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Autore: afterhour    20/02/2013    6 recensioni
I nostri piccioncini sono due persone che non hanno niente in comune, solo che una delle due è troppo testarda (o stupida) per capirlo.
"...Eccolo lì, bello come il sole, o forse la luna, con quegli occhi neri e quei capelli ancor più neri che contrastavano con il viso pallido, nonché quell’aria sicura e indifferente.
Era uno stronzetto, lo sapeva, ma non importava, le piaceva lo stesso.
- Ehi bello, vieni a farti un giro? –
Lui si voltò appena e le rivolse uno sguardo di sufficienza prima di salire sul bus senza neppure rispondere.
Stronzetto, appunto.
Ma non poteva farci niente: Uzumaki Naruko era in love..."
NO YAOI: FemNaruto x Sasuke
AU Threeshot
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Siccome sono molto pigra ho deciso di non dividere in due il capitolo, sperando che non sia troppo lungo, per cui ecco qui l’ultima parte: la ‘tenacia’ (chiamiamola così) della nostra eroina sarà sufficiente a sciogliere il cuore di ghiaccio del nostro eroe?



Per sempre.



Uzumaki Naruko era una persona che tentava di godersi la vita e cogliere l’attimo, allegra di natura, ma questo non significava che fosse stata sempre felice e beata, anzi, la vita era stata dura con lei, a tratti infame, e non si era mai sentita una privilegiata, o semplicemente fortunata.
Era andata avanti comunque, decisa a non lasciarsi abbattere e a continuare a provarci, tutto qui.
Ma ora…ora…dava alla testa sentirsi così, tipo la più fortunata e felice del mondo.

Perché Naruko era felice, ma veramente felice, toccava il cielo con un dito per la prima volta in vita sua, ed ora che era arrivata fin lì, che aveva provato quell’ebrezza, non voleva più farne a meno.
Avrebbe lottato per tenersi stretta quella felicità, con le unghie e con i denti, perché l’amore era la cosa più bella del mondo, ed era assurdo quanto bastasse un niente: il fatto di poterselo guardare da vicino era sufficiente per farla felice.

Nel frattempo di notte non riusciva a dormire, e spesso messaggiava come una pazza con sua cugina, anche se quella disgraziata per lo più le lanciava insulti, ma doveva pur dirlo a qualcuno quanto era felice, e Karin era l’unica donna con cui poteva parlare a parte la zia Tsunade, che però era troppo vecchia.

Aveva anche dovuto procurarsi un libro di poesie, la sua vena artistica si era esaurita con quella prima, bellissima frase sulla luna e il buio, così una volta aveva chiesto per delle poesie d’amore alla bibliotecaria, una tipa che aveva proprio la faccia da bibliotecaria, se esisteva una faccia così, una faccia di una che si credeva di sapere più di te (che ci voleva, era il suo lavoro saperne di libri!).
Aveva ignorato magnanimamente l’aria di sufficienza (l’idea che presto lo avrebbe rivisto la rendeva buona) e la sera stessa si era sfogliata il libro: lui non doveva mica saperlo, poteva continuare a pensare che fosse tutta farina del suo sacco.
Eh!

Le veniva da ridere da sola all’idea.

Le veniva da ridere sempre, troppo felice, troppo, e le settimane passavano in un soffio, così veloci, per poi fermarsi di colpo: il venerdì lui andava non si sapeva dove, ed il fine settimana era sempre lunghissimo e terrificante, speso a messaggiare con sua cugina Karin, a fare strategie, a leggersi poesie di quel tale, Neruda, che non era mica male.
Se ne stava chiusa in casa, non le interessava nient’altro (a volte lavorava in officina anche la domenica, per prendersi avanti e per mettersi via soldi, perché la vita costava e dato che lui studiava doveva pensarci lei).

E finalmente arrivava il lunedì, e lo vedeva, e faceva finta di leggere mentre in realtà se lo rimirava ben bene.
Era…bello.
E intelligente, e aveva classe, e non era così stronzetto come faceva credere.
Era stata così fortunata ad averlo beccato quella volta alla fermata del bus (se pensava che avrebbe potuto non incontrarlo mai si sentiva male), ed era stata una bella fortuna anche per lui, o chissà che vita triste e sola si passava, quello, senza di lei!


3.



Tra loro adesso andava benone, davvero, ogni tanto lui rispondeva, con un sì o un no di solito, ma le bastava , come le bastava l’aria rilassata che aveva con lei, e lo sguardo quasi divertito che le lanciava a volte.
Insomma, sapeva di avere fatto progressi, però era stato un giorno preciso quello in cui si era accorta che ce l’aveva fatta (non che ne avesse mai dubitato).

 - Ti piacciono le bionde? – gli aveva chiesto.

 - No –

Stronzetto.

 - E ti piace almeno l’arancione? –

 - Mi fa schifo –

Bastardo.

Il giorno successivo si era presentata in biblioteca vestita di arancione dalla testa ai piedi, baschetto compreso.
Lui aveva sollevato il capo un momento quando si era seduta, per abbassarlo subito dopo, e mentre lo guardava era sicura, aveva notato…sì, un lato delle sue labbra (belle labbra ben disegnate che voleva baciare quanto prima) si era sollevato appena, come in una specie di sorriso.

 - Vedo che a te piace proprio – le fece con quella voce profonda che la faceva impazzire.

Era la prima volta che le rivolgeva la parola senza essere interpellato, e sembrava… contento.
Sorrise soddisfatta perché le aveva parlato per primo, perché aveva scoperto che Sasuke Uchiha apprezzava che lei mantenesse le proprie idee (cioè, i propri colori, che era lo stesso più o meno), e soprattutto perché quasi, quasi, le aveva sorriso a sua volta, lui che non sorrideva mai.
Un suo sorriso valeva proprio una vittoria.

Quel giorno era tornata al lavoro che camminava ad un metro da terra, il sorrisone che le andava da un orecchio all’altro, e da allora era andato tutto di bene in meglio, davvero.

Non parlavano molto, non potevano mica lì dentro (e più che altro parlava lei), ma lui a volte rispondeva con più di una parola, e già era contenta che ascoltasse, perché lo sapeva che ascoltava, l’ascoltava sempre, e non era una cosa così scontata, non era che tutti ascoltassero tutti, che davvero ascoltassero (non alla cazzo, senza badarci veramente).
A volte poi le faceva quella specie di sorriso, e così sapeva che era felice anche lui.

Nel frattempo si era organizzata e si era fatta dare dalla simpaticona alcuni romanzi per i lunghi week end, oltre a libri di meccanica che a dire la verità non leggeva, ed aveva anche iniziato a mangiarsi il suo hamburger di nascosto, mentre nessuno la guardava.
Aveva fame, va bene? Quella in fondo era la sua pausa pranzo, non aveva mica tutto quel tempo da perdere!

A lui non piacevano gli hamburger anche se le sembrava impossibile.

 - Acc…mi toccherà imparare a cucinare – gli aveva replicato quando lo aveva saputo, lui aveva sollevato appena l’angolo della bocca, e lei aveva ridacchiato felice.

Aveva sempre pensato che fosse una stronzata, e invece era proprio vero che l’amore era una specie di magia, perché era come incantata: felice, sempre felice con lui, e lui era felice con lei, ne era sicura.
Erano proprio una bella coppia.

Una volta, mentre se ne stava lì a mangiare piegata all’ingiù, seminascosta dal tavolo, era arrivata la tipa della biblioteca, la simpaticona (che per qualche motivo la odiava, non che non fosse abituata, c’erano un  sacco di donne che la odiavano, chissà perché) e lei aveva fatto sparire il panino mangiucchiato schiacciandolo sotto un libro di Sasuke, scambiando uno sguardo con lui.

 - E’ proibito mangiare qui dentro –

 - Embè? Mica stavo mangiando – le fece dopo aver mandato giù un boccone intero a fatica.

 - Mi hanno riferito che stavi proprio mangiando –

Brutte spie. Scommetteva che era una di quelle troiette gelose di lei perché era la ragazza di Sasuke.

 - E hanno sbagliato, non mangiavo, sono ligia alle regole io, odio i teppistelli… forse è perché stavo masticando una gomma, vero Sas’ke? –

Ecco, la tipa si era voltata verso Sasuke e lui l’aveva guardata dritta negli occhi, e sapeva che quella era un po’ scombussolata, sapeva esattamente quanto quegli occhi potessero scombussolare.

 - Non l’ho vista mangiare –

La simpaticona aveva sorriso ed aveva iniziato a scusarsi, una scena penosa, era anche un po’ arrossita prima di allontanarsi.

 - E’ proprio stupida – concluse lei prima di riprendere a mangiare, tutta soddisfatta del fatto che il suo Sasuke l’avesse difesa ed avesse mentito per lei.

Quel giorno aveva imparato un’altra cosa su di lui: Sasuke Uchiha non era uno spione e non lasciava la gente nelle peste.

Nel frattempo un altro mese era passato e aveva dovuto procurarsi un nuovo libro di poesie, non voleva pescare due volte dalla stessa roba, era una persona fine, lei…be’…magari non sembrava, ma era fine dentro.
Certo che… chi l’avrebbe mai detto che un giorno si sarebbe ridotta a leggere romanzi e poesie il sabato sera, invece di uscire!
Ma chi se ne fregava dei sabato sera.
La vita le sorrideva, il mondo le sorrideva, Sasuke Uchiha le sorrideva.

A dire la verità avrebbe potuto passarsi anche tutto il resto della vita così, a guardarselo per un paio d’ore dal lunedì al giovedì, e a sognare di baciarselo sotto la luna, ma un giorno era successa una cosa incredibile.

Era lì che gli guardava le mani.
Aveva delle mani bellissime, dalle dita lunghe, e lei si vergognava un po’ delle sue manacce tarchiate, piene di calli e dalle unghie perennemente macchiate di oli per quanto tentasse di usare i guanti.
Per un po’ le aveva nascoste, vergognosa, ogni volta che lui alzava lo sguardo.

 - Hai delle mani bellissime - gli fece quella volta perché proprio non era capace di stare zitta – le mie invece fanno schifo –

Lui le aveva preso la mano prima che riuscisse a nasconderla, e…era la prima volta che si toccavano e il suo cuore non riusciva a fermarsi, ed era assurdo perché le stava solo tenendo la mano e non era una timida verginella, ma quel contatto, quel primo contatto, la mandava totalmente nel pallone.

 - Sono mani di una persona che lavora, non hanno niente che non va –

Non importava quello che le diceva, non aveva neanche tanto ascoltato, importava che la stava toccando, e quello sguardo, e lei si sentiva morire dall’agitazione.
La mano di lui era morbida, e fresca, e a lei pareva di essere bollente, non riusciva ad immaginare come si sarebbe sentita il giorno in cui fosse riuscita a baciarlo, forse sarebbe svenuta, forse anche morta.

Ma poteva anche morire per lui, non le importava.
Sarebbe morta felice.
Quasi quasi glielo scriveva nel bigliettino la prossima volta.

Nel frattempo non faceva più così freddo e le giornate iniziavano ad allungarsi, e loro due non avevano ancora fatto il famoso giro in macchina, come gli faceva notare spesso, ma era lo stesso come se avessero fatto un lungo viaggio insieme, era un viaggio spirituale o qualcosa del genere.

- Quando finisci? – gli chiese una volta.

 - A giugno mi laureo –

 - E poi? –

 - Dipende. Potrei andare all’estero per la specializzazione –

Questo era un colpo basso, e improvvisamente si sentì davvero morire, si poteva morire di crepacuore?
Eh no cazzo…non poteva morire prima di averlo almeno baciato! Era il minimo sindacale quello.

 - Devi proprio? – gli chiese – Be’, non che sia un problema per me – osservò subito dopo – magari andiamo insieme, un posto in un’officina lo posso trovare dappertutto – spiegò, figuriamoci se lo lasciava solo, con le arpie che giravano per il mondo.

Lui l’aveva guardata con un mezzo sorriso, quasi un sorriso vero (era bellissimo), prima di riprendere a leggere, e secondo lei era proprio contento che avesse deciso di andare con lui.

Se ne era tornata a casa un po’ preoccupata, ma neanche tanto, in fondo lui aveva detto ‘forse’, c’era ancora tempo e l’indomani lo avrebbe rivisto, ed anche il giorno dopo, e la settimana dopo.
Facevano in tempo a succedere un casino di cose, e in caso si organizzava.

Nel frattempo era già finita la settimana ed aveva dovuto aspettare il lunedì, e quel lunedì era anche arrivata in ritardo (era spuntato un cliente all’improvviso, che aveva una fretta dannata, e lo zio l’aveva messa sotto nonostante le sue proteste), era la prima volta che rischiava di perdersi l’appuntamento ed era incazzata come una biscia.
Era entrata affannata, sudata, e quasi si era lanciata sulla sedia per non sprecare un minuto di più.

 - Sono in ritardo – gli fece col fiatone.

 - Lo vedo –

Il tempo era passato troppo veloce, e quando aveva messo la mano in tasca si era resa conto che nella fretta aveva dimenticato la poesia.

 - O porc… - le scappò ad alta voce.

  - Shhh! –

 - E che palle! –

Lui sorrideva ora, davvero sorrideva, e quando sorrideva era proprio bello come una stella, o la luna…sì, la luna…era la sua luna.

 - Ho dimenticato il bigliettino – gli spiegò a voce più bassa.

 – Meglio. Prevert non mi piace molto, preferivo Neruda –

Lo guardò a bocca aperta per alcuni secondi.

 - Quando l’hai scoperto? – bisbigliò, ormai le veniva quasi naturale parlare sotto voce.

 - Per un po’ ho anche pensato che avessi un talento naturale, ma erano versi troppo belli per essere farina del tuo sacco, tenuto conto che il primo bigliettino faceva veramente pena –

 - Be’, non sono mica Neruda, io! –

 - Shhhh! –

 - Ma andate a cagare! – sibilò, ma non era incazzata, anzi, era tutta soddisfatta.

Sasuke Uchiha non l’aveva derisa, e aveva letto sempre tutti i suoi bigliettini.

Prima di alzarsi prese in fretta carta e penna e gli scrisse le prime quattro acche che le venivano in mente: “Sei bello come la luna e le stelle, e fai tremare il mio cuore

Era di fretta, va bene?!

Era tornata al lavoro così felice che quando lo zio le aveva appioppato un lavoretto extra, noiosissimo, che le sarebbe costato buona parte del week end, invece di infuriarsi gli sorrise beata.
L’aveva guardata perplesso.
___

Per il giorno dopo si era preparata un bigliettino che modestamente era un capolavoro (e tutta farina del suo sacco), e non vedeva l’ora di chiedergli cosa ne pensava.
Solo che lui non c’era, era la prima volta che capitava, non aveva mai saltato un pomeriggio (da quel che aveva dedotto veniva anche quando la facoltà era chiusa o doveva fare un esame, si era quasi convinta che fosse per incontrare lei), e c’era rimasta abbastanza di merda.
Cos’aveva da fare di così importante? Già era dura non vederlo per tre giorni di fila!

Non c’era neppure il giorno successivo, e lei aveva iniziato ad agitarsi davvero perché non aveva un indirizzo, né un numero di telefono e se lui spariva…

Quel pomeriggio lo zio le aveva chiesto cos’aveva e non aveva risposto niente: aveva che mancava solo il giovedì, che era l’ultimo giorno della settimana, l’ultimo che contava, ecco cosa aveva.

E giovedì lui non era lì.

Uscì subito dalla biblioteca, avvilita, preoccupata, e ritornò al lavoro sentendosi a terra come non ricordava di essere mai stata, nemmeno quando le stronzette a scuola parlavano tra di loro e si zittivano quando arrivava lei.
L’amore faceva male, non aveva mai capito cosa intendessero prima con questo discorso, ma ora lo sapeva: era come se una mano ti si infilasse nel petto e ti strizzasse il cuore, e poi ti rovistasse nello stomaco fino a farti vomitare.
 
Quel week end non riuscì neppure a messaggiare con Karin, stava troppo male, stava così male che non aveva nemmeno fame, rifiutò perfino l’hamburger che sua zia le aveva portato in camera, doveva essere la prima volta che succedeva.

 - Non sono abituata a vederti triste – le fece la zia accarezzandola.

 - Ho solo mal di pancia – negò spudoratamente, improvvisamente imbarazzata, però quando era rimasta sola si era guardata allo specchio: era davvero triste, triste come…come lui qualche volta.
Le veniva da piangere e qualcosa in gola le impediva di respirare bene.

Ecco, se fosse stata una di quelle persone che restavano con le mani in mano a piangere ed aspettare si sarebbe proprio depressa, ma aveva capito da anni che doveva farsi il culo per ottenere ciò che voleva, così la domenica si era già rotta di frignare, si era rimboccata le maniche ed aveva deciso di agire.
Lunedì mattina era alla fermata del bus vicino alla stazione, in cerca del tizio con la coda alta: quando lo vide lasciò andare un sospiro di sollievo.
Era salva.

 - Vieni, ti accompagno io – gli fece prendendolo per la collottola.

 - Ancora dietro all’Uchiha? – le chiese quello una volta che era riuscita a trascinarlo in macchina.

 - Be’, si può dire che sono la sua ragazza – era vero, no?!

 - Sempre convinta di essere il suo tipo, vedo –

 - Sono il tipo giustissimo per lui, il tipo che lo farà felice – …stronzetto.

Quello non aveva commentato e si era messo a dormicchiare sul sedile.

 - Ehi! Non ti dò mica un passaggio per farti dormire! – lo svegliò immediatamente.

 - Cosa vuoi? – le fece con l’aria un po’ scocciata, come se non fosse lui quello che si approfittava di un passaggio nella macchina di una signora.

 - Dov’è? –

 - E che ne so io…avrà cambiato abitudini per non vederti –

Stronzetto.

 - Se mi dici dov’è ti pago – non aveva mica tempo da perdere in giochetti, lei.

 - Stai scherzando? –

 - No –

 - Sei fuori…davvero… non voglio i tuoi soldi, magari li hai rubati…comunque c’è un po’ di trambusto lì da noi, suo fratello è scappato dalla casa di cura e la gente ha paura –

Ecco cosa era successo, almeno lui non era partito, o malato, ma per un momento si spaventò anche lei, se quello torceva un solo capello a Sasuke lo faceva ritornare sano di mente lei, a pedate sul culo.

 - Sasuke? –

 - Sarà a casa, non credo abbia molta voglia di uscire…la gente dice che ha paura…io credo che sia preoccupato per suo fratello…è la sua famiglia…-

 - Dov’è che abita? – chiese subito, perché mica si faceva distrarre da questo sfoggio di pensieri pseudopsicologici.

 - Non so se posso dirtelo, lo stalking è un reato –

 - E fa a meno, stronzetto… tanto posso trovarlo da sola, è un buco di paese e basta chiedere un po’ in giro –

Lo sentì borbottare ‘matta’, o qualcosa di simile, e lo lasciò dormire fino a destinazione, per cacciarlo poi fuori a calci con una certa soddisfazione.
Tanto ora sapeva cosa fare, non aveva più bisogno di lui.

Ed era pronta.
Il giorno prima aveva detto agli zii che aveva bisogno di una vacanza e si era preparata una borsa con un paio di cosucce dentro.
Era libera come il vento.

Lungo la strada si sentiva nuovamente euforica, la giornata era piena di sole, di luce, di fiori e di verde, e ad un certo punto si era fermata di fronte ad un bel giardino per fregare qualche fiore da portargli.

Arrivò in quel paesucolo di merda in un lampo (col cazzo che andava ad abitare lì, in culo al mondo, una volta sposati avrebbero preso casa in città) e come prevedeva era bastato chiedere un po’ in giro per sapere dove abitava lui.
Era arrivata di fronte a casa sua tutta pimpante, ma dopo essere smontata e avere percorso il vialetto (il cancello era basso, era facile scavalcarlo) si era bloccata come un’idiota davanti alla porta d’ingresso, colpita da una specie di strano attacco d’ansia: era una casa grande, bella, da ricchi, e per la prima volta da quando aveva posato gli occhi su di lui, mesi prima, si sentì, ecco…come inadeguata.
Forse aveva ragione il tizio, forse lei non era adatta.
Vaffanculo, e chi lo diceva questo? Un tizio per strada? E che ne sapeva?
Che ne sapevano gli altri di lei? O di lui?

Suonò e aspettò.

E poi suonò ancora, e ancora.
Magari riposava, o ascoltava musica con gli auricolari.
Suonò altre cinque sei volte per sicurezza.

Quasi cominciava a venirle il sospetto che non ci fosse davvero nessuno in casa, e dopo aver tenuto premuto il campanello per un po’ stava meditando sul da farsi (si piazzava sul vialetto? Cercava una finestra aperta e entrava?), quando qualcuno le aveva aperto.

Era proprio lui, e come al solito nel vederlo lo stomaco le si era rimescolato tutto.
Era sempre bellissimo, e si sentiva felice per il solo fatto di essere lì in piedi di fronte a lui, anche perché da un po’ lo vedeva solo seduto, e lui era alto, e bello, ed ora che si vestiva meno si notava meglio quel fisichetto da mangiare, e quei jeans gli stavano da dio.

- Sono venuta a prenderti – gli fece tutta gasata, con un ghigno che le andava da un orecchio all’altro.

 - A prendermi? – sembrava un tantino sorpreso.

Stanco anche, doveva aver dormito male (non era il solo).
E triste.
Soprattutto triste.
Ma ora era lì lei, no?!

 - Sì, andiamo via, all’avventura…se vuoi andiamo a cercarlo, tuo fratello dico, io e te… -

 - Lascia stare – le aveva replicato, e le aveva chiuso la porta in faccia.

Naruko rimase lì, con i fiori rubati in mano e il cuore un po’ spezzato.
Cazzo…aveva proprio pensato che le avrebbe detto di sì.

E invece voleva rimanere tutto solo, chiuso in quella casa grande e vuota, con quegli occhi così tristi.

Provò a suonare un altro paio di volte, magari ci ripensava.
Niente.

Va bene.
Se lui non la voleva non poteva farci niente, se ne rendeva conto, non era stupida, ma mica poteva andarsene e abbandonarlo proprio ora quando aveva bisogno di una donna che si prendesse cura di lui: era uno che si teneva tutto dentro e scommetteva che si stava facendo un sacco di seghe mentali!
Per cui…ecco… avrebbe aspettato.

Rimase ad aspettare un bel po’ davanti alla porta coi suoi fiori in mano, e poi seduta sullo scalino d’ingresso, infine dentro la macchina.
Nel frattempo era ora di mangiare e il suo stomaco iniziava a brontolare, desolatamente vuoto.

Ad un certo punto non ce l’aveva fatta più ed era andata a cercarsi qualcosa da mettere sotto i denti, si era presa un hamburger e una birra, aveva fatto scorta di vaccate, e poi aveva parcheggiato ancora davanti a casa sua e aveva aspettato in macchina.
Cazzo…si stava annoiando a morte lì, non si era portata nemmeno via l’ultimo libro che aveva preso in biblioteca (da un po’ ne prendeva uno alla settimana, non aveva un c… da fare nei week end, in più si divertiva a rompere le scatole alla bibliotecaria ).

Il pomeriggio era passato in una lenta agonia e prima di sera si era mangiata tutti i panini, e le merendine, e le patatine, e le caramelle, e la cioccolata.
Tra un po’ doveva cercarsi un cesso.

Poco dopo si abbioccò sul sedile.

Si svegliò di scatto, era buio, e guardò l’ora, era presto ma c’era già un silenzio di tomba in quel luogo dimenticato da dio.
Forse poteva farsi un altro pisolino, o cercare un bar aperto per andare in bagno, se la stava facendo sotto, ma poi lo vide, lì fuori, davanti al vialetto di ingresso, che guardava dalla sua parte.

Tirò giù il finestrino.

 - Ehi bello! – urlò – vieni a farti un giro? –

Intuì più che vedere il suo sorriso, ed aspettò che si avvicinasse ed aprisse la portiera dall’altra parte della macchina.

 - All’avventura o alla ricerca di tuo fratello? – gli chiese.

Lui le si era seduto accanto e non aveva detto niente.
Cazzo…com’era bello, anche di notte, soprattutto di notte, perché lui era la luna.

 - Non lo so - le rispose infine – non riesco ad immaginare dove possa essere andato, è sparito…e da una parte sono terribilmente preoccupato per lui, ma da una parte, è come una liberazione –

 - Ovvio che ti preoccupi…ma vedrai che si fa vivo presto, e intanto io sono qui, non ti lascio solo – gli spiegò mentre buttava i fiori ormai appassiti e un bel po’ di cartacce sul sedile dietro (era tentata di aprire la portiera e buttare tutto fuori, ma era davanti a casa sua, magari gli dava fastidio) – e non stare a farti seghe mentali, non è come se fosse colpa tua se ti senti un po’ più libero…è normale con i suoi problemi e tutto –

Lui non aveva replicato, ma c’era abituata, e sapeva che l’aveva ascoltata, come sempre, e che ci avrebbe pensato.

 – …hai mangiato qualcosa? Vuoi un po’ di patatine? – gli chiese poi porgendogli il sacchetto quasi vuoto – Forse ce n’è ancora qualcuna qui dentro –

Lui non aveva preso il sacchetto, però aveva sorriso. Un accenno di sorriso, ma andava benone lo stesso.
 
 - Sei invadente e svitata – le fece mentre si allacciava la cintura – ma sei l’unica persona al mondo che mi fa sorridere ancora –

Era stato allora che si era allungata e gli aveva baciato le labbra.

 - Bene, perché mi piace vederti sorridere – gli replicò prima di baciarlo ancora, con la lingua questa volta, per niente sorpresa del fatto che lui rispondesse al bacio.

Sasuke sapeva di disperazione, e bisogno, e passione nascosta, di cuore cha batteva all’impazzata e di qualcosa che non si poteva più lasciare andare una volta provato.

Si staccò a fatica, la testa che girava e un sorriso tra il beato e il trionfante stampato in faccia, e in qualche modo riuscì ad allacciarsi la cintura con mani che tremavano, per partire subito dopo sgommando, ancora tutta scombussolata.
Questo era il paradiso, davvero… quella notte sarebbero finiti in qualche albergo lungo la strada (pagava lei, si era portata il bancomat), e avrebbe potuto assaggiare ogni parte di lui, finalmente, ma per il momento doveva cercare un bar aperto ed andare in bagno.

 - Il mio scopo è quello di riuscire a farti ridere, un giorno – gli spiegò – ci vorrà un po’, mi sa –
 
 - Pensi di starmi appiccicata così a lungo? – le chiese, ma non era mica seccato, scherzava.

 - Per sempre – proclamò decisa.

Ed era davvero così, per sempre, lo sapeva come sapeva di essere Uzumaki Naruko, perché non tornava indietro nelle sue decisioni, mai, e quando sceglieva era per sempre.


FINE


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Un grazie enorme a tutte coloro che hanno seguito questa storia, che, mi rendo conto, poteva interessare ad un numero ridotto di persone...spero che vi sia piaciuta Naruko, sono (relativamente) soddisfatta di come mi è venuta, la trovo proprio un’ottima persona nonostante il QI non eccelso!:)

Ed ora vediamo se riesco a finire la fic con la lemon: la storia non è granché, per cui dovrei almeno scrivere una lemon memorabile, ma…ehm... un po’ mi vergogno, un po’ mi viene da ridere, per cui non so proprio cosa verrà fuori!

   
 
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