L'acqua
era straordinaria: naturalmente profumata e calda alla giusta
temperatura, Dasa fu tentata di assaggiarla per scoprire se avesse
anche un gusto particolare.
Sul bordo della piccola vasca trovò, cosa che prima non
aveva notato, una spugna, una spazzola e diverse boccette profumate.
“Quelli sono i saponi... Non sono un granché:
erano quelli che avevo a disposizione al momento”
“Sono buonissimi!” replicò lei
entusiasta stappando una bottiglia dopo l'altra: ora sì che
le sembrava di essere in uno dei suoi libri
“Almeno hai una spugna naturale...”
borbottò Danjal affacciandosi dal paravento, costringendo
Dasa a immergersi completamente, fino a coprire anche la bocca
“Non così!” le ordinò
“Questo sì che è pericoloso! Comportati
bene o ti tiro subito fuori di lì”
“Come se
potessero esistere spugne artificiali” avrebbe
voluto ribadire, ma la precisazione le passò di mente quando
lui si affacciò tanto sfacciatamente dal sipario
“E tu non guardare!” strepitò lei.
Danjal la accontentò subito. “Sono contento che
almeno ora tu riesca a essere meno formale, Dasa...”
“Mi avete mandato su tutte le furie” rispose la
giovane, affrettandosi a correggere l'errore
La voce di Danjal suonava, ora, divertita. “Si, certo...come
sempre...”
“Che vuol dire?”
“Che ho deciso di mostrarti qualcosa che potrebbe
meravigliarti...”
“Dubito esista ancora qualcosa in grado di muovermi
stupore”
“Mi sembrava fossi affascinata da questa stanza”
“Certo...è molto bella... e anelavo disperatamente
un bagno caldo...” replicò prontamente
“Senta...” disse appoggiandosi con le braccia al
bordo della vasca “Ha qualche controindicazione per la brusca
e la spugna?” domandò una volta che si fu
profumata con quello strano sapone liquido e viscoso
“Puoi lavarti anche i capelli, se vuoi. Ma non sfregare sotto
l'attaccatura dei capelli...lì versa solo acqua. E con molta
cautela” la istruì lui.
“Sarà fatto...” sbuffò lei.
Cosa mai poteva avere, di strano, la sua nuca?
Quando riemerse dalla pozza d'acqua, incolume e fasciata in soffici
teli di cotone, Danjal si precipitò al suo fianco con un
secondo telo, tamponandone delicatamente la pelle della schiena. Le
prese, quindi, i capelli, spazzolandoli con cura. Ma a Dasa parve che
la sua attenzione fosse focalizzata, ancora una volta sulla nuca.
Quando fu praticamente asciutta, lui si defilò, lasciandola
da sola a vestirsi. Subito, la giovane ne approfittò per
riguadagnare lo specchio d'acqua e scrutarsi il collo. Ma non
riuscì a vedervi nulla di strano. Si rivestì,
quindi, con abiti nuovi e profumati, che non le appartenevano ma che
erano totalmente nelle sue corde e che le andavano anche a pennello.
Avrebbe voluto poter contemplare la visione d'insieme. E un'idea
fantastica arrivò in suo aiuto
“Danjal?” chiamò e quello si
materializzò al suo fianco senza produrre il minimo rumore
“E' possibile avere uno specchio? Vorrei poter vedere se
sembro tanto ridicola” disse indicando i vestiti.
Alla sua richiesta, però, l'altro parve rabbuiarsi
“Lo specchio è una creazione del
demonio!” sibilò. “Stai benissimo, non
hai bisogno di altre conferme”
Dasa lo guardò esasperata “Se non me lo procura
lei, troverò un modo per arrangiarmi, può starne
certo...”
Danjal levò gli occhi al cielo “Sì, ti
conosco abbastanza bene da sapere che saresti capace di arrampicarti
sui mobili e distruggermi un lampadario di cristallo pur di ottenere un
frammento utile...seguimi...” La condusse, quindi, di nuovo
su per la scala da cui erano scesi e poi ancora su per altre rampe che
non aveva mai esplorato. Quella villa sembrava più grande di
quanto le fosse sembrato fino a quel momento. Anzi, sembrava quasi un
organismo vivente, che cresceva e si modificava.
Salirono al piano più alto, illuminato dal grande lucernario
sul soffitto. Oltre l'ultimo gradino si estendeva un largo e corto
corridoio – su cui si affacciavano solo le porte di due
stanze separate – che andava ad affacciarsi su un terrazzino
traboccante ogni sorta di esemplare vegetale che l'uomo potesse aver
mai visto. Un piccolo giardino pensile, mistico e proibito che a Dasa
ricordò il meraviglioso Crystal Palace dell'esposizione
universale. Danjal la guidò oltre la porta sulla sinistra e
quando vi mise piede, Dasa rimase esterrefatta. Le pareti erano
completamente rivestite di superfici riflettenti. Sembra essere una
pinacoteca privata adibita alla raccolta di specchi di ogni forma e
grandezza. Al centro della stanza stava un letto matrimoniale, grande e
spartano, rispetto a quelli che ricordava. Le lenzuola, dall'aspetto
caldo e peccaminoso, erano di raso di seta nero come la notte ma
l'insieme era spoglio delle classiche strutture che completavano il
talamo. Non che nella camera di un uomo si aspettasse il baldacchino,
ma almeno una raffinata testiera in metallo sì.
Scivolò oltre il modesto e incongruo giaciglio e si mise a
studiare ogni tipo di oggetto appeso alle pareti. La sua attenzione
continuava ad essere calamitata su uno specchio gigantesco che occupava
tutta una parete. L'unico altro spazio apparentemente vuoto di tutta la
stanza, oltre a un angolino in cui era confinata una scrivania
così minimale che Dasa si domandò se dovesse
ancora essere portata a termine.
“Una creazione del demonio, eh?”
ridacchiò nervosamente addentrandosi all'interno.
“Quello è un armadio” la
informò generosamente Danjal, divertito dal suo stupore e
sorvolando sul suo commento. Dasa si avvicinò, osservando la
figura gemella che le si avvicinava come ipnotizzata. “E meno
male che nulla avrebbe più potuto sorprenderti”
sghignazzò lui.
“Ritiro tutto” disse lei con umiltà, un
filo di rammarico le incrinò la voce. Notò subito
la scanalatura che correva, precisa e regolare, per tutta la lunghezza
di quella lastra.
“Devi premere, per aprirlo”
Sotto il suo tocco, avvertì il vetro scattare verso di lei.
“Posso?” domandò all'ultimo,
ricordandosi di cosa si trattasse. Lo vide, riflesso nel vetro, fare un
gesto vago con la mano e andarsi a buttare sul letto ancora tutto
vestito. Non che desiderasse che si spogliasse! Ma certo non era
d'accordo sull'insozzare quelle lenzuola, apparentemente fresche di
bucato, con gli abiti sporchi della giornata. Distolse lo sguardo e
tornò al suo strano specchio e ne assecondò i
movimenti espansionisti. In realtà, al posto di invadere lo
spazio antistante, le ante, accompagnate, andarono a sparire nei lati
della strana struttura, rivelandone il contenuto: vi stavano stipate
centinaia di scarpe di ogni foggia e colore, giacche con strani tagli
sartoriali, pantaloni confezionati con i materiali più
disparati. Frastornata dal contenuto, Dasa si affrettò a
richiudere con cura l'armadio.
Sollevando lo sguardo smarrito, si trovò a osservare la
propria figura. Ora era vestita con un corto bolerino a righe panna,
ecru e muschio, i cui rever erano impreziositi da diversi bottoni che
sembravano ingranaggi zincati assemblati assieme; la camicia a collo
alto era fermata sul collo da un bel fiocco rosa cipria che nascondeva
l'attaccatura degli jabot che ne valorizzavano lo scarso seno. La gonna
era il pezzo più complesso e particolare. Indossandola non
aveva avuto affatto percezione dell'effetto finale: la baschina a vita
alta, solcata trasversalmente da un paio di fibbie, era in un materiale
resistente simile alla pelle scamosciata e che, a colpo d'occhio
simulava l'effetto di un vero bustier pur senza costringerla realmente;
al di sotto, nella stessa stoffa della giacca, si estendeva un'ampia
gonna trattenuta alta su un fianco, in modo da permetterle di camminare
agevolmente. Nessuna crinolina, al di sotto, a renderla vaporosa, solo
l'uso sapiente di stoffe e tagli adeguati. Al suo posto, un paio di
brache, di foggia maschile, aderenti e in tinta con la rigatura del
completo, scivolavano all'interno di comodi stivaletti da aviatore.
“Soddisfatta?” domandò Danjal incerto
della sua reazione
Dasa annuì “Molto” confermò
in tutta onestà.
Lo vide alzarsi dal letto e dirigersi verso la scrivania.
“Almeno l'onestà ti è
rimasta” commentò soddisfatto
“Raccogliti un attimo i capelli” le
ordinò mentre si srotolava in mano un prezioso strangolino
di pizzo con un grosso cammeo centrale.
Nell'afferrarsi, docilmente, i capelli – mai contraddire il
proprio carceriere, padrone o qualunque altra figura fosse, quando
vuole farti un presente – Dasa si ricordò il
motivo per cui aveva, in realtà desiderato uno specchio. Con
abile noncuranza si volse appena verso il suo ospite, tendendo
però la coda dell'occhio alla propria nuca.
“Voltati!” la redarguì subito lui, quasi
che fosse spaventato che lei potesse, inavvertitamente, scoprire
qualcosa. E quel comportamento stava, sempre più,
alimentando la sua curiosità. Fingendo di accontentarlo,
cercò negli altri specchi un riflesso che le tornasse utile.
E lo vide. Sulla sua pelle bianca campeggiavano tre simboli, in una
grafia che non era certo europea. Non erano caratteri arabi
né asiatici.
Un'altra lawāmi
la investì come un fiume in piena con la sua sconvolgente
rivelazione: era ebraico. E ricordava la scritta europea NON.
Si volse, apparentemente ignara di tutto, verso l'uomo che avanzava.
Quando lui le cinse il collo con quel pezzo di stoffa e alzò
gli occhi sul loro riflesso per osservare la propria opera,
trovò gli occhi chiari di lei che non lo perdevano di vista
un secondo e lo fissavano esigendo una risposta. “Cos'ho
scritto sul collo?” si sentì domandare a
bruciapelo.
Danjal strabuzzò gli occhi, quindi abbassò lo
sguardo sulle spalle di lei, lisciandole grinze inesistenti.
“Non mi crederesti...”
Dasa roteò gli occhi. “E perché
mai?” domandò con acredine
“La Dasa che ho creato io...che eri... non mi crederebbe
mai...” disse sconfortato.
Dasa avrebbe voluto urlare per la frustrazione. Quell'uomo si stava
dimostrando schizofrenico, mettendo in scena una tale
varietà di emozioni e comportamenti paradossali che avrebbe
potuto scriverci un libro. Era degna di così poca fiducia se
anche fosse stato vero che si conoscevano e che lei era una sua creatura?
Mani ai fianchi, in una posa aggressiva e altera, si voltò a
fronteggiarlo “Non so che idea lei abbia di me, ma io non
sono la bambolina che crede. Non mi faccio sconvolgere da cose da poco
come una qualunque ragazzina svenevole”
“Forse hai ragione...” ammise lui seduto, ora, ai
piedi del letto, le lunghe dita intrecciate davanti alla bocca
“Allora?” sbottò impaziente.
“Perché tanta acredine? Tu eri dolce. Guarda che
non ti sono nemico...” disse nel tentativo di calmarla e
guadagnare un po' di tempo
“Se mi ha plasmato secondo il suo volere, strappandomi alla
mia famiglia natia non dovrebbe meravigliarsi dei risultati. Forse non
è stato un buon maestro” lo schernì
lei, sprezzante
Lui si rabbuiò nuovamente “Perché non
hai alcun ricordo di me? Sono quello che chiamavi se piangevi ogni
sera. Eppure, allo stesso tempo, sono quello che un po' odi e che ora
un po' ti fa paura” disse scuotendo la testa sconsolato
“Dove posso aver sbagliato stavolta?”
domandò rivolto a se stesso e quasi dimentico della giovane.
“Cosa. Ho. Scritto?” sillabò lei, ora
esasperata.
“Non spaventarti...” cominciò lui
“Tu...sei, effettivamente, una bambolina... e non solo
perché sei graziosa, o fragile, o piccolina.” si
affrettò a precisare notando lo scetticismo sul suo volto
“La verità è che tu sei...una mia
creazione...sei un, cosiddetto Golem.”
“Non mi prenda in giro” ribatté lei, per
nulla impressionata “I Golem sono impossibili da creare.
Anche se fosse, dovrei essere un gigante. Ho letto i diari di Ahimaaz
ben Paltiel nei quali segnala le notizie, del nono secolo, relative al
Golem di Maleventum e alla confraternita di Uria dedita a
crearli”
Lui annuì, lieto di non averla spaventata e che, per lo
meno, conoscesse parte della storia “Ahimè, non ho
trovato alcun materiale al riguardo e mi sono dovuto attenere ai
resoconti del rabbino Jehuda Löw ben Bezalel di Praga,
cercando di evitare i suoi errori. Tu, come tutti i servitori della
villa, siete mie creazioni. La parola che portate sulla nuca, emet,
verità, è l'unico modo per infondere vita a un
corpo senz'anima. Testi antichi parlavano di problemi legati a questa
pratica, alla perdita di controllo della propria creatura, come hai
giustamente ricordato tu. E prima di te, molti tentativi si sono
rivelati fallimentari. Tu sola sembravi perfetta...”
“Ha detto che anche la servitù sarebbe una sua
creazione” lo pungolò scettica
Lui annuì “Loro, però, sono solo dei
fantocci senz'anima. Dei veri Golem.”
“Non credo proprio di essere un mostro come quelli dei
romanzi di Mary Shelley. Non è stato lei a
dire...” l'interruppe Dasa, per niente impressionata
“Io ho ricordi!”
“In te ho cercato di riportare l'anima della mia amata Dasa.
E sei effettivamente lei, sotto molti aspetti. Ti sorprenderesti dei
passi avanti fatti dagli uomini in questo senso.” tacque,
valutando se procedere con il racconto “Per te è
stata una lunga prigionia. E a ben vedere, in effetti, può
definirsi anche tale. In realtà, si è trattato di
un lungo, lunghissimo sonno. Da quando sei morta a quando ti ho
trapiantata in questo corpo. Dormivi serena e pensavo che il tuo
risveglio non sarebbe avvenuto se non dopo molto tempo. Per quello mi
sono permesso di allontanarmi. Invece... Sono stato avvisato
immediatamente dell'accaduto. Ma rientrare è stato
più complicato del previsto”
“Due settimane non sono tanti, ovunque lei
fosse...” lo giustificò lei
“Due settimane sono un'eternità nel mondo di oggi.
Dimmi. Quanto credi di aver dormito? O di esser stata
rinchiusa?”
Dasa meditò a lungo. Aveva pochi indizi su cui sviluppare la
sua tesi. Ma la risposta più congrua alle sue constatazioni
entravano in conflitto con la sua percezione temporale. Scosse la
testa, arrendendosi
“Siamo nel 2035” Sussurrò piano Danjal
piantando gli occhi neri nei suoi “E' passato più
di un secolo. E quei vestiti, prima che te lo domandi, non sono il
normale modo di vestire delle signore del tempo, bensì
quello di un sotto gruppo di freak,
chiamato Steampunk.
Tu non sei che il suo clone, come si direbbe oggi. Ed ero troppo
affezionato al tuo corpo meccanico, su cui ho cominciato a lavorare
pochi mesi dopo la tua reale dipartita. Certo...” sorrise
stancamente “Oggi avrei potuto usare l'ingegneria genetica e
ricrearti tale e quale. Ma la divisione cellulare, spesso, va per i
fatti suoi, come nel caso di due gemelli apparentemente identici. La
moderna robotica non consente ancora, paradossalmente, risultati motori
eccezionali com'era invece possibile a inizio secolo.
Ogni tuo ingranaggio, ogni tuo bullone, l'ho selezionato personalmente
tra centinaia; a volte ho costruito io stesso degli ingranaggi che mi
servivano e che non esistevano.
Ecco perché l'acqua è così pericolosa,
per te.
Inoltre, non avevo cuore di marchiarti a fuoco, come una bestia, o
tatuarti come un galeotto, anche se ora si usa e nessuno si
sorprenderebbe. Ho usato la preziosa henna che tanto
adoravi ma che è sensibile ai lavaggi. Non voglio correre il
rischio di cancellare la scritta...”
“Da emet
a met,
morte” concluse lei. Era, effettivamente, dura da mandar
giù come notizia. Ma, stranamente, non le importava
più di tanto cosa fosse. O cosa lui credesse che lei fosse.
Era viva, e tanto le bastava
“Il risultato, tuttavia, ancora una volta, è
dissimile dall'originale.” mormorò afflitto
“La Dasa che amavo era sì indipendente ma non era
così sfrontata. Era graziosa e pacata. Tu sei un vero
monello.”
Ecco spiegata la sua ostilità e il suo comportamento a
tratti crudele: lui la disprezzava per essere diversa dall'originale.
Non la voleva. Eppure, per ora, non voleva nemmeno cancellarla.
“Ho letto che i traumi, talvolta, possono alterare il
carattere di una persona” disse soltanto, quasi cercando di
andargli incontro e trovare una soluzione che accontentasse entrambi
“Un secolo di sonno altererebbe chiunque. E non
c'è da escludere il fatto che, forse, in realtà
ciò che ricorda lei sia distorto dalla nostalgia. Magari
ricorda solo ciò che le fa comodo.”
Danjal sollevò lo sguardo sui suoi occhi che a lei,
vedendoli nello specchio, avevano dato l'impressione di essere
totalmente autentici.
Ciò che disse la fece sentire così leggera, che
neanche si era resa conto quando quella paura le aveva attanagliato le
viscere “Sei anche la prima che ha sufficiente coscienza di
sé. Che mi risponde, che si crede viva e che cerca una
soluzione”. Lui la stava realmente graziando?
“Spero solo che non mi disprezzerai per aver cercato di
riportarti in vita.”
Dasa reclinò la testa – per caso, quelli che
percepiva come muscoli in tensione erano soltanto ingranaggi, molle e
cavi che si tendevano? – “Mi concede di restare
viva. Cosa dovrei rimproverarle?”
“Di aver profanato il tuo corpo, la tua memoria... tutto. Di
cercare un tuo surrogato, per di più meccanico. E'...
morboso!”
“Ne è già cosciente”
replicò facendo spallucce “Che senso avrebbe
mettere il dito nella piaga?”
“Quindi...” domandò Danjal speranzoso
“Non mi disprezzi?”
Dasa batté le palpebre un paio di volte. Avrebbe voluto
porgli la stessa domanda. “No, affatto” disse
soltanto.
Il sorriso che illuminò il volto dell'uomo quasi
l'accecò. Era sincero e spontaneo e radioso. Non aveva nulla
in comune col ghigno maligno che gli aveva sempre increspato le labbra.
La abbracciò di slancio, fregandosene delle sue proteste,
riuscendo a farle dimenticare la domanda successiva: se era passato un
secolo, lui chi era?
Subito se la scostò di dosso, tenendola per le spalle
“Allora vieni, devo mostrarti un po' di cose, quelle cose
che, ti avevo detto, ti avrebbero sorpreso.”
“Non mi ha sorpreso scoprire di essere null'altro che una
bambola meccanica” replicò cercando di liberare la
mano dalla sua
“Vero! Però le cose belle ti lasciano ancora a
bocca aperta” disse strattonandola fuori dalla stanza tutto
entusiasta “...e poi dobbiamo rimetterci al lavoro.”
“Che lavoro?” domandò perplessa
Danjal si limitò a sorridere con fare cospiratorio
“Non ora. Quando te lo dirò, però, sono
sicuro che vorrai darmi una mano nella nostra battuta di
caccia”
Detto ciò non tollerò oltre l'essere trattenuto.
La caricò in spalla e scese in volata le scale, ordinando a
tutta la servitù di preparare l'automobile: loro erano,
finalmente, in partenza.
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Eccoci alla fine. Questa è tutto il prodotto per il contest
e, per
ora, la storia non procederà oltre.
Grazie a tutti coloro che sono passati di qua e si sono soffermati a
leggere.
a presto!
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