吾
輩は猫である
Wagahai
wa neko de aru
(Io
sono un gatto)
Mycroft
Holmes è un gatto.
Un gattone che ha imparato ad
ottimizzare al meglio le risorse fruibili dagli altri.
Durante
la giornata non si
vede, non si sente, e la gente pensa non sia lontano il giorno in cui
l'arredamento lo reclamerà come parte integrante di esso.
Dona
alla casa l'aspetto
di una cartolina di Natale stilizzata.
La
quiete e l'atmosfera di
nostalgica serenità che vi si può rimirare
intorno è la stessa.
Espleta
la sua vita nella
più completa autonomia e non vi trova nulla di
così triste nel fatto che gli
altri intorno a sé tendano a dimenticarsi della sua
presenza, anzi: è più
conveniente di quanto le loro piccole, normodotate menti possano
immaginare.
È
stato testimone di gesti
e conversazioni decisamente insolite (la vecchia bambinaia sorpresa a rubare
l'argenteria proprio sotto
ai suoi occhi, per citare il più significativo) che hanno
comportato benefici a
lungo termine e traguardi altrimenti invalicabili (niente
più bambinaie da accudire).
Ma
lo slancio con cui
corre verso la mamma quando dalla cucina cominciano a provenire i primi
rumori
delle stoviglie compensa ogni mancanza, e ricorda ai presenti che in
fondo, la
casa è ancora viva; e che lo strano bambino-gatto che vi
abita dentro non si è
ancora fuso del tutto con la tappezzeria.
Da
un paio di mesi a
questa parte, quando la cena sta per esser servita, nei suoi occhietti
grigi
brilla una luce nuova. La
madre non lo
sa, ma è lei la causa di tanta eccitazione.
Il
suo pancione ha
cominciato a vedersi anche sotto strati e strati di stoffa, ma
è già da un po'
che tende a raddoppiare le proprie porzioni di cibo.
Inavvertitamente, fa lo stesso anche con
quelle degli altri.
Dal
momento in cui
l'impalpabile esistenza di suo fratello è stata resa nota,
in casa regna
un'atmosfera differente.
E
Mycroft ne è felice.
Grazie
a lui, la mamma non
va più al lavoro.
Le sue giornate sono scandite da un lento ping-pong che la vede
muoversi dalla
camera da letto alla cucina, dalla cucina alla camera da letto.
Mangia
cibo malsano capace
di mettere in dubbio la sua capacità olfattiva, ascolta alla
radio programmi di
discutibile utilità e, adesso che non ha più le
nausee, la si può scorgere per
la maggior parte del tempo di buon umore, sempre pronta a distribuire
sorrisi
dolci come le caramelle di cui profuma.
‘
Mycroft, Mycroft.’
Cantilena
leziosa, mentre
lo accoglie accanto a sé e lo avvicina al grembo gonfio.
Con
il cuore del feto tra
i timpani e l'olfatto diretto verso il budino alla ciliegia del vassoio
che
poggia sulle lenzuola, l'imperfetto felino ruota i suoi occhi pieni di
amore
verso la madre.
Preme
su quella figura con
una innocenza impura, delicata e assolutamente non disinteressata.
‘ Tra
non molto arriverà il fratellino, e tu non sarai
più costretto a startene da solo tutto il giorno. Sei
contento, darling?’
Chiede
serafica mentre,
quasi senza accorgersene, fa il gioco di quello sguardo e lascia
scivolare un
cucchiaio di budino tra le labbra golose del figlio.
Inebriato
dal frizzante sapore
esploso in bocca, e coccolato dalla soave mano della madre che gratta
la sua
testolina rossa fino a fargli emettere quei mugolii, quei piccoli,
indecenti
suoni gutturali che solo lei riusciva a strappargli, Mycroft Holmes non
riesce
a partorire nient'altro che un sì.
Sì.
Sì,
ed ancora sì. È
contento. Davvero contento.
Sgombro
da qualsiasi
dubbio, Mycroft giunge alla felice conclusione che non c'è
cosa più bella
dell'arrivo di un fratellino.
Soprattutto
se il bambino
ha intenzione di restar dentro la pancia ancora per molto.
*****
Mycroft
Holmes è un gatto.
Un
piccolo suddito di sua
Maestà che, tutto sommato, può anche eccedere
nell’utilizzo dell’aggettivo
‘felice’
per descrivere il suo stato senza
apparire inopportuno.
Solo
una condizione, di
recente, lo inquieta.
Che
non è esattamente una
bazzecola, nonostante non superi i quarantotto chilogrammi.
Adèle.
Il
suo passaporto la vorrebbe in
Francia, ma per ragioni apparentemente incomprensibili, lei
è lì.
A
rovistare tra il suo
materiale scolastico in cerca di una pecca da cui tessere una paternale
che
avrebbe dato un senso al suo stipendio, a confermare inutilmente
l’ordine in
territori già in perfetto ordine,
e a
cercare di inculcare nella sua persona un’anima umana,
piuttosto che
riconoscere quella felina a cui tutti ormai si son sensatamente
adeguati.
Non
una tata, non una
colf.
Non
si sa esattamente
quale ruolo quell’essere d’oltremanica ricopra
all’interno della famiglia
Holmes.
Una
cosa è certa: è la
classica amante dei gatti.
La
mamma l’aveva
presentata come una persona che le avrebbe dato una mano
finché il bambino non
fosse nato, ma la verità è che quella donnina
scialba, dalle vesti quasi unicamente
color lavanda, sembra provare il masochistico impulso di trascorrere
gran parte
del tempo in compagnia del ‘piccolo
di
casa’, ed è davvero pronta a tutto pur
di non ammettere come non vi è
necessità primaria che quel gatto sornione non
sia perfettamente in grado di
assolvere da solo.
Una
piccola soddisfazione
le viene servita su un piatto d’argento ogni sabato
pomeriggio, quando Mycroft
Holmes deve raccogliere il suo lungo broncio –
così lungo da rischiare
puntualmente di inciamparvi sopra-
e soffocare
l’istinto di schizzare via da quelle braccia che lentamente
lo guidano nella
odiata vasca da bagno.
Bolle
di sapone, inutili
paperelle di gomma dall’aria antipatica…
Non
può neanche
lontanamente immaginare l’immane sforzo a cui quel gatto è
costretto pur di
tenere a bada i suoi artigli, che adesso più che mai
vorrebbero sfoderarsi e
graffiare, e poi graffiare e graffiare ancora quell’essere
pusillanime che, tra
ritornelli e filastrocche in un inglese che
non è inglese, strofina con insolente allegria
ogni centimetro della sua
pelle ‘rosa-porcellino’,
così come
lei osa etichettare.
È
un gatto.
E da un gatto
non ci si può certo aspettare che ami l’acqua e
chi lo costringe a bagnarsi.
Ma
il britannico guscio
umano che ricopre il suo spirito richiede un certo rigore, un certo
contegno.
E
sotto il termine
‘contegno’ nessuna fuga è concessa.
Sarebbe quantomai sconveniente.
Perciò
lascia che a
fuggire sia qualcos’altro, qualcosa che può farlo
anche senza mettere a
repentaglio la sua reputazione più di quanto non stia
già facendo la ridicola
pettinatura appuntita che il Male d’oltremanica ha modellato sulla sua testa insaponata.
Così
mentre quel
cinguettio scivola e dilaga irritante come il bagnoschiuma, la sua
mente è già
lontana; è già al vestito della domenica che sua
madre ha di recente fatto
confezionare e che domani indosserà per
ricevere i parenti in visita dal Sussex.
E’
un gatto
pigro e
vanitoso, Mycroft.
Ma
ahimé, l’eleganza
richiede dei sacrifici; i rivoli di shampoo che Adèle fa
scivolare nei suoi
occhi non fanno che ribadire il concetto.
Allora Mycroft piega avanti la testa, porta i pugni agli
occhi e dei
lamenti deboli, simili a dei miagolii si levano nell’aria tra
i vapori. Lamenti
che lei, sadica, è pronta a sminuire con una serie di
sogghigni.
‘Su, smetti di fare il
bambino piccolo. Presto sarai
un fratello maggiore, Mycroft. Sarà un grande impegno per
te.’
E
diradando le bolle, lui
sbuffa.
Sbuffa
e giura che finché
avrà vita, mai mai e poi mai costringerà suo
fratello a subire una cosa tanto
odiosa come il bagno del sabato pomeriggio.
*****
Mycroft
Holmes è un gatto,
e non ama i limiti.
‘Finito’
è un termine che
gli sta stretto; un concetto scomodo da cui preferisce mantenersi
distante.
Guarda
con diffidenza a
tutto ciò che non è perenne; non ha amore per
quanto di fugace il mondo ha da
offrirgli.
Vive
nella ferma
convinzione che, prima di nutrire aspettative verso qualcosa, servono
delle
garanzie ben precise; delle sicurezze che devono portare il marchio
dell’eternità.
Se
esso non è presente o
comprovabile, allora si tratta di materiale esauribile, limitato.
E
qualsiasi legame di
affetto si sceglie di stabilire con codesti fenomeni, è
sinonimo di uno
svantaggio che fa orrore anche solo a pensarlo.
Ed è per questo
che ama le stelle, Mycroft.
Ama
quei piccoli bagliori davanti ai quali anche un gatto sente il peso
della
propria limitata esistenza.
Sono
la primissima preda di un felino, il primissimo scintillio che innesta
nei loro
occhi ancora privi di luce l’ardente bramosia di possedere
qualcosa.
Salterà
per raggiungerle.
Arrancherà.
Si arrampicherà, minaccerà il cielo con i suoi
piccoli artigli e poi salterà
ancora.
E ancora e ancora e ancora.
Brucerà
una delle sue nove vite, in quella sua corsa disperata. Una perdita
importante,
certo.
Ma
l’idea di appuntare sul suo manto qualcosa il cui bagliore
potrà ergere
l’intera razza dalle tenebre del regno animale è,
a suo dire così, una causa
così nobile da far passare tutto il resto in secondo piano.
Si fermerà solo quando sarà ormai troppo tardi.
Quando nei suoi occhi, quei
freddi barlumi avranno già acquisito un riflesso differente,
e insinuato nel
cuore la primissima, grande delusione che giunge a ridimensionare la
forza di
quell’ego presuntuoso.
Perché
la consapevolezza che nulla in suo potere gli permetterà di
portare quei
luccichii tra le zampe, non è un’operazione
indolore.
La
resa alle stelle ha la forma di un gatto che, sotto il severo sguardo
del
firmamento, con capo chino e coda tra le zampe, ammette la sua
umiliante
sconfitta e si lascia miseramente spogliare da qualsiasi mandato divino
si
credeva investito.
Nudo,
scevro di sacralità, egli verrà abbandonato ad un
mondo mediocre e immeritevole
della sua presenza.
Un
tugurio in cui dovrà trovare qualcosa a cui ambire, un ripiego discreto abbastanza per cui vale
la pena alzarsi ogni
giorno da un cuscino morbido e accontentarsi.
Ma
è solo un armistizio, quello proclamato con la volta
celeste. Non una
sconfitta.
Per
il resto dei suoi giorni guarderà a quelle stelle
inavvicinabili e domanderà
loro la ragione di vivere nove vite pur essendo tale e quale a quegli
esseri
che di materia celeste non si infetteranno mai.
Alle
sue udienze con il cielo, Mycroft Holmes non era quasi mai solo come lo
è
questa notte.
La
vecchia soriana senza nome che puntualmente presiedeva insieme a lui,
era una
presenza garantita.
Sedeva
sempre su di un angolo del davanzale, mimetizzata dai i damaschi delle
tende.
Nonostante
l’orecchio mozzo ed il ventre sformato dalle gravidanze, era
sempre lì. E
faceva la cosa che meglio sapeva fare: attendeva. Non aveva fatto altro
per
tutta la sua intera esistenza.
Quando
l’ultima delle sue nove vite volgeva al termine, nei suoi
occhi rivolti al
cielo, il
grosso gattone Mycroft Holmes aveva scorto una insolita quanto
compiaciuta accettazione.
Come
se, infine, di quell’assaggio di eternità
spicciola, si fosse accontentata.
Oggi
che ha dovuto seppellirla
in giardino, non fa che pensare a quanto sia stata patetica la vita di
quella
gatta. Non
aveva avuto risposta, da quelle stelle. Ma alla fine, ci aveva fatto
amicizia.
Patetica
davvero.
Mycroft
Holmes è un gatto,
sì. Ma
non uno qualunque.
Lui
quelle stelle senza cuore le desidera. E se
desidera qualcosa,
egli la ottiene.
In un modo o
nell’altro.
‘Mycroft!
Cosa
fai in giardino a quest’ora? Dovresti essere a letto, mon
petit chou.’ (*)
Una
tazza di latte
contornata da una decina di madeleinette.
Decisamente
lauto come
pasto fuori orario.
Decisamente
troppo
gradevole perché quel gatto
ciccione di
Mycroft Holmes indugiasse più di tanto a farlo suo.
Scruta
un po’ la tazza con
apparente indifferenza, ruota le pupille intorno alla corolla di
dolcetti e
cerca in tutti i modi di schermare al mondo esterno
la sanguinaria lotta tra ragione e acquolina
che si consuma dentro di sé.
Non
lo sfiora neppure, se
non dopo un lungo, amaro sospiro giunto a celebrare la sconfitta della
sua
alleata più cara.
Con
lentezza, chiude gli
occhi.
Ispira
profondamente
quando, tiepido e zuccherino, il latte giunge a lambire le sue labbra.
La
quantità di odio che
riversa nel modo in cui Adèle lo sta fissando è
qualcosa a cui cerca di non
pensare.
Dopotutto
è un gatto, e non
dovrebbe curarsi di quel lampo
di vittoria che era certo sarebbe apparso nello sguardo di lei
– e infatti così
è stato – quando avrebbe accettato finalmente
l’inaspettato premio consolatorio.
‘Era una gatta molto
cara, ma era anche anziana e
malata, mon chéri. La tua maman mi ha detto che si
prendeva cura di lei prima ancora che
tu nascessi. Sono sicura che anche adesso che è in cielo, ti
vorrà sempre,
sempre bene!
‘
Adèle
sorride.
Sorride
e neanche immagina
quanto le sue madeleine si stiano rivelando salvifiche.
Mycroft
avrebbe smontato
pezzetto per pezzetto quel suo discorso, se le sue guance non fossero
occupate
dalle soffici brioches.
Quella
gatta non lo amava.
Non amava nessuno.
Amava
la casa in cui le
permetteva di rifugiarsi, e amava le stelle.
Quei
piccoli gesti di
affetto mostrati nei suoi confronti altro non erano che misere
illusioni con
cui dall’alto della sua intangibilità osava
gratificare la fragile esistenza
umana.
Esistenza
che non
concepisce la comodità di amare
e non
soffrire.
Le
vite finiscono. I cuori
si fermano.
Amare
non è mai un
vantaggio.
‘E’
normale sentirsi tristi, Mycroft.’
La
sentenza arriva insieme
ad una carezza, e se da questa riesce a scansarsi con una mossa della
testa, lo
stesso non è per la prima, che giunge alle sue orecchie come
un dardo, letale e
velenoso.
No,
non è normale per un
gatto.
E infatti lui non è triste. È solo deluso.
Ha lasciato che la
sua parte umana inquinasse quella felina più di
quanto immaginasse.
Che
mi sia di lezione,
dice a sé stesso l’impuro
micione di Mycroft Holmes.
Amareggiato da sé più che mai.
Va
a letto con le orecchie
basse e la coda tra le gambe, come quei gatti che si sono arresi.
Ma
per lui non è così. Oh
no.
La
sua sfida con le stelle
non è affatto conclusa. Solo rimandata.
Perché
lui non è, un gatto qualunque.
---
WAGAHAI
WA NEKO DE ARU (IO
SONO UN GATTO)
吾輩は猫である
Fine secondo capitolo.
Note
:
·
(*) Adèle è
francese. “Mon petit chou” (letteralmente
“Mio piccolo cavoletto”) è un modo
affettuoso usato dai francesi per rivolgersi ai bambini.
Credits:
·
Scritta da: Snehvide (ex
- Reichan86) // Beta: Narcy
·
吾
輩は猫である(WAGAHAI
WA NEKO DE ARU) è il titolo di un romanzo
di Natsume Souseki (EDO,
1867 – 1916) .
|
Ringraziamenti:
·
Come al solito, i miei
ringraziamenti più grandi vanno alla mia beta-reader Narcy,
che sommergo di chiacchiere inutili ogni giorno, e al mio meraviglioso
gruppo che riempie le mie giornate come poche cose riescono a fare ♥
·
Un altro ringraziamento speciale
va a tutti coloro così coraggiosi da proseguire nella
lettura di questa fanfiction! E’ un vero trip mentale, lo so,
e non posso neppure promettere che andando avanti con i capitolo la
situazione migliorerà! XD
Il terzo lo vedrete tra un po’, in quanto in questo momento
sono super-impegnata con lo studio.
~ Snehvide
|