THE
TIME HAS COME TO MAKE THINGS RIGHT
Autore:
Edian
Pairing: CesarexTiberius;
Rating: Verde
Avvertimenti: Angst,
One-Shot, Future!Cesar, Future!Tiberius
Note: In
questo piovoso pomeriggio ho preso il PC, le canzoni dei Muse e mi
son detta che dovevo scrivere. Qualcosa dovevo per forza buttarla
giù. Ed ecco qui il risultato, una angst storica che
probabilmente
non ha né capo né coda. E' ambientata nel
fatidico giorno delle Idi
di Marzo, e spero di non aver detto castronerie, ma per evitarle ho
cercato sempre di lasciare tutto in generale. Godetevela, non ho
altro da dire, e siate magnanimi!
La
prima coltellata arriva diretta al
dictator
di Roma, e fa male.
Sapeva
che ultimamente il suo operato non era molto rispettato in Senato,
sapeva che, come per tutti i potenti, era arrivato il momento in cui
attorno non si hanno che nemici e in cui le persone leali sono meno
del numero delle mani concesse ad ogni uomo. Eppure c'è
sempre
quella persona che pensi che non ti tradirà mai.
Arrivano
altre pugnalate, voci confuse gridano ovunque. I corpi si accalcano
su di lui, ognuno vuole lasciare il suo marchio, ognuno, in queste
Idi di Marzo, ha deciso di essere protagonista. Eppure dove erano
tutti questi protagonisti quando la fine della Repubblica era vicina?
Dov'erano Cassio, Decimo e Lucio in Britannia, in Gallia, o quando
Spartacus stava stravolgendo l'ordine naturale delle cose?
Loro
l'hanno appena ridotto in fin di vita, una ventina di persone contro
uno solo, e la macchia di buio si allarga nei suoi occhi, negli occhi
che hanno domato mille battaglie e che hanno sedato mille rivolte.
Occhi che hanno visto il dolore.
Nel
buio, nella confusione dei corpi che finalmente lo lasciano andare,
nei corpi ancora vivi che scappano alla rinfusa, nei nitriti dei
cavalli e nel rumore delle bighe che si allontanano, negli strepiti
delle guardie che corrono ad arrestare chi possono, quegli occhi
però
funzionano ancora. Cesare, della Gens Iulia, discendente di Venere,
gira la testa ed incontra un viso noto.
Tiberio,
figlio di Crasso, che sta ritto davanti a lui, a guardarlo.
E in
un attimo sente di essersi meritato ogni coltellata che gli
è
arrivata, ma nello stesso attimo, gli anni tornano indietro. Lui era
ancora giovane, solo un tribuno militare, e Tiberio un giovane che
credeva di avere il mondo nelle mani.
Quando
è stato? Quando è iniziato tutto quel veleno fra
di loro?
All'inizio
era solo un gioco, era una gara di potere e di forza, c'era solo la
voglia di non sottomettersi e probabilmente anche un po' di
divertimento. Quando ancora Sinuessa en Valle era dei ribelli, o
quando i ribelli avevano appena cominciato ad andare incontro alla
loro morte. Era ancora tutto un gioco, c'era solo ambizione, voglia
d'imporsi.. poi tutto è cambiato.
Il
mondo era cambiato. Roma era cambiata. Il che era un po' la stessa
cosa.
Adesso,
negli occhi di Tiberio è passato qualche anno, è
un uomo, e lui e
Cesare si frequentano da anni; il triumvirato con Marco Licinio
Crasso e Pompeo è stato firmato e Tiberio è uno
svago che può
permettersi tra e guerre civili e armi, tra gli anni passati sulle
province della Gallia e della Britannia.
Cesare
torna a Roma, prende la gloria e passa davanti casa di Tiberio.
I due
si guardano, come se s'incontrassero per caso, e poi si baciano di
rabbia, di paura, di nostalgia.
Gridano
nelle camere da letto, si picchiano, si fottono.
I
capelli vengono tirati, le labbra morse, i sentimenti vengono feriti
dalle parole.
Ogni
santa volta che lui ritorna a Roma è così.
Quante
lenzuola hanno insanguinato con le loro unghie, con armi casuali,
quanto male si sono fatti per anni? Fino a che...
“Tiberio
è un uomo ora. Sono
stato troppo indulgente, gli ho concesso troppi anni di
gioventù.
Sposerà una donna.” queste le parole di Marco
Crasso, qualcuna
delle ultime parole della sua vita. Cesare è contento di
aver messo
già prima del veleno nel pasto del suo
“alleato”, altrimenti
l'avrebbe fatto in quello stesso momento. Tiberio è solo
suo, non
importa quanti anni lui sia stato all'estero, per quanti anni non lo
veda. Tiberio è suo.
Annuisce alle parole del vecchio e
poi ride quando successivamente lo vede agonizzare per terra. Lo
sbeffeggia.
A
pensarci ora, sul
freddo pavimento di pietra del senato, forse non era necessario
ucciderlo. Ma l'età è solo portatrice di sensi di
colpa, avesse di
nuovo vent'anni, fosse di nuovo vivo, non starebbe rimpiangendo
niente.
“Hai
ucciso te mio padre.”
“Brillante deduzione, Tiberio.”
“Non toccarmi.”
“Lo dici sempre.”
“Sfortunatamente per te avevo già
firmato un contratto di matrimonio:”
La sua ira fa breccia, prepotente,
nel muro della situazione e il politico tiene per la gola il ragazzo,
che ormai, non è più un ragazzo. Una sola domanda
esce dai denti
stretti, come un ringhio di una bestia selvaggia.
“Chi?”
Tiberio lo guarda beffardo, sa che
Cesare non stringerebbe mai la sua gola. Sa di avere potere sul
console. “Saturnia, la bella. La figlia di Quintilio. La
conosci,
mi sembra!”
La
nipote della sua
prima moglie, già ripudiata.
Sperava in qualcosa
di meglio.. no, sperava in se stesso. Cosa che non era possibile. Non
era mai stato possibile.
Da
quel giorno, da
quel giorno il veleno era stato troppo per poterlo sedare nelle
camere da letto, e la guerra e la distanza, aveva aggiunto tutto quel
poco che mancava affinché loro si odiassero completamente.
Però,
da quando
era diventato dictator, quante volte era entrato in casa di Tiberio e
si era preso comunque quello che lui non voleva dargli? Qualcosa di
cui non riusciva più a sopportare la mancanza. Una mancanza
così
forte che l'età e il potere avevano dovuto combinarsi per
colmarla.
Entrava nella sua
camera, faceva sfondare la porta dalle sue guardie. Tiberio gli
sputava, lui lo riversava sul letto, lo immobilizzava, gli soffiava
parole di scherno e di odio, entrava dentro di lui e faceva ancora
finta di saper amare.
Come
un lampo, i
flashback si fermano e Cesare riesce a contare i respiri che gli
rimangono. Tiberio ha sempre dieci anni in meno a lui, ma è
un uomo
adesso. Si china su di lui, gli afferra i capelli insanguinati e li
tira. Negli occhi ha delle lacrime congelate, chissà se di
rabbia o
di gioia.
Di certo non di
tristezza.
“Lo
vedi,
dictator” dice, con voce rotta e mascella tremante,
all'orecchio di
un uomo che non è più neanche capace di
guardarlo. “che il potere
non dura per sempre? Ora sei contento della gloria sul campo di
battaglia? Sei ancora soddisfatto delle notti in cui mi hai preso
facendoti aiutare dalle tue guardie?” fa una risata di
scherno, e
si scansa, rimanendo sempre inginocchiato accanto al corpo
insanguinato che si sta spegnendo.
Attorno
al Senato,
il silenzio è sceso. Solo il vento e la polvere abitano quei
luoghi,
li isolano dal resto del mondo e gli offrono rifugio per l'ultimo,
drammatico atto della loro storia.
Cesare
lo guarda.
Deglutisce con uno sforzo enorme, ed annuisce. Non è da lui
rimpiangere tutto solo per una fine ingrata.
“Persino
tuo
figlio ti ha pugnalato. E non ti chiedi neanche il perché?
Non ti
penti delle tue azioni?” ora è chiaro, quelle
lacrime – che ora
si stanno liberando lungo le guance, via dagli occhi neri –
sono di
rabbia. Di rabbia per essere stato l'unico che non ha preso la sua
vendetta. Ventidue pugnalate bruciano rosse sul suo corpo, ma ne
manca una.
Cesare
lo guarda.
“Fallo.” rantola.
Tanto è quello che
hanno sempre fatto, no?
Sin dall'inizio,
pugnalarsi a vicenda è stato sempre il loro scopo. Cosa
importa se
questa volta la pugnalata sarà concreta? L'imperator, il
pontefix,
il senatore morirà comunque.
Tiberio
ha le
labbra che tremano, gli occhi accecati e le viscere che ribollono.
“La cosa che fa
più male è che c'è stato un tempo
della mia vita in cui ero
convinto che avrei potuto andare avanti per sempre ad aspettarti e ad
accoppiarci come delle bestie quando saresti tornato.”
Prende un pugnale,
ancora caldo e già insanguinato.
“Addio, Gaio
Cesare, della Gens Iulia. Vai nell'Ade e paga per i tuoi
peccati!”
e quasi urla mentre incide la sua ultima, fatale pugnalata, sullo
sterno.
La
luce si spegne
negli occhi chiari del dictator, e il vento smette di soffiare, la
polvere cade a terra mentre il petto si ferma e il cuore si spezza
per l'ultima volta, o forse per la prima. Magari prima di quel giorno
non aveva davvero mai sofferto. Gli occhi diventano velati e non gli
rimane più la forza neanche dell'ultimo pensiero,
dell'ultimo urlo,
dell'ultimo respiro ancora non finito.
Tiberio
posa un
bacio su quella fronte ormai senza vita e poi si alza, asciugandosi
gli occhi. Prende i suoi oggetti e va' via da quel luogo maledetto,
pensando che forse era meglio morire quel giorno, accanto al mare, in
quel pazzo, pazzo attacco.
Forse
sono stati
fortunati i ribelli, a morire per le strade di Roma e non a viverci.
La sorte non è benevola per i cittadini della
città eternamente
maledetta, e la sua vita è ancora tanto lunga, da dividere
con una
moglie che non ama ed un figlio non suo.
Ad
una fonte si
lava le mani insanguinate e piange ancora, riversando lava sul suo
viso. Fiumi ardenti che sgorgano dagli occhi e la bocca è
spalancata
ed emette singhiozzi. Tutt'attorno Roma freme, le notizie cominciano
a giungere, i congiurati sono probabilmente già arrivati al
mare.
E
lui alza gli
occhi al cielo, senza voler sapere più niente. Senza sapere
se in
realtà aveva mai amato quel dittatore arrogante, senza
pensare ad un
amico di tanto tempo fa che ha già tradito mille volte.
Qualcuno,
nella folla dice: “Questo sarà un giorno che
passerà alla storia”
e lui scuote la testa.
Lui non passerà
alla storia.
I dettagli pieni di
significato vengono sempre dimenticati.
Nessuno saprà mai
di quelle notti, ora quelle giacciono nella ventitreesima pugnalata,
finalmente dritte nel cuore dell'uomo che lo aveva pugnalato
già
molto tempo prima.
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