La più bella di tutte
Lei ti
guarda con aria indecifrabile.
«Sei
bellissima, lo sai?»
Le tue
parole, d’altro canto, sono più nude della
roccia – non pensarci, dio, non pensare al tuo braccio
incastrato.
«Il
bianco ti dona».
Lei
continua a guardarti senza battere ciglia.
Sembra
quasi rimproverarti, ma quella sua espressione seria e attenta
ti ricorda tanto una bambina che ti ascoltava col più grande
impegno del mondo.
«È
una fortuna, no? Il bianco ti sta bene, e tu
sarai una sposa doppiamente stupenda».
Parli a
vanvera, appoggiato contro il masso che ti imprigiona
nell’ombra chiara di quell’insenatura –
fa male, dio, fa male, e forse abituarsi al dolore è ancora
peggio, ma adesso non vuoi pensarci.
Ti
tremano le palpebre, mentre serri convulsamente la mano sinistra.
Sembra un
tic nervoso.
«Pensa
a quelle spose che stanno male col bianco. Una grossa
sfortuna, giusto?»
Lei
è sempre lì che ti fissa, confusa tra
granelli di pulviscolo e un raggio di sole.
È
sempre lì che ti fissa, in piedi tra le pietre
che saranno la tua tomba.
«Lo
so cosa vuoi dirmi. Non capisco nulla di vestiti e ho un
gusto orrendo, lo so».
Le labbra
screpolate ti fanno quasi male (un po’
come… No,
non ci pensare) e cerchi di non farci caso.
«Comunque,
anche se stessero bene col bianco, non cambierebbe
nulla».
La tua
voce trema.
Lei non
si è mossa, né ha cambiato espressione.
«Saresti
sempre la sposa più bella di
tutte».
In un
attimo di follia, vorresti scoppiare in una risata isterica.
Sai bene
che lei è frutto della tua fantasia – la
disidratazione e lo stress le danno manforte – e non puoi
fare a meno di domandarti perché non sia più
consolatoria.
Ti
piacerebbe un abbraccio, per dirne una. O un bacio – ti
piacerebbe molto.
Ma lei
sta lì a guardarti e basta.
«Mi
dispiace, sorellina. Mi…»
La voce
ti si spezza. Una spaccatura fragorosa.
«…dispiace».
Con quel
gemito strozzato ancora sulla lingua, ti accorgi del suo
sguardo.
La sua
espressione è impassibile, è vero, ma il
suo sguardo… Quello è pieno di tristezza.
Di
rimpianto.
Lo stesso
rimpianto che ti chiude la gola.
E tu non
riesci proprio a sostenerlo, uno sguardo così.
«Sai,
spero solo…»
Devi
deglutire e ricominciare – fa male ma non devi pensarci,
fa male e hai paura, ma devi rimanere lucido.
«Spero
solo che un funerale non rovini il tuo
matrimonio».
Lentamente
– dolorosamente – lei china il capo.
Chiude
gli occhi, ma da sotto le sue ciglia sorge una lacrima che le
scivola sulla guancia.
«Sii
felice, okay? Essere felici è meglio che
essere tristi».
Quella
lacrima è ancora lì, sospesa sulla sua
pelle.
Ti fa
vibrare il petto di un singhiozzo trattenuto a stento.
Vorresti
inginocchiarti e chiedere scusa mille, duemila, tremila volte.
«Sii
felice per l’uomo che vuole passare il resto
della vita con te. Non triste per il fratello che non aveva mai
tempo».
“Fratello”.
Quella
parola sembra essersi bloccata nella tua gola.
D’altronde,
questo squarcio della tua vita sembra essere
nelle mani di coreografi un po’ pazzi.
Lacrime
che si fermano, parole che si bloccano… Braccia che
si incastrano.
Belle
scene, eh?
Alzi lo
sguardo appannato, cogliendo un ultimo barlume della sua
bellezza.
Un ultimo
barlume di guance rosse, capelli scuri e coroncina di fiori.
Stringi
la mano sino a farti sbiancare le nocche, col respiro tremulo
per la paura.
Nessuno
sa dove sei. Nessuno.
Ti
accorgi di aver cominciato a piangere solo quando ti bruciano gli
occhi.
Note:
Ieri sera ho visto “127 ore”.
E – santo cielo – la prova di James Franco
è spettacolare (tanto che volevo esordire con
“James Franco è un Dio”).
Comunque, chi mi conosce sa che ho la fissazione per i rapporti
fraterni… Perciò come non potevo non impuntarmi
sul legame tra Aaron e sua sorella?
Spero di non aver scritto idiozie.
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