STAGIONI -
PARTE
PRIMA
PRIMAVERA
I ricordi
fanno parte
della vita delle persone e ne influenzano gioie e dolori. Fino a un po'
di
tempo fa, i ciliegi
che fiorivano e la
natura che si risvegliava dopo il freddo inverno mi evocavano solo
dolore e
tristezza: è stato in quel periodo che Soichiro, il mio
primo marito, è morto
improvvisamente.
Oggi, vicino
a Yusaku,
posso festeggiare qualcosa di meraviglioso grazie a te, piccola mia.
Haruka,
sei il mio miracolo: hai ridato gioia e colore alle mie primavere con
la tua
nascita e oggi, invece di recarmi in un triste cimitero a visitare mio
marito,
posso festeggiare il tuo compleanno con il tuo papà.
Grazie,
tesoro, grazie
di essere venuta al mondo proprio in questa stagione. Grazie per darmi
dei
ricordi belli da rivivere ogni giorno, Haruka.
"Kyoko, come devo mettere questi
festoni?". Si
affacciò dalla stanza numero due cercando
con lo sguardo sua moglie, ma non la vide da nessuna parte. Invece gli
arrivò
una poderosa pacca sulla spalla.
"Ehi Godai, guarda che tua moglie
è andata a far
spese!". Il vocione di Ichinose lo distolse dai suoi dubbi.
"Altre spese?! Ma come...". Dal
cortile gli arrivò
la vocina allegra di Haruka che giocava con il cagnone bianco di Kyoko.
"Chiro. Chiro!". Esultava felice
tirandogli la
coda per indurlo a uscire dalla sua casetta.
Sorrise e raggiunse la sua bambina,
accosciandosi accanto a
lei. "Lascialo stare, tesoro, si vede che non ha voglia di giocare".
Come a sottolineare la veridicità delle sue parole, il cane
emise uno dei suoi
più malinconici 'bau' girando verso di lui il testone
candido.
"Ma mi 'gnoio, vojo 'care con
Chiro!". Non ci mise
molto a capire che la bimba si annoiava e voleva giocare con il
riluttante
Soichiro.
"Forse se usassi il suo nome vero ti
risponderebbe!", le disse ridendo, poi sillabò:
"So-i-chi-ro", ed
ebbe un brivido. Era abituato da tempo al nome del buffo cagnone, ma il
fatto
di dirlo così chiaramente e di poterlo sentire sulle labbra
della sua bambina
gli evocò tristi ricordi.
Questa
è la stagione
in cui morì Soichiro. E io sono un idiota, perché
Kyoko ama solo me, ci siamo
sposati e lei è nostra figlia.
"So...", Godai sussultò
mentre guardava le labbra
rosee di Haruka schiudersi a quel suono incerto. "...chiro!". Le
spalle gli ricaddero: c'era andata vicino, però. Tanto che
il cane si voltò di
nuovo e si esibì in un altro dei suoi comici 'bau', prima di
tornare a
sonnecchiare.
"Hai sentito? Ha detto che non gli va
di giocare. Che
ne dici invece di venire a vedere la tua cameretta addobbata a festa?".
Haruka annuì felice e gli
porse diligentemente la mano per
tornare dentro casa. Godai decise di prenderla in braccio e metterle
una mano
sugli occhi; la bimba emise un gridolino di
sorpresa.
"Non sbirciare, adesso ti porto nella
tua stanza".
Le sussurrò all'orecchio, aspirando il suo dolce profumo
infantile; sapeva
davvero di primavera, la sua bambina, e a parte i capelli castani come
i suoi,
era la copia perfetta di Kyoko: per questo l'amava ancora di
più.
"Ta-daaaan!". Esclamò
togliendo la mano e
allargando il braccio per mostrarle la stanza.
Haruka sbatté le palpebre
e la sua espressione di stupore
divenne gioia e infine esultanza pura: "Bello, bello papi!", gridava
agitando le braccine. Godai la mise a terra e lei si aggirò
con passetti barcollanti
tra i tavolini pieni di giochi e i palloncini colorati agli angoli
della
stanza; godette di quel momento e rise con lei quando, a furia di
guardarsi
intorno girando su se stessa, cadde a terra seduta con un piccolo tonfo.
"Devo dedurre da queste risa che
avete cominciato senza
di noi?". Si voltò e tese la mano per stringere quella di
Mitaka, che
stava sulla soglia con una delle gemelline in braccio; Asuna era poco
dietro,
con l'altra per mano e il terzogenito in braccio.
"Ben arrivati! È passato
tanto tempo dall'ultima
volta!".
"Esattamente un anno, quando facemmo
quella grande festa
a casa nostra per i bambini". Già, anche l'anno precedente
si erano
riuniti per festeggiare i compleanni delle gemelle e di Haruka: anche
se
avevano qualche mese di differenza, erano nate tutte lo stesso anno e
la
primavera era la stagione migliore per i bambini, con la sua
temperatura mite e
i colori accesi.
La casa di Mitaka era enorme, con una
camera grandissima
solo per i piccoli: armadi pieni di giocattoli, luci colorate e un
giardino
recintato con scivoli e altalene al quale si poteva accedere nelle
giornate di
sole.
"Vedo che anche lui è
cresciuto parecchio". Disse
solleticando il naso al maschietto di circa un anno: a differenza delle
gemelle, aveva preso quasi esclusivamente dalla mamma, compresa l'aria
timida.
Infatti si accucciò tra le braccia di Asuna non appena lo
sfiorò.
"Da bravo, Daisuke, saluta il signor
Godai". Lo
esortò lei inducendolo a voltarsi; il piccolo si
limitò a fissarlo con la testa
bassa e si portò un dito alla bocca come chiedendosi cosa
dovesse fare
esattamente.
Sorrise: era davvero un bel bambino,
ma se fosse rimasto
così remissivo le gemelline gli avrebbero dato ben presto
del filo da torcere!
Già le sentiva incitare i due adulti perché le
lasciassero andare a giocare,
con quel loro linguaggio acerbo che solo un genitore o un esperto di
bambini
come lui potevano comprendere.
"Potete far giocare i bambini nella
stanza di Haruka:
deve essere ancora terminato l'addobbo ma ci sono tanti giocattoli con
cui
possono divertirsi".
Certo, nulla a che vedere con le
bambole e i robot che
parlavano e camminavano da soli; le bambine di Mitaka disponevano
addirittura
di una piccola cucina in miniatura dove potevano simulare la cottura di
dolci
colorati.
Osservare i piccoli giocare, per lui,
era come godere di
quella spensieratezza che riusciva a provare solo quando diventava un
ragazzino
a sua volta: e poteva farlo ogni giorno con il suo lavoro, a dispetto
delle
difficoltà della vita. In quei momenti si sentiva appagato,
felice, come se
tutti i suoi desideri si fossero infine realizzati e non potesse
desiderare di
più. Se non...
"Ehi, voi, cosa fate lì
impalati? Volete giocare con
gli orsacchiotti?! Venite a bere con noi un goccio di birra! Oggi offre
lui!".
Ichinose strepitava, già evidentemente ubriaca, dal piano di
sopra e indicava l'imbarazzato
marito di Akemi: si vedeva che il poveretto sorrideva suo malgrado, ma
evidentemente aveva preso parte a una delle terribili festicciole dei
tre ex
inquilini per amore della moglie.
Guardò Mitaka con
espressione divertita ma lui scosse la
testa con un sorriso: "Io passo, per questa volta; questa è
la festa dei
bambini, non vorrei proprio ridurmi come loro".
"Concordo pienamente, ma insisto per
offrirti almeno un
bel the freddo in giardino".
"Volentieri, grazie Godai". Sorrise e
i denti gli
brillarono quasi accecandolo. E chi avrebbe mai immaginato che, dopo
essersi
guardati in cagnesco per anni, lui e quel brillio ambulante potessero
diventare
tanto amici?
L'unica
differenza tra
noi è che tu puoi dare alla tua famiglia tutto
ciò che desideri. I soldi non
comprano la felicità, ma spesso ne esaltano il sapore...
"Andate pure, io resto con i
bambini". Disse Asuna
sorridendo loro dalla stanza dove i piccoli esploravano divertiti i
giochi
sparsi sul pavimento: avevano fatto bene a mettere quella morbida
moquette
colorata, così nessuno poteva farsi male qualora fosse
caduto: era costata un
po' ma Kyoko aveva avuto un'idea davvero ottima.
Se potessi
comprare le
nuvole, mia moglie e mia figlia avrebbero un soffice giaciglio su cui
riposare...
Quando sedette sugli scalini di casa
Ikkoku accanto a
Mitaka, con la bevanda fresca in mano, pensò che era inutile
mettersi a
rimuginare su ciò che non aveva o non poteva permettersi:
quante famiglie
veramente ricche conosceva, in fondo? Nonostante le
difficoltà quotidiane non
gli mancava assolutamente niente. A parte...
"Perché non vi trasferite
in una casa tutta
vostra?" La domanda di Mitaka lo fece sobbalzare e per poco non
lasciò
cadere il bicchiere: come diamine aveva fatto a leggergli nel
pensiero?! Lo
guardò stralunato, come se avesse di fronte una specie di
medium.
Oh, se
potessi
guadagnare un po' di più e far vivere Kyoko nell'agio! Se
non avesse più
bisogno di lavorare come amministratrice di casa Ikkoku così
da potersi
occupare solo della nostra Haruka! Lavorerei giorno e notte solo per
vederle
circondate da cose belle.
Mitaka doveva aver frainteso la sua
espressione, perché agitò
le mani davanti a sé dicendo: "Oh, no, scusa, scusa, volevo
solo
dire..."
Capì che doveva temere di
averlo offeso e si affrettò a
spiegarsi: "Ma no, non devi scusarti: vedi, stavo pensando proprio a
questo quando me l'hai chiesto, perciò mi sono sorpreso".
Sorrise, poi
continuò: "Sai, aspetto una promozione entro la fine
dell'anno e a quel
punto potrei cominciare a mettere da parte per una casa".
Guardò l'amico che aveva
assunto un'espressione più
tranquilla, ora, e pensò di nuovo alla casa dove viveva con
Asuna e i bambini: non
solo era grande, ma anche arredata con bei mobili, compreso un divano
comodo e
un televisore di ultima generazione nel salone. Ogni stanza era ampia e
piena
di luce e non c'era alcun vicino chiassoso a ubriacarsi al piano
superiore.
"Ehi?". Mitaka gli stava agitando una
mano davanti
agli occhi e lui si rese conto che si era perso nei propri pensieri.
"Ah, perdonami è solo
che... pensavo..." Non
terminò la frase, insicuro su cosa dire.
Cosa poteva rispondergli? Che era
tormentato dal dubbio di
dare poco alla sua famiglia quasi ogni giorno? Che, pur sforzandosi di
fare del
suo meglio, si sentiva quasi in colpa perché amava a
dismisura il proprio
lavoro pur rendendosi conto che fare carriera in quel campo non lo
avrebbe
certo portato a livelli di eccellenza?
"A proposito, dov'è
Kyoko?".
"Ichinose dice che è
andata a fare spese, dovrebbe
tornare tra poco".
Improvvisamente, tutta la gioia e la
sensazione di
completezza cui tentava di attingere fino a poco prima si stavano
affievolendo,
riducendosi a una minuscola fiammella, gettandolo nel panico: quello
che era
stato un pensiero quasi remoto appena l'anno prima, mentre si aggirava
in
quella grande casa insieme a sua moglie, col tempo era mutato in un
dubbio, poi
in un'ossessione che rischiava di risucchiarlo in un vortice di
incertezza.
"Certe volte mi domando... se non
sarebbe stata molto
più felice con te". Era stato appena un sussurro,
considerando l' esplosione
al centro della testa di una rivelazione che aveva tentato con ogni
mezzo di
non formulare a livello conscio; ma già avvertiva il respiro
di Mitaka
strozzarsi e gli occhi fissarsi sulla sua spalla, mentre non osava
voltarsi a
guardarlo.
Un petalo di ciliegio gli
volò tra le mani, portato dal
vento e lui lo fissò per un istante: era di un rosa
così delicato che temeva di
spezzarne i contorni solo guardandolo. Ciononostante strinse il pugno
come se
non volesse più lasciarlo andare.
"È
sempre stata innamorata di te, e tu lo sai
benissimo". La voce di Mitaka era bassa, calma, e quella stessa
sensazione
si impadronì di lui non appena la udì. Ma il
dubbio che lo aveva assillato,
nascosto nell'ombra per mesi, stava già cominciando a
rosicchiargli le pareti
dello stomaco.
"La vecchia storia di due cuori e una
capanna... E noi
amiamo Maison Ikkoku: è qui che ci siamo conosciuti; qui che
ci siamo
innamorati; qui che è nata la nostra Haruka. Questa
è la ricchezza più
importante, giusto? Eppure... non riesco a togliermi dalla mente che
Kyoko
avrebbe meritato di più". Aprì la mano e il
petalo era lì, intatto, anche
se un po' piegato e leggermente inumidito.
"Kyoko ha fatto la sua scelta molto
chiaramente: sapeva
cosa l'aspettava ma non ha esitato a sposare te. E tutto questo a
prescindere
da Asuna". Godai sorrise; la storia della gravidanza della cagnolina
aveva
definitivamente allontanato il suo eterno rivale da Kyoko ma lui stesso
si era
reso conto che lei, ormai, non aveva più alcun dubbio.
Perché si ostinava a
struggersi? Avrebbe forse preferito che
sposasse Mitaka e fosse infelice per tutta la vita in una gabbia
dorata? No. Se
avesse avuto anche il minimo sentore che Kyoko provasse qualcosa per
il
ricco allenatore di tennis non avrebbe esitato a farsi da parte,
sacrificando
la propria felicità in cambio di quella di colei che amava
disperatamente. Ma
avendo avuto il dono dell'amore incondizionato di Kyoko, non poteva far
altro
che lottare per renderla ancora
più
felice di così. Ora che aveva finalmente concretizzato il
suo timore più grande,
riusciva a gestirlo in maniera più consapevole e
d'improvviso, complici le
parole di Mitaka, avvertì netta la sensazione di poterlo
afferrare tra le mani
e gettarlo via, come un macigno in uno stagno che si trasformi in un
insignificante sassolino.
Si alzò in piedi, di nuovo
fiducioso: "Giusto, devo
dimostrarle che merito il suo amore e che posso farle vivere una vita
altrettanto piena e serena!".
Udì Mitaka scoppiare a
ridere e si voltò a guardarlo, sedendosi
di nuovo accanto a lui: "Scusa, Godai, è che sei passato da
un estremo
all'altro in così pochi minuti che mi sei apparso
particolarmente buffo!".
Non sapeva se quella sensazione di
leggerezza sarebbe durata
o se i dubbi si sarebbero riaffacciati, incontrollabili, alla sua
mente. Quel
che era certo, era che dire quella frase proibita solo qualche istante
prima
gli aveva fatto acquisire l'improvvisa consapevolezza che piangersi
addosso
sarebbe servito solo a renderlo più insicuro e infelice: ora
la possibilità che
Kyoko avesse potuto scegliere Mitaka gli sembrava l'ipotesi di un
pazzo. Non
aveva lottato per anni per meritarsi l'amore di Kyoko? Non meritavano,
forse,
di migliorare insieme, giorno per giorno, senza paranoie?
"Eh, eh... e già!".
Balbettò imbarazzato,
portandosi una mano alla nuca e ridendo scioccamente insieme all'amico.
Già,
ormai quel belloccio palestrato dai denti abbaglianti era diventato davvero suo amico. Era riuscito
addirittura a contribuire all'annientamento degli spettri che lo
perseguitavano
da tempo.
Soichiro emise un 'bau' di protesta
dalla sua casetta di
legno, guardandoli con quei suoi occhietti striminziti e questo li fece
ridere
ancora di più.
"Sono contenta di vedervi
così felici!", esclamò
Kyoko comparendo all'entrata del giardino con dei pacchi tra le
braccia. Godai
la guardò e, ancora una volta, gli parve la creatura
più bella che avesse mai
messo piede nella sua vita. Forse era proprio la bellezza che
sprigionava
dall'anima e dal corpo che gliela faceva apparire così
inadeguata per un
ragazzo semplice come lui.
Un angelo
per un
mortale.
Si ritrovò a pensare
mentre le andava incontro per aiutarla.
Non poteva comprarle una casa grande, né giocattoli costosi
per far giocare la
loro bambina: ma poteva lottare ogni giorno, un passo dopo l'altro, per
nutrire
entrambe col suo amore immenso e far sì che si arrivasse a
una felicità ancora
più grande e completa.
"Godai..." Che voleva Mitaka? Non
importava, la
cosa fondamentale era aver trovato di nuovo la sicurezza dentro di
sé, nonostante
regredisse contemporaneamente a quando era un imbranato ragazzino alle
prese
con la sua prima cotta per l'amministratrice bella e irraggiungibile.
"Yusaku!". E regredì
ancora di più quando lei
pronunciò il suo nome, anche se non capiva come mai avesse
quell'espressione
preoccupata sul viso.
Urtò qualcosa con il piede
e perse l'equilibrio, mentre quel
qualcosa faceva 'bau!' e gli sfrecciava come un fulmine tra le gambe,
accelerando la sua rovinosa caduta... direttamente tra le braccia di
Kyoko.
Pacchi e pacchetti volarono tutt' intorno, come un'allegra pioggia e
lui cadde
a terra sopra di lei portando, istintivamente e all'ultimo momento, una
mano a
proteggerle la nuca dal suolo.
Il silenzio, lui che fissava gli
occhi spalancati di Kyoko
mentre le chiedeva se si fosse fatta male e lei che scuoteva la testa,
ancora
sconvolta. Poi lo scoppio di risa; risa di adulti, risa di bambini.
Infine le
proprie e quelle di sua moglie mentre si rimettevano in piedi.
"Ma insomma, Godai, qui fuori davanti
a tutti... e ai
bambini!", esclamò la voce di Akemi che
suonava indignata e divertita allo stesso
tempo.
Strinse Kyoko a sé,
guardando prima Mitaka che si chinava a
raccogliere i pacchetti e poi i suoi vicini e amici riuniti davanti
alla porta
di casa, con i piccoli che sbirciavano incuriositi: "Che ci volete
fare?
Sono troppo innamorato di mia moglie!", dichiarò con
soddisfazione e una
punta di complice imbarazzo.
ESTATE
Credeva di aver capito male; pensava
che la sua ex inquilina
si stesse burlando di lei. Appoggiò a terra la bacinella
piena d'acqua che aveva
tra le mani con un'attenzione doppia e si deterse la fronte con il
polso,
soffiando via i capelli che il sudore le aveva stampato sul viso.
Akemi fece spallucce: "Beh, non
è poi così strano!
Prima o poi doveva accadere, non sono mica più giovane come
te".
L'aria tranquilla della rossa la
sconvolgeva: era una
notizia per la quale lei aveva provato una tale emozione che per giorni
non
aveva fatto altro che sorridere e parlare da sola. Akemi invece sembrava le stesse
raccontando una
mattinata al supermercato.
"E Hideo (1) lo sa?".
"Non sono ancora riuscita a
dirglielo. È così
sensibile in questi ultimi tempi..."
Kyoko continuava a guardarla e
pensò che, tutto sommato, era
proprio da Akemi tutta quella pacatezza languida e quasi annoiata.
Tuttavia,
aveva bisogno di cavarle almeno un segno di emozione: "E tu sei
felice?".
Per tutta risposta, la rossa
tirò fuori una sigaretta e, con
suo sommo orrore, si apprestò ad accendersela; ebbe appena
il tempo di
spalancare gli occhi e accennare un movimento con la mano destra,
boccheggiando
nel tentativo di redarguirla, prima che la donna si bloccasse con
l'accendino a
mezz'aria e togliesse il pollice facendo spegnere la fiamma. "Ecco,
vedi?
Continuo a dimenticarmi delle cose elementari: niente fumo,
né alcool. Ho provato
la birra analcolica e per poco non mi sentivo male... Non sono proprio
tagliata
per questa cosa!".
"Ah..." Riuscì ad
articolare; pur conoscendola,
non si capacitava affatto che un evento del genere non avesse sortito
in Akemi
nulla, se non una specie di annoiata privazione dei suoi vizi preferiti.
La rossa dovette accorgersi
dell'espressione perplessa che
aveva sul volto, perché la guardò un istante e
poi disse: "Guarda che
starò attenta, ci tengo che vada tutto bene. È solo che non ci sono
abituata, tutto qui".
No, non le bastava come risposta.
Akemi doveva fare i salti di
gioia, doveva
sentire una specie di brivido al pensiero, doveva
adorare la sensazione che si provava di fronte a quello che somigliava
così
tanto a un miracolo...
Ma Akemi non era come lei e si
sentì quasi in colpa a
formulare quel pensiero, come se l'accusasse intrinsecamente di
insensibilità;
eppure quell'espressione così imbronciata all'idea di non
potersi più dare alla
pazza gioia per un po'...
"Ehi, di che si sparla qui?!".
Ichinose...
"Già, fatelo sapere anche
a noi!". Yotsuya...
Si voltò verso i due e
cominciò: "Beh, il fatto è che
Akemi..."
"...sono incinta", concluse la
diretta interessata
con la stessa aria annoiata di poco prima.
Kyoko rimase lì impalata
per un intero minuto mentre
Ichinose e Yotsuya dichiaravano che bisognava festeggiare, che era
davvero una
notizia strepitosa e che la famiglia si allargava.
Quanta
leggerezza per
una notizia così grande...
Quasi si pietrificò
all'ultima frase che poté udire dalla
donna prima che scomparisse al piano di sopra: "Mio marito ha insistito
così tanto..."
***
Da un po' di tempo, per Yusaku Godai
scendere dal treno e
fare a piedi i pochi isolati che lo portavano alla Maison Ikkoku era
diventato
il momento migliore della giornata. Nel giardino, a parte nei mesi
più freddi,
c'era sempre qualcuno ad accoglierlo: la sua piccola Haruka che giocava
con la
coda di Soichiro e gli correva incontro, o sua moglie che spazzava via
le
foglie e gli dava il bentornato con un lungo bacio.
Fece la strada quasi di corsa e si
fermò a comprare un mazzo
di fiori per Kyoko: quella era una serata speciale...
Entrare in casa aveva un sapore
dolceamaro perché doveva
dividersi tra lo spirito festaiolo dei due inquilini rimasti e l'amore
della
sua famiglia: alcune sere tornava in camera di Kyoko completamente
ubriaco e qualche
volta discutevano della sua
indulgenza nei confronti di Ichinose e Yotsuya, occasionalmente anche
di Akemi.
Non era facile dire di no a quella combriccola e la mancanza di
volontà che lo
affliggeva non gli era certo d'aiuto.
Ma qualunque discussione avessero,
lui e Kyoko non
rimanevano col broncio per più di qualche ora: ogni rientro
a casa era meraviglioso
come il precedente e quella sera sarebbe stata ancora più
bella delle altre. Già
la immaginava, in piedi sulla soglia, nel suo vestito elegante e le
labbra
leggermente truccate. Le avrebbe porto il mazzo di fiori e lei sarebbe
arrossita, e allora...
Rimase basito quando, al suo rientro,
trovò la moglie che
parlava animatamente al telefono e Haruka che giocava nel corridoio.
"Ciao principessa!".
Salutò sua figlia prendendola
in braccio e facendola volteggiare. Tentò di scacciare la
delusione
concedendosi quel girotondo con Haruka e assorbendo tutta l'infantile
gioia che
emanava. Poi la mise giù e chiese: "Con chi parla la mamma?".
"Gno 'o so!". Naturalmente, cosa
poteva saperne la
sua bambina? E
soprattutto, perché Kyoko
non era ancora vestita? Avrebbero fatto tardi e...
"Certo, ho capito perfettamente che
non può venire
perché si è ammalata, ma mi consigli per lo meno
una sostituta!", stava
dicendo sua moglie al telefono mentre accennava un vago cenno di saluto
con la
mano.
Oh, no...
"No, non mi interessa
l'età, basta che sia affidabile e
abbia esperienza di bambini".
Non
stasera...
"Cosa? Un'agenzia? Ma hanno personale
qualificato?".
L'anno
scorso non
abbiamo potuto festeggiare il nostro anniversario per una febbre che ha
colpito
Haruka proprio in quel periodo; quest'anno l'abbiamo rimandato per
risparmiare.
E ora...
Kyoko riattaccò e si
voltò a guardarlo: sembrava costernata,
anche se non era colpa sua. "Il fatto è che..."
"... la baby sitter ha dato buca, non
è così?".
Lei annuì e il suo sguardo andò con un sospiro
alle scale: di sopra si sentiva
un baccano tale che sembrava stessero festeggiando anche i giorni
arretrati.
Udiva distintamente le risate sguaiate di Ichinose e i suoi piedi
sbattere sul
pavimento nel solito, scomposto balletto; Yotsuya la incitava con
grandi urla e
Akemi sembrava già ubriaca fradicia.
Incontrò lo sguardo di
Kyoko per un istante e capì che
l'agenzia di cui stava parlando poco prima era l'ultima spiaggia: non
era mai
capitato di dover lasciare Haruka a casa ma l'unica volta in cui
avevano
tentato di portarla con loro al ristorante era stata così
agitata che avevano
potuto a malapena mangiare; in particolare adorava giocare con le
posate
facendo tintinnare piatti e bicchieri come altrettanti tamburelli e
appena si
cercava di darle un giocattolo al posto di cucchiaio e forchetta le
urla
facevano voltare i presenti. Stare tutti assieme come una famiglia era
sempre
meraviglioso, ma talvolta sentivano quel bisogno di romanticismo per
cui la
loro adorabile bambina era semplicemente troppo vivace. L'istinto
materno di
Kyoko aveva sopraffatto quel pensiero, scacciandolo più
volte, ma dopo una
lunga chiacchierata avevano convenuto che, ora che era più
grandicella,
potevano concedersi senza sensi di colpa una cenetta al lume di
candela, se non
altro per festeggiare i due anniversari arretrati. Quindi si erano
messi alla
minuziosa ricerca di una brava baby sitter e, grazie alle sue
conoscenze
all'asilo, avevano trovato una signora che aveva dei figli ormai
grandi, ma si
occupava volentieri dei bambini altrui in attesa dei nipotini.
A Kyoko aveva ispirato immediatamente
fiducia e si erano
accordati per quella sera.
Il destino, però, era loro
avverso e l'alternativa
all'agenzia che forniva baby sitting erano i tre sbandati al piano di
sopra:
"Beh, tanto vale andare a vedere in che condizioni sono",
suggerì
prendendo Haruka per mano e sforzandosi di sorridere. Sua moglie lo
imitò
coraggiosamente e lo seguì al piano di sopra.
La scena era la stessa di sempre e
non lo colpì più di
tanto: Ichinose stava effettivamente ballando, con un ventaglio in una
mano e
una lattina di birra nell'altra, mentre gli altri due cerebrolesi
battevano le
mani a tempo, evidentemente ubriachi.
A colpirlo fu la reazione di Kyoko:
andava bene essere
indignata per il loro comportamento compulsivo, andava bene che quella
sera non
era davvero aria di festa, ma
marciare a
grandi passi verso l'alticcio trittico con quell'aria minacciosa non
era
proprio da lei!
"Mamy 'bbiata". Commentò
tranquillamente Haruka,
senza lasciare la sua mano.
"E già, sembrerebbe..."
Rispose con un risolino
nervoso.
Non era preparato neanche a quello
che seguì: la sua
dolcissima moglie, mostrando il suo lato battagliero,
strappò dalle mani di
Akemi la lattina e la scagliò con violenza nella stanza,
rovesciandone l'ormai
esiguo contenuto sul pavimento. Tutti si zittirono in quel momento,
ipnotizzati
dalla padrona di casa che fronteggiava un'intontita Akemi.
"Ma sei impazzita?! Cosa ti salta in
mente di bere
nelle tue condizioni? Sei incinta, razza d'imprudente!".
Godai avvertì
distintamente il peso della mascella
spalancargli la bocca con uno scrocchiare sonoro di articolazione.
Incinta?
Akemi?! Oh,
Kami...
"Papà, che 'gnifica ci...
cinta?". La curiosità
dei bambini, che meraviglia! Una domanda così grossa a due
anni in un momento
del genere gli mancava proprio.
"Vuol...
vuol dire che...
che... ha un bimbo nella pancia". Doveva ancora realizzare quello che
aveva appena udito con le proprie orecchie e non gli venne fuori che la
verità.
"'Cia
'Kemi mangia i
bambini". Realizzò con serietà sua figlia.
"Ma
no, zia Akemi
non mangia i bambini, tesoro, solo..." Che bella idea quella di
spiegare a
una bambina che ancora non aveva imparato a parlare come si facevano i
bambini!
Ci
pensarono i suoi
inquilini a trarlo d'impaccio. Akemi emise un singulto, tipico di chi
è ubriaco
e dichiarò che la birra di quella lattina era analcolica.
"E
tu pretendi che
io ci creda?", gridò Kyoko fuori di sé. "Lo vedo
benissimo che sei
sbronza come tuo solito! Non te ne importa nulla della vita che ti sta
crescendo in grembo? Solo perché l'ha voluto tuo marito non
significa che tu
non debba comportarti da madre responsabile!".
Beh,
quello aveva
senso: il master del Chachamaru usciva da un matrimonio fallito e senza
figli,
probabilmente aveva espresso alla sua seconda moglie il desiderio di
avere
prole. Ma Kyoko aveva ragione: non che Akemi fosse il ritratto della
madre
ideale, ma doveva pur provare qualcosa nei confronti della nuova vita
che
cresceva.
Non riesco ancora a crederci.
"Guarda
che ho smesso di
bere non appena mi hanno detto che ero incinta di tre mesi, leggi l'etichetta sulla
lattina
se non ci credi". Addirittura? Quello significava che avrebbe partorito
il
prossimo inverno! Come aveva fatto ad accorgersene solo a quel punto?
Vide Kyoko raccogliere la lattina
rovesciata con la fronte
corrugata e un'espressione di perplessità in volto. Poi i
suoi tratti si
distesero e spalancò gli occhi: "Analcolica. Si tratta
davvero di birra
analcolica! Ma non avevi detto che non ti piaceva?".
Akemi guardò in aria e
allargò le braccia: parlò con il tono
di chi spiega con pazienza a una bambina poco sveglia. "Naturalmente
non
mi piace, ma non ho alternative, ti pare?".
"Ma... ma sembravi veramente..."
"Ubriaca? Certo! Ormai dopo tanti
anni passati a
ingurgitare alcolici le viene naturale avere i sintomi della sbornia
anche con
un succo di frutta, ah ah ah ah!". Ichinose aveva dato una spiegazione
veloce ma che non faceva una grinza; Godai si chiese se avesse anche un
fondamento scientifico o fosse solo il frutto di una mente
birra-dipendente.
"Tu mi giudichi troppo male, cara
Kyoko. Il fatto che
la gravidanza non sia la maggiore delle mie aspirazioni non fa di me
un'infanticida! Te l'ho detto anche oggi, ci tengo ad avere un figlio
sano..."
Incredibile, Akemi che faceva un
discorso serio e sensato,
ma allora sposarsi l'aveva fatta maturare! Poteva leggere
l'incredulità anche
sul volto di sua moglie.
"Mi... mi dispiace, io... sono stata
una sciocca
impulsiva. E anche maleducata". Si sentì costernato
nell'udire le sue
scuse: non aveva mica reagito così in cattiva fede!
"...così dopo posso
ricominciare a bere birra
vera!", terminò Akemi come se non l'avesse neanche udita,
alzando le
braccia e sancendo, con quel gesto, il proseguimento dei balli e delle
urla.
Chiamò il nome della
moglie, ancora impalata al centro della
stanza con la lattina in mano e le fece un cenno col capo per indurla a
uscire.
***
Trovare la baby sitter all'ultimo
minuto grazie all'agenzia
e spostare la prenotazione al ristorante era stato facile; la sua ansia
scemava
poco a poco anche se rimaneva un unico neo: chi le avrebbero mandato a
badare
ad Haruka?
Si era rifiutata di andarsi a
preparare finché non avesse
visto con i propri occhi quella 'ragazza ben educata e amante dei
bambini' che
stava per arrivare. Non che avesse nulla contro le ragazze giovani che
ancora
studiavano, ma temeva che l'inesperienza data dall'età
potesse mettere in
pericolo la sua bambina: e se fosse uscita di casa in un attimo di
distrazione?
E se si fosse avvicinata a una cucina a gas o, peggio, a qualche
utensile
pericoloso? O magari a dei detersivi... o avesse aperto l'acqua in
bagno o
fosse caduta nella vasca rischiando di affogare...
Si diede della paranoica: d'accordo
che era madre, ma questo
era catastrofismo allo stato puro! Potevano accadere simili disgrazie proprio a sua figlia? Non che non ne
avesse sentite di tutti i colori, tipo quella conoscente del circolo di
tennis
che aveva lasciato per un minuto il suo bimbo di un anno incustodito e
lui
aveva inghiottito la perlina di una collana: 'Fortuna che non gli
è andata di
traverso, non avrei mai potuto perdonarmelo!', aveva esclamato tremando
al
ricordo.
Si morse un'unghia e alzò
gli occhi all'orologio: potevano
pur portarla con loro e farla sedere in una di quelle sedie-seggiolone!
Le
avrebbero spiegato che doveva giocare solo con i suoi giocattoli senza
pretendere le posate, che se avesse fatto la brava magari avrebbe avuto
in regalo
quella bambola che le piaceva tanto.
Guardò suo marito e
notò solo in quel momento il mazzo di
fiori all'entrata, adagiato sul gradino. "Li avevo comprati per te e ho
dimenticato di darteli".
Evidentemente aveva seguito il suo
sguardo; si alzò e lo
baciò dolcemente: "Grazie". Sussurrò prima di
adoperarsi per metterli
in acqua.
No, doveva stare calma e riflettere:
se la baby sitter non
l'avesse convinta avrebbe portato Haruka con loro ma se, come si
aspettava, era
una persona affidabile, si sarebbe goduta la serata con suo marito
senza
remore. Non significava mica voler male ad Haruka appartarsi qualche
ora per
una cena, no?
Più ci pensava e
più se ne convinceva, e più se ne
convinceva e più non vedeva l'ora di vederla entrare da
quella porta per
potersi rilassare.
Non dovette aspettare molto,
perché qualche minuto dopo una
figura esile si affacciò al vialetto d'entrata e lei
scattò in piedi in preda a
un'ansia che credeva di aver dissipato, ma che ora le irrigidiva le
braccia
lungo i fianchi e le labbra in una linea sottile. Yusaku le si
avvicinò da
dietro e le pose una mano sulla spalla: "Stai tranquilla, sono sicuro
che
è bravissima!".
La ragazza entrò nella
luce del loro campo visivo ed
entrambi emisero un verso strozzato di sorpresa.
"Buonasera signor Godai! Quanto
tempo, vero?".
Davanti a loro c'era Yagami in carne
e ossa.
***
"Ya-Yagami?!". Improvvisamente
regredì a qualche
anno prima, quando la ragazza gli faceva una corte indecente proprio
davanti
alla donna che amava e lui era troppo timido e imbranato per
allontanarla con
decisione.
"È
sorpreso, vero? Alle scuole superiori continuavo a
pensare a lei e un giorno ho capito! Ho capito che dovevo seguire la
sua stessa
strada, solo così avrei potuto esserle vicino in qualche
modo..." Aveva lo
sguardo sognante e le mani raccolte sul petto come a proteggere l'amore
ancora
vivo nei suoi confronti.
Qualcuno mi
dica che è
un incubo...
"Yagami, ti faccio presente che sono
un uomo sposato e
questa è nostra figlia, per cui...!". Aveva preso in braccio
una
sorridente Haruka e l'aveva usata quasi come scudo, deciso a dirle
chiaramente
come stavano le cose, ma non si aspettava la sua reazione.
Prima ancora che potesse terminare la
sua impacciata
paternale, Yagami batté le mani allegramente ed
esclamò: "Ma è una bambina
bellissima! Le somiglia davvero tanto, lo sa? Posso tenerla in
braccio?".
Troppo stupefatto dalla situazione,
lasciò che la ragazza
prendesse sua figlia in braccio e la coccolasse riempiendola di
complimenti; da
parte sua, Haruka sembrava a proprio agio: evidentemente la sua ex
studentessa
le piaceva. Si azzardò a guardare Kyoko, che ancora non
aveva proferito parola,
solo quando la udì schiarirsi rumorosamente la voce.
Yagami la guardò come se
si fosse accorta solo in quel
momento che c'era anche lei, allora mise giù Haruka e si
produsse in un
elegante e composto inchino: "Mi scusi per la mia scortesia, buonasera
signora Otonashi. Come sta?".
Il sangue gli andò in
testa e fu sicuro
che, se si fosse guardato allo
specchio, avrebbe visto i propri capelli drizzarsi uno ad uno come in
certi
cartoni animati che vedeva la sua bambina il pomeriggio.
"Ti ricordo che adesso sono la
signora Godai. Sto splendidamente
ma trovo bene
anche te, Yagami." Aveva temuto che la serata potesse non
finire bene nel
momento esatto in cui aveva capito che la baby sitter non sarebbe
venuta. Ma
non credeva che avrebbe potuto finire così
male: il modo in cui sua moglie aveva calcato sulle parole 'Godai' e
'Yagami'
lasciava presagire una tempesta imminente, nonostante il sorriso e la
gentilezza che mostrava.
"Oh, mi scusi, ha ragione..."
Rimediò la ragazza
con un imbarazzo quasi sincero. "Lei ora è sposata con il
mio Godai,
quindi io non posso che accontentarmi di diventare la sua amante,
giusto?",
dichiarò sorridendo con aria allegra, inclinando la testa di
lato a
sottolineare la domanda.
MIO
Godai? AMANTE?!
"Yagami!", gridò prima che
Kyoko potesse dire o
fare qualsiasi cosa. Sentì tirare i pantaloni e
abbassò lo sguardo verso sua
figlia.
"Che 'uol dile 'mmante?". Haruka fu
la ciliegina
sulla torta: prima la storia del bambino nella pancia di Akemi, ora
quella
dell'infedeltà coniugale! Cominciò a balbettare,
guardando alternativamente sua
moglie e Yagami. Fu proprio quest'ultima a trarla d'impaccio: e fu un
bene,
perché Kyoko aveva le spalle contratte e il colorito era
virato velocemente al
rosso-violaceo.
"Ma che bambina sveglia,
già vuole sapere le cose
grandi della vita!". Si chinò e la prese nuovamente in
braccio.
"Amante è una persona che cerca di rubare il tuo
papà alla tua mamma... ma
io scherzavo! Volevo solo prenderli un po' in giro per ridere come ai
vecchi
tempi!".
Udì il sospiro di Kyoko e
anche a lui parve di essersi tolto
un peso: certo che però era stato davvero pesante come
scherzo! Non avrebbe mai
imparato a comportarsi come una vera signora.
"Yagami, ascoltami; io e Yusaku
vorremmo andare a cena
fuori e ci serve una baby sitter perché al piano di sopra
stanno facendo una
delle solite feste e non è il caso che lasci Haruka a loro.
Nonostante le
incomprensioni del passato e questo tuo scherzo poco simpatico voglio
darti
fiducia, perché in fondo sei una brava ragazza... Posso
affidarti la nostra
bambina confidando che tu abbia cura di lei come se si trattasse della
tua?". Le parole di Kyoko erano state pacate e gentili, ma ferme in una
maniera che non lasciava dubbi sulle sue reali priorità: se
Haruka non fosse
stata in buone mani, non se ne sarebbe fatto nulla.
Yagami posizionò meglio la
bimba sul braccio sinistro e la
guardò dolcemente: "Così il tuo nome significa
'profumo di primavera',
giusto?".
"... 'mmaveraaa!", strillò
tutta contenta agitando
le braccine. Il sorriso di Yagami si affievolì e d'un tratto
la ragazza sembrò
maturare di colpo.
"Quando ho cominciato le scuole
superiori ho davvero
scelto questa strada perché amavo ancora il signor Godai".
Ebbe un
sussulto e lanciò l'ennesima occhiata a sua moglie, che
però rimase
pazientemente in silenzio. Gli sembrava addirittura che avesse uno
sguardo
comprensivo.
"Mi sono trovata subito bene con i
bambini e ho cercato
lavoro come baby sitter presso l'agenzia che avete chiamato stasera;
nel tempo
libero li accudisco e se inizialmente farlo mi faceva sentire
più vicina
all'uomo che amavo, col tempo mi sono resa conto che fosse la strada
giusta da
intraprendere. Pian piano il dolore ha lasciato il posto alla passione
per il
futuro che mi aspettava e oggi non desidero altro che avere una
famiglia tutta
mia, un giorno".
Incontrò i suoi occhi
adoranti... ma a chi era rivolta
quell'adorazione? A lui o al suo lavoro?
"Naturalmente non ho intenzione di
diventare l'amante
di nessuno, voglio un marito e dei figli miei!", concluse sorridendo a
Kyoko. "Può stare tranquilla, Kyoko-san, questa bambina
somiglia troppo al
mio primo amore perché io non possa adorarla di
già. E ho lavorato anche con
bambini più piccoli e pestiferi, lei mi sembra un
angioletto".
"Oh, non farti ingannare, sa essere
vivace come un
diavoletto quando ci si mette!", rise Kyoko.
Incredibile, le cose stavano andando
bene adesso: quello che
si era preannunciato un uragano in piena regola ora si concludeva nel
migliore
dei modi.
"Yusaku, mi hai sentita?". Kyoko gli
stava
sventolando una mano davanti al viso.
"Eh? Oh, dimmi, cara". Idiota, si era
di nuovo
auto ipnotizzato con i suoi viaggi mentali.
"Ho detto che io vado a prepararmi,
tu mostra a Yagami
la stanza di Haruka e tutte le sue cose".
Sorrise: finalmente avrebbero avuto
il loro anniversario...
e grazie a Yagami!
***
Avevano bevuto decisamente troppo:
Yusaku continuava a ridere
e a farla volteggiare in un ballo senza posa per tutta la strada di
ritorno e
lei, nonostante le scarpe le facessero ormai un male indicibile,
continuava ad
assecondarlo, divertendosi e ignorando le proteste dei piedi che
sembravano
volerle esplodere da un momento all'altro.
Giunti davanti alla soglia di casa,
strozzò a forza
l'ennesima risata alcoolica e si pose un dito sulle labbra inducendo
suo marito
a fare silenzio: "Pensa che imbarazzo se ci facessimo vedere in queste
condizioni, Yagami penserebbe che non siamo molto diversi da Ichinose e
gli
altri!". Ridacchiò senza potersi controllare e lo stesso
Yusaku si piegò
in due tenendosi la pancia e sprizzando lacrime dagli occhi.
Cercarono l'autocontrollo per qualche
istante poi,
raddrizzando la schiena per apparire più lucidi possibile,
aprirono la porta
d'ingresso: quello che vide la sconcertò.
La camera di Haruka era spalancata e
nel corridoio ronfavano
bellamente Ichinose, Yotsuya e Akemi. Corse nella stanza e
trovò la sua bambina
dolcemente addormentata nel suo lettino rosa; Yagami era inginocchiata
accanto
a lei, con la testa sulle braccia e un libro di favole ancora semi
aperto ai
piedi del letto, caduta anch'ella in un sonno profondo.
"Fate silenzio... la piccola deve
dormire...", biascicava
nel sonno. Si voltò a guardare i suoi vicini attorniati da
bottiglie di birra e
capì che la poveretta doveva aver lottato strenuamente per
sfuggire ai
festeggiamenti e mettere a letto Haruka... prima di bere qualche birra
di
troppo e addormentarsi a sua volta.
Sorrise e coprì le spalle
della ragazza con una coperta
leggera, decidendo che era troppo tardi per rimandarla a casa: "Grazie,
Yagami, domattina ti darò quello che ti spetta". Si chiuse
la porta alle
spalle e guardò i propri vicini indecentemente accampati sul
pavimento. Scorse
le bottiglie con lo sguardo e notò che dalla parte di Akemi
continuava a
leggere l'etichetta 'analcolica'.
Brava
ragazza.
Due braccia l'afferrarono saldamente
da dietro,
circondandole la vita e risalendo verso il seno; sussultò:
"Yu-Yusaku,
qui...?".
"No, non qui. Nella nostra camera".
Le sussurrò
con voce roca all'orecchio: il suo fiato caldo, nonostante la
temperatura
estiva, le fece venire la pelle d'oca. Girò la testa e
capì che non era più
l'alcool a guidarla, ma un desiderio ardente che fluiva dal corpo di
suo marito
direttamente nelle proprie vene.
Si voltò verso di lui,
anelandone improvvisamente il
contatto e si lasciò andare a un lungo bacio umido di
sudore, saliva e respiro.
"Kyoko...", le ansimò sul
collo prima di
sollevarla per alzarla di peso dal pavimento.
Incendiata da un fuoco che prima
d'ora non l'aveva mai
consumata a quel modo, incrociò le gambe attorno al corpo di
lui,
permettendogli di trasportarla fin nella loro camera mentre le bocche
non
smettevano di cercarsi spudoratamente.
Era stato tutto così
veloce che, se suo marito non l'avesse
afferrata saldamente, sarebbe caduta a terra priva di forze; le pareva
di
sciogliersi ad ogni istante, mentre la bramosia diventava un desiderio
selvaggio e imponente: Yusaku la schiacciò col proprio corpo
sulla porta chiusa
e allungò una mano per dare un giro di chiave.
Ottima
idea...
La stanza girava, girava... e la
visione della tranquilla
cameretta di Haruka di poco prima le parve lontana millenni nel
passato. Ora
c'erano solo mani, braccia, labbra e pelle sudata, un'urgenza che li
faceva
annaspare alla ricerca l'uno dell'altra. Le pareva di essere racchiusa
in una
bolla rovente e onirica, dove il corpo comandava e la mente azzerava
ogni
pensiero coerente: non aveva mai sperimentato delle sensazioni del
genere, né le
prime volte con Yusaku, né tantomeno con Soichiro, entrambi
sempre molto dolci
e attenti. Era come se l'istinto più primordiale si fosse
impadronito di loro
rendendoli più simili al primo uomo e alla prima donna,
piuttosto che a una
coppia sposata del ventesimo secolo.
Non capì come accadde, ma
mentre Yusaku s'impossessava della
sua anima così come del suo corpo, le salirono alle labbra
le parole:
"Dammi un altro figlio..."
***
Luce. Tanta luce, come se fosse
mezzogiorno. Le palpebre
sembravano ricoperte di piombo mentre le sollevava a fatica per leggere
l'ora
sulla sveglia: che era effettivamente quella che aveva immaginato.
Con un mugugno di disappunto e la
testa che pulsava a ogni
movimento, si rotolò nel futon fino ad abbracciare il corpo
di Kyoko. Erano
entrambi nudi e qualche vago ricordo della sera prima gli fece temere
di aver
esagerato con l'alcool... e non solo.
"Tesoro...? Sono le dodici passate..."
Mugugnò anche lei,
strizzando gli occhi e stiracchiandosi
beatamente. Quando aprì gli occhi e lo guardò, le
sorrise: "Buongiorno,
mogliettina". L'aveva salutata così la prima mattina dopo le
nozze, ma la
notte passata era lontana mille miglia da quella di due anni prima.
"Buongiorno..." Aveva la voce
impastata, era
spettinata e gli occhi erano ancora semichiusi; eppure gli parve la
creatura
più bella della Terra.
"Ehm... ecco, ieri sera... non ho
fatto qualcosa che...
insomma, tu non volessi, vero?". Il dubbio di aver passato una notte di
sesso sfrenato era divenuto ormai certezza, ma era stato troppo ubriaco
per
ricordare esattamente fino a che punto si fosse spinto e quanto lei
fosse stata
consenziente. Di sicuro si ricordava che inizialmente l'aveva
assecondato di
buon grado, ma lo stesso temeva di essere andato un po' oltre i limiti.
Quando Kyoko scoppiò a
ridere fu confuso e sollevato allo
stesso tempo: "Devo ricordarmi di segnare la marca del vino che abbiamo
bevuto ieri sera! Rammento solo di aver avuto il tempo di accertarmi
che Haruka
stesse dormendo, poi ho completamente perso di vista la
realtà!".
Si sollevò a baciarlo
sulle labbra e lui la ricambiò con
dolcezza: ma c'era qualcosa che gli sfuggiva, un particolare che non
riusciva a
mettere a fuoco. Forse era qualcosa che aveva detto...
"Oh, santa pazienza! Yagami
sarà ancora qui ad
aspettare la sua paga e Haruka non avrà nemmeno fatto
colazione! Che madre
rimbambita!". Scivolò fuori dal futon e la
osservò aggirarsi nuda per la
stanza alla ricerca dei vestiti. Il suo corpo, così ben
fatto anche dopo una
gravidanza, gli fece salire nuovamente un desiderio incontrollabile:
forse il
vino non aveva ancora esaurito il suo effetto, dopotutto. Ma Kyoko
aveva
ragione; avevano una figlia di cui occuparsi, una baby sitter da pagare
e dei
vicini che sperava non avessero visto né sentito nulla: non
ricordava altro se
non di aver chiuso la porta a chiave, ma era quasi certo di aver
cominciato il
suo insolito approccio amoroso là, nel corridoio. E
continuava a sfuggirgli
cosa avesse detto a Kyoko qualche ora prima...
Sua moglie intanto si era vestita. Si
sistemò velocemente i
capelli allo specchio e uscì in corridoio. Udì
parlottare e capì che Yagami
aveva preparato la colazione ad Haruka e aveva giocato un po' con lei,
certa
che loro due avessero fatto le ore piccole.
"Mi scusi per essermi addormentata
ieri sera, ma
Ichinose e gli altri volevano festeggiare il mio ritorno a casa Ikkoku,
e
così...".
"...ti hanno fatta bere, vero? Ma tu
sei stata molto
gentile stamattina, considerando che ci siamo svegliati solo adesso,
per cui
hai diritto a un bonus!".
"Oh, no, non c'è bisogno!
Mi sono divertita con lei, è
una bambina speciale!".
"Allora vedilo come un regalo, va
bene? Te lo sei meritato!".
Kyoko aveva ragione: per qualche ora
erano stati dei
genitori un po' libertini e Yagami si era presa cura della loro bambina
facendo
fronte anche ai loro vicini. Per cui meritava una paga più
alta. Cominciò a
vestirsi cercando di captare anche le voci degli altri, ma
dubitò che si
sarebbero alzati dal letto prima di un'ora, considerando la
quantità di
bottiglie di birra che aveva adocchiato nel corridoio la sera prima.
Per quanto
potesse vederci doppio per via del vino, non credeva fossero meno di...
Abbassò le braccia,
rimanendo bloccato nelle maniche della
maglietta che stava per infilare sulla testa; un rivolo di sudore gli
scese
sulla tempia.
Ora ricordo
cos'era...
non era qualcosa che ho detto io a Kyoko, ma qualcosa che lei chiedeva
a me...
Finì meccanicamente di
vestirsi, si diede una sistemata ai
capelli arruffati e uscì in corridoio a dare il buongiorno
alla sua bambina e a
ringraziare personalmente Yagami. Mentre tornava alla
quotidianità di ogni
giorno, si sforzò di ricordare se avesse assecondato la
richiesta di sua moglie
oppure no.
(1) Visto che il Master del
Chachamaru non ha un nome,
ma Akemi è sposata con lui, avevo necessità di
dargliene uno, prima o poi.
Spero vi piaccia...
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