Be
still
Epilogo
Bella.
«Dobbiamo per forza?»
Guardai Edward che rideva davanti a me, con quella cinepresa in mano.
«Mi pare ovvio. Dobbiamo immortalare tutti i primi attimi di vita di
questa signorina.»
Risi con lui e quel movimento scosse per qualche secondo nostra figlia,
che dormiva tranquilla fra le mie braccia. «Allora fai in fretta, non
vedo l'ora di riposarmi.»
Sorrise e accese la videocamera. «Saluta!»
Mi sembrava tanto una farsa da commedia, così alzai gli occhi al cielo. «Ti prego.»
«Dai, non fare la scorbutica!», borbottò, puntando l'aggeggio verso di me. «Di' qualsiasi cosa.»
Sbuffai. «Inizia tu, sei il più bravo in certe cose.»
Sospirò e girò la cinepresa verso di sé. «Da dove comincio? È l'una e
mezza del primo gennaio duemila e tredici, siamo al Memorial Hospital
di Jacksonville e be... Oggi è avvenuto il miracolo più grande che
potesse capitarmi.»
Guardai la nostra piccola, accoccolata sul mio petto, che respirava velocemente.
«Lei», sussurrò, indirizzando la telecamera verso di me. «È mia moglie, la donna più bella del pianeta.»
Ridacchiai, sminuendo il fatto. «Che ora sembra per lo più uno zombie, dato che non dorme da quanto, sette ore?»
«Stt, rovini il filmino!», mugugnò, per poi tornare a riprendere.
«Stavo dicendo. Lei è la donna che oggi ha saputo rendermi la persona
più felice del mondo.»
Zoommò il più possibile sul viso della figlia, con un sorriso sul volto
che non si poteva decifrare se non si conosceva il perché. «Lei, mia
moglie, mi ha reso padre di questo gioiellino qui. E lei... è Zoe
Nevaeh Joy Cullen...»
«Sai vero che ci odierà quando sarà grande?», intervenni io, sapendo
già come la pensavo su quel nome lungo metri. «Dovrà firmare tutti quei
nomi... Poverina.»
«Penso taglierò tutte le parti in cui parlerai a sproposito.», disse
Edward, visibilmente infastidito. «Riprendiamo, e ora non dire altro.
Dicevo che lei è la nostra Zoe, la signorina che stanotte, a mezzanotte
e tre minuti, mi ha rubato il cuore come la sua mamma ha fatto quasi
sei anni fa.»
Mi sciolsi a quella frase e accarezzai i capelli di nostra figlia.
«Bisogna spiegare che dietro a questo nome c'è un suo significato.»,
mormorò Ed, totalmente rapito. «Non riuscivamo a metterci d'accordo,
prima del parto, perché a me piaceva Joy, a Bella Nevaeh... Che poi mi
spieghi come ti è venuto in mente?»
«Hai detto che non posso più intervenire.», borbottai sarcastica.
«Che pizza... Comunque. Alla fine, quando l'abbiamo vista per la prima
volta, quando ha deciso di farsi conoscere, ho capito quale nome era
perfetto per lei. Zoe è... divino. Significa vita, ed è quello che è
per noi questa bambina stupenda. Nevaeh, anche se può sembrare strano,
è uno dei nomi che più amo, proprio perché l'ha scelto Bella. È
l'acrostico di Heaven, paradiso. E Joy... Be', questo è abbastanza
chiaro.»
«Rettifico: ci odierà quando diventerà più grande.»
Borbottò qualcosa sottovoce. «Ti ricordo che ho fatto mettere le
virgole fra un nome e l'altro, così per la legge lei potrà firmare con
solo Zoe.»
Sorrisi e mi adagiai nei cuscini. «Zoe è... l'amore. È stupenda, morbida, profumata e incredibilmente...»
«Perfetta.», conclusi io, sfiorandole le guance piene.
«Pesa tre chili e cinquecentoventi grammi ed è lunga cinquanta centimetri. È perfetta in tutto.»
«Credimi, il peso si è sentito eccome quando è dovuta uscire.», confabulai e Edward rise. «Su, non fare la melodrammatica.»
«Fai uscire un'anguria da un limone.», constatai e lo feci ancora sorridere.
«Devi essere sempre volgare.», ridacchiò e i suoi occhi brillarono quando Zoe, tra le mie braccia, si svegliò.
«Ecco, l'abbiamo svegliata. Non ha neanche due ore e già le rompiamo le scatole.»
Era così piccola fra le mie braccia... Sembrava essere leggera come una piuma, altro che tre chili e mezzo...
«Ciao, amore.», sussurrai contro il suo naso e le sue labbra si
arricciarono. Ben presto la sua voce si espanse per tutta la stanza e
in tutti i modi tentai di tranquillizzarla.
«Dici che ha fame?», sussurrai, vedendo che ogni tentativo era invano.
Edward fece spallucce e provai a ricordarmi come avevano detto le infermiere, sebbene fossi molto impacciata.
Slacciai la camicia da notte tanto da scoprire il seno e ben presto la piccola trovò il capezzolo e prese a succhiare.
«Sì, direi che ha molta fame.», mormorò Edward, filmando tutta la
scena. Fino a qualche ora prima, glielo avrei proibito, forse per uno
stupido fatto di imbarazzo. Ma ora, con Zoe finalmente tra le braccia,
era diverso. Essere madre mi rendeva diverso, anche se lo ero da
relativamente poco.
Ed spense la videocamera appena vide che cominciavo ad abbandonarmi al mondo dei sogni e mi posò un bacio sulle labbra.
«Vi amo.»
Sorrisi. «Anche noi.»
Zoe, tra di noi, si era un attimo staccata e aveva cominciato a gorgogliare.
«Be', direi che anche lei approva.», rise lui e baciò la testolina della figlia.
«Ma quanto è piccola!»
«Amore, ma sei stupenda!»
«Posso tenerla un po'? Ce l'hai da tutto il tempo.»
«Ma se l'ho appena presa!»
Osservai sorridendo quella scena che ormai da qualche ora si ripeteva
senza sosta nel salotto di casa nostra. Le nostre famiglie si erano
quasi accampate da noi, e tutti volevano tenere in braccio per molto
più tempo Zoe.
«Spero non la facciano cadere.», borbottò Edward al mio fianco, che guardava quelle persone spupazzarsi sua figlia.
Gli sfiorai la spalla, appoggiandoci il mento. «Rilassati. Penso che i nostri genitori abbiano un po' di esperienza, no?»
«Mi preoccupo di più di Emmett: è grande e grosso... E se la schiacciasse?»
Risi e vidi il suo migliore amico girarsi con Zoe tra le braccia. «Ti ho sentito!»
Sembrava essere così sicuro di come tenere un bambino... Be', ovvio.
Anne aveva ormai un anno e mezzo e ancora ricordavo i primi periodi a
casa loro, quando la piccola piangeva e lui si fiondava nella culla per
consolarla.
«Hai visto? È quasi il grande gigante gentile.», mormorai ma comunque Ed non si tranquillizzò.
«La stanno sballottando troppo...», borbottò e capii che avrebbe voluto
tenersi la figlia solo per sé. Anche per me era difficile vedere Zoe
fra le braccia degli altri, perché... Perché era mia, era nostra, ero
gelosissima della nostra bambina. Ancora dovevo abituarmi a non averla
dentro di me, e soprattutto non potermela sempre tenere sul petto.
Nonostante tutto, era nata da solo un giorno, e forse non era stata
un'ottima idea portarla già a casa...
«Ancora mi chiedo come abbiate fatto a creare un simile capolavoro!», esclamò Rosalie, carezzando il viso paffuto della neonata.
Stavo per dire qualcosa, ma Emm mi anticipò. «Eeeh, Rose, come pensi che ci siano riusciti?»
Tutti scoppiarono a ridere e quel trambusto scombussolò Zoe, che iniziò
a piangere. Io e Edward ci alzammo assieme e subito prese la piccola
fra le braccia.
«Sttt», le sussurrò all'orecchio, cullandola. «Amore, sttt...»
«Probabilmente c'è troppo rumore, e tutto questo la spaventa.», fece
mia madre, massaggiandomi le spalle. Dio, ero rigida come un manico di
scopa... Ogni volta che Zoe piangeva, mi saliva l'ansia, perché non
riuscivo a capire cosa avesse.
E se aveva caldo o freddo, o aveva fame oppure doveva fare il ruttino,
oppure aveva sonno o se era solo infastidita da qualcosa...
«Cos'ha?», chiesi allarmata e piano piano il pianto della piccola scemò. «Probabilmente si è solo spaventata.»
Annuii e mi sentii solo inutile. Perché non capivo cosa avesse mia
figlia? Tutte le madri avevano una specie di sesto senso e intendevano
al volo di cosa avesse bisogno il piccolo. Ma perché io no?
«Quando ha mangiato?», chiese Esme. «In auto, prima di arrivare qui.»
Sì, tre o quattro ore prima, più o meno.
«Allora è probabile che abbia fame... Forse è meglio se andiamo a casa.»
«No!» La mia voce si alzò di qualche ottava e Zoe sussultò. «Non ci dà fastidio, anzi.»
Edward mi posò la bambina fra le braccia, che subito formarono una
culla per accoglierla. Quando avevo la piccola, tutto diventava
naturale, ma quel pensiero nella mia testa ancora non mi dava pace.
«Ti fa male?», chiese Renée, vedendo la mia espressione corrucciata. «No, no, anzi.»
Guardai mia figlia che teneva una manina sul mio seno. Le guance piene
erano segno che, comunque, qualcosa mangiava, dato che quando era nata
avevo avuto anche quel timore.
«È proprio una bambolina...», sussurrò Charlie e vidi nei suoi occhi la
stessa luce che aveva brillato nei miei occhi quando avevo visto Zoe
nascere.
Ebbi l'impressione che la bambina avesse il dono di far innamorare
tutte di sé, e come non poteva? Sembrava una bambola di porcellana, con
quella pelle così candida, le gote rosate, le mani così piccole...
«In ogni caso, è tardi... Dobbiamo tornare a casa.» Tutti si alzarono e
uno per uno vennero a salutarmi, per poi dare un bacio sulla testolina
di Zoey.
«Se hai bisogno, tesoro, chiamami.», mormorò mia madre, accarezzandomi
i capelli. Io annuii, sorridendo. «Spero che vada bene, la prima notte
a casa.»
In casa nostra, all'improvviso, calò il silenzio, rotto solo dai gorgoglii prodotti da Zoe che ciucciava come una forsennata.
«Sono tutti innamorati di lei.» Edward sorrise e si sedette accanto a
noi. Ricambiai il gesto, posando il capo sulla sua spalla. «Eh già...»
«Sono un po' geloso, devo ammetterlo.», ridacchiò e mi baciò la tempia. «Vorrei che fosse solo mia...»
«Pensi che anche per me non sia così? È strano non averla più dentro di
me... Prima potevo sentirla solo io, adesso tutti la desiderano.»
«La rinchiuderò in una torre fino ai quarant'anni.», bisbigliò contro i
miei capelli e insieme ridemmo, per poi tornare a osservare nostra
figlia. Ci guardava incuriosita, con gli occhietti spalancati.
«Ha i tuoi occhi...», sussurrai convinta e un sorriso di Edward sfiorò la mia guancia.
«Amore, tutti i bambini nascono con gli occhi grigi, o azzurri. Secondo me diventeranno come i tuoi.»
Scossi il capo, convinta. «Sono certa che no, avrà i tuoi bellissimi
occhi verdi. I capelli sono chiari... Be', io da bambina ero quasi
bionda, quindi.»
Ed mi scostò una ciocca di capelli da davanti al volto e mi baciò la
spalla. «Sei stanca?», mormorò, vedendo il mio sguardo assonnato. Be',
in ospedale avevo dormito ben poco, ma mi avevano avvisato le
infermiere, dato che i neonati dormono di raro i primi giorni.
«Mh, un po'.», ammisi, carezzando a folta peluria chiara di Zoe. Si era
staccata e ci fissava, anche se il suo viso trapelava l'imminente
bisogno di dormire.
«Ciao...» Quella frase uscì in un sussurro, contro la fronte della
bambina. Con una mano sola riallacciai la camicia e iniziai a cullarla,
ma Edward la prese con sé.
«Perché non vai a dormire? Finisco io con lei.», mormorò amorevolmente.
Gli sorrisi. «Anche tu avresti bisogno di dormire, sai?»
«Tu sono tre giorni che non dormi, e hai ancora addosso tutta la
stanchezza del parto. Io al massimo ho una mano un po' gonfia, ma cosa
vuoi che sia?»
Non so come avevo fatto, ma durante il travaglio le mie contrazioni
erano state tanto forti che l'unico modo per scaricare la tensione fu
di stringere la mano di Ed... Che si era gonfiata in modo improponibile.
«Dai, vieni.» Presi la mano che Edward mi stava porgendo e
salimmo le scale che portavano nella nostra stanza. Posò Zoe nella
culla, accanto al letto, e mi aiutò a indossare il pigiama. Riusciva a
essere così dolce anche con poche ore di sonno arretrate...
Mi sdraiai a pancia in su e lui mi adagiò Zoe sul petto. La circondai
con le braccia, e sembrava ancora più minuta nell'oscurità.
«Siete bellissime...», disse, accarezzando prima il mio viso e poi quello della neonata. «Ora però dormite.»
Prese a canticchiare la sua ninnananna e dopo pochi secondi mi ritrovai nel mondo dei sogni.
Edward.
La vita, nei miei ventotto anni, non aveva ancora smesso di riservarmi
tutte le sorprese possibili. Da quando ero tornato a casa, avevo
cominciato a sentire dentro di me formarsi qualcosa simile a una gioia
indescrivibile, e neanche io ero riuscito a decifrarla.
Ogni volta che guardavo il pancione di Bella deformarsi sotto i calci
della bambina sorridevo, e capivo cosa mi ero perso. Ma in quella
settimana avevo recuperato alla grande, avevo fatto tornare a Bella la
voglia di vivere la fine di quella gravidanza nel migliore dei modi.
L'avevo portata in giro per negozi, le avevo fatto scegliere tutti i
vestitini per la bambina e soprattutto le prime tutine: una blu con un
camioncino se fosse stato maschio, e una rosa con gli orsetti se fosse
stata femmina.
Avevamo preso alla leggera l'idea che il parto potesse anticiparsi,
perché tutto era tranquillo e non c'era bisogno di preoccuparsi
inutilmente. E invece... Invece la situazione era andata per il verso
opposto.
Fu strano vedere Bella stare male, per giunta per colpa mia... Le
facevo stringere la mia mano, cercando di darle più conforto possibile
nonostante il dolore.
Ma tutto divenne reale per me quando la vidi per la prima volta. Avevo
intravisto solo le mani della dottoressa uscire dall'acqua tenendo un
corpicino coperto di sangue, pieno di grinze e piegoline, per poi
posarlo sul petto di Bella. In quel momento tutto prese il posto giusto
nella mia vita.
Sentire la voce di mia figlia per la prima volta, vedere i suoi occhi
aprirsi, i pugnetti agitarsi nell'aria... Tutto aveva finalmente un
senso, la mia vita aveva acquistato un senso.
Ero nato per amare Bella, e per creare con lei la mia più grande soddisfazione: mia figlia.
La prima volta che incrociai i suoi occhi capii che era mia, era parte
integrante di me, lei era metà me, geneticamente. L'avevo guardata così
intensamente da intendere che il mio dovere, ora, era proteggerla, così
piccola e fragile contro il mondo intero. Il mio cuore si era
improvvisamente sdoppiato per una nuova persona, la mia seconda donna.
Ogni fotogramma l'avevo custodito avaramente, nei minuti dopo; avevo
fotografato tutto di lei: la prima pesata, le infermiere che la
vestivano, Bella che mi sorrideva nonostante il dolore appena
passato... Erano i primi passi della nostra grande avventura.
Averla stretta tra le mie braccia, qualche minuto dopo la sua nascita,
era stata un'emozione incredibile: era così minuta, così morbida,
profumata... così mia, così nostra.
«Benvenuta al mondo, amore mio.» Erano state delle parole che mi erano
nate spontanee prendendola in braccio. Ancora non mi capacitavo di
essere diventato padre, e anche Bella ancora non assimilava l'idea.
Un pianto cominciò ad espandersi dal baby phone, segno che Zoe aveva deciso di aver dormito fin troppo, forse.
«Ma quanto è passato dall'ultima poppata?» Bella era in uno stato di catalessi e non aveva neanche aperto gli occhi.
«Due ore, ma stai tranquilla, vado io.» Le baciai la fronte e scesi dal
letto, per poi dirigermi nella cameretta di Zoe. Piangeva a pieni
polmoni, gli occhi pieni di lacrime, le guance umide.
«Ehi, ehi, principessa.», le mormorai, alzandola dal materassino e
posandomela sul petto. Più la cullavo, e più i suoi lamenti si
abbassavano, fino a diventare un rantolo.
«Brava, amore di papà, brava.» La mia voce doveva suonarle quasi come
una nenia, perché si calmò e potei portarla fuori dalla cameretta,
arrivando poi nel piccolo soggiorno al fondo del corridoio.
Guardai fuori dalle finestre: il cielo era limpido, senza una nuvola, e
potevano vedersi benissimo le stelle, che trapuntavano tutto come
minuscoli puntini bianchi.
«Guarda, Zoey, guarda quante stelle.» Mi posizionai in modo che anche
la piccola potesse guardare fuori. La leggera luce dei lampioni esterni
le illuminarono il viso, e ancora una volta mi persi a rimirarla: gli
occhi così chiari, il naso perfetto, le guance paffute, quella piccola
bocca a cuore, uguale a quella di sua madre... Ero innamorato, ero
innamorato di mia figlia.
«Vedi quelle stelle lassù, amore? Su una di loro, c'è un angelo che ti
osserva e veglia su di te, una persona che per noi era speciale ma che
ora è lassù... Ma, anche se tu non l'hai conosciuta, tua zia era la
persona più dolce sulla terra. Si chiamava Joyce, e il tuo nome deriva
da quello, solo che è un'abbreviazione. Era la sorella più grande di
papà, oggi avrebbe trent'anni, sai?»
Un groppone mi salì in gola, guardando mia figlia e pensando a quello
che era successo. «La mamma l'ha conosciuta e... Anche lei sa che
persona meravigliosa era. Purtroppo la zia è volata in cielo quando era
giovane, aveva solo vent'anni... Una brutta malattia l'ha portata via,
ma ora sta meglio, e da là ti osserva e prega per te, amore mio.»
Un singhiozzo dall'altra parte della stanza attirò la mia attenzione, e
quando mi girai trovai Bella sulla soglia della porta che si asciugava
le lacrime.
«Ehi, amore...» La chiamai e mi venne vicino, nascondendo il volto sul mio petto. «Stavo.. Stavo ascoltando quello che dicevi.»
«Scusa se ti ho fatta piangere.», mormorai, baciandole la fronte. «È che Joyce mi manca, e tanto anche.»
La mano di Bella si posò sulla mia schiena. «Lo so, amore... Però ora è lassù che veglia su di noi, giusto?»
Annuii. «Spero che le faccia piacere che Zoe abbia il suo nome, anche se un po' storpiato.»
«Ne sarebbe felicissima, tesoro.» Le sue labbra si posarono sulle mie, dolcemente, e sapevo che era un bacio di conforto.
«Spero che continui a guardarci da lì, soprattutto che protegga Zoey...»
Bella mi carezzò la guancia. «Lo farà, lo aveva promesso.»
È passato un altro giorno, e ancora non ci sono notizie.
Ormai attendevo solo di ricevere risposte, un segno, qualunque cosa. Mi
sentivo strano, quasi estraniato dal mondo. Improvvisamente, neanche
Zoe riusciva a rendermi spensierato e cancellare dalla mia mente ogni
traccia di preoccupazione.
«Ehi, Edward, stai bene?»
Bella mi posò una mano sulla spalla. Aveva in braccio Zoey, che continuava a piangere ininterrottamente ormai da un'ora.
Annuii e lasciai che si sedesse. I suoi occhi erano contornati da
occhiaie livide, i capelli erano arruffati e aveva l'aria di uno zombie.
«Vuoi darla un po' a me?», chiesi e fece segno di no. «Non si calma in
nessun modo... Ho provato a cantarle qualcosa, farle ascoltare la
musica, farle i massaggi alla pancia... Nulla, non funziona nulla!»
«Magari ha solo fame...», mormorai e mi lanciò un'occhiataccia. «Ha mangiato solo un'ora fa! »
«Cosa vuol dire? Ha due giorni, quanta fame vuoi che abbia?»
Sospirò. «Ti prego...»
«Riattaccala, vedi se ho ragione!», sbuffai e attaccò Zoe al seno.
Secondo i miei presupposti, quella bambina aveva fame, e anche molta.
«Mi prosciugherà, ne sono certa.», borbottò costernata e mi avvicinai a
loro. Quella scena ormai si presentava davanti a noi ogni tre ore da
due giorni, eppure, nonostante fosse normalissima, continuavo a
perdermi davanti a mia figlia e a mia moglie.
«Mi fa male tutto. E meno male che le infermiere avevano detto:”Vada a
casa e si riposi!”. E certo, con una figlia che non fa altro che
mangiare è facile.»
Risi e Bella mi dette uno scappellotto sulla nuca. «Zitto tu, non ridere.»
«Rido perché penso che se qualcuno entrasse adesso, ci prenderebbe per pazzi.»
«Già, è... Dorme!»
Quella frase le uscì in un sussurro e quando abbassai lo sguardo mi
accorsi che la bambina aveva chiuso gli occhietti e aveva lasciato
andare il seno di Bella.
«Prima ha fatto a mo' di ventosa.», mugugnò e lentamente infilò un dito
nella boccuccia di Zoe, che prese a succhiare la pelle della madre.
«Tienila un pochino tu. Mi è sembrato di sentire il postino.»
Accolsi Zoe ben volentieri e mi persi nell'ascoltare il suo respiro
regolare contro il mio petto. Passava dalle urla di totale disperazione
al silenzio... Incredibile.
«C'è qualcosa per te.»
Alzai lo sguardo verso Bella, che fissava interrogativa la busta
bianca. Già sapevo, e il mio cuore cominciò a correre come mai prima.
«Aprila.», sussurrai e lasciai che si appoggiasse sulla mia spalla.
«Viene dall'esercito.» La sua voce si ruppe, temendo già il peggio.
«Cosa dice?» Cominciò a leggerla velocemente, corrugando sempre di la fronte.
«Allora?»
Il suo sguardo si posò sul mio. «Cosa diavolo è?»
Le tolsi di mano il foglio, e subito capii. «Quello che c'è scritto.»
Mi guardò ancora una volta e i suoi occhi si riempirono di lacrime. «Vuol dire... Vuol dire...»
Posai Zoe nella carrozzina, aspettandomi che Bella mi saltasse fra le
braccia. «Vuol dire che sono in congedo a tempo indeterminato.»
Intese alla perfezione le mie parole e si lasciò andare in un pianto
liberatorio. Ben preso la mia maglia fu inzuppata ma poco mi importava:
ora Bella sapeva, e io ero felice, leggero.
«Cosa vuol dire?»
Le presi il volto fra le mani, con un sorriso per metà di felicità e
per l'altra... Non sapevo neanche come definire quel sentimento così
strano.
«Vuol dire che rimarrò, rimarrò qui, con te, con Zoe, con voi.»
Le sue labbra ritrovarono le mie e tutto si scatenò dentro di esso.
Felicità, amore, sollievo, liberazione, rabbia, rassegnazione...
Centinaia di emozioni contrastanti, che avevano preso posto nelle
nostre anime per troppo tempo.
«La vedrò crescere, sorriderci, fare le prime pappe, i denti spuntare,
gattonare, parlottare, camminare... Tutto, questa volta non mi perderò
nulla. Starò qui per sempre.»
«Sul serio?»
Annuii, accarezzandole i capelli. «Per sempre, amore mio. Questa volta è una promessa.»
E, da buon gentiluomo che ero, quella volta l'avrei mantenuta. Non le avrei mai abbandonate.
Sul mio viso nacque un sorriso che trapelava tutta la verità di quelle parole.
Eravamo una famiglia: io, Bella, Zoe...
Ero un soldato, ma prima di tutto ero un uomo, un marito, un padre. Eravamo solo noi: fatti per amarci, per rimanere uniti.
«Per sempre.», ripeté Bella, sulle mie labbra. E in quel momento, dentro di me, di noi, nacque una consapevolezza.
Ora avremmo vissuto sapendo che non ci saremmo mai più divisi.
Il “Per sempre”, adesso, era stato marchiato, divenne incancellabile, e dopo tanto tempo, poté essere considerato tale.
Angolino tutto mio :3
È
strano, lo ammetto. Non ho mai scritto un epilogo in vita mia, questa è
stata la mia prima volta e... sono leggera, sono felice.
È una sensazione stramba, davvero. Ogni giorno dicevo: oggi posto
l'epilogo!, eppure mi mancava sempre la forza per cliccare quel tasto
"la tua storia è completa?", per dire addio...
Ma so che tanto non ha senso rimandare, prima o poi avrei dovuto farlo, perciò eccomi qui.
Come dicevo, è strano, per me, scrivere dei ringraziamenti, e aver
completato una storia per la prima volta. Ho passato giorni a chiedermi
se quello che faccio è buono, serva a qualcosa o se fa emozionare
qualcuno... Ancora adesso, mentre scrivo, me lo sto chiedendo.
In qualche modo, con questa storia, ho voluto farvi provare quello che
provavo io, quello che centinaia di famiglie, là fuori, sono costrette
a sentire, perché qualcuno di caro si è allontanato per amore della
Patria, e proprio come questi Edward e Bella non smettono di amarsi
anche se li dividono migliaia di chilometri.
Ho amato, ho pianto, mi sono arrabbiata, ho pensato di mollare tutto,
scrivendo Be Still, però mi sono ripresa, ho capito che non dovevo
essere così, perché a voi, a quanto mi è parso - correggetemi, in caso
contrario, è piaciuta.
Se è così, ditemelo e sappiate che mi farete piangere come mai prima!
Però penso che siano dovuti dei ringraziamenti, perché senza alcune persone, ora non sarei qui.
Innanzitutto, voglio dire un immenso grazie alla mia Sanya,
la mia dolce e tenera Sanya. Tesoro, tu sai perché ho scritto Be Still,
sei stata una delle prime persone a venire a conoscenza del progetto, e
sai quanto ci tenevo a portarla a termine. So che per te è difficile
leggere questa storia, e non so neanche se passeranno mesi prima che tu
arrivi qui, ma non importa. Voglio dirti grazie perché tu mi hai
ispirata, tu mi hai dettato inconsciamente tutte le vicende di Edward e
Bella di questa fanfiction, tu mi hai fatto vivere emozioni mai provate
prima. Metà del merito e dei complimenti spettano a te, tesoro. Ti
voglio bene.
A seguire, Simona, Bianca, Lulu, Jess, Aurora e Camilla.
Ragazze, grazie a voi sono arrivata qui, perché mi avete incoraggiata a
non mollare, a non cancellare tutto solo per un mio dispetto; avete
passato ore a ripetermi quanto ci tenevate a Be Still, a quanto vi
eravate emozionate e perciò non c'era motivo per mandare all'aria
tutto. Voi mi avete sostenuta moralmente per tutto questo tempo, e so
che ancora lo farete... O meglio, lo spero! HAHAHAAH. Voi mi dite
sempre che quello che faccio è importante e se ho bisogno di scrivere,
lo devo fare, non devo fermarmi, non devo lasciare che sia qualcuno a
dettarmi le mie scelte. Voi siete le mie muse, siete le mie
ispiratrici: parlo con voi, e io so che qualunque cosa scriva, è merito
vostro, perché con il vostro amore nei miei confronti, mi date il
coraggio di tirare avanti e di tirarmi sempre su, qualunque cosa
accada. Vi voglio bene, lo sapete perfettamente.
Ad Ania, che legge assiduamente tutto ciò che scrivo, sebbene non ami moltissimo questo pairing AHAHAHAH ti voglio bene tesoro.
A Mary Fely, perché con lei ho sclerato ore HAHAAHAH grazie tesoro, ti voglio tanto bene.
Alle mie compagne di classe Martina, Erica, Lucrezia e alle altre perché,
nonostante mi vergogni da fare schifo, mi seguono e mi dicono sempre
che sono brava e non devo mollare mai... Sappiate che mi vergogno
tutt'ora! AHAHAHA vi voglio bene :)
A tutti voi altri che
avete letto Be Still e magari vi siete emozionati davanti a un monitor
- lo spero, e che mi avete seguito fin qui. Vi sono debitrice, e anche
se non vi conosco, sappiate che tengo a voi veramente tanto, siete la
mai certezza per andare avanti :)
E ovviamente un GRAZIE enorme per avermi seguita nonostante le
avversità, anche se i miei aggiornamenti arrivano a ogni morte di papa
LOL
Nulla... Non so che dire, in realtà sto piangendo...
Proprio ieri, 7 febbraio, sono
passati 3 anni da quando cliccai il tasto "Registrati" qui, su EFP... E
quale modo migliore se non completare, dopo così tanto tempo, la mia
prima storia?
Ovviamente, aspetto le vostre recensioni, anche di chi non si è mai
fatto sentire: sarebbe importante per me perché mi fa capire che il mio
non è tempo sprecare e non sono parole al vento.
Detto questo, mi ritiro. Grazie, di tutto, di cuore, dal profondo della mia anima. Mi fate sentire bene, voi.
Un bacio enorme,
Giulia.