Siccome sono molto pigra
ho deciso di non dividere in due il capitolo, sperando che non sia
troppo lungo, per cui ecco qui l’ultima parte: la
‘tenacia’ (chiamiamola così) della nostra eroina sarà
sufficiente a sciogliere il cuore di ghiaccio del nostro eroe?
Per sempre.
Uzumaki Naruko era una persona che tentava di godersi la vita e
cogliere l’attimo, allegra di natura, ma questo non
significava che fosse stata sempre felice e beata, anzi, la vita era
stata dura con lei, a tratti infame, e non si era mai sentita una
privilegiata, o semplicemente fortunata.
Era andata avanti comunque, decisa a non lasciarsi abbattere e a
continuare a provarci, tutto qui.
Ma ora…ora…dava alla testa sentirsi
così, tipo la più fortunata e felice del mondo.
Perché Naruko era felice, ma veramente felice, toccava il
cielo con un dito per la prima volta in vita sua, ed ora che era
arrivata fin lì, che aveva provato quell’ebrezza,
non voleva più farne a meno.
Avrebbe lottato per tenersi stretta quella felicità, con le
unghie e con i denti, perché l’amore era la cosa
più bella del mondo, ed era assurdo quanto bastasse un
niente: il fatto di poterselo guardare da vicino era sufficiente per
farla felice.
Nel frattempo di notte non riusciva a dormire, e spesso messaggiava
come una pazza con sua cugina, anche se quella disgraziata per lo
più le lanciava insulti, ma doveva pur dirlo a qualcuno
quanto era felice, e Karin era l’unica donna con cui poteva
parlare a parte la zia Tsunade, che però era troppo vecchia.
Aveva anche dovuto procurarsi un libro di poesie, la sua vena artistica
si era esaurita con quella prima, bellissima frase sulla luna e il
buio, così una volta aveva chiesto per delle poesie
d’amore alla bibliotecaria, una tipa che aveva proprio la
faccia da bibliotecaria, se esisteva una faccia così, una
faccia di una che si credeva di sapere più di te (che ci
voleva, era il suo lavoro saperne di libri!).
Aveva ignorato magnanimamente l’aria di sufficienza
(l’idea che presto lo avrebbe rivisto la rendeva buona) e la
sera stessa si era sfogliata il libro: lui non doveva mica saperlo,
poteva continuare a pensare che fosse tutta farina del suo sacco.
Eh!
Le veniva da ridere da sola all’idea.
Le veniva da ridere sempre, troppo felice, troppo, e le settimane
passavano in un soffio, così veloci, per poi fermarsi di
colpo: il venerdì lui andava non si sapeva dove, ed il fine
settimana era sempre lunghissimo e terrificante, speso a messaggiare
con sua cugina Karin, a fare strategie, a leggersi poesie di quel tale,
Neruda, che non era mica male.
Se ne stava chiusa in casa, non le interessava nient’altro (a
volte lavorava in officina anche la domenica, per prendersi avanti e
per mettersi via soldi, perché la vita costava e dato che
lui studiava doveva pensarci lei).
E finalmente arrivava il lunedì, e lo vedeva, e faceva finta
di leggere mentre in realtà se lo rimirava ben bene.
Era…bello.
E intelligente, e aveva classe, e non era così stronzetto
come faceva credere.
Era stata così fortunata ad averlo beccato quella volta alla
fermata del bus (se pensava che avrebbe potuto non incontrarlo mai si
sentiva male), ed era stata una bella fortuna anche per lui, o
chissà che vita triste e sola si passava, quello, senza di
lei!
3.
Tra loro adesso andava benone, davvero, ogni tanto lui rispondeva, con
un sì o un no di solito, ma le bastava , come le bastava
l’aria rilassata che aveva con lei, e lo sguardo quasi
divertito che le lanciava a volte.
Insomma, sapeva di avere fatto progressi, però era stato un
giorno preciso quello in cui si era accorta che ce l’aveva
fatta (non che ne avesse mai dubitato).
- Ti piacciono le bionde? – gli aveva chiesto.
- No –
Stronzetto.
- E ti piace almeno l’arancione? –
- Mi fa schifo –
Bastardo.
Il giorno successivo si era presentata in biblioteca vestita di
arancione dalla testa ai piedi, baschetto compreso.
Lui aveva sollevato il capo un momento quando si era seduta, per
abbassarlo subito dopo, e mentre lo guardava era sicura, aveva
notato…sì, un lato delle sue labbra (belle labbra
ben disegnate che voleva baciare quanto prima) si era sollevato appena,
come in una specie di sorriso.
- Vedo che a te piace proprio – le fece con quella
voce profonda che la faceva impazzire.
Era la prima volta che le rivolgeva la parola senza essere
interpellato, e sembrava… contento.
Sorrise soddisfatta perché le aveva parlato per primo,
perché aveva scoperto che Sasuke Uchiha apprezzava che lei
mantenesse le proprie idee (cioè, i propri colori, che era
lo stesso più o meno), e soprattutto perché
quasi, quasi, le aveva sorriso a sua volta, lui che non sorrideva mai.
Un suo sorriso valeva proprio una vittoria.
Quel giorno era tornata al lavoro che camminava ad un metro da terra,
il sorrisone che le andava da un orecchio all’altro, e da
allora era andato tutto di bene in meglio, davvero.
Non parlavano molto, non potevano mica lì dentro (e
più che altro parlava lei), ma lui a volte rispondeva con
più di una parola, e già era contenta che
ascoltasse, perché lo sapeva che ascoltava,
l’ascoltava sempre, e non era una cosa così
scontata, non era che tutti ascoltassero tutti, che davvero
ascoltassero (non alla cazzo, senza badarci veramente).
A volte poi le faceva quella specie di sorriso, e così
sapeva che era felice anche lui.
Nel frattempo si era organizzata e si era fatta dare dalla simpaticona
alcuni romanzi per i lunghi week end, oltre a libri di meccanica che a
dire la verità non leggeva, ed aveva anche iniziato a
mangiarsi il suo hamburger di nascosto, mentre nessuno la guardava.
Aveva fame, va bene? Quella in fondo era la sua pausa pranzo, non aveva
mica tutto quel tempo da perdere!
A lui non piacevano gli hamburger anche se le sembrava impossibile.
- Acc…mi toccherà imparare a cucinare
– gli aveva replicato quando lo aveva saputo, lui aveva
sollevato appena l’angolo della bocca, e lei aveva
ridacchiato felice.
Aveva sempre pensato che fosse una stronzata, e invece era proprio vero
che l’amore era una specie di magia, perché era
come incantata: felice, sempre felice con lui, e lui era felice con
lei, ne era sicura.
Erano proprio una bella coppia.
Una volta, mentre se ne stava lì a mangiare piegata
all’ingiù, seminascosta dal tavolo, era arrivata
la tipa della biblioteca, la simpaticona (che per qualche motivo la
odiava, non che non fosse abituata, c’erano un
sacco di donne che la odiavano, chissà perché) e
lei aveva fatto sparire il panino mangiucchiato schiacciandolo sotto un
libro di Sasuke, scambiando uno sguardo con lui.
- E’ proibito mangiare qui dentro –
- Embè? Mica stavo mangiando – le fece
dopo aver mandato giù un boccone intero a fatica.
- Mi hanno riferito che stavi proprio mangiando –
Brutte spie. Scommetteva che era una di quelle troiette gelose di lei
perché era la ragazza di Sasuke.
- E hanno sbagliato, non mangiavo, sono ligia alle regole io,
odio i teppistelli… forse è perché
stavo masticando una gomma, vero Sas’ke? –
Ecco, la tipa si era voltata verso Sasuke e lui l’aveva
guardata dritta negli occhi, e sapeva che quella era un po’
scombussolata, sapeva esattamente quanto quegli occhi potessero
scombussolare.
- Non l’ho vista mangiare –
La simpaticona aveva sorriso ed aveva iniziato a scusarsi, una scena
penosa, era anche un po’ arrossita prima di allontanarsi.
- E’ proprio stupida – concluse lei prima
di riprendere a mangiare, tutta soddisfatta del fatto che il suo Sasuke
l’avesse difesa ed avesse mentito per lei.
Quel giorno aveva imparato un’altra cosa su di lui: Sasuke
Uchiha non era uno spione e non lasciava la gente nelle peste.
Nel frattempo un altro mese era passato e aveva dovuto procurarsi un
nuovo libro di poesie, non voleva pescare due volte dalla stessa roba,
era una persona fine, lei…be’…magari
non sembrava, ma era fine dentro.
Certo che… chi l’avrebbe mai detto che un giorno
si sarebbe ridotta a leggere romanzi e poesie il sabato sera, invece di
uscire!
Ma chi se ne fregava dei sabato sera.
La vita le sorrideva, il mondo le sorrideva, Sasuke Uchiha le sorrideva.
A dire la verità avrebbe potuto passarsi anche tutto il
resto della vita così, a guardarselo per un paio
d’ore dal lunedì al giovedì, e a
sognare di baciarselo sotto la luna, ma un giorno era successa una cosa
incredibile.
Era lì che gli guardava le mani.
Aveva delle mani bellissime, dalle dita lunghe, e lei si vergognava un
po’ delle sue manacce tarchiate, piene di calli e dalle
unghie perennemente macchiate di oli per quanto tentasse di usare i
guanti.
Per un po’ le aveva nascoste, vergognosa, ogni volta che lui
alzava lo sguardo.
- Hai delle mani bellissime - gli fece quella volta
perché proprio non era capace di stare zitta – le
mie invece fanno schifo –
Lui le aveva preso la mano prima che riuscisse a nasconderla,
e…era la prima volta che si toccavano e il suo cuore non
riusciva a fermarsi, ed era assurdo perché le stava solo
tenendo la mano e non era una timida verginella, ma quel contatto, quel
primo contatto, la mandava totalmente nel pallone.
- Sono mani di una persona che lavora, non hanno niente che
non va –
Non importava quello che le diceva, non aveva neanche tanto ascoltato,
importava che la stava toccando, e quello sguardo, e lei si sentiva
morire dall’agitazione.
La mano di lui era morbida, e fresca, e a lei pareva di essere
bollente, non riusciva ad immaginare come si sarebbe sentita il giorno
in cui fosse riuscita a baciarlo, forse sarebbe svenuta, forse anche
morta.
Ma poteva anche morire per lui, non le importava.
Sarebbe morta felice.
Quasi quasi glielo scriveva nel bigliettino la prossima volta.
Nel frattempo non faceva più così freddo e le
giornate iniziavano ad allungarsi, e loro due non avevano ancora fatto
il famoso giro in macchina, come gli faceva notare spesso, ma era lo
stesso come se avessero fatto un lungo viaggio insieme, era un viaggio
spirituale o qualcosa del genere.
- Quando finisci? – gli chiese una volta.
- A giugno mi laureo –
- E poi? –
- Dipende. Potrei andare all’estero per la
specializzazione –
Questo era un colpo basso, e improvvisamente si sentì
davvero morire, si poteva morire di crepacuore?
Eh no cazzo…non poteva morire prima di averlo almeno
baciato! Era il minimo sindacale quello.
- Devi proprio? – gli chiese –
Be’, non che sia un problema per me –
osservò subito dopo – magari andiamo insieme, un
posto in un’officina lo posso trovare dappertutto –
spiegò, figuriamoci se lo lasciava solo, con le arpie che
giravano per il mondo.
Lui l’aveva guardata con un mezzo sorriso, quasi un sorriso
vero (era bellissimo), prima di riprendere a leggere, e secondo lei era
proprio contento che avesse deciso di andare con lui.
Se ne era tornata a casa un po’ preoccupata, ma neanche
tanto, in fondo lui aveva detto ‘forse’,
c’era ancora tempo e l’indomani lo avrebbe rivisto,
ed anche il giorno dopo, e la settimana dopo.
Facevano in tempo a succedere un casino di cose, e in caso si
organizzava.
Nel frattempo era già finita la settimana ed aveva dovuto
aspettare il lunedì, e quel lunedì era anche
arrivata in ritardo (era spuntato un cliente all’improvviso,
che aveva una fretta dannata, e lo zio l’aveva messa sotto
nonostante le sue proteste), era la prima volta che rischiava di
perdersi l’appuntamento ed era incazzata come una biscia.
Era entrata affannata, sudata, e quasi si era lanciata sulla sedia per
non sprecare un minuto di più.
- Sono in ritardo – gli fece col fiatone.
- Lo vedo –
Il tempo era passato troppo veloce, e quando aveva messo la mano in
tasca si era resa conto che nella fretta aveva dimenticato la poesia.
- O porc… - le scappò ad alta voce.
- Shhh! –
- E che palle! –
Lui sorrideva ora, davvero sorrideva, e quando sorrideva era proprio
bello come una stella, o la luna…sì, la
luna…era la sua luna.
- Ho dimenticato il bigliettino – gli
spiegò a voce più bassa.
– Meglio. Prevert non mi piace molto, preferivo
Neruda –
Lo guardò a bocca aperta per alcuni secondi.
- Quando l’hai scoperto? –
bisbigliò, ormai le veniva quasi naturale parlare sotto voce.
- Per un po’ ho anche pensato che avessi un talento
naturale, ma erano versi troppo belli per essere farina del tuo sacco,
tenuto conto che il primo bigliettino faceva veramente pena –
- Be’, non sono mica Neruda, io! –
- Shhhh! –
- Ma andate a cagare! – sibilò, ma non
era incazzata, anzi, era tutta soddisfatta.
Sasuke Uchiha non l’aveva derisa, e aveva letto sempre tutti
i suoi bigliettini.
Prima di alzarsi prese in fretta carta e penna e gli scrisse le prime
quattro acche che le venivano in mente: “Sei bello come la
luna e le stelle, e fai tremare il mio cuore”
Era di fretta, va bene?!
Era tornata al lavoro così felice che quando lo zio le aveva
appioppato un lavoretto extra, noiosissimo, che le sarebbe costato
buona parte del week end, invece di infuriarsi gli sorrise beata.
L’aveva guardata perplesso.
___
Per il giorno dopo si era preparata un bigliettino che modestamente era
un capolavoro (e tutta farina del suo sacco), e non vedeva
l’ora di chiedergli cosa ne pensava.
Solo che lui non c’era, era la prima volta che capitava, non
aveva mai saltato un pomeriggio (da quel che aveva dedotto veniva anche
quando la facoltà era chiusa o doveva fare un esame, si era
quasi convinta che fosse per incontrare lei), e c’era rimasta
abbastanza di merda.
Cos’aveva da fare di così importante?
Già era dura non vederlo per tre giorni di fila!
Non c’era neppure il giorno successivo, e lei aveva iniziato
ad agitarsi davvero perché non aveva un indirizzo,
né un numero di telefono e se lui spariva…
Quel pomeriggio lo zio le aveva chiesto cos’aveva e non aveva
risposto niente: aveva che mancava solo il giovedì, che era
l’ultimo giorno della settimana, l’ultimo che
contava, ecco cosa aveva.
E giovedì lui non era lì.
Uscì subito dalla biblioteca, avvilita, preoccupata, e
ritornò al lavoro sentendosi a terra come non ricordava di
essere mai stata, nemmeno quando le stronzette a scuola parlavano tra
di loro e si zittivano quando arrivava lei.
L’amore faceva male, non aveva mai capito cosa intendessero
prima con questo discorso, ma ora lo sapeva: era come se una mano ti si
infilasse nel petto e ti strizzasse il cuore, e poi ti rovistasse nello
stomaco fino a farti vomitare.
Quel week end non riuscì neppure a messaggiare con Karin,
stava troppo male, stava così male che non aveva nemmeno
fame, rifiutò perfino l’hamburger che sua zia le
aveva portato in camera, doveva essere la prima volta che succedeva.
- Non sono abituata a vederti triste – le fece la
zia accarezzandola.
- Ho solo mal di pancia – negò
spudoratamente, improvvisamente imbarazzata, però quando era
rimasta sola si era guardata allo specchio: era davvero triste, triste
come…come lui qualche volta.
Le veniva da piangere e qualcosa in gola le impediva di respirare bene.
Ecco, se fosse stata una di quelle persone che restavano con le mani in
mano a piangere ed aspettare si sarebbe proprio depressa, ma aveva
capito da anni che doveva farsi il culo per ottenere ciò che
voleva, così la domenica si era già rotta di
frignare, si era rimboccata le maniche ed aveva deciso di agire.
Lunedì mattina era alla fermata del bus vicino alla
stazione, in cerca del tizio con la coda alta: quando lo vide
lasciò andare un sospiro di sollievo.
Era salva.
- Vieni, ti accompagno io – gli fece prendendolo
per la collottola.
- Ancora dietro all’Uchiha? – le chiese
quello una volta che era riuscita a trascinarlo in macchina.
- Be’, si può dire che sono la sua
ragazza – era vero, no?!
- Sempre convinta di essere il suo tipo, vedo –
- Sono il tipo giustissimo per lui, il tipo che lo
farà felice – …stronzetto.
Quello non aveva commentato e si era messo a dormicchiare sul sedile.
- Ehi! Non ti dò mica un passaggio per farti
dormire! – lo svegliò immediatamente.
- Cosa vuoi? – le fece con l’aria un
po’ scocciata, come se non fosse lui quello che si
approfittava di un passaggio nella macchina di una signora.
- Dov’è? –
- E che ne so io…avrà cambiato
abitudini per non vederti –
Stronzetto.
- Se mi dici dov’è ti pago –
non aveva mica tempo da perdere in giochetti, lei.
- Stai scherzando? –
- No –
- Sei fuori…davvero… non voglio i tuoi
soldi, magari li hai rubati…comunque
c’è un po’ di trambusto lì da
noi, suo fratello è scappato dalla casa di cura e la gente
ha paura –
Ecco cosa era successo, almeno lui non era partito, o malato, ma per un
momento si spaventò anche lei, se quello torceva un solo
capello a Sasuke lo faceva ritornare sano di mente lei, a pedate sul
culo.
- Sasuke? –
- Sarà a casa, non credo abbia molta voglia di
uscire…la gente dice che ha paura…io credo che
sia preoccupato per suo fratello…è la sua
famiglia…-
- Dov’è che abita? – chiese
subito, perché mica si faceva distrarre da questo sfoggio di
pensieri pseudopsicologici.
- Non so se posso dirtelo, lo stalking è un reato
–
- E fa a meno, stronzetto… tanto posso trovarlo da
sola, è un buco di paese e basta chiedere un po’
in giro –
Lo sentì borbottare ‘matta’, o
qualcosa di simile, e lo lasciò dormire fino a destinazione,
per cacciarlo poi fuori a calci con una certa soddisfazione.
Tanto ora sapeva cosa fare, non aveva più bisogno di lui.
Ed era pronta.
Il giorno prima aveva detto agli zii che aveva bisogno di una vacanza e
si era preparata una borsa con un paio di cosucce dentro.
Era libera come il vento.
Lungo la strada si sentiva nuovamente euforica, la giornata era piena
di sole, di luce, di fiori e di verde, e ad un certo punto si era
fermata di fronte ad un bel giardino per fregare qualche fiore da
portargli.
Arrivò in quel paesucolo di merda in un lampo (col cazzo che
andava ad abitare lì, in culo al mondo, una volta sposati
avrebbero preso casa in città) e come prevedeva era bastato
chiedere un po’ in giro per sapere dove abitava lui.
Era arrivata di fronte a casa sua tutta pimpante, ma dopo essere
smontata e avere percorso il vialetto (il cancello era basso, era
facile scavalcarlo) si era bloccata come un’idiota davanti
alla porta d’ingresso, colpita da una specie di strano
attacco d’ansia: era una casa grande, bella, da ricchi, e per
la prima volta da quando aveva posato gli occhi su di lui, mesi prima,
si sentì, ecco…come inadeguata.
Forse aveva ragione il tizio, forse lei non era adatta.
Vaffanculo, e chi lo diceva questo? Un tizio per strada? E che ne
sapeva?
Che ne sapevano gli altri di lei? O di lui?
Suonò e aspettò.
E poi suonò ancora, e ancora.
Magari riposava, o ascoltava musica con gli auricolari.
Suonò altre cinque sei volte per sicurezza.
Quasi cominciava a venirle il sospetto che non ci fosse davvero nessuno
in casa, e dopo aver tenuto premuto il campanello per un po’
stava meditando sul da farsi (si piazzava sul vialetto? Cercava una
finestra aperta e entrava?), quando qualcuno le aveva aperto.
Era proprio lui, e come al solito nel vederlo lo stomaco le si era
rimescolato tutto.
Era sempre bellissimo, e si sentiva felice per il solo fatto di essere
lì in piedi di fronte a lui, anche perché da un
po’ lo vedeva solo seduto, e lui era alto, e bello, ed ora
che si vestiva meno si notava meglio quel fisichetto da mangiare, e
quei jeans gli stavano da dio.
- Sono venuta a prenderti – gli fece tutta gasata, con un
ghigno che le andava da un orecchio all’altro.
- A prendermi? – sembrava un tantino sorpreso.
Stanco anche, doveva aver dormito male (non era il solo).
E triste.
Soprattutto triste.
Ma ora era lì lei, no?!
- Sì, andiamo via,
all’avventura…se vuoi andiamo a cercarlo, tuo
fratello dico, io e te… -
- Lascia stare – le aveva replicato, e le aveva
chiuso la porta in faccia.
Naruko rimase lì, con i fiori rubati in mano e il cuore un
po’ spezzato.
Cazzo…aveva proprio pensato che le avrebbe detto di
sì.
E invece voleva rimanere tutto solo, chiuso in quella casa grande e
vuota, con quegli occhi così tristi.
Provò a suonare un altro paio di volte, magari ci ripensava.
Niente.
Va bene.
Se lui non la voleva non poteva farci niente, se ne rendeva conto, non
era stupida, ma mica poteva andarsene e abbandonarlo proprio ora quando
aveva bisogno di una donna che si prendesse cura di lui: era uno che si
teneva tutto dentro e scommetteva che si stava facendo un sacco di
seghe mentali!
Per cui…ecco… avrebbe aspettato.
Rimase ad aspettare un bel po’ davanti alla porta coi suoi
fiori in mano, e poi seduta sullo scalino d’ingresso, infine
dentro la macchina.
Nel frattempo era ora di mangiare e il suo stomaco iniziava a
brontolare, desolatamente vuoto.
Ad un certo punto non ce l’aveva fatta più ed era
andata a cercarsi qualcosa da mettere sotto i denti, si era presa un
hamburger e una birra, aveva fatto scorta di vaccate, e poi aveva
parcheggiato ancora davanti a casa sua e aveva aspettato in macchina.
Cazzo…si stava annoiando a morte lì, non si era
portata nemmeno via l’ultimo libro che aveva preso in
biblioteca (da un po’ ne prendeva uno alla settimana, non
aveva un c… da fare nei week end, in più si
divertiva a rompere le scatole alla bibliotecaria ).
Il pomeriggio era passato in una lenta agonia e prima di sera si era
mangiata tutti i panini, e le merendine, e le patatine, e le caramelle,
e la cioccolata.
Tra un po’ doveva cercarsi un cesso.
Poco dopo si abbioccò sul sedile.
Si svegliò di scatto, era buio, e guardò
l’ora, era presto ma c’era già un
silenzio di tomba in quel luogo dimenticato da dio.
Forse poteva farsi un altro pisolino, o cercare un bar aperto per
andare in bagno, se la stava facendo sotto, ma poi lo vide,
lì fuori, davanti al vialetto di ingresso, che guardava
dalla sua parte.
Tirò giù il finestrino.
- Ehi bello! – urlò – vieni a
farti un giro? –
Intuì più che vedere il suo sorriso, ed
aspettò che si avvicinasse ed aprisse la portiera
dall’altra parte della macchina.
- All’avventura o alla ricerca di tuo fratello?
– gli chiese.
Lui le si era seduto accanto e non aveva detto niente.
Cazzo…com’era bello, anche di notte, soprattutto
di notte, perché lui era la luna.
- Non lo so - le rispose infine – non riesco ad
immaginare dove possa essere andato, è sparito…e
da una parte sono terribilmente preoccupato per lui, ma da una parte,
è come una liberazione –
- Ovvio che ti preoccupi…ma vedrai che si fa vivo
presto, e intanto io sono qui, non ti lascio solo – gli
spiegò mentre buttava i fiori ormai appassiti e un bel
po’ di cartacce sul sedile dietro (era tentata di aprire la
portiera e buttare tutto fuori, ma era davanti a casa sua, magari gli
dava fastidio) – e non stare a farti seghe mentali, non
è come se fosse colpa tua se ti senti un po’
più libero…è normale con i suoi
problemi e tutto –
Lui non aveva replicato, ma c’era abituata, e sapeva che
l’aveva ascoltata, come sempre, e che ci avrebbe pensato.
– …hai mangiato qualcosa? Vuoi un
po’ di patatine? – gli chiese poi porgendogli il
sacchetto quasi vuoto – Forse ce n’è
ancora qualcuna qui dentro –
Lui non aveva preso il sacchetto, però aveva sorriso. Un
accenno di sorriso, ma andava benone lo stesso.
- Sei invadente e svitata – le fece mentre si
allacciava la cintura – ma sei l’unica persona al
mondo che mi fa sorridere ancora –
Era stato allora che si era allungata e gli aveva baciato le labbra.
- Bene, perché mi piace vederti sorridere
– gli replicò prima di baciarlo ancora, con la lingua questa
volta, per niente sorpresa del fatto che lui rispondesse al bacio.
Sasuke sapeva di disperazione, e bisogno, e passione nascosta, di cuore
cha batteva all’impazzata e di qualcosa che non si poteva
più lasciare andare una volta provato.
Si staccò a fatica, la testa che girava e un sorriso tra il
beato e il trionfante stampato in faccia, e in qualche modo
riuscì ad allacciarsi la cintura con mani che tremavano, per
partire subito dopo sgommando, ancora tutta scombussolata.
Questo era il paradiso, davvero… quella notte sarebbero
finiti in qualche albergo lungo la strada (pagava lei, si era portata
il bancomat), e avrebbe potuto assaggiare ogni parte di lui,
finalmente, ma per il momento doveva cercare un bar aperto ed andare in
bagno.
- Il mio scopo è quello di riuscire a farti
ridere, un giorno – gli spiegò – ci
vorrà un po’, mi sa –
- Pensi di starmi appiccicata così a lungo?
– le chiese, ma non era mica seccato, scherzava.
- Per sempre – proclamò decisa.
Ed era davvero così, per sempre, lo sapeva come sapeva di
essere Uzumaki Naruko, perché non tornava indietro nelle sue
decisioni, mai, e quando sceglieva era per sempre.
FINE
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Un grazie enorme a tutte coloro che hanno seguito questa storia, che,
mi rendo conto, poteva interessare ad un numero ridotto di
persone...spero che vi sia piaciuta Naruko, sono (relativamente)
soddisfatta di come mi è venuta, la trovo proprio
un’ottima persona nonostante il QI non eccelso!:)
Ed ora vediamo se riesco a finire la fic con la lemon: la storia non
è granché, per cui dovrei almeno scrivere una
lemon memorabile, ma…ehm... un po’ mi vergogno, un
po’ mi viene da ridere, per cui non so proprio cosa
verrà fuori!
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