UN PUGNO DI FERRO CAPITOLO 6
Un
Pugno di Ferro in un Guanto di Velluto
di
Elle H.
CAPITOLO
SESTO
Il
Giorno in cui Nacque il Demonio
“All
the same take me away, we're dead to the world
Remaining,
yet still uninvited
Those words scented my soul
Lonely soul,
ocean soul
Heaven
queen, cover me
Heaven
queen, carry me away from all pain
Portami via lo
stesso, siamo addormentati
Resto, anche se ancora non invitato
Quese parole fiutavano la mia anima
Anima sola, anima d'oceano.
Regina del paradiso, avvolgimi
Regina del paradiso, portami via da tutto il dolore"
[Dead to the World,
Nightwish]
Uno dei giorni più
ardenti patiti finora, forse addirittura il più caldo, il
più snervante: non lo sapeva, non osava chiederselo.
I pensieri gli giocavano sempre strani scherzi in quel periodo
dell'anno.
Eppure gli
sembrava quasi di poter saggiare con la mano il calore di quella
giornata, come fosse qualcosa di ben più palpabile
dell'aria: insopportabilmente denso, quasi come una sostanza
appiccicosa che si applicava inevitabilmente ad ogni centimetro della
sua pelle.
La luce del
giorno di certo non rendeva più accettabile la situazione.
Da che aveva memoria non vi era mai stato neppure un paio di tende a
riparare l’unica finestra di quella stanza, e un intenso
bagliore illuminava invadente l’ambiente angusto, ferendolo
agli occhi e obbligandolo a ripararsi il viso sudato.
Un numero
spropositato di crepe sottili attraversava irriverentemente il soffitto
da un capo all’altro, denotando tutti i trascorsi di quello
che, un tempo, doveva essere stato un’imponente edificio.
Tom negli
anni era stato portato dalla noia a conoscere ogni singolo particolare
di quel luogo come il contenuto delle proprie tasche,
giacché non gli restava nessun altro passatempo che non
fosse sfogliare svogliatamente libri di incantesimi e magia, che
conosceva in ogni caso perfettamente a memoria.
Ma quel
giorno vi era qualcosa di diverso: la temperatura fuori dai limiti,
promessa da chi aveva decretato quell’estate di guerra
babbana come “una delle più calde del
secolo”, lo aveva costretto ad una reclusione forzata in uno
stato vegetativo, sdraiato immobile sul letto senza neppure la forza di
tenere gli occhi aperti.
Eppure non
dormiva, non riusciva a dormire nonostante la maggior parte delle sue
notti fossero insonni, trascorse a contare ogni angosciante secondo che
lo separava dal primo giorno di settembre, dall'agognata
libertà.
Ma era
proprio questo a privarlo del sonno e della serenità: la
disperazione più totale di trovarsi separato a forza dal suo
vero mondo, dai suoi simili, che ora gli apparivano lontani
più che mai.
Non
riusciva a credere che dopo tutto quello che era successo, dopo tutto
ciò che aveva scoperto e realizzato, si trovasse ancora
lì, in quel sudicio letamaio babbano.
C’erano
momenti in cui non arrivava a far collimare le due immagini che aveva
di se stesso: solo un mese prima era ancora lo studente più
brillante di tutta Hogwarts, a capo del più perfetto piano
di sabotaggio che quella scuola millenaria avesse mai visto. Aveva
scoperto le proprie origini, aveva riacquistato una propria
identità, aveva esaudito ogni suo desiderio, aveva ucciso
secondo il suo criterio...
Ed ora era
tornato ad essere un comune, patetico orfano londinese, relegato tra
quattro spoglie mura nell’apparente condizione di babbano
ordinario.
Era in
momenti come quello, in cui si ritrovava a rimuginare sulla propria
condizione, che con un segreto barlume di vergogna dedicava il proprio
pensiero ad un luogo ancor più lontano, dove sicuramente
qualcuno trascorreva i suoi giorni in modo totalmente differente.
“Prometto che ti
scriverò quest’estate, verrò anche a
trovarti se lo desidererai”
“Non sei tenuta a
farlo, Pearl. I gufi attirano troppa attenzione, ma in ogni caso non
necessito minimamente del tuo conforto”
Idiota ed
arrogante, ecco ciò che era stato quel giorno. Non poteva
fare a meno di pentirsi amaramente per quella risposta sprezzante.
Anche solo intravedere una parola in quella sua minuta, affascinante
scrittura avrebbe potuto fare la differenza, alleviare il suo calvario.
E invece...
All’apice
di una rabbia più nervosa e mal repressa che mai si
alzò con uno scatto, consumando il limitato spazio della
stanza in pochi passi nervosi. Lo sguardo gli cadde sullo specchio,
annerito e scheggiato dal tempo e dall'usura;
occhieggiò disgustato l’immagine che gli
rimandava: un viso pallido ed emaciato, imperlato da un sottile velo di
sudore, con i capelli scuri sporchi e troppo lunghi; il tutto corredato
da larghi e vecchi vestiti babbani che bastavano a colmarlo di
imbarazzo.
Come poteva
ogni anno permettere alla sorte di ridurlo a quel modo?
Ma a
distrarlo dal proprio riflesso fu uno scalpiccio di passi infantili,
seguito da un fievole sfiorar di nocche contro il legno della porta,
chiaro sentore di un animo decisamente intimorito.
“Che
cosa vuoi?!” chiese ad alta voce, con il tono brusco ed
aggressivo che era solito utilizzare con qualsiasi altro abitante di
quel luogo infelice.
Sin da
piccolo era riuscito, più o meno volutamente, con parole o
scoppi di magia, a creare attorno a sé una forte linea di
separazione da tutti gli altri bambini, una sorta di alone oscuro che
teneva a debita distanza persino la direttrice e i suoi delatori.
Anche dopo tanti anni, in cui a malapena rivolgeva la parola agli altri
compagni, era ancora capace di incutere timore e rispetto con la sua
sola presenza.
Ma quando
la porta si aprì non rivelò uno dei suoi compagni
di stanza, ma bensì il viso sporco e dai capelli arruffati
di un bambino molto più piccolo, un volto infantile su cui
mai si era degnato di posare lo sguardo.
E quale fu
la sua sorpresa quando, alzando il capo, intravide dietro di lui una
figura che quasi gli fece spalancare gli occhi dallo stupore,
portandosi via in ogni caso tutte le sue parole.
“Sei
stato molto gentile piccolino, ti ringrazio” disse Pearl
dolcemente, chinandosi verso il bambino e lasciandogli cadere nella
mano una manciata di monete, prima che scappasse via con improvvisa
urgenza.
La ragazza
si premurò di chiudere accuratamente la porta dietro di se,
prima di voltarsi a rivolgere lo sguardo verso Tom, intuendo che un
pensiero piuttosto simile doveva star attraversando entrambi.
Il viso
della ragazza era di nuovo pieno e sereno, velato da un sottile accenno
di abbronzatura e un lieve sorriso sulle labbra sottili; era pettinata
con ricercatezza e vestita con un elegante abito bianco di chiara
foggia babbana, un accorgimento inutile quanto apprezzabile: con
estremo fastidio si accorse di trovarla più bella che mai.
“Gli
abitanti di questo posto sembrano alquanto spaventati da te, Tom. Ho
dovuto interpellare tre o quattro ragazzini prima di trovare
l’unico disposto a mostrarmi quale fosse la tua camera,
dietro compenso naturalmente; tra parentesi, mi devi cinque
sterline” esordì Pearl, percorrendo con uno
sguardo allarmato lo squallore dell’ambiente.
“Beh,
possiamo dire che hai trascorso tempi migliori, non credi?”
Forse fu
proprio l'ironia che avvolgeva quell'ultimo commento a far scattare
qualcosa in Tom, facendolo riemergere dallo stato di stupore in cui
pareva essersi trincerato.
“Come
osi presentarti davanti a me, in questo modo, a parlarmi come se niente
fosse dopo avermi lasciato a marcire per oltre un mese in questa lurida
topaia?!” le domandò in un improvviso eccesso di
rabbia, trattenendosi a malapena dallo scagliarsi dall'altra parte
della stanza.
Ma Pearl
non diede alcun segno di sorpresa, limitandosi a rivolgergli
un'occhiata decisamente sprezzante.
“In
tutta onestà meriteresti di restare sepolto qui per tutta
l’estate, a giudicare dalla grazia con cui hai
rifiutato la mia gentilezza l’ultimo giorno di
scuola” rispose, appollaiandosi sul letto dalle coperte
sgualcite.
“E
in ogni caso vedi di darti una calmata: il Tom che conosco io
è abituato controllare i propri sentimenti… Non
che ora gli assomigli particolarmente, sia chiaro”
commentò pungente.
Solo a
quell'affermazione Tom parve accorgersi di quanto il suo comportamento
non fosse altro che la ciliegina sulla torta al suo aspetto desolante.
Ostentando un respiro profondo si sedette sul letto poco distante da
lei, tentando un'ammirabile esercizio di autocontrollo.
“Avrai
notato che non ti ho scritto neppure una volta... come da te
richiesto” esordì Pearl.
“Eppure
ora hai deciso di presentarti qui, sbucando dal nulla”
ribatté Tom.
“Tecnicamente
il nulla sarebbe proprio questo posto: sai, non immagini quanti
orfanotrofi ci siano a Londra, ma devo dire che tu hai avuto la
sfortuna di capitare nel più squallido tra tutti”
“Allora
penso tu possa comprendere da te perché volessi
così tanto rimanere ad Hogwarts” concluse laconico.
Pearl
cercò il suo sguardo, ma lui preferì evitarla;
per la prima volta da quando si erano conosciuti, Tom Riddle
assaporava la sensazione di sentirsi inferiore a lei.
Già conosceva la vergogna del suo stato di sangue, ma
sperimentare del disagio persino per le sue condizioni fisiche e di
vita andava decisamente oltre le sue previsioni.
Tuttavia in
risposta udì solamente un sospiro.
“Non
sei uscito neanche una volta per fare un giro a Diagon Alley?”
La risata
totalmente priva di allegria del giovane fu una risposta più
che eloquente.
“E
come di grazia, Pearl? Credi abbia davvero voglia di mostrarmi a tutti
in questo stato? Ti prego, preferisco non espormi al pubblico
ludibrio” ribadì con amarezza.
Per lunghi
attimi il silenzio si dilatò tra loro, frammentato dalle
grida infantili degli altri abitanti dell'orfanotrofio, intenti a
giocare nel cortile.
“Non
vuoi chiedermi perché ho deciso di venire qui
quest'oggi?” chiese infine Pearl, con un tono infinitamente
più dolce.
“Perché
tu possa guardarmi e burlarti di me? Per questa volta ti è
più che concesso direi”
Ma Pearl
scacciò quell’ultima frase con
un’occhiata esasperata al soffitto.
“Sull'ultimo
punto hai senz'altro ragione: la tua autocommiserazione è
così patetica che potrei vomitare. Ma per il resto ti
stai sbagliando, anzi sono qui per l'esatto contrario” disse
sfoderando un sorriso più che autentico.
Si alzò in piedi, gettando uno sguardo disgustato
tutt’intorno.
“Forza,
raccogli le tue cose e fai i bagagli” sentenziò
decisa.
“Che
stai dicendo?”
“Sto
dicendo che la sola idea di te rinchiuso qui mi ripugna profondamente,
ragion per cui esigo che tu abbandoni questa lurida topaia e mi segua,
adesso. Tutto chiaro?” ordinò perentoria,
sollevando con la punta della scarpa una camicia sdrucita
mezza infilata sotto al letto.
Nonostante
il suo entusiasmo il ragazzo si limitò a risponderle con un
basso sospiro.
“Credi
che se avessi potuto andarmene non l’avrei già
fatto? Sono obbligato a vivere qui sino al compimento dei diciott'anni,
è la stupida legge babbana”
“E
io secondo te ho aspettato un mese per fare cosa? Non crederai che non
abbia un asso nella manica!” rispose la giovane allusivamente.
Quando poco
dopo i due ragazzi scesero le scricchiolanti scale
dell’orfanotrofio, con il pesante baule di Tom al seguito,
trovarono un signore ad aspettarli all'uscita, il quale appena li vide
rivolse loro un largo sorriso.
La prima
cosa che Tom pensò del signor Ballantyne fu che certamente
una volta doveva essere stato molto attraente, e tuttora conservava una
traccia della propria passata bellezza; ma qualcosa, che fossero gli
anni o i dolori incontrati nel corso della vita vita, parevano averla
logorata.
Alto e
dalla figura ancora imponente, il viso era attraversato da una sottile
rete di rughe, e gli stretti occhi grigi apparivano quasi opachi e
spenti, solcati da sopracciglia che tendevano ormai al grigio ferro,
proprio come i capelli.
Ma la sua
espressione era luminosa, e li accolse con un ampio gesto della mano
quando gli furono accanto.
“Deduco
che questo bel giovanotto debba essere Tom! Pearl mi ha parlato a tal
punto di te da essere riuscita a coinvolgermi in
quest’estremo atto di salvataggio”
esordì gioviale, sorprendendo il ragazzo quando estrasse la
bacchetta e fece evanascere il suo baule, del tutto incurante del luogo
in cui si trovavano.
“Questo
ci sarà solo d’impiccio durante il viaggio.
Permettimi ora di presentarmi, Damocles Ballantyne”
Il ragazzo
parve finalmente riscuotersi, la mano che scattò
immediatamente in alto in una stretta che tentò di essere
salda e forte.
“E’
un piacere fare la sua conoscenza signore”
“Il
piacere è mio ragazzo. Forza, è ora che ti
troviamo una sistemazione che ti si addica” lo
esortò con un cenno del capo, uscendo in strada.
“Ma
signore, Io non posso…”
Ma il padre
di Pearl lo interruppe prontamente con un tocco gentile sulla spalla.
“Hai
l’aria intelligente Tom, e le parole di Pearl non fanno che
confarmelo. Penso tu possa benissimo intuire come la magia faciliti
spesso la vita di un mago” concluse sibillino, facendogli
nuovamente cenno di uscire in strada. Il suo viso era pieno di quieto
calore, sulle labbra il sorriso che aveva donato alla figlia, sottile
ed impenetrabile.
Lentamente,
con un crescente senso di incredulità, Tom si
avviò nel calore londinese, e guardando la grigia prigione
della sua infanzia rimpicciolire sino a sparire alla vista, per la
prima volta in vita sua si sentì veramente libero.
Rivolse lo
sguardo a Pearl, cogliendola nel compiere la stessa azione.
“Cos'hai
mangiato stamattina per colazione?”
“Del
porridge”
“Dimenticatelo,
da oggi potrai assaggiare piatti migliori. Questa sarà
l'estate più piacevole della tua vita”
E lo
sarebbe stata.
“By
the turnstile beckons a damsel fair
The
face of Melinda neath blackened hair
Dal
cancello fa cenno un dama fiabesca
Il
volto di Melinda sotto capelli scuri “
“Scacco
matto”
Tom sorrise
assaporando l'esito vittorioso di una partita particolarmente
impegnativa, mentre il viso di Barron assumeva una curiosa
smorfia contrariata, tanto simile a quella della sorella maggiore.
“Posso
concederti la rivincita, se te la senti” suggerì
con tono fintamente premuroso, deridendolo.
“Tom
ti sarei riconoscente se la smettessi di seviziare mio
fratello” lo ammonì Pearl, intenta a leggere
morbidamente adagiata su di un divanetto poco distante da loro,
abbastanza vicina al confortante calore del caminetto.
“Lascialo
fare, esigo la rivincita!” protestò Barron
infervorato, costringendo le pedine a rioccupare svogliatamente le
proprie postazioni.
“Hai
sentito, Pearl? Il ragazzo vuole che io mi faccia gli artigli su di
lui” concluse Tom con un un sorriso al suo indirizzo.
Ma
nonostante lo scambio di battute scherzose, quella sera, come tante
altre d'altronde, lo sguardo del ragazzo usava soffermarsi sulla figura
della giovane.
Vivendo a
stretto contatto con lei e la sua famiglia, condividendo il suo stile
di vita e conoscendo ormai a memoria le sue passioni ed interessi,
aveva ormai compreso come quella ragazza possedesse un lato del
carattere inguaribilmente triste.
Non doveva
faticare per coglierla spesso e volentieri con lo sguardo sospeso nel
vuoto, come distaccatosi dalla realtà, e in quei casi non
gli serviva far sfoggio di legilimanzia per capire di che
tonalità fossero i suoi pensieri.
“Sai
Tom, non passa giorno in cui non pensi almeno una volta a quella
ragazza, Mirtilla... A volte è un attimo che dura un
secondo, eppure non riesco ad impedire ai sensi di colpa di
tormentarmi” gli aveva confidato pochi giorni prima, in una
solitaria passeggiata nel parco illuminato dagli ultimi raggi del sole.
Oramai era
più di un mese che si trovava ospite della famiglia
Ballantyne, e per quanto normalmente trovasse la sua vita ad Hogwarts
particolarmente agevole, quell'estate trascorreva come sospesa in un
sogno, una dimensione parallela a sé stante.
Per la prima volta in vita sua sperimentava la sensazione di vivere nel
lusso più sfrenato, dove ogni comodità era a
portata di mano ed ogni sua richiesta prontamente esaudita.
I primi
giorni aveva faticato ad abituarsi agli innumerevoli elfi domestici che
schizzavano nei corridoi nella fretta di svolgere i propri compiti,
pronti a sbucare silenziosi e all'improvviso in qualsiasi stanza si
trovasse, ma ben presto iniziò a provare il tipico,
inebriante piacere dell'essere serviti e riveriti.
Ciò che ogni giorno riceveva superava ogni sua aspettativa,
che fossero le coltri riscaldate in cui si coricava la sera, gli
straordinari piatti dal sapore ricercato che gli venivano proposti ad
ogni pasto, gli abiti eleganti che gli erano stati donati...
Per non parlare delle giornate sempre piene di eventi: persino una
fredda giornata di pioggia, di quelle che all'orfanotrofio lo facevano
meditare sul tema del suicidio, in compagnia di Pearl e dei suoi
familiari risultava interessante e coinvolgente.
Perché
in fondo era quello che Tom, neppure troppo segretamente, ammirava
sopra ogni altra cosa: assaporare per la prima volta l'autentico calore
di una famiglia, riservata ma infinitamente premurosa.
Nonostante
tenesse ad ostentare una patina di cortese disinteresse, non riusciva a
nascondere del tutto la sua gratitudine nei confronti di Pearl,
ricompensandola con un malcelato buon umore che le strappava fastidiosi
sorrisi pieni di malizia.
Tuttavia il
fiume dei suoi pensieri venne interrotto dal sordo suono di un libro
che si chiude, e riscuotendosi notò subito come fosse
passato in netto svantaggio nei confronti del giovane Ballantyne.
“Non
hai altro modo per divertirti, Pearl?” le chiese con finta
noncuranza, ritrovandosela accanto al tavolo da gioco con un sorriso di
crescente compiacimento.
“Sei
pensieroso stasera Tom?” gli chiese, prendendolo in giro.
“Beh,
potrei dire lo stesso di te, non credi?” ribatté
prontamente lui, rivolgendole un'occhiata più che eloquente.
I loro
occhi si incrociarono per un lungo attimo, attimo che aveva osato
verificarsi piuttosto freqentemente in quelle ultime settimane; Barron
si mosse a disagio, simulando un lieve accenno di tosse.
“Perché
piuttosto non rivolgi le tue attenzioni alla partita? Io sono stanca,
buonanotte ragazzi” concluse la giovane riscuotendosi,
improvvisando un sorriso altezzoso prima di scompigliare i capelli al
fratello minore e dileguarsi lungo il corridoio.
Non appena
Pearl fu scomparsa, al serpeverde bastarono poche mosse per ribaltare
la situazione e aggiudicarsi la vittoria.
“Era
meglio se Pearl fosse rimasta qua” borbottò
irritato l'avversario, mentre riacciuffava le pedine intente a scappare
lontano dalla sua presa.
“Pensi
forse che tua sorella possa pregiudicare una mia vittoria?”
chiese Tom divertito, appoggiandosi meglio allo schienale della
poltrona.
“Non
lo so, a volte mi sembrate così... intimi”
mormorò Barron, osservando la sua reazione.
Il sorriso
bendisposto di Tom rimase per un attimo come sospeso sul suo viso.
In quel
periodo aveva avuto l'opportunità di conoscere meglio il
minore dei fratelli Ballantyne, intuendo sin da subito la presenza di
un’intelligenza acuta e minuziosa, con una
capacità di analisi molto simile alla sua. Che anche in quel frangente
non tardava a mancare.
“Bisognerebbe
chiarire il significato di questa parola, non credi?” lo
esortò con tono cauto.
Ma Barron
preferì abbandonare il discorso, sollevandosi e lasciando
chiaramente intendere, con una certa irritazione di Tom, di voler
andare a letto.
“Lascia
stare Tom, davvero... Magari mi sono solo fatto influenzare da
Schneizel, sul serio non è nulla. Buonanotte”
concluse il ragazzino frettoloso, percorrendo la biblioteca a passi
veloci, come se si sentisse inseguito.
Rimasto
solo il ragazzo si lasciò sfuggire un sospiro stanco, lo
sguardo concentrato sulle fiamme guizzanti.
Il suo
soggiorno sarebbe stato certamente più sereno se non fosse
stato costantemente turbato dall'esistenza di Schneizel Ballantyne;
nonostante talvolta trovasse divertente ribattere alle sue
provocazioni, il grifondoro aveva la spiacevole abitudine di non tacere
mai, nemmeno durante i pasti o nei momenti che condividevano con il
capofamiglia.
Non riusciva a spiegarsi come in una famiglia composta e riflessiva
come quella fosse potuta nascere una tale testa calda.
“Papà dice sempre che
Schneizel è esattamente come è stato lui in
gioventù. Sai, anche mio padre è appartenuto a
Grifondoro” gli aveva raccontato un giorno
Pearl, mentre percorrevano un corridoio al primo piano, in cui vi erano
appesi una serie infinita di ritratti dei suoi antenati.
“E tua
madre?” aveva chiesto Tom, osservando il
ritratto di una donna dall'aria nobile che sorrideva con aria annoiata
e un lieve cenno di sfida.
“Lei non è
mai stata ad Hogwarts” si era limitata a
rispondere la giovane, osservando il profondo veto di parola riguardo
l'affascinante e misteriosa figura di Desdemona Vasquez.
Un altro
quadro che la ritraeva era appeso nella biblioteca, e anche ora lo
sguardo di Tom corse ad osservarlo: straordinariamente somigliante a
Pearl, aveva però qualcosa di inquietante nella freddezza
dello sguardo, nella piega delle labbra pietrificate nel tempo, che
più che un sorriso talvolta gli ricordava un ghigno.
Ogni tanto la sorprendeva a sbadigliare con aria annoiata, ma neppure
una volta l'aveva udita proferire parola.
“E'
molto bella vero?”
Colto di
sorpresa il ragazzo voltò il capo di scatto, individuando la
figura del padrone di casa fermo sulla soglia semichiusa, lo sguardo
puntato verso il ritratto.
“Buonasera
signore” rispose rigidamente, mentre il signor Ballantyne
avanzava appoggiandosi ad un bastone che utilizzava soltanto in casa,
quando non si sentiva costretto a mantenere un'aria di ferreo contegno.
“Buonasera
a te Tom. Perdonami se ti ho spaventato, non era mia
intenzione”
Quando
lentamente preso posto nella poltrona di fronte a lui, quel viso
illuminato dalle fiamme gli parve più stanco e antico che
mai, rivelando una tristezza profonda che raramente era riuscito a
scorgervi.
“Signore,
se preferisce me ne vado” indugiò per un attimo,
incerto su cosa dire.
“Non
importa Tom, non importa... Resta qui a far compagnia ad un povero
vecchio” rise l'uomo, appoggiandosi allo schienale con una
mano premuta sul cuore, come se un improvviso dolore l'avesse colto.
“Non
troppo vecchio signore” tentò di sdrammatizzare il
ragazzo, osservando uno degli elfi domestici strisciare silenzioso al
cospetto del padrone, sospingendo sul tavolino un vassoio corredato di
calici e bottiglia.
“Non
parlo degli anni ovviamente, certo che no... Ma degli avvenimenti. Sono
quelli a farti invecchiare Tom, ci rendono vecchi dentro, se mi
intendi” sospirò, riempiendo un bicchiere e
passandoglielo, lasciando cadere le parole nel silenzio.
“Mia
moglie assomigliava molto a Pearl, non trovi?” chiese dopo un
lungo momento, distaccando a fatica gli occhi dalle fiamme, le labbra
che ancora non aveva sfiorato il bicchiere.
“Molto
signore... Sono davvero identiche” convenne Tom.
“E
al contempo così sorprendentemente diverse... L'ambiente in
cui nasciamo pregiudica sempre il nostro carattere, Tom”
“Se
posso permettermi signore.... Pearl mi ha detto che sua madre non ha
mai frequentato Hogwarts...” esordì facendosi
trasportare dalla curiosità, ma senza dimenticare la dovuta
prudenza, saggiando il terreno con una voluta esitazione nella voce.
Ma forse
ciò che davvero l'uomo desiderava era lasciarsi trascinare
dai ricordi.
“Ed
è la verità. Mia moglie non era una donna come le
altre, né tanto meno una strega comune... Era nata nella
brughiera irlandese, cresciuta nelle lande più buie. Da
subito mi misero in guardia da lei, mi dissero che discendeva da una
famiglia dedita alla magia più oscura, che aveva avuto
parentele fin troppo ingombranti... ma nulla poté farmi
desistere dal mio piano"
Sospirò, il capo rivolto al ritratto.
"Quando mi accorsi che i miei sentimenti erano ricambiati, fu il giorno
più bello della mia vita. Ma con il tempo tutto
andò a rotoli... Penso Pearl ti abbia accennato alla sua
morte” raccontò con un sospiro profondo, come se
ogni parola avesse il potere di ferirlo e logorarlo.
Il giovane
si limitò ad annuire, l'espressione rapita.
“Era
la creatura più bella che avessi mai visto in tutta la mia
vita, ad Hogwarts non c'erano ragazze come lei, né in tutta
l'Inghilterra a dirla tutta... Raramente trovavo la forza anche solo
per staccarle gli occhi di dosso. Ma mi resi conto troppo tardi che
nutriva per la sua bellezza una devozione esagerata. All'improvviso non
vi era giorno in cui non temeva di vedersela strappare dallo scorrere
del tempo. E a questo non vi fu rimedio... non potei niente per
fermarla”
La voce
dell'uomo si affievolì sino a sparire, sprofondando in un
silenzio gonfio di angoscia e un dolore di vecchia data, antichi eppure
sempre nuovi.
“Mi
dispiace signore” sussurrò il ragazzo, realmente
costernato di fronte a quell'uomo addolorato, ma ancora pieno di tanta
dignità.
“Ti
chiederai perché ti sto rivelando le memorie di un povero
vecchio... Vedi Tom, talvolta Pearl mi ricorda eccessivamente
sua madre, in una maniera che mi sconcerta e sì, spesso mi
spaventa. Mi rifiuto di credere che in un futuro neanche troppo lontano
voglio tentare la sua stessa strada” disse l'uomo poco dopo,
recuperando l'uso della voce e rivolgendogli un'occhiata limpida e
piena di serietà.
“Tu
sei suo amico, e avete legato molto in quest'anno. Ti prego, promettimi
di vegliare su di lei”
Tom accolse
la richiesta dell'uomo con occhi attenti e consapevoli, il viso
poggiato su una mano con fare meditativo. Riconosceva la richiesta di
un'anima disperata, e su quella non v'era dubbio; si aspettava quasi di
udire una supplica imbellettata con una frase gentile... Che non tardò ad
arrivare.
“Sappi
che ti sarei infinitamente riconoscente Tom... E un uomo d'onore ripaga
sempre i suoi debiti” sussurrò Damocles
Ballantyne, osservando il viso impassibile del ragazzo aprirsi in un
tenue sorriso.
“Signore,
non dovreste neppure chiedermelo. Tengo molto a Pearl, non permetterei
mai che le accadesse nulla di male” recitò alla
perfezione, la voce divenuta una perfetta parodia di preoccupazione e
dolcezza. I suoi occhi non rivelarono
l'improvvisa bramosia che l'aveva animato al solo udire la parola
“debito”, le sue parole non tradirono il desiderio
di imporsi su quell'uomo, la necessità di ottenere
ciò che andava cercando da tempo.
“Tuttavia
signore... no certo, non voglio sembrarvi inopportuno con questa
richiesta, che sciocco parlarne ora” esordì,
commovente quasi in tutta la sua esitazione.
Il padrone
di casa sgranò gli occhi, quasi non credesse di poter
ricambiare così presto la gentilezza di quel giovane
così compito e beneducato, che trovava una compagnia
più che ideale per la sua giovane figlia.
“Tom
ti prego sei mio ospite, non farti alcun genere di scrupolo”
lo esortò.
La voce del
ragazzo tremò impercettibilmente, scossa da una profonda
aspettativa.
“Vede
signore, lei sa che sono orfano... ma sono alla ricerca del mio passato
e della mia famiglia, e desidererei tanto cercarla, o perlomeno
localizzare le mie radici. Crede che potrebbe aiutarmi?”
chiese, in una fedele imitazione di una voce sull'orlo delle lacrime.
“Ma
ragazzo mio, non vedo dove sia il problema! Così come tu ti
sei impegnato con me, sarà un piacere aiutarti a ritrovare
le tue origini. Sai per caso qualcosa, un riferimento, un nome
magari?”
Tom sorrise
intensamente, una gioia maligna che si propagava dentro di lui come
veleno.
“Gaunt,
signore. Il nome della mia famiglia materna è
Gaunt”
E mentre il
signor Ballantyne gli assicurava tutto il suo aiuto e la
partecipazione, Tom si limitò ad annuire e ringraziare,
conscio che sarebbe stata solo una questione di pochi giorni prima che
la sua sete di notizie venisse saziata.
E in ogni
caso, a tempo debito, avrebbe cancellato anche la sua memoria.
“No joy would
flicker in her eyes
Brooding sadness came
to a rise
Words would falter to
atone
Failure had passed the
stepping stone
She had sworn her vows
to another
Nessuna gioia
tremolerebbe nei suoi occhi
Sorge una tristezza
covata
Le parole
vacillerebbero ad un espiazione
Il fallimento ha
passato il limite
Lei ha fatto i suoi
voti ad altri”
[Face
of Melinda, Opeth]
Nel Derbyshire la stagione
estiva non conosce la clemenza. Il gelo dei Pennini e
l'umidità delle Midlans giunge sino al cuore della regione,
aggiudiandosi la capacità di raggelare persino una serata di
metà agosto.
Quando quel
giorno Pearl raggiunse Tom nella sua stanza era ormai
l’imbrunire, la luce del mondo che si esiliava con lentezza
esasperante oltre la linea dell’orizzonte.
Entrambi i
ragazzi indossavano di comune accordo capi pratici, scuri e pesanti; i
loro occhi celavano una risoluta decisione.
“Ufficialmente
siamo appena usciti”
“Hanno
fatto domande?”
“No”
Tom
annuì soddisfatto, il tono pragmatico di Pearl esaudiva le
sue aspettative: tutto stava procedendo secondo i suoi piani.
“Le
indicazioni di tuo padre sono state eccellenti: Little Hangleton non
dista molto dalla cittadina di Stockton-on-Tees, poco lontano dalla
linea ferroviaria; con due orette di volo dovremmo esserci”
Pearl si
appoggiò al davanzale, l'ultimo tiepido raggio di sole che
gli sfiorava il viso.
“Gli
hai già cancellato la memoria, vero?”
“Naturalmente”
Si
lasciò andare ad un lungo sospiro, conscia che il suo
dissenso non rientrava negli interessi del compagno.
Eppure si
trovava lì accanto a lui, pronto a seguirlo anche in capo al
mondo se fosse stato necessario.
Il momento in cui era ancora proprietaria della possibilità
di tirarsi indietro apparteneva ormai al passato: si era
addentrata fin troppo nella conoscenza di Tom per poter anche solo
ipotizzare di abbandonarlo, considerando inoltre che lui non l'avrebbe
permesso mai e poi mai.
Fu per
questo che, nonostante l'inquietudine e il vago sentore di una tragedia
imminente, quando uno dei suoi elfi domestici varcò
silenziosamente la stanza per porgerle le scope, l'afferrò
senza il benché minimo cenno di esitazione.
“Impaziente
di partire vedo” le fece notare il ragazzo quando furono
entrambi sul davanzale della finestra, osservando il paesaggio dinnanzi
a se, verdi lande ormai sprofondato nel buio.
“Via
il dente, via il dolore” ribatté la ragazza
impassibile, dandosi la spinta con i piedi.
Ma solo
quando furono in volo fu evidente che nessuno dei due era preparato a
intraprendere viaggi di estesa lunghezza: ad entrambi pareva di
languire nel buio, e smarrire l'orientamento era fin troppo facile,
facendo apparire come una massa identica le città
sottostanti.
Un freddo infido e sottile si infilava attraverso gli abiti,
serpeggiando lungo i loro corpi, stordendoli e costringendoli ad
abbassarsi pericolosamente di quota per un numero imprecisato di volte.
Svariati furono gli sguardi insicuri, i malcelati tentativi di
conforto, le continue soste a mezz’aria per cercare di
orientarsi con l’ausilio dell’incantesimo quattro
punti.
Ma infine,
dopo quelle che parvero diverse ore di crescente tensione,
riuscirono ad atterrare più o meno furtivamente in quello
che pareva essere un crocevia tra due strade di terra battuta.
Entrambi
restarono per un attimo immobili, intenti a sfregarsi le braccia gelide
ed intorpidite, attendendo con placida impazienza che i loro occhi si
abituassero alla penombra orlata dalla luce della luna.
Gettandosi
uno sguardo tutt'intorno individuarono a pochi metri da loro un alto
cartello di legno, semi intrappolato tra i rovi del lato sinistro della
strada: indicava a vaghe lettere mal abbozzate “Great
Hangleton, 5 miglia” verso le loro spalle, e
“Little Hangleton, 1 miglio” dritto davanti a loro.
“Da
qui in avanti sarà meglio camminare”
suggerì Pearl, quasi a sua volta fosse intimorita di
infrangere quell'atmosfera vellutata, sussurrando un
“lumos” alla sua bacchetta.
Il silenzio
profondo era colmato solamente dai quieti fruscii prodotti dal vento
che si infilava tra le ampie siepi, l'unico elemento del paesaggio che
fu visibile per lungo tempo.
Solo quando
la strada piegò a sinistra, e iniziò a seguire il
ripido fianco dell'altura, un’intera valle si parò
dinnanzi ai loro occhi: Pearl distinse la moltitudine di fievoli luci
di un villaggio, senza alcun dubbio Little Hangleton, annidato tra due
erte colline; la chiesa e il cimitero si riuscivano a distinguere
chiaramente anche con il buio.
Più in alto, sulla collina che dominava la cittadina, vi era
una grande dimora elegante, circondata da un ampio parco alberato.
Ma entrambi
sapevano di non doversi dirigere al villaggio, e non si stupirono
affatto quando procedendo scorsero uno stretto viottolo scosceso
tuffarsi tra le siepi, in quel punto particolarmente alte e selvatiche.
Stretto e pieno di sassi e buche, scendeva giù per la
collina diretto verso una macchia di alberi scuri, non troppo distante
da loro. Solo quando vi si trovarono dinnanzi riuscirono a distinguere,
incuneata tra gli alti faggi secolari, una costruzione: chiamarla casa
sarebbe stato inverosimile, l'aspetto così decrepito e
pericolante da scoraggiare qualsiasi visitatore. I muri erano ricoperti
da ampi strati di muschio e il tetto era quasi del tutto privo di
tegole, tanto che era possibile intravedere le travi interne.
Per un
attimo Pearl si chiese come fosse possibile che quel rudere fosse
ancora abitato, e fu tentata di convincere Tom a desistere dall'intento
di entrarvi; ma lo sguardo del giovane era fermo e risoluto contro
quelle finestre sporche e annerite dal fumo. Vi sarebbe entrato ad ogni
costo.
“Seguimi”
si limitò a ordinare un attimo dopo.
Avanzarono
lentamente, accompagnati dal sordo scricchiolio di strati e strati di
foglie secche accumulati nel tempo. Vicino all’ingresso era
posato un lume vecchio ed annerito, che Tom considerò
più prudente utilizzare, accendendolo con un tocco di
bacchetta.
“Stai
indietro” le intimò lapidario, senza voltarsi.
“Cosa?”
“Se
davvero qui dentro vive ancora qualcuno, stai indietro: non voglio che
ascolti”
Pearl
azzardò una protesta, ma il ragazzo la ignorò,
aprendo la porta con un sonoro cigolio e affacciandosi nel buio di
quella dimora sconosciuta.
La ragazza
avvertì immediatamente un'ondata di panico travolgerla non
appena la porta si chiuse con un tonfo dietro il passaggio di Tom,
mentre dall’interno dell'edificio proveniva un chiaro urlo.
“TU!”
udì abbaiare una voce rauca e maschile,
accompagnata dallo sbatacchiare e dal tintinnio di quelle che parvero
diverse bottiglie di vetro picchiate tra loro.
Poi
improvvisamente più nulla, solo nuovamente un opprimente
silenzio.
Pearl
alzò la bacchetta dinnanzi a sé, avvicinandosi a
tal punto all'uscio da potervi incollare l'orecchio, tentando di
recuperare un minimo di autocontrollo ma risultando così
nervosa da essere incapace di trattenere il tremito alle gambe.
Rimase
immobile e con il capo teso in ascolto per quelli che le parvero minuti
infinitesimali, finché non udì provenire
dall’interno un gemito e il rumore sordo di un corpo che cade
al suolo.
Immediatamente
afferrò la porta e non senza fatica riuscì a
spalancarla, infilandosi nella stanza con incredibile prontezza. Ma
quello che le si parò davanti le fece spalancare la bocca
dallo stupore: al centro di un sordido tugurio sporco e
dall’odore nauseabondo, un uomo era riverso a terra di fronte
allo sguardo indifferente di Tom.
“Cosa
diavolo è successo?” sussurrò la
ragazza, osservando quell’ammasso di stracci e lunghi capelli
sporchi abbandonato a terra, con ancora un pugnale e una bacchetta
stretti tra le mani.
“Pearl,
permettimi l'onore di presentarti mio zio, Orfin Gaunt”
proferì Tom con tono teatrale pieno di sarcasmo.
Con un calcio improvviso rivoltò il corpo, rivelando un viso
quasi del tutto nascosto da una barba scura, annodata e cespugliosa.
“Come
vedi la mia famiglia si è un po’ lasciata andare
col tempo”
Pearl si
avvicinò, osservando il bel volto del giovane che nulla
aveva a che vedere con i tratti grevi e volgari dello zio, che parevano
seguire linee ,male azzardate, quasi fossero stati disegnati per
capriccio.
“Perché
l’hai schiantato?” chiese, lo sguardo che cadde
incuriosito su una di quelle mani sudice, che recava ad un dito un
anello d'oro finemente lavorato, con una grande pietra nera al centro.
“Perché
sto per compiere un incantesimo su di lui, e considerando che
è tutt'altro che semplice persino per me, ho bisogno che tu
ora mi ascolti attentamente ed esegua alla lettera quanto sto per
dirti”
Prima che
Pearl potesse anche solo voltarsi stupita, il ragazzo l’aveva
già presa per le spalle e conficcato gli occhi nei suoi,
quasi volesse assicurarsi della sincerità della giovane nel
momento in cui avrebbe assentito; risposte negative non erano
più ovviamente contemplate.
“Prima,
quando stavamo venendo qui, abbiamo intravisto una grande villa sulla
collina. Sono certo tu l’abbia vista, hai occhio
per le belle cose” esordì il giovane,
più freddo e deciso che mai.
“Sì
certo, ma non capisco cosa...”
“Voglio
che tu ora prenda la scopa e ti diriga là, il più
velocemente possibile. Sono stato chiaro?”
Per un
attimo Pearl faticò a sostenere il suo sguardo, tanta era
l'intensità del comando che le stava per impartire.
“Che
cosa devo fare?” chiese infine.
“E’
semplice: voglio che tu faccia la conoscenza dei miei ultimi parenti in
vita, i miei nonni paterni e mio padre in persona” concluse
perentorio, sorridendo lievemente come pregustando un imminente piacere.
Pearl
spalancò gli occhi in un lampo di comprensione, e non fu
necessario che Tom si chinasse al suo orecchio per sussurrare il suo
unico chiarimento.
“Scopri
come mia madre sia riuscita a sposare quell'uomo. E poi mi sembra
corretto permettergli di scambiare due parole con qualcuno, prima che
io li uccida”
Pearl
indietreggiò lievemente, sfuggendo la sua presa quasi
volesse sottrarsi a quel dovere, prima che lui le afferrasse il mento
per imporsi nuovamente.
“Tempo
fa, se ben ricordi, hai giurato che mi avresti ubbidito... Non
costringermi a diventare più persuasivo”
ringhiò quasi, stringendo la bacchetta.
“Avevo
anche detto che avrei seguito la mia volontà, quello che tu
stai facendo è...”
“Un
ordine, che tu eseguirai senza fiatare. La tua volontà non
esiste Pearl, è solo una tua sciocca idea per convincerti di
essere ancora capace di distinguere tra bene e male, tra ciò
che tu vuoi e io voglio”
Sciolse la
stretta, consapevole che mai e poi mai la ragazza sarebbe fuggita, come
infatti accadde: rimase lì dinnanzi a lui, ferita
nell'orgoglio ma prevedibilmente piegata al suo volere.
“Ora
vai, ti raggiungerò a breve”
Pearl si
limitò a voltargli le spalle, afferrando la scopa, ma prima
di infilare la porta gli lanciò un ultimo sguardo in tralice.
“Se
ciò è quanto desideri, lo farò. Solo
vedi di non metterci troppo tempo: se i tuoi parenti sono come te, non
sarà un gran piacere rivolgergli la parola”
concluse in un eroico tentativo di colpirlo e sfogare il proprio
malcontento.
Tom le
rivolse un sottile sorriso sardonico.
“Non
temere Pearl: presto inizierai ad apprezzare che ogni cosa abbia il suo
tempo.”
“Why am I
loved only when I'm gone?
Gone back in time to
bless the child
Think of me long
enough to make a memory
Come bless the child
one more time
How can I ever feel
again?
Given the chance would
I return?
Perché
vengo amato solo quando non ci sono più?
Indietro nel tempo per
benedire il bambino
Pensami abbastanza a
lungo da farne un ricordo
Vieni a benedire il
bambino ancora una volta
Come posso ancora
provare dei sentimenti?
Tornerei se mi fosse
data la possibilità?”
[Bless
the Child, Nightwish]
Le piccole mani si torcevano
tra loro nervose, gli occhi saettavano da un capo all'altro della sala
analizzando l’ambiente circostante in un vano tentativo di
distrarsi: mobili di legno massiccio, velluti a profusione, argenteria
in bella vista, quadri dalle cornici intarsiate d'oro...
L’unica
“casa” babbana che aveva avuto l'occasione di
ammirare fino a quel momento era stata l’orfanotrofio
londinese di Tom, ma nulla poteva esser più diverso e
lontano da quel luogo.
La famiglia
paterna di Tom era ricca e senz'ombra di dubbio nobile. E totalmente,
indiscutibilmente babbana.
Avvertiva
il lieve peso della bacchetta più ingombrante che mai nella
propria tasca, quasi dovesse esser lei a determinare vita e morte degli
abitanti di quella dimora.
Perché
colui che le aveva aperto la porta di casa altri non era altri che Thomas Riddle, il
nonno di Tom, con cui spartiva una vaghissima somiglianza.
Ma per il
restante appariva come un uomo ordinario e straordinariamente burbero,
che non aveva esitato a trattarla sgarbatamente sin da quando le aveva
rivolto la parola; in quel momento si limitava a lanciarle continue
occhiate sospettose da dietro un giornale, utilizzato quasi con la
stessa funzione di uno scudo.
“Signorina,
dicevo... eravamo diretti a cena e non ci aspettavamo ospiti. Mi spiace
non poterle offrire un rinfresco, ma come vede oggi i domestici hanno
deciso di prendersi un giorno di pausa” commentò
l'uomo a mezza voce, con aria più che contrariata.
“E non sai quanto
dovresti esserlo, non sai quanto” pensò
Pearl a malincuore, considerando tuttavia la fortuna di non avere
scomodi testimoni.
In quel
momento avvertì alle proprie spalle un rumore di passi
attutiti, e voltandosi vide comparire sulla soglia del salottino una
donna anziana e un uomo sulla mezz'età.
Il signor
Riddle si alzò a sedere con uno scatto ansioso, osservando
con sollievo i nuovi arrivati.
“Eccovi!
Signorina, questi sono mia moglie Marilina e mio figlio Tom”
addusse con un gesto nervoso.
Sin da
subito Pearl avvertì su di sé lo sguardo rapace
della donna: alta e secca, i capelli grigio ferro stretti in una
crocchia e gli occhi che la esaminavano con freddezza.
Occhi
scuri, occhi di tenebra; gli stessi occhi di Tom.
“Che
cosa vuole?” chiese immediatamente, gelida e perentoria con
il tono di chi è abituato a comandare.
Prima che
il marito potesse anche solo nominarla, Pearl lo precedette.
“Il
mio nome è Pearl Ballantyne, signora. Sono qui per parlare
con voi di un qualcosa che forse dovrebbe stare maggiormente a cuore a
suo figlio” esordì con un'improvvisa baldanza di
cui rimase stupita.
“Mio
figlio? Che cosa c’entra mio figlio, lei chi
è?” domandò ancora, evidentemente
oltraggiata da quella mancanza di rispetto.
“Calmatevi
madre, vi prego non scaldatevi. Sediamoci e ascoltiamo ciò
che ha da dire questa ragazza”
Colui che
offriva ancora il braccio alla donna in modo tanto ufficioso era
chiaramente il padre di Tom: la loro somiglianza era sconvolgente. Se
non fosse stato per gli anni di differenza, le rughe sottili attorno
alla fronte e una leggera tendenza alla pinguedine, sarebbero stati
pressoché identici.
“Mi
perdoni se le domando nuovamente chi è lei, e con quale
diritto è entrata in casa mia” disse a sua volta,
stupendo la giovane persino con la tonalità della voce,
tanto simile a quella del figlio.
Periva
però del tono di comando così tipico di Tom, e
anzi Pearl provò una sottile soddisfazione nell'accomodarsi
meglio sul divano, accavallando le gambe e guardandolo quasi con sfida.
“Vede,
con tutto il rispetto chi io sia non ha la benché minima
importanza. Ciò che dovrebbe premerle è quanto io
so... Sarò diretta, signor Riddle: il nome Merope le ricorda
nulla?”
Non
riusciva a capacitarsi del suo tono arrogante, dell'insolente
capacità di improvvisazione appena acquisita, ma
gioì segretamente nell'osservare il viso dell'uomo divenire
bianco come un cencio.
Per un
attimo aprì e chiuse la bocca senza proferire alcun suono,
limitandosi infine a crollare a sedere sul divano, accanto ai genitori
egualmente attoniti.
“Vedo
che a quanto pare ho riscosso la sua attenzione”
“Lei
che diavolo sa di…” chiese l'uomo recuperando
l'uso della parola, ma Pearl non esitò ad interromperlo.
“…Di
sua moglie? Suppongo non si sarà disturbato ad annullare il
matrimonio, quindi fino a prova contraria sarebbe ancora sua moglie. Se
solo non fosse morta, ovviamente”
Un
incredulo stupore si dipinse sul volto della signora Riddle.
“Quella
donna orrenda è morta?”
Pearl le
rivolse un'occhiata di profondo disprezzo.
“Merope
Gaunt è morta di stenti sedici anni or sono, la notte del 31
dicembre 1926, probabilmente nell’esatto momento in cui voi
stappavate una bottiglia di champagne per brindare al nuovo
anno”
Improvvisamente
si sentì cogliere da una profonda rabbia nei confronti di
quelle tre persone, una collera legata a doppio filo a qualcos'altro,
un sentimento su cui non riusciva a far chiarezza, faticando persino a
trovargli un nome.
“Come
si permette di rivolgersi a noi in questo modo? Se ne vada!”
proferì la signora Riddle, alzandosi nel tentativo di
apparire più imponente.
Ma a
riscuotere maggior effetto fu la bacchetta istantaneamente comparsa
nella mano di Pearl, puntata contro di loro senza che ci fosse neppure
il bisogno di alzarsi dal divano.
Il viso dei
due anziani rispecchiò per un attimo lo sconcerto, ma il
figlio si schiacciò fulmineo contro lo schienale, quasi
desiderasse solo allontanarsi il più possibile da lei.
“Vedo
che qualche ricordo di Merope le è rimasto, signor
Riddle” disse Pearl, sorridendo per la prima volta.
“Se
non vuole che le rinfreschi la memoria, ordini a sua madre di tacere e
tornare a sedersi”
“Quale
ricordo? Che cosa sta facendo, Tom?” chiese il padre
allarmato, prontamente interrotto da un secco gesto del figlio.
“Madre sedetevi,
per l'amor di Dio” rispose il signor Riddle terrorizzato, con
gli occhi puntati sulla bacchetta, incerto se alzare le mani in segno
di resa come di fronte ad un’arma da fuoco.
Nella
stanza cadde il silenzio, e per la prima volta Pearl
assaporò la sensazione di imporsi a sangue freddo su qualcun
altro, utilizzando unicamente il potere ottenuto mediante la minaccia.
“Io
vorrei capire signor Riddle come'è possibile che Merope
Gaunt sia potuta morire da sola, e per di più in incresciose
condizioni, quando era ancora sua moglie” esordì,
roteando la bacchetta su di lui.
“E
per essere più chiara: esigo una risposta”
Osservò
l'uomo deglutire, gli occhi che saettavano attraverso la stanza, ma
senza mai staccarsi per più di un secondo dalla bacchetta.
“Io
e Merope ci eravamo lasciati” borbottò a disagio.
“E
quindi ha trovato giusto abbandonarla a sé stessa?”
“Lei
non era stata sincera con me…”
“In
che senso? Non la sento signor Riddle, alzi la voce”
comandò seccamente, alzando la bacchetta.
Tom Riddle
era chiaramente a disagio, le mani che si sfioravano tra loro nervose
come se cercasse di trovare, creare, carpire le parole. Era evidente
che fosse la prima volta che veniva costretto ad affrontare
quell'argomento.
“Lei
era pazza di me, ma non mi aveva mai detto... Insomma, io non volevo...
Mi aveva fatto qualcosa! Non sarei mai scappato con una donna del
genere di mia spontanea volontà, era sgradevole, e per di
più povera! Ma non era ciò che sembrava... mi
aveva stregato” l'ultima frase la sussurrò con un
filo di voce, completamente braccato da ricordi che dovevano
risultargli incresciosi.
“Così
lei ha abbandonato sua moglie quando ha scoperto che possedeva poteri
magici?” chiese Pearl nauseata.
“Poteri
magici? Tom per l’amor del cielo, cosa diavolo sta
dicendo?” intervenne la madre esasperata, accolta da una
gelida occhiata della giovane.
“Mi
pare di averle chiesto di stare in silenzio. Signor Riddle, quando lei
ha abbandonato Merope, era al corrente che fosse incinta?”
domandò infine, raggiungendo il punto saliente della
conversazione.
Questa
volta fu il padre a tentar di intervenire, ma a Pearl
bastò solamente sollevare la mano in un gesto di comando.
“Devo
per caso ripeterle la domanda?”
“Sì...”
Il signor
Riddle chinò la testa, passandosi una mano sulla fronte come
se stesse sudando freddo.
“Sì
cosa?” lo incalzò Pearl.
“Sì,
sapevo che aspettava un bambino”
Per un
attimo i due coniugi si guardarono come istupiditi, quasi non
riuscissero a credere a quelle parole.
Ma infine a
infrangere il silenzio fu la rabbia di Pearl, che esplose con una
violenza tale che costrinse il signor Riddle a rattrappirsi su
sé stesso.
“E
ha osato lasciarla ugualmente! Ha abbandonato a sé stessa
una donna incinta e senza mezzi! Che razza di uomo
è lei?!”
“Io
ero troppo giovane e... avevo delle responsabilità, un nome
da difendere!” tentò di giustificarsi vanamente.
“Il
suo buon nome l’ha perso nell’esatto momento in cui
ha abbandonato sua moglie e suo figlio! Ma si guardi: alla sua
età ancora vive ancora con i suoi genitori, nonostante abbia
sulle spalle un peso che nessuna loro moina potrà mai
cancellare” disse sollevandosi, dominandoli nonostante
l'esigua altezza, come se la collera le avesse donato parecchi
centimetri in più.
“Mi
guardi! Io sono una strega, esattamente come sua moglie, ed esattamente
come suo figlio. Perché sì, nonostante i suoi
ammirevoli sforzi per condannarlo a morte, lui è
sopravvissuto” lo accusò ansimando, scossa da un
tremito rabbioso.
“E
sono sicura che dopo quanto ho saputo sarà più
che felice di scambiare due parole con lei” aggiunse
sprezzante.
“Su questo ci puoi
giurare”
Le teste
dei presenti si voltarono come un corpo solo verso la porta del
salotto, e lo spiraglio che l'aveva sino ad ora lasciata socchiusa si
spalancò sino a consentire la vista di Tom, intento a
rimirare la scena con glaciale freddezza.
“Non
è stato difficile trovarvi Pearl, il tuo ardore per la mia
causa si udiva sin dall’atrio” si limitò
a dirle, rivolgendole appena lo sguardo.
Pearl
indietreggiò istintivamente, lo sguardo di chi presagisce
un'imminente catastrofe e prova la curiosa sensazione di voler seguire
e nascondersi al contempo.
“Salute,
padre” disse Tom avanzando a larghi passi, fronteggiando il
proprio genitore.
Era
impossibile non rimaner colpiti dalla straordinaria somiglianza: faccia
a faccia erano l'uno l’esatta coppia dell’altro,
solo con diversi anni di differenza e labbra incurvate da un sorriso di
perfidia
Gli occhi
neri di Tom, identici a quelli del padre, gridavano vendetta, mentre
quel viso tanto simile al suo era animato dallo sgomento.
“Tu
sei...”
“Tuo
figlio, Tom. Persino il tuo nome ho ereditato, assieme alla sciagura
del tuo sangue”
Poi senza
indugiare oltre voltò il capo verso i due anziani.
I signori
Riddle sembravano entrambi paralizzati dallo stupore, gli occhi che
oscillavano dal figlio a quell'inaspettato nipote con un misto di
curiosità ed orrore.
Parevano aver perso l'uso della parola e sussultarono quando Tom si
rivolse a loro.
“Devo
dedurre che voi due siate i miei nonni paterni... Non nutro alcun
genere di sentimento nei vostri confronti, ma ritengo che sia
più conveniente eliminarvi” disse incolore,
gettandogli appena uno sguardo colmo d'indifferenza.
Prima che
uno dei due potesse anche solo capire l’entità di
quell'ultima frase, Tom mosse la bacchetta in una sferzata,
pronunciando per la prima volta un incantesimo che, lo sapeva, sarebbe
presto diventato il suo prediletto.
“Avada
Kedavra!”
La figura
del vecchio signor Riddle scivolò a terra con un tonfo senza
emettere alcun lamento.
Due suoni
succedettero un istante dopo: dapprima l’urlo della moglie,
subito mozzato dal medesimo incantesimo prima ancora che avesse
compiuto il suo arco; e l'altro fu il gemito d’orrore
scaturito come di sua spontanea volontà dalle labbra di
Pearl.
Le mani le
erano subito corse alla bocca, quasi volesse riappropriarsi di quel
verso e ricacciarlo dentro la propria gola, ma i suoi occhi rimasero
ugualmente fissi e stupefatti sulla scena.
“Non
scaldarti troppo Pearl, stai per farci l’abitudine”
Lo sguardo
di Tom era fisso sul padre, e l'intensità che emanava fece
intuire a Pearl che il peggio doveva ancora arrivare.
Il signor
Riddle aveva assistito alla scena con l'orrore dell'impotenza, ma in
quel momento, osservando quegli occhi identici ai suoi appuntarsi su di
lui, parve recuperare un minimo di autocontrollo, che lo spinse ad
indietreggiare abbandonando il punto della sala in cui si trovava.
“Stai
lontano da me, non osare avvicinarti!” lo avvisò
scosso dal terrore, suscitando il riso del figlio.
Perché
Tom rideva, una risata totalmente priva di allegria, talmente
agghiacciante che Pearl si sentì prendere dal panico quasi
fosse lei stessa la vittima.
“Ma
come papà, dopo tutto questo tempo non sei felice di
rivedermi?” chiese Tom, ostinandosi ad avanzare verso di lui,
la bacchetta che volteggiava dolcemente dinnanzi a sé in un
balletto di finte e morte.
“Vattene,
stai lontano da me, mostro! Tu non sei mio figlio!”
A
quell'ultima frase Tom parve arrestarsi, la risata interrotta pronta a
disciogliersi.
“Credimi,
neanch'io vorrei essere tuo figlio, ma guarda... ora possiamo
pareggiare i conti” proseguì con uno scatto d'ira.
Con una
smorfia di improvvisa comprensione, l'uomo intuì l'esatta
dinamica di quanto stava per succedere, e con un incredibile slancio
mosso da disperazione riuscì a raggiungere la porta,
cogliendo di sorpresa suo figlio.
Fu solo
questione di una manciata di secondi. Pearl vide la figura dell'uomo
muoversi, afferrare la porta, infilare il piede oltre la soglia... e
sentì le proprie labbra dischiudersi, ancora una volta quasi
rispettassero una propria volontà.
“Impedimenta!”
Il signor
Riddle cadde a terra come un corpo morto, gli arti paralizzati ad arte
da un incantesimo di ostacolo.
Pearl
abbassò lentamente la bacchetta, osservando incredula il suo
operato.
Tom
l'osservò sorpreso, rivolgendole dopo poco un largo sorriso
compiaciuto.
“Vedo
che stai imparando, Pearl” disse, avvicinandosi alla porta e
chiudendola con un calcio.
Ma fu solo
per un attimo: lo sguardo tornò sulla sagoma del padre;
sulle labbra ancora un'ombra di soddisfazione, gli occhi implacabili.
“Crucio!”
L’uomo
iniziò a contorcersi senza controllo, sempre più
furiosamente man mano che i secondi passavano, mentre le urla si
facevano sempre più strozzate e venate di disperazione.
Pearl
rimase attonita di fronte alla scena, gli occhi che saettavano da quel
corpo impazzito al bel viso di Tom deformato dalla rabbia, la mano
che muoveva la bacchetta con tale ferocia da parere quasi un
pugnale.
“Perché
l’hai sedotta e abbandonata?” e la bacchetta
vibrò nell'aria con una violenta stoccata.
“Perché
con il tuo sangue meschino mi hai condannato al destino di un bastardo
mezzosangue?” e fu una seconda stoccata.
“Perché
mi hai lasciato a marcire per tutta la vita in quel buco?
Perché?!” e fu una terza; e poi un'altra e
un'altra ancora, fino a quando Pearl perse il conto, fino a quando
credette che l'uomo sarebbe probabilmente morto smembrato dal dolore:
gli arti erano piegati in strane angolazioni, degli occhi si
intravedeva solo il bianco della cornea.
E
finalmente sentì che il senso di orrore superava ormai ogni
altra cosa, qualsiasi altro dovere o sentimento, e inorridita si
gettò contro il compagno.
“Tom,
Tom, basta! Per favore, smettila!” gridò Pearl,
afferrandolo per il braccio nel tentativo di fargli abbassare la
bacchetta.
Il ragazzo
sembrò distrarsi a fatica dal corpo malandato, ancora scosso
da brividi e gemiti, che era ora suo padre, e parve persino stupito di
trovare lì Pearl, come se in quegli attimi intensi si fosse
dimenticato della sua presenza.
“Ti
prego Tom... per favore” sussurrò Pearl, gli occhi
velati da una cortina di lacrime.
Ancora
ansimante, come se avesse compiuto una lunga corsa, rivolse un lungo
sguardo al suo operato, sentendosi gonfiare di una sensazione
indefinita, un misto di piacere e disprezzo che gli dava un vago senso
di nausea.
“Morirà
comunque, lo sai”
“Ma
c'è un altro modo per ucciderlo...”
Furono solo
quei grandi occhi scuri imploranti a spingerlo a valutare la figura
accasciata sul pavimento e a darle il colpo di grazia.
Pearl
chiuse gli occhi, la luce verde della maledizione senza perdono che le
perforava le palpebre, e non indagò oltre mentre il ragazzo
faceva lievitare i tre corpi disponendoli in una posizione
più composta.
“Beh,
deduco che ora possiamo andare” concluse Tom con la medesima
calma di prima.
La prese
per un braccio con un tocco straordinariamente gentile, premendola
contro di sé.
“Torniamo
a casa, Pearl”
E la
giovane si lasciò finalmente condurre lontano da quella casa
degli orrori.
“I wanna love you
but I better not touch
I wanna hold you, but
my senses tell me to stop
I wanna kiss you but I
want it too much
I wanna taste you but
your lips are venomous poison
You're poison, running
through my veins
You're poison, I don't
wanna play these games
Voglio amarti ma é meglio che
non tocchi
voglio possederti, ma i miei sensi mi dicono di
fermarmi
voglio baciarti ma lo voglio troppo
voglio assaporarti ma le tue labbra sono maligno
veleno
sei veleno che scorre
nelle mie vene
sei veleno, non voglio
giocare a questi giochi
[Poison,
Alice Cooper]
Il buio della notte che
premeva contro i vetri delle finestre quella notte era di una
violenza inopportuna.
Un gelo
sottile penetrava attraverso le quattro mura di quella casa, ma Pearl
era perfettamente a conoscenza che il freddo, rimastole appiccicato
addosso come una seconda pelle, nulla aveva a che vedere con il clima.
Non
riusciva a capacitarsi di quanto fosse accaduto quella notte.
Più camminava avanti e indietro per la sua camera nel
tentativo di scaldarsi, più si scopriva incapace di prendere
atto di ogni singolo gesto compiuto. Nella sua testa era tutto un
vorticare di immagini, riprese di attimi che non facevano altro che
confonderla maggiormente, gettandola in uno sconforto tale da renderla
persino incapace di piangere e sfogarsi.
E di
ciò fu grata, poiché nonostante la tarda ora
sentiva la terribile urgenza di affrontare quella notte, di
confrontarsi con lui, di capire cosa dannatamente sentiva o avrebbe
perlomeno dovuto sentire in quel momento.
Percorse i
corridoi della sua dimora in religioso silenzio, raggiungendo la camera
di Tom e colpendola in uno sfiorar di nocche; non dubitava fosse ancora
sveglio, e quando infatti aprì la porta di uno spiraglio, lo
intravide immobile seduto sul letto.
“Sapevo
saresti venuta” sussurrò non appena si fu chiusa
la porta alle spalle.
“Cosa
te l'ha fatto pensare?”
Tom rise
appena, lanciandole uno sguardo derisorio.
“Sei
un tale libro aperto, Pearl... Il senso di colpa ti di dipinge sul viso
in modo delizioso”
La ragazza
gli si avvicinò, dondolando le braccia come se fosse stata
incerta su quanto dire.
“Questa
volta credo sia diverso”
“Ah
sì? Non stai quindi piangendo sulle nostre mani lorde di
sangue?”
“Non
credo di sentirmi come dovrei”
“Tu
non ti senti mai come dovresti, Pearl”
Il ragazzo
sospirò e Pearl tacque, rimuginando.
“E
tu invece come ti senti?”
Tom
inclinò la testa, osservandola con sguardo divertito.
“Vuoi
davvero sapere come mi sento? Mi sento bene, mi sento esattamente come
sapevo che mi sarei sentito: meravigliosamente bene” rispose
in un soffio, riconoscendo l'implicita sfida posta nella domanda.
“Quindi
deduco che tu sia straordinariamente privo di sensi di colpa”
“Non
osare farmi la morale Pearl, tu sei colpevole quanto me!”
La giovane
tacque ancora, gli occhi posati sull'anello finemente lavorato che Tom
portava al dito, un gioiello che certamente prima non possedeva.
“Lo
so. So quello che ho fatto, so che questa volta l'ho voluto
io” disse infine, cogliendo un certo stupore nello sguardo
del ragazzo.
“Io
ho deciso di accompagnarti. Io ho parlato con i tuoi parenti. Io ho
bloccato tuo padre. Io, io e sempre io. E' solo che... questa volta
penso di non sentirmi così in colpa. Non mi pento di
ciò che ho fatto” concluse infine, evitando il suo
sguardo.
Ma dopo un lungo momento si accorse che Tom l'osservava quasi ammirato.
“Beh, questo
sì che è una sorpresa” commento. “Non ti sarai forse
votata alla mia causa?”
“Il
modo in cui parlavano, come tuo padre si è comportato con
tua madre... Penso solo che in fondo se la sono cercata”
Quella
frase strappò un sorriso al giovane, un sorriso che
prestò mutò in un riso silenzioso e autentico.
“Non
c'è niente di divertente!” lo redarguì
lei.
“Ma
certo che c'è, Pearl! Ti sei forse eletta a paladina della
giustizia?”
Ma pearl non sorrideva, anzi si sentiva animata da un'improvvisa rabbia
per la reazione del compagno.
“No mi spiace,
quello lo lascio a te. Questo non è l'ultimo omicidio che
commetterai, vero?”
La risata
svanì così com'era comparsa, e Tom
tornò serio di colpo.
“Perché
mi domandi un'ovvietà?”
“Non
mi sembrava fosse così ovvio”
“Percorrere
questa strada significa metterlo in conto, Pearl”
Pearl si
avvicinò di un passo appena, l'espressione insicura di chi
è consapevole di sa di star compiendo il passo
più lungo della gamba.
“E
tu desideri ancora che io sia presente su questa strada?”
I loro
occhi si incontrarono, calcolandosi a vicenda con la stessa attenzione
di due animali che si fronteggiano; Pearl vi scorse decisione, Tom vi
intravide arrendevolezza.
Ed entrambi
sentirono chiaramente qualcosa accendersi, arpionargli le viscere come
in una morsa, ricordando ad entrambi una notte rimasta in sospeso,
tanti mesi prima.
“Sì.
E tu?”
"Da quando ti interessa la mia opinione?"
Tom si alzò con improvviso impeto dal letto, prendendola per
le spalle e attirandola facilmente a sé.
"Da adesso"
Un accenno di sorriso si
disegnò sulle labbra sottili di Pearl.
"Sì"
L'afferrò per la
vita, stringendola e baciandola con una passione tale che poco
differiva dalla violenza, sentendola fremere per un attimo quasi
volesse divincolarsi e fuggire.
Ma Pearl non si sarebbe sottratta per nulla al mondo a quella presa, e
anzi si ritrovò a rispondere con altrettanta convinzione.
Entrambi sapevano perfettamente che tutto era diverso da quella lontana
sera d'ottobre: nessuna costrizione, nessun divieto veniva loro imposto
in quel momento; diversi erano i sentimenti, le priorità, i
desideri.
Ed accettarono con sorprendente docilità che tra loro, nel
corso di quei mesi intensi, fosse maturato qualcosa.
Un qualcosa
che spinse le mani di Tom ad inflarsi sotto la stoffa della camicia di
Pearl, carezzando a piene mani quel corpo che si ritrovava a desiderare
con un'intensità quasi dolorosa.
La
spogliò maldestramente come un bambino spoglia una bambola,
quasi fosse la prima volta che toccava il corpo di una ragazza, ma la
vide sorridere quando la spinse sul letto, schiacciandola con il
proprio peso.
“Stai
arrossendo” constatò quando la scorse lentamente
con gli occhi, avvampando di malizia nel delineare con le dita ogni
piega della sua pelle.
“Che
altro ti aspettavi da una ragazza purosangue?” chiese lei con
un cenno di sfida, attenta a non distogliere lo sguardo neppure quando
scostò le coperte e, con voluta lentezza, scivolò
sopra di lei affondando il viso nell'incavo del suo collo.
“Non
avevo considerato questo tuo lato tradizionalista... Devo quindi
dedurre che hai intenzione di rimandare il tutto alla tua prima notte
di nozze?” chiese divertito, prendendola in giro, le dita che
giocherellavano quasi distrattamente sul suo petto.
Sorrise
nell'udirla gemere, gli occhi semichiusi e un sottile tremito che le
attraversava impercettibilmente le labbra.
“Mi
stai forse dando la possibilità di cambiare idea?”
ribatté Pearl, continuando a provocarlo, azzardandosi a
cingerlo con le braccia e constatando che finalmente Tom si lasciava
prendere, toccare.Ogni distanza tra loro era
definitivamente calata.
E per un attimo Tom si chiese se sarebbe stato come tutte le altre
volte, quando non si faceva mai scrupolo del dolore altrui e anzi si
divertiva a mostrare tutta la sua cattiveria, a svuotare la sua rabbia
sulla povera malcapitata.
Ma Pearl
ricambiava il suo sguardo con lo stesso ardore che si ha prima di un
duello o di una gara, quel tipo di sguardo che cela un'insensata
fiducia nella bellezza del confronto che si attende.
Che senso
aveva deturpare quell'attimo, dopo quanto era accaduto quella sera?
Pearl gli apparteneva già.
“No,
non credo proprio” sussurrò in risposta,
chinandosi per tornare a baciarla.
Per la
prima volta in vita sua si scoprì capace se non di dolcezza,
di una sorta di delicatezza, di accorgimento nei confronti di un'altra
creatura al mondo che non fosse unicamente se stesso.
Le loro
mani si incrociavano, si rincorrevano, si respingevano, e
all'improvviso sembrava tutto un gioco, un provocarsi irriverente, un
rendersi impazienti oltre ogni limite possibile ed inimmaginabile.
Nemmeno
quando Pearl lo sentì premere dentro di lei, causandole una
stilettata di dolore che quasi le strappò un lamento di
dolore, quell'insolita armonia si ruppe.
La ragazza chiuse gli occhi in uno strenuo tentativo di autocontrollo,
Tom la strinse maggiormente a sé.
Erano così di comune accordo che si sarebbe potuto dire che
il loro rapporto fosse così da sempre, anziché il
contrario.
Non fu
istantaneo, graduale: il dolore scemava, si dileguava per lasciare il
posto al piacere, che strisciava sotto la loro pelle infilandosi in
ogni vena e in ogni arteria; e infine fu solo un groviglio di mani e
arti, di coperte sgualcite e labbra che rivelavano solo gemiti e
sussurri.
Fino a
quando anche quelli si spensero e calò il silenzio
più totale.
Pearl
aprì gli occhi nel buio e seppe che anche quelli di Tom
dovevano essere spalancati, ma non parlò.
Non aveva
effettivamente nulla da dire; sapeva solo che da quel giorno gli doveva
molto più di quanto aveva potuto anche solo immaginare.
*******
“Voldemort”
Pearl aprì gli occhi di scatto, uscendo a fatica da un
viscoso dormiveglia in cui era precipitata non appena lei e Tom si
erano separati.
Morbidamente sdraiata accanto a lui, ancora seminuda tra le lenzuola,
gli lanciò uno sguardo confuso.
“Che cosa hai detto?” borbottò con voce
impastata.
“Voldemort”
La luce dell'alba penetrava dalle tende, illuminandogli fiocamente il
volto: sorrideva, estatico.
“Che significa?”
Si voltò a guardarla, allungò una mano per
sfiorarle una guancia con una carezza.
“E' il mio nome, Pearl”
La giovane si alzò appena, poggiandosi su un gomito del
tutto ignara della propria nudità.
“Perché?”
Il ragazzo afferrò la bacchetta sul comodino: con pochi,
semplici svolazzi nell'aria comparvero tre parole scintillanti.
“Tom Orvoloson Riddle”
Pearl osservò il suo sguardo incantato mentre il nome si
scomponeva e le lettere vorticanti si disponevano in diverso ordine.
“Son Io Lord Voldemort”
Tornò a guardarla, osservando la tua reazione.
“Non crederai forse che dopo stanotte terrò ancora
il nome di mio padre. E' ora di dare un vero nome alla mia
identità, non credi?”
Ma Pearl trovava qualcosa di sordido e maligno in quel nome, un
qualcosa ch vide dipingersi sul viso del compagno mentre le sorrideva.
“Tom Riddle" diventerà solo una gradevole maschera
agli occhi del mondo, ma Lord Voldemort... questo nome è
destinato a grandezza” mormorò sovrappensiero, gli
occhi di nuovo persi nel vuoto, certamente tesi ad immaginare un futuro
forse fin troppo vicino.
Pearl gli voltò le spalle, avvolgendosi più
stretta nelle coperte; improvvisamente sentiva freddo.
Non vide Tom rivolgere alla sua schiena nuda, la pelle color del latte,
uno sguardo soddisfatto.
Aveva Pearl. Quella notte così piacevole aveva cambiato
tutto, lo sapeva. Chi avrebbe mai detto che tra loro si sarebbe creato
quel tipo di legame?
Era indissolubile, ne era certo. Con lei sarebbe stato più
facile arrivare in altro, trovarsi la strada già spianata.
E dopotutto, quella notte non aveva forse dimostrato di non essere solo
un oggetto, ma una compagna fidata?
Sì quel nome era destinato a grandezza, se lo sentiva. Da
quel giorno sarebbe andato tutto per il meglio.
“Vedrai Pearl, quest'anno ad Hogwarts sarà ancor
meglio del precedente” concluse, chinandosi per sussurrarle
quelle poche parole in un orecchio, prima di lambirlo giocosamente con
le labbra.
Ma gli occhi di Pearl erano incupiti, sospesi nel vuoto.
Quel giorno era nato il demonio.
COMMENTO AL CAPITOLO
Forse fin troppo lungo, questo capitolo va a raccogliere l'intera
estate che Pearl e Tom trascorrono insieme. Mi sono sempre chiesa come
avesse fatto Tom, a soli sedici anni, ad abbandonare Londra
per dirigersi da solo a Little Hangleton, eh beh, questa è
la mia personale versione della vicenda. Da solo avrebbe potuto fare
ben poco.
Ho omesso alcuni particolari ovvi della storia, come l'utilizzo della
bacchetta di Orfin Gaunt, considerando che la scena dell'omicidio
è vista più dal punto di vista di Pearl; mentre
per l'utilizzo della magia fuori da Hogwarts mi sono affidata alla
spiegazione di Silente nel Principe Mezzosangue, quando spiega che non
si può intercettare da chi è compiuto
l'incantesimo, nonostante la minore età, fuori dalle mura
della propria casa.
Spero di esser riuscita a rappresentare al meglio il bisogno di
vendetta di Tom, la riconoscenza nei confronti di Pearl per averlo
"salvato", il bisogno di lei di sentirlo più vicino.
E il finale... volevo che andasse così sin dal primo
capitolo, ma spero sia chiaro senz'ombra di dubbio che non
sarà MAI (purtroppo) una storia d'amore.
Per il resto spero sia tutto "al suo posto". Per la descrizione di
Little Hangleton e il percorso verso casa Gaunt mi sono affidata
al Principe Mezzosangue.
PS: è la prima volta che uso Nvu, visto che l'editor non
sembra funzionare.... Spero di non aver combinato strani casini e che
sia tutto leggibile ^^
COMMENTO DELL'AUTRICE
30 luglio 2012 vs. 6 gennaio 2013. All'inizio avevo pensato a
profondermi in scuse su questo abnorme ritardo.... Poi mi sono resa
conto che non è stato un ritardo, ma una pausa.
Vorrei poter dire che sono stata molto impegnata e portarvi millemila
cause come prova, ma mi limito a dire che non riuscivo a toccare biro,
foglio, tastiera.
A volte ci capita tra capo e collo un avvenimento così
triste che ci ritroviamo a trascurare persino le attività
che più ci stanno a cuore.
Mi auguro solo che questo brutto periodo si concluda al più
presto, e considero la lunghezza di questo capitolo e il suo "finale
amoroso" già un bel traguardo.
Mi scuso in ogni caso per quest'assenza temporanea.
Un grosso ringraziamento ad EvaAinen,
Sylphs,
silvia_arena
e ArgentoSangue per aver
recensito, e a tutti coloro che hanno letto e inserito tra le
seguite/preferite.
Come
sempre sono a vostro giudizio, con la speranza che anche questo
capitolo sia di vostro gradimento.
Buon anno e buon devastante rientro a tutti!
Elle
H.
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