettoso, non
c’era traccia di Liliana al piano inferiore. Salì
le scale
e la chiamò ma non ottenne risposta. Entrando in camera da
letto
vide il letto intatto e una lettera sul suo cuscino. "Non
può essere quello che penso."
Non osava avvicinarsi, non voleva scoprire cosa gli aveva scritto anche
se lo sospettava. Era tornato a casa allegro per la chiusura del caso,
per la promessa di una nuova felicità senza
l’ombra di
Pavlovich a incombere sul loro futuro.
Si avvicinò e la prese in mano, lesse il suo nome sulla
busta,
scritto con la sua terribile calligrafia. Aveva paura ad aprirla. La
rimise sul cuscino e andò a farsi la doccia. "Posso
leggerla dopo." Ma quando tornò nella camera gli
mancò ancora il coraggio, si coricò dalla parte
del letto
che la donna solitamente occupava e annusò il suo cuscino,
cercando il suo odore così particolare e così
seducente,
cercando di trattenerla in quel modo.
Quando si svegliò era pomeriggio, alcuni bambini corsero
ridendo
sotto le finestre, il vicino stava tagliando l’erba del
giardino.
Solo nella sua casa il silenzio regnava sovrano. Si mise seduto
incrociando le gambe e aprì la busta con un gesto deciso.
Spiegò il foglio, prese un respiro come se si dovesse
tuffare e
iniziò a leggere.
Caro Aaron,
quando
leggerai queste
righe io probabilmente starò volando sopra
l’oceano per
tornare in Italia. Non ho il coraggio di dirtelo di persona; sono una
vigliacca e ho paura che al momento mi mancherebbero le parole e potrei
cambiare idea. Per lettera è tutto più facile,
non ho
davanti i tuoi occhi profondi che mi scrutano e che indagano, gli
stessi occhi di cui mi sono innamorata.
Non sono
sicura che quella
di partire sia la scelta giusta, ma per me è la cosa
migliore.
Mi fa male stare qui a ricordare gli attimi di orrore che ho passato,
ho il terrore che lui rispunti all’improvviso. Ma non
è
solo questo. Mi fa male stare nei luoghi dove noi due siamo stati
così felici e dove adesso soffriamo così tanto;
mi fa
male non riuscire a parlare con te. Ho bisogno di cambiare.
Vorrei che tu
capissi
che io ti amo ancora, ma non sono più certa che tu
ricambi
i miei sentimenti come prima e quest’insicurezza peggiora
solo la
situazione. Non odiarmi perché ho deciso io per tutti e due,
so
che fa male, che questo ti farà soffrire, ma non vedo altre
soluzioni per il momento. Probabilmente sto sbagliando tutto.
Qualunque cosa
tu decida di fare ricorda che ti amo tanto, anche se ho uno strano modo
di dimostrartelo.
Lil
"Come ho potuto lasciare che pensasse che non l’amassi
più? Quando abbiamo cominciato a non parlarci
più? A non
capirci più?" Si prese la testa fra le mani cercando di
non piangere. Gli mancava la sua voce dolce e bassa, che
l’aveva
attratto quando l’aveva conosciuta, ogni fibra del suo corpo
urlava il dolore che cresceva dentro lui. "Cosa faccio
adesso?"
Liliana osservava il panorama che si stendeva davanti a lei, le
montagne colorate dall’autunno, il cielo terso di un azzurro
impossibile e il sole tiepido che faceva brillare di mille riflessi
rossi i suoi capelli scompigliati da un leggero vento. Era seduta su
una coperta nel giardino, le stampelle accanto a lei, vicino un libro
che il vento sfogliava al posto suo. Guardò il fondovalle
immerso nella nebbia che galleggiava come un mare bianco. Era
incredibile che dov’era lei ci fosse una giornata stupenda e
più in basso il tempo fosse tetro e autunnale.
Erano passate due settimane da quando era tornata dagli Stati Uniti e
solo una da quando aveva deciso di rifugiarsi nella casa di montagna
per stare un po’ sola e pensare, per estraniarsi da tutto.
"E’ come questa giornata. Se fossi rimasta sarei ancora
immersa nella nebbia e non capirei dove andare, guardando la situazione
con un po’ di distacco, elevandosi sopra di essa, tutto
appare
chiaro e limpido. Proprio limpido no, a dir la verità, ma
almeno
mi sento meno impantanta."
Hotchner osservava il paesaggio scorrere dal finestrino di un autobus
vuoto e un po’ desolato. Era stata un’impresa per
lui
arrivare fin lì, riuscire a raggiungere quello sperduto
paese di
montagna dove Liliana si era rifugiata. Parte del merito per il buon
esito dell’impresa andava alla sorella maggiore di Liliana
che
gli aveva dato tutte le indicazioni fondamentali e gli aveva scritto un
biglietto con le frasi che lo avrebbero aiutato. Era stata Verdiana a
rispondergli al telefono quando aveva chiamato a casa sua per
raccontarle di Pavlovich, era stata sempre lei ad accoglierlo
all’aeroporto e a spedirlo in quello strano viaggio in
corriera.
- E’ il modo migliore per raggiungerla, fidati di me. Ti
sta aspettando, anche se non lo sa. - gli aveva detto alla
stazione dei bus. - E’ spaventata e confusa, ma io la
conosco meglio di quanto lei conosca se stessa e capisco cosa
vuole realmente; lei vuole te.- L’aveva incoraggiato.
Si sentiva spaesato e confuso, non era abituato a quelle strade strette
e dissestate, a quel clima tetro, grigio e solitario. Fu quindi con
meraviglia che si accorse che all’improvviso erano sbucati
dalla
nebbia e tutto era illuminato dalla luce del sole, che faceva risaltare
i colori caldi degli alberi.
Quando scese in mezzo al paese comprese perché si era
rifugiata
lì. Il silenzio, la calma erano ciò di cui aveva
bisogno
e che aveva trovato. Seguendo le indicazioni di Verdiana raggiunse
presto una casa che rimaneva spostata rispetto al paese e la vide
seduta in contemplazione del panorama, illuminata dal sole e bella come
un’apparizione, i capelli arruffati dal vento leggero, la
testa
inclinata di lato. Conosceva ogni linea del suo corpo, ogni movimento
gli era familiare e
ritrovarli gli procurò una gioia immensa.
Liliana sentì dei passi far scricchiolare la ghiaia alle sue
spalle, si voltò e lo
vide. Per un attimo non credette ai suoi occhi, non poteva essere
Aaron, come aveva fatto a raggiungerla? "Ricorda, l’amore
conosce tutte le strade."
Lui la guardò in silenzio poi lasciò cadere il
borsone a
terra e le si avvicinò, sedette accanto a lei e
ammirò il
panorama.
Liliana lo fissò senza parole, il cuore le batteva forte e
le sembrò incredibile che lui non lo sentisse.
- Come hai fatto ad arrivare fin qui? - Era incuriosita.
- Non ha importanza. - le rispose dopo un momento di incertezza.
Continuava a tenere lo sguardo fisso di fronte a sé. Fece un
sospiro per farsi coraggio e le chiese: - Come hai potuto pensare
che non ti amassi più? - Solo allora si voltò
verso
di lei.
Lo guardò negli occhi. Era difficile rispondere a quella
domanda. - Era quella la sensazione che provavo. Sembrava che tu
non mi volessi più accanto… Non mi toccavi
più,
non mi abbracciavi, non mi davi la mano… Non sapevo cosa
pensare. Credevo che la mia presenza ti fosse insopportabile, come se
Pavlovich mi avesse contaminata…-
- Perché non me ne hai parlato? -
- Perché tu non mi hai spiegato perché era
così
importante per te arrestarlo? Perché non mi hai spiegato
perché ti ripugnava tanto baciarmi? – Era
sull’orlo
delle lacrime, era arrabbiata, si sentiva accusata.
- Volevo farti sentire al sicuro, arrestarlo perché tu non
sentissi più il bisogno di partire, di scappare.- si
giustificò.
- Ma io non me ne sono andata per quello! Non solo. Avevo solo bisogno
di tempo
per leccarmi le ferite in un territorio neutro. Anche senza Pavlovich
in libertà, Washington era soffocante e terrificante per
me.-
Rimasero in silenzio guardando di fronte a loro, cercando le parole
giuste per esprimere quello che provavano.
- Mi dispiace non averti capito. E tu non mi hai mai
disgustato, avevo solo paura che le mie carezze, i miei baci potessero
ricordarti quello che ti ha fatto; temevo che tu mi avresti allontanato
e non sarei riuscito a sopportarlo. - Guardò verso il
fondovalle avvolto nella nebbia - Pensavo che sarebbe stato
più facile, che ci saremmo guardati negli occhi, ci saremmo
abbracciati e ci saremmo perdonati, invece… -
Liliana sorrise e gli accarezzò una guancia con il dorso
della
mano, lui chiuse gli occhi per meglio assaporare quel contatto che gli
era mancato così tanto.
- Sei un ingenuo, quello accade nei film. Nella realtà
è
tutto più difficile, bisogna spiegarsi l’un
l’altro
ogni pensiero, ogni sensazione. E poi la mia corsa verso di te con le
stampelle non sarebbe stata romantica, solo ridicola. -
- Già, me ne sono accorto. - Sorrise a quella battuta, le
prese la mano e
baciò la punta delle dita, poi la strinse forte. - Mi
dispiace
non aver capito che avevi bisogno delle mie carezze, della mia
presenza. -
- Mi dispiace aver preteso che tu mi seguissi e non aver capito che
avevi bisogno di proteggermi come meglio sapevi fare. -
- Adesso cosa succederà? - le chiese dopo qualche attimo.
- Rimetteremo insieme i pezzi, senza fretta. Cercheremo di essere
chiari con noi stessi. Sarà lungo e complicato, ma possiamo
farcela. - Appoggiò la testa sulla spalla
dell’uomo
e lui le baciò i capelli e le circondò le spalle
con il
braccio. Lei inspirò l’odore dell’uomo,
si
sentì bene, come non le capitava da tempo.
- Mi sei mancato. -
- Anche tu. Ti amo.-
Lei sorrise. - Anch’io. -
- Ce la faremo? - le chiese continuando ad osservare la nebbia che
fluttuava inarrestabile più in basso.
- Possiamo solo provarci. -
- Cosa hai intenzione di fare adesso? Vuoi tornare a vivere qui in
Italia, a casa? - Trattenne il fiato in attesa della risposta
- Anche se ti sembrerò melensa, la mia casa è
dove sei
tu. Tornerò a Washington. Però non subito, ho
bisogno di
tempo. - Lui annuì, era già tanto dopo aver
pensato
di averla persa per sempre.
- Vuoi venire a vivere con me? - le chiese un po’
imbarazzato. Aveva paura di perderla di nuovo.
Liliana non rispose subito, tenne lo sguardo fisso di fronte a
sé. Poi, dopo un silenzio che ad Aaron era parso infinito,
rispose. - Sì, ma ad una condizione. -
Lui si sentì mancare il respiro - Quale? -
- Devi assolutamente installare un bidet in bagno!- Rise e
alzò il viso verso quello di lui.
Lui abbassò la testa e appoggiò le labbra su
quelle di lei, che le schiuse e lo baciò con dolcezza.
"Le cose belle, brutte, commoventi o insignificanti, tutte le
cose esistono nello stesso momento e il giorno dopo assumono una forma
differente. Noi puntiamo a luce su ciò che vogliamo vedere,
entriamo in quello spirito e ci avviamo verso quel punto."
Banana
Yoshimoto (Sly)
***fine***
Questa storia è
dedicata a mia sorella, per avermi fatto scoprire EFP,
perchè mi sopporta in questo lungo periodo di convalescenza
e perchè è così com'è. Ti
voglio bene.
Come sono commossa! Sono riuscita ad arrivare alla fine anche di questa
storia! E sono riuscita ad aggiornare nonostante sia stravolta, ma non
potevo lasciarvi sulle spine, ho un cuore anch'io anche se ben
nascosto!
Spero proprio che questo capitolo vi sia piaciuto e che tutta la ff vi
abbia fatto passare dei piacevoli momenti.
Kley:
sono contenta che ti abbia colpito proprio quello che io intendevo far
emergere... Mi sto quasi mettendo a piangere! Spero che tu riesca a
leggerla il prima possibile. Grazie davvero per tutti i tuoi commenti
entusiasti, non hai idea del piacere che hanno fatto!
lalausonio:
un nuovo acquisto! Sono davvero felice che ti abbia fatto una
così buona impressione e che ti sia sembrata ben scritta.
Minerva McGranitt:
grazie per avermi seguito, spero di poter far presto lo stesso con te!
Spero ti sia piaciuta la fine, ti ringrazio per tutti i tuoi commenti.
LubyLover:
ti sei ripresa dall'infarto? Sono molto contenta che pensi che abbia
del talento, anche se io non ne sono pienamente convinta. Aaron in
effetti è un po' freddo e mette il lavoro al primo posto,
però qualche volta si lascia andare. E Mary, beh lei
è la personificazione dell'incoerenza! Grazie per avermi
seguito fin dalla prima puntata coi tuoi commenti chilometrici!
sakura_kinomoto:
ecco il secondo episodio. Ti aggrada? Ma se Morgan non l'avesse fatto
magari Pavlovich avrebbe sparato a Reid, non ci hai pensato? Grazie per aver
sempre commentato anche se so che a volte non ne avevi proprio voglia!
hikary:
se fosse illegale far finire così i capitoli io subirei la
pena di morte dato che è la mia passione. Del resto Criminal
Minds lascia sempre le cose in sospeso con mia grande rabbia! Lo faccio
giusto per restare IC! Grazie per la tua presenza!
Un ringraziamento comunitario anche a Paola
e jaja_thrill che mi hanno seguito in
quest'avventura.
Naturalmente un'enorme grazie anche a chi ha letto senza recensire,
spero l'abbiate gradita. (Sembra che stia parlando di una cena ma non
fateci caso, sono in piedi dalle cinque!)
Un bacio a tutti e buone vacanze,
sku
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