la tua
La
tua verginità che si tingeva di rosso.
Fa freddo
oggi.
E le cose non vanno bene qui, ma che cosa mi
aspetto? Tutto il mondo è in crisi, figurati io: un ex paese dell’URSS.
Cammino
piano, sono stanca … oggi è quelle giornate uggiose di quelle che fanno
riflettere troppo.
Passo
davanti a una caffetteria e mi piacerebbe molto
entrarci, è una di quelle
caffetterie con belle luci e bei posti a sedere ma in momento come questo non
posso permettermi nessun extra.
Improvvisamente
noto qualcosa che non va: c’è un bambino vicino alla caffetteria che stavo
ammirando, e sembra da solo.
Mi
avvicino e noto che il bambino sta piangendo e questa è una delle cose che più
odio al mondo: vedere qualcuno piangere, mi ricordano i momenti tristi che ho
passato con i mie fratelli e sono quei generi dei ricordi che oggi non voglio
ricordare.
<<
Cosa c’è piccolino? Ti sei perso? >> domando al bambino e questo alza gli
occhi e mi guarda singhiozzando. E’ giovane, può avere massimo cinque anni.
<<
Ho perso la mamma. >> e incomincia a piangere ancora più forte.
<<
Ehi, ehi. >> gli dico accarezzandogli leggermente la testa cauta,
potrebbe anche spaventarsi: << La ritroveremmo. Come ti chiami? >>
domando con il tono di voce che usavo quando Russia e Bielorussia erano
piccoli.
Il
bambino mi guarda un po’ intimidito:
<< Ivan. Davvero troveremmo davvero la mamma? >> domanda triste.
<<
Ivan, bel nome e lo stesso di mio fratello. Dove hai perso la mamma, tesoro?
>>
Il
bambino mi indica la piazza, in effetti c’è abbastanza folla per perdersi.
Ed a
circa dieci minuti dalla piazza c’è una stazione di polizia, probabilmente la
madre è già andata lì a chiedere aiuto.
<<
Senti Ivan, adesso andiamo alla stazione di polizia … probabilmente la tua
mamma ha chiesto aiuto lì, però adesso vieni un attimo con me dentro. >>
e indicò la caffetteria: << Ti prendo una bella cosa così smetti di
piangere. >>
Ivan
annuisce poco convinto ma mi segue, gli compro una piccola barretta di
cioccolata ,che mi costa un occhio della testa, e quando gliela porgo aspetto
la sua reazione.
Smette
di piangere e inizia a mangiucchiare felice la cioccolata.
<<
Sorellina non hai preso niente per te? >> mi domanda dopo che si è quasi
mangiato tutta la cioccolata.
<<
No. Non ho fame. >> mento.
Iniziamo
a camminare lentamente, Ivan ha il passo corto ed è anche poco abituato a
camminare, lo capisco perché si stanca subito.
<<
Sorellina, non ce la faccio. >>
Sorrido
e gli faccio segno se vuole salire in braccio e accetta con entusiasmo.
Ho
sempre voluto maschietto.
Anzi
è meglio dire :vorrei un maschietto se potessi avere figli.
Sono
quei generi di pensieri che non voglio avere oggi, non adesso … ci sono altri
problemi del paese da affrontare, i miei personali non contano come per
qualsiasi altra nazione.
Sento
gli occhi inumidirsi.
<<
Sorellina, perché piangi? >> domanda Ivan con i suoi grandi occhi verdi.
Sorrido
ma non gli rispondo: << Siamo pigri, eh. Non camminiamo molto. >>
<<
Mamma lo dice sempre, mi ha fatto camminare tanto oggi e mi sono arrabbiato con
lei e sono scappato. >> spiega
Ivan.
Ho
l’impressione che sia molto viziato il piccolo Ivan.
Chissà
se io vizierei mio figlio. Forse no, sono troppo abituata alla povertà ma so anche
di non possedere esattamente il pugno di
ferro.
<<
Non devi comportarti così, la mamma ti fa camminare perché ti fa bene. >> spiego dolcemente mentre
Ivan si appoggia a quel mio maledettamente enorme petto.
<<
Sa sorellina ,mamma dice anche che io non sono carino con le persone ma tu mi
sei simpatica. Sei speciale. >>
I
bambini percepiscono ciò che gli adulti negano perché oramai hanno troppi
schemi.
Ivan,
tu non lo sai … ma in un certo senso sono anche io tua madre. Perché esisto io
che hai una nazionalità, una lingua e
delle tradizione.
Questo
ovviamente non frena il mio sentimento di desiderio di maternità di quella vera, di avere un figlio nato dal
mio amore verso un uomo, di accudirlo e di amarlo per sempre.
<<
Allora sono felice di esserti simpatica. >>
<<
Non è vero, sei triste. I tuoi occhi sono rossi. >>
Sospirai,
la verità da una bocca di un bambino, quanto fa male.
<<
Sai Ivan … io non posso avere bambini.
>> dico e Ivan mi guarda senza capire.
<<
Non sono una donna completa. >>
E
non solo io,anche le altre nazioni femminili avevano la stessa caratteristica
nessuna di noi era in grado di ovulare .
Le nazioni maschili invece non avevano
spermatozoi.
Ovviamente
lo sapevamo da sempre che non eravamo in grado di avere figli ma non mi ricordo
il perché facemmo dei controlli specifici circa una ventina di anni fa.
E
non è stato molto bello, una cosa era intuirlo ma sono tutte un altro paio di
maniche quando la fredda scienza ti sbatte in faccia la verità.
Tutti
in un modo nell’altro ci erano rimasti male, ma questo spiegava il nostro illogico comportamento che assumiamo ogni qual
volta che una nazione con aspetto da bambino entra nella nostra vita: in modo o
nell’altro assumiamo verso di esso comportamenti più simili a un fratello
maggiore o addirittura a volte di padre.
Ungheria
mi aveva confessato che veramente si
preoccupava di Veneziano come una madre quando era piccolo. L’ aveva fatta
stare con il cuore in gola per tutto il periodo delle società segrete: l’italiano se ne usciva di nascosto a parteciparvi
nonostante che sapesse che poteva essere punito.*
<<
Non capisco. >> fece Ivan riportandomi alla realtà.
<<
Non c’è nulla da capire. Sono nata così. >> sorrido ancora una volta a
quel bambino che non sarà mai mio figlio per davvero ma potrò per sempre avere la sua totale fiducia
perché è un mio concittadino.
La
vita è fatta di compromessi e vanno accettati.
<<
Siamo arrivati. >> appena vedo la centrale mi sento sollevata, la
conversazione per me stava diventando pesante e credo che tra un po’ scoppierò a piangere.
Ivan
guarda la centrale e poi me incredulo, non so per quel quale motivo, e poi mi
fa segno che vuole scendere.
Chissà
forse ha percepito che la madre è lì.
Magari
siamo fortunati.
Entriamo
nella centrale e tutto accade velocemente, Ivan improvvisamente si mette a
correre versa una donna che stava piangendo senza sosta e un povero poliziotto
era intimidito dalla situazione.
<<
Mamma! >> urla Ivan e appena la madre lo vede, gli va incontro e
l’abbraccia.
Non
mi posso gustare la scena in santa in pace che un sospettoso poliziotto inizia
a tempestarmi di domande e io comincio a
intimidirmi, solo con i bambini riesco ad essere calma e sicura di me.
<<
Veramente … io. >> inizio a tentennare alle domande del poliziotto
nonostante che io non abbia fatto nulla.
<<
Lei è la signorina che mi ha portato qui e mi ha offerto anche della
cioccolata, anche se è povera. >>
Non
so cosa diamine gli passa per la mente a Ivan ma arrossisco fino alla radice
dei capelli, mentre il poliziotto sospettoso sembra che sia sul punto di
ridere.
<<
Ivan non essere maleducato. >> Ivan viene rimproverato dalla madre che si
è avvicinata a me con il figlio in braccio.
<<
Grazie mille signorina ….? >>
<<
Ah. Signorina Irunya Chernenko.** >>
<< Va bene Irunya e invece il mio nome è Lara
Chekhov . Le andrebbe di andare a pranzo
da noi? Voglio ringraziarla per quello che ha fatto per mio figlio. >>
La
madre di Ivan è una bella donna bruna dallo sguardo dolce ma io non me la sento
di accettare finché qualcuno non mi afferra per il cappotto.
<<
Dai sorellina,sarai la mia sorellina. >> Ivan mi tiene stretta mentre
cerca di farmi cedere guardandomi solo come sanno fare i bambini.
<<
Veramente … >> il poliziotto sospettoso mi guarda con un sopracciglio
alzato, probabilmente per dirmi che non è molto sicuro andare a pranzo da
qualcuno che non conosci. Il sospettoso rivolge lo stesso sguardo alla madre ma
per dirle che invitare la gente sconosciuta a casa non è una buona idea.
<<
Potremo pranzare in qualche ristorante al centro. >> continua la madre allorché
il poliziotto sembra soddisfatto, la proposta della madre di Ivan soddisfa
le suo norme di buon senso.
<<
Dai! >> fa di nuovo Ivan e a quel punto sono costretta a cedere.
<<
Va bene, signora: sarò lieta di pranzare con voi. >>
Mentre
ci lasciamo alle spalle la centrale mi trovò a sorridere: avrò sempre il
desiderio di essere madre ma anche essere una nazione avrà sempre i suoi
vantaggi.
Note dell’autrice:
La tua verginità che si tingeva di rosso è
una ff che avevo in mente da un po’: sono convinta che le nazioni non possono
avere figli ma che abbiano comunque un grande desiderio di maternità e di
paternità ( per me basta pensare a Inghilterra e il suo rapporto con America,
Iggy sembra il classico padre incazzato perché il figlio fa quello che cavolo
vuole ).
Ucraina mi sembrava un’ ottima scelta per
raccontare questa idea.
Il titolo è preso da una frase di una
canzone di de Andrè (l’infanzia di Maria) è si riferisce alla prima mestruazione,
che segna nelle donne l’inizio della fecondità.
* In questo punto la ff ne accenna
un'altra: cliccate qui per leggerla.
**Il nome di Ucraina è stato preso dal
sito Hetalia archieves, è uno dei nomi pensati dall’autore.
Ammetto che da
parecchio tempo che non scrive perchè mi sto concentrando sulle
storie originale, se ne volete un esempio cliccate qui per questa raccolta.
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