donne
BABY
JANE
Quando
Gary mi scaricò, in qualche modo compresi la sua scelta, anche se all’inizio
non fu facile.
Gli
ottimisti dicono che l’amore non conosce barriere e che una storia può nascere
anche da un momento breve e banale, ma io sono realista e dico che sono tutte
stronzate; lo dico serenamente, senza rimpianti, ma con la solida
consapevolezza di chi ha avuto un’esperienza spiacevole.
Il
momento fu effettivamente breve, ma non direi banale: ero al centro commerciale
con mia sorella, stavamo facendo le compere natalizie e ci eravamo fermate davanti
ad un negozio per guardarne la vetrina; quando Christine si è girata ha visto
Gary da lontano e lo ha salutato con un gran vociare, un grande sventolio di
mani…
Stavo
giusto per chiederle cosa avesse da starnazzare, ma quando mi sono voltata l’ho
capito.
Gli
altoparlanti del negozio stavano facendo riecheggiare “One vision” dei Queen,
come se avessero voluto dar voce ai miei pensieri.
Un figo
da paura.
E a
giudicare da come stava ricambiando volentieri i baci sulla guancia di
Christine… sapeva di essere un gran figo.
Non ho
mai saputo se la sua ostentata figaggine fosse il risultato di un’adolescenza
da “brutto anatroccolo” riscattata nell’età adulta, o se così ci fosse nato. Di
lui, effettivamente, ho sempre saputo ben poco.
A parte
che era andato a letto anche con Christine, che si era fatta ben pochi
problemi.
Un
dettaglio che mia sorella mi riferì innocentemente pochi giorni dopo avermelo
presentato.
“Gary,
questa è mia sorella. Sorella, questo qui è Gary! Andavamo in palestra
insieme!”
Giusto
in quell’istante compresi perché quella pigra cronica che è Chris avesse
frequentato una palestra per ben sei mesi di fila.
Gli
strinsi la mano e gli dissi “Ciao” senza far trapelare il mio nervosismo – un
grande sforzo – ma lui sconvolse il mio equilibrio faticosamente raggiunto con
una frase giustamente ironica e un sorriso impossibile da ignorare.
“Sorella,
suppongo che anche tu abbia un nome!”
Tra una
risatina idiota e una vampata improvvisa di calore glielo borbottai, il mio
nome, e ritirai educatamente la mano.
Non
sono mai stata brava nel mantenere la calma di fronte a tanto ben di dio. Ed
era vestito, per la miseria.
Dopo
essersi aggiornati brevemente e con grandi sorrisoni sui rispettivi “Che fai
adesso?”, “Hai più visto Tizio o Caio?”, con me nel mezzo che sorridevo senza
capire, arrivarono i saluti e gli auguri di un Buon Natale.
Inaspettatamente
arrivò anche un invito da parte sua, uno di quelli che nessuno prende mai sul
serio.
“Dobbiamo
rivederci una sera di queste! Beviamo qualcosa, ci facciamo due risate!”
Mentre
io lo guardavo come per dire “Non ho alcuna intenzione di ridere con te”,
Christine cinguettò che sarebbe stato fantastico e che aveva sempre il suo
numero, alla prima sera libera lo avrebbe chiamato.
“Va
bene se porto anche mia sorella?”
Io non
ero d’accordo, ma non dissi niente.
Gary mi
disse che DOVEVO unirmi, senz’altro, lo disse con quel pizzico di malizia che…
Come
dicevo, non me la sono mai cavata molto bene con cose di questo genere.
“Sai,
Gary ci sa fare con le ragazze…”
Una
volta a casa, Christine cominciò a snocciolarmi le cose più ovvie e prevedibili
su quel monumento di ormoni che avevo giusto adocchiato, ma che non avrei avuto
voglia di conoscere più approfonditamente, se solo lei fosse stata zitta e
buona.
Mi
disse che era un tipo da una botta e via, che non si era mai fatto vedere con
la stessa ragazza per più di una settimana, che a letto era un toro e che sapeva
come conquistare qualunque donna, ma anche come liberarsene con disinvoltura e
soprattutto senza farsi detestare dalla malcapitata, dopo, onde evitare
ripercussioni sgradevoli.
Io
conoscevo bene quella fiera delle ovvietà ancor prima di essere messa in
guardia da mia sorella.
Gary
era un gran bel figlio di puttana, si vedeva.
Ma dopo
il quadro che lei mi aveva fatto ero interessata più che mai; non volevo fare
niente, ero solo curiosa di vederlo all’opera, se sarei caduta anch’io nella
sua trappola.
Ovviamente
ci finii con tutte le scarpe.
La
famosa “sera libera” arrivò quando Christine, esasperata dai miei continui e subdoli punzecchiamenti, gli telefonò per
incontrarsi in un locale in cui io non ero mai stata, un disco-bar da lui
proposto, piuttosto caotico come ambiente.
Recuperai
un vestito corto dall’armadio, mi truccai, stetti attenta ai capelli, ma mi
sentivo a disagio, specie accanto a Christine, che ballava, rideva e beveva
come se non avesse mai fatto altro nella vita.
Io, da
brava pantofolaia, me ne stavo in disparte e parlavo poco, disturbata dal
volume indecente della musica (schifosa) del posto, nonché dalla parlantina a
ruota libera e alcolica di mia sorella.
Sentii
puzza di guai nel momento in cui proprio lei mi mollò da sola con Gary e se ne
andò a ballare; era a dieci metri da me, potevo vederla, mi avrebbe sentito se
avessi urlato il suo nome, ma mi sentii improvvisamente vulnerabile, una preda
fin troppo facile da catturare per il paio d’occhi che mi stavano guardando con
sorridente sicurezza.
Lo
maledissi intensamente con il pensiero per qualche secondo, ma mi rimangiai
tutto quando prese in mano la situazione e mise in piedi una conversazione
piacevole, per quanto sbraitata e non sempre comprensibile.
Al suo
“Mi dispiace, la prossima volta ti porto in un posto più tranquillo, qui c’è
troppo casino anche per me stasera!” probabilmente arrossii: si notava così
tanto il mio disagio? E ci sarebbe stata una prossima volta, senza mia sorella?
Non
volli mai sapere niente al riguardo, mi bastò crogiolarmi nel piacere che mi
dava quel dubbio, o quell’illusione.
Dopo
una mezz’ora, lasso di tempo in cui Christine non era ancora tornata al nostro
tavolo, Gary mi chiese di ballare.
Adoro
il ritmo, mi piace muovermi liberamente, e non so assolutamente ballare.
Rifiutai
garbatamente, anche per vedere se avrebbe insistito, e così fu, al punto che mi
lasciai trascinare in pista al suono di un medley dei successi degli ABBA,
finalmente giunti dopo un’ondata house orripilante. Il DJ doveva essere ubriaco
o pazzo.
Mamma
mia.
Più
cercavo di improvvisare delle (discutibili) coreografie ad ogni ritornello,
cantando in playback, e più lui mi si avvicinava, le braccia sempre tese nella
mia direzione, impegnato a sfiorarmi il punto- vita o a farmi piroettare.
Avevo
bevuto troppo poco per ridere a crepapelle e cadere tra le sue braccia, così mi
limitai ad assecondarlo con discrezione e soprattutto con un’ammirevole paresi
della bocca, sorridevo come un’idiota e lui lo sapeva, lo sapeva…
Quella
sera non accadde niente di che, a parte quel primo approccio danzereccio, che
comunque aveva avuto un effetto tumultuoso su di me, in quanto non vedevo l’ora
di rivedere Gary, magari senza musica, con un po’ più d’intraprendenza.
Da
tempo immemore non avevo un ragazzo, o anche solo un’avventura.
Motivo
in più per cui decisi che mi sarei divertita con lui.
Seguii
d’istinto il profumo del suo dopobarba, della novità, diedi retta i miei
ormoni, mentre Christine faceva la scettica e mi sconsigliava di incasinarmi
troppo la vita.
Giuro
che credevo fosse invidiosa di me, gelosa di lui.
Avrei
dovuto ricordarmi che era la mia sorella maggiore e che, come sempre, stava
tentando di proteggermi.
Agli
amici non dissi niente, trascorremmo un capodanno tranquillo ma divertente,
come al solito.
Dopodiché,
il mio compleanno.
Mi
regalai un appuntamento dall’estetista e uno dal parrucchiere, disboscando tutto
ciò che c’era da disboscare… e cambiando colore dei capelli: il mio castano che
credevo anonimo divenne un ramato deciso.
Sul mio
profilo Facebook trovai gli auguri di tutti, compresi quelli di Gary, “Tanti
auguri!”, e tanto bastò per farmi venire la voglia di comprarmi anche un
vestito nuovo.
Due
giorni dopo, un suo messaggio privato:
“Come
va, bella? Hai trascorso un bel compleanno? Adesso che sei un po’ più vecchia
mi piacerebbe portarti a cena fuori, sarebbe il mio regalo per te, ti porterei
in un bel posto dove potresti assaporare del buon semolino! ;) Fammi sapere se
l’idea ti piace!”
E io
risposi che sì, certo che mi piaceva l’idea, e risposi al suo umorismo in tono
divertito, il più appropriato, anche se non me ne fregava niente.
Non
volevo che mi facesse ridere…
La cena
non me la ricordo.
Mangiai
senza gustare nulla in particolare, tanto ero presa da lui.
Risposi
alle sue domande o alle sue battute in modo quasi automatico, e mi fermavo
sempre nel momento esatto in cui lui riprendeva fiato per parlare, non lo
interruppi mai.
Fingevo
di gettare delle occhiate al contenuto del mio piatto e intanto mi soffermavo
sulle sue mani, che erano sul tavolo oppure impegnate ad animarsi in aria.
Dissi
che anche a me piacevano lo sport, i film drammatici, il rock anni ‘80 – tutte
cose non vere – e per più di una volta ci guardammo negli occhi, parlando o
stando in silenzio.
Forse
ci stavamo dicendo un sacco di cazzate, ma entrambi eravamo liberi di saperlo e
di lasciar correre. Sapevamo dove saremmo andati a finire, e io non vedevo
l’ora. Avevo i brividi, ma non vedevo l’ora.
Quando
sei in una relazione stabile e felice, il sesso completa quello che è il bel
quadro della vita di coppia: lo si fa volentieri, le mosse sono tutte giuste,
il risultato è assicurato e sempre positivo.
Il
sesso con uno che conosci a malapena è un’incognita: può essere un successo, un
fiasco o ordinaria amministrazione.
Il
sesso con Gary fu una scoperta.
Io
brava a letto? Boh, forse, ancora oggi non lo so. Ma certamente mi sentii bella
quella notte, una vera e propria pantera, probabilmente il frutto di una grande
repressione sessuale durata troppo a lungo.
Non una
singola ciocca fastidiosa davanti al viso, la mia chioma si sparpagliò per
intero e in modo quasi scenografico sul cuscino; nessun movimento brusco, non
un solo momento di irrigidimento o d’incertezza, mi mossi quasi come se
conoscessi il suo corpo nudo a memoria, non mi ero mai sentita così sicura di
me stessa e dell’altro durante una scopata.
Senza
dubbio Gary si rivelò superlativo, ma da parte mia mi diedi molto da fare, e
con un riscontro più che positivo, visto che sembrò apprezzare molto.
Quando
dico “scoperta”, intendo il senso stretto della parola…
Se, per
esempio, una volta mi dedicavo completamente al suo uccello, in un altro
momento gli massaggiavo ben bene la schiena…
Quando
avevo le mestruazioni sorgevano i problemi.
Non che
lui volesse farlo nonostante il ciclo… è che ci vedevamo ugualmente.
La
prima volta andammo al cinema a vedere una commedia che entrambi giudicammo
mediocre; successivamente passammo numerosi pomeriggi a casa sua.
Parlavamo
del più e del meno sul divano, senza scontri, con lui che diceva la sua e io la
mia…
E
quando finivamo le parole capitava che volessimo toccarci, ci spingevamo fin
dove potevamo.
Se
fingeva, fingeva bene.
Diventava
molto dolce e accomodante e mi faceva sciogliere, ero come gelatina,
specialmente quando finivamo per guardarci ; almeno, io mi sentivo in
difficoltà, così ripiegavo in fretta sul suo torace, lo baciavo e lo leccavo
sui capezzoli, oppure gli facevo direttamente un pompino.
Battemmo
i nostri record personali.
Lui
impiegò quattro mesi prima di stancarsi di me, contro l’ordinaria settimana
concessa a qualunque altra ragazza arrivata prima di me – o forse anche mentre
c’ero anch’io…
Personalmente,
scopare liberamente per quattro mesi fu un traguardo inaspettato e
soddisfacente, dato che ero abituata alle “toccate con fuga” o al rapporto
sessuale di rito prima della presunta relazione stabile che poi, puntualmente,
si rivelava disastrosamente instabile.
La sto
buttando sul materiale, ma la verità è che io ho visto qualcosa di più.
Ho solo
avuto paura, e me ne pento, sì.
Gary è
un ragazzo molto intelligente e, chissà, forse in passato è stato anche più
sensibile e meno impostato di quanto non lo sia stato con me e con tante altre.
Non mi
sorprenderei : anche io, un tempo, ero più spontanea ed ingenua.
Già,
ingenua.
Nonostante
la mia perspicacia, feci la figura dell’ingenua quel pomeriggio in cui lui mi
guardò, fece un sorriso triste e sospirò.
Mi
schiarii la gola, leggermente disorientata.
“… Non
va, vero?” mi domandò, retorico da morire.
Lo
squadrai lentamente e pensai che era così bello che niente in lui avrebbe mai
potuto risultarmi rivoltante o anche solo fastidioso come in altri uomini,
compresi i calzini maleodoranti e i peli in mezzo alle chiappe.
Mi
limitai a scuotere la testa e a dire: “No, hai ragione. Me n’ero accorta
anch’io.”
Un’ultima
bugia prima di andarmene, quasi un colpo di coda prima di crollare, sferrato
per ripicca in risposta al suo attacco.
Non
l’ho più visto e non so dove sia finito. Il suo numero non l’ho mai avuto, non
l’ho nemmeno chiesto a Christine.
L’ho
cancellato dalla lista degli amici di Facebook, onde evitare che lui lo facesse
per primo o che non si curasse affatto di eliminarmi dal suo elenco.
Mi
dispiace ancora oggi di essere stata tanto drastica, è che non volevo più
cadere in tentazione, e con lui sarebbe stata troppo forte.
Amavo
il suo corpo, così come lui amava il mio, ma l’innamoramento nonché l’amore…
no, non erano cose per noi e per la nostra attrazione.
Anche
se io… uno spiraglio aperto l’avrei lasciato.
Un
momento di debolezza.
Se oggi
incontrassi Gary per la strada lo saluterei senza problemi per poi passare oltre,
ma mi divertirei a notare in un attimo, nonostante i vestiti, questa o quella
parte del corpo che ho toccato o che mi ha fatta godere.
Tante
ragazze compunte e frustrate come me vorrebbero scopare con uno come Gary
almeno una volta nella vita, se non addirittura farci coppia fissa.
Io ho
avuto la mia occasione e me la sono giocata piuttosto bene, credo.
Ogni
tanto mi faccio le solite domande complicate e noiose, “E se…?”, ma solo ogni
tanto, poi mi passa.
THE
END
Il titolo di questo capitolo si rifà alla
canzone “Baby Jane” di Rod Stewart, sulla quale ho basato le personalità di entrambi
i protagonisti della storia.
Nessuno scopo di lucro.
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