Per
il calendario la primavera era prossima, se non imminente, eppure
Glasgow svettava solida e caparbia contro un cielo plumbeo come un
fiero gigante risvegliato dal suo lungo sonno. La pioggia batteva
copiosa ed incessante sulle automobili e sulla cattedrale di San Mungo
che torreggiava a pochi isolati di distanza, la torre gotica che
osservava silente ed austera il frenetico cicaleccio della razza umana
con solenne distacco.
Rachel
alzò lo sguardo, rabbrividendo nel suo pesante cappotto di
piuma d'oca. Pesanti gocce d'acqua la accecavano, rendendole il
tentativo di scrutare l'insegna del negozio che i quattro avevano di
fronte una sorta di straordinaria impresa.
«Proprio
quel che stavamo cercando.»
Esordì
Nat. Ed era vero, poiché l'insegna in legno con lettere
smaltate in un rosso spento recitava quella dicotomia che i quattro
investigatori avevano ripetuto nei giorni precedenti sino alla nausea.
«Più
facile del previsto, che sia un miracoloso dono del Signore nostro
Dio?» Ironizzò Gregory, le mani nelle tasche del
giaccone di pelle e il ridicolo e pregno cappello da golf calcato sulla
fronte a nascondere la capigliatura rossa scurita dall'acqua.
Le
due donne si limitarono a scuotere la testa ignorandolo, affrettandosi
sotto la piccola tettoia per evitare di inzupparsi ulteriormente gli
abiti. Solo Nathaniel rivolse un'occhiataccia al compagno, come se
volesse indicare con una certa, decisa eloquenza quanto fosse
inappropriato il suo intervento in un momento del genere.
Hawthorne
si strinse nelle spalle, sul volto il sorriso di chi è
solito prendere la vita alla leggera, e nel suo caso forse anche troppo.
Non
era stato difficile dopotutto scovare la precisa locazione del negozio,
un comunissimo esercizio di compravendita di oggetti usati dall'aria
placida e anonima, l'idea di cominciare da quello che con buona
probabilità doveva essere l'occhio della testa d'aquila
disegnata su Google Maps avuta da Rogers si era scoperta infatti
vincente.
Non
indugiarono sulla soglia, catapultandosi all'interno per sfuggire alla
morsa terribile del freddo scozzese e della violenta pioggia che assai
spesso scuriva tristemente la volta celeste delle Lowlands.
La
campanella sbatacchiò risuonando brevemente mentre
richiudevano la porta di vetro e legno dietro le loro spalle, sfregando
le mani fra loro o soffiando su di esse per ottenere un po' di calore.
Il locale puzzava di vecchio e risultava essere un vero e proprio
labirinto di bassi scaffali, vasi dalle più disparate
origini ed aggeggi di varia natura, dai comuni telefoni a strani
oggetti dalle forme bizzarre. Più che un locale di
oggettistica usata, pareva “un bazar dell'usuale e del
grottesco”, ed effettivamente il bancone in noce ingombro di
ogni possibile cianfrusaglia e la polvere colta nel suo infinito
turbinio, colpita dai coni di luce che filtravano dalle due finestre
sporche ed opache ai lati della stanza, conferivano all'insieme un
aspetto accattivante, misterioso. Ad accoglierli, oltre la rigida
armatura completa di due metri corredata di lancia e celata che pareva
ammiccare a pochi centimetri dal loro viso, vi era un uomo con curiosi
baffetti, spessi occhiali rotondi e una zazzera di corti capelli
bianchi, che rivolgeva loro un cordiale ma contenuto sorriso.
«Buongiorno,
signori. - La voce era bassa, profonda, come si poteva intuire anche
dalla statura non eccelsa e dall'ampio torace coperto da una camicia
bianca ed un panciotto oliva. - Lauchlan Maclean Watt umilmente al
vostro servizio. - E inclinò di poco il busto in avanti per
prodursi in un breve inchino. - Cercate qualcosa in particolare o posso
consigliarvi offerte irripetibili direttamente dal catalogo?»
Il tono era cortese, e in generale l'individuo non pareva destare
sospetto nella mente di Rachel. Forse si trattava della sua gentilezza,
o della sua disponibilità, ma nonostante la tensione che
inondava come fuoco vivo le sue vene non riusciva a scorgere un ruolo
importante in tutta quella storia nella figura del commesso del negozio.
«Amico,
siamo qui per … »
Iniziò
Hawthorne, ma l'impeto di Nathaniel lo interruppe. Lo sguardo da rapace
fisso in quello nocciola, anonimo dell'uomo che avevano difronte.
«Cosa
sai dirci a proposito di una setta cristiana che si presume avere sede
in questo negozio?»
L'uomo
aggrottò la fronte, stringendosi le mani dietro il bacino e
puntellandosi sui piedi.
«Temo
di non aver ben compreso, signore.»
Le
labbra di Nathaniel si incresparono in un sorriso glaciale, che non si
espanse anche agli occhi.
«Non
un abile mentecatto, pare. Ripeto la domanda più lentamente:
cosa sai dirci a proposito della setta di fanatici che ha sede in
questo locale?»
«Signore
la prego, si calmi, qui non esiste nessuna...»
Ancora
una volta, l'uomo di Liverpool fu più veloce. Estrasse la
sua Colt 1911 dalla fondina, puntandola contro la testa dell'uomo
sbigottito e ora terrorizzato, sfoderando inoltre con la mano sinistra
il distintivo dalla tasca sul petto dell'ampio giaccone.
«Non
è il momento di nascondersi.» Concluse lapidario.
La
tensione ora era palpabile e pareva trasudare dalle pareti e dagli
oggetti che invadevano la stanza ricolma. Mclean Watt parve tentennare
un attimo, deglutendo e tremando.
«Non
so mo-molto, signore, sono un semplice commesso. Alcune persone hanno
un accesso privilegiato ad alcune stanze nel seminterrato, signore, ma
ho avuto ordine di non entrare mai né di mettere il naso
nelle faccende di questa gente. Fa-faccio solo il mio
lavoro.» Il tono di voce ora era incrinato, più
acuto, il terrore veniva evidenziato in ogni singola parola che con
sforzo il commesso pronunciava. Sudore salato scese dall'attaccatura
della tempia dell'uomo, scivolando sulla guancia sinistra e perdendosi
nel colletto. Erano attimi infuocati, ma i tre oltre Nat mantennero i
nervi saldi e un'espressione credibile. Dopotutto, erano giunti fin
lì per sgominare potenziali assassini, e non certo per
acquistare cianfrusaglie in un negozio esotico e singolare.
«Dov'è
l'entrata al seminterrato?»
«Il
padrone ha ordinato di chiedere una parola d'ordine a chiunque volesse
entrare, mio-mio signore.» Stentava ormai a mettere due
parole di senso compiuto in fila, tremante come un cerbiatto
accerchiato da lupi famelici e sbavanti.
Il
sorriso di Nathaniel si allargò di un infinitesimo mentre
silente faceva scattare la sicura dell'arma che impugnava.
«Forse
è questa?» Azzardò suadente,
riferendosi al suono secco che la sicura aveva prodotto liberando la
canna.
Mclean
Watt deglutì una volta ancora, silenzioso per qualche
attimo, paonazzo in volto.
«Una
botola sotto il tappeto, lì, dietro il bancone.»
Rogers
ringraziò con un cenno del capo, avviandosi per primo verso
la botola sotto lo sguardo basito del commesso, seguito dagli altri tre
investigatori.
A
primo acchito, le tenebre ammantarono le figure che scendevano
cautamente i pioli della scaletta, la scarsa luce che proveniva
dall'alto insufficiente per poter rischiarare il seminterrato.
Nell'oscurità, le paure di Rachel si moltiplicarono, non
tanto per le infantili reminiscenze che sovente tornavano a turbarla,
ma bensì per la piega che stavano assumendo gli eventi.
Seminterrati bui, sette invischiate nei più efferati
delitti, e poi quei sospetti che sussurravano biechi in un angolo
remoto della sua mente, rivolti alla donna scozzese che, silente, si
affrettava a scendere per ultima le scale. Non era facile mantenere
l'auto-controllo, specie quando quattro ore di sonno scarso non erano
bastate certo a ricostituire le energie psico-fisiche di intere
settimane passate a lambiccarsi il cervello su un caso fantasma che
solo ora andava giungendo ad una lenta risoluzione. Qualcuno
azionò una torcia, facendo trasalire la donna londinese.
Hawthorne ammiccò nervosamente alla sua destra, spostando la
pila verso le pareti per comprendere dove erano finiti.
Era
una stanza umida, che segnava subito un netto distacco con il negozio
locato su di essa. Non vi erano arredamenti di sorta, né
nulla che lasciasse ipotizzare a cosa era adibito realmente quel
piccolo spazio. Vi era una seconda apertura nella parete di fronte, ed
il pavimento era ricoperto da piastrelle di marmo sulle quali giaceva
un leggero strato di polvere in cui erano segnate decine di orme, tutte
più o meno fresche, che trafficavano dalla botola alla
stanza successiva senza un ordine specifico di successione.
Evidentemente, l'unico probabile modo per uscire da lì era
ritornare nel negozio.
Iniziarono
timidamente la traversata di quelle stanze che si rivelarono essere un
dedalo interminabile, viaggiando cauti e timorosi
nell'oscurità che li avvolgeva e lanciava le sue lunghe,
affusolate ombre lungo il percorso della luce della torcia,
suggestionandoli al punto che anche il più piccolo dei
rumori a parte il ticchettio, in qualche punto imprecisato, dell'acqua
nelle tubazioni, facesse trasalire anche il più stolido dei
quattro. Erano vicini, assolutamente non intenzionati a separarsi, gli
occhi che saettavano lungo le pareti e le porte che affacciavano ad
altre stanze.
«Certo
che il trucco della pistola e del distintivo funziona sempre. Chi
potrebbe mai sapere che non sei disposto a sparare per ricevere
semplici informazioni?» Osò esordire sussurrando
Hawthorne per stemperare, a suo solito, la tensione che serpeggiava tra
gli animi tumultuosi degli investigatori.
«Piuttosto,
come puoi essere sicuro che quell'uomo non ci lasci qui a marcire per
sempre?»
Tentò
di dissipare la nebbia del nervosismo Evelyn.
«Forse
voi non avete studiato la botola. Cede facilmente con un paio di colpi
ai cardini. Usciremo di nostra spontanea volontà, che il
commesso lo voglia oppure no.»
La
pronta risposta di Nathaniel la rassicurò. In un certo
senso, nutriva gli stessi dubbi che albergavano nell'animo del rosso e
della bionda accanto alla sua figura.
Avevano
camminato per svariati minuti ed avevano perso il conto dei minuti.
Hawthorne si rifiutava di adocchiare l'orologio per paura di ricevere
in risposta brutte sorprese sul tempo che scorreva nel cuore della
vecchia città scozzese.
Impiegarono
diversi altri minuti in un muto peregrinare tra le stanze disposte
linearmente, prima di imbattersi nella prima svolta di quella
misteriosa indagine. Nell'ultima stanza, la candida parete avanti a
loro degradava in un muro di roccia naturale, con un'apertura scavata
alla bell'e meglio che portava verso mete ignote ed avvolte nella
tenebra. Si fermarono un secondo, vagliando le ipotesi a loro
disposizione. Il rumore dell'acqua si era fatto più intenso
ora, e la fonte era più o meno chiara nella loro mente. Il
silenzio seguitava a tormentare i loro sensi con sussurri ed illusioni
di simile natura; ombre che vorticavano ai margini della luce e che
assumevano i contorni sfuggenti di un volto nell'immaginario complesso
di Rachel la facevano sussultare e rabbrividire, manipolavano la sua
essenza, erano menestrelli inesperti alle prese con le prime note
strimpellate sulle corde che erano i suoi nervi tesi.
In
mutuo accordo, proseguirono all'interno della formazione rocciosa
naturale, la differenza di temperatura che ora si faceva sentire,
l'umidità che penetrava le ossa, lasciandoli intirizziti e
con il cuore in gola. Più si inoltravano nel tunnel di
roccia, più l'aria si faceva greve, difficile da inalare.
Passò ancora qualche minuto prima che iniziassero ad
affiorare le prime tombe dal buio. Nient'altro che loculi
apparentemente vuoti delle dimensioni di una bara che si aprivano
direttamente sulle pareti, all'altezza del petto e della testa. Non vi
era nulla di strano, se non per il tempismo perfetto con cui erano
apparse, seminando silenziosamente il panico nel gruppo sotto forma di
battiti accelerati ed aritmici nel petto di ognuno di loro. A neanche
duecento metri di distanza si presentava ora il primo bivio,
nient'altro che una biforcazione scavata nella roccia da mani
inesperte. Il bivio a sinistra pareva la chiara continuazione della
strada che avevano imboccato, quello a destra era più basso
e più stretto.
«Senza
indugi, o tutti insieme da una parte o ci dividiamo e ci ritroviamo qui
tra dieci minuti.» Propose con determinazione Nathaniel. Si
guardarono negli occhi alla luce della torcia, indecisi sul da farsi.
«Negli
horror dividersi è sempre la scelta peggiore...»
Sussurrò Hawthorne nervosamente, gli occhi azzurri che
guizzavano alternativamente sui due tunnel, fin dove la luce poteva
lambire le pareti.
Rachel
cercò di fare rapidamente due conti. L'idea di dividersi la
spaventava, come pareva spaventare del resto anche i suoi compagni. Ma
l'idea di poter fronteggiare faccia a faccia Evelyn e poter quindi
chiarire i suoi dubbi la allettava, per quanto potesse essere rischioso
in quel posto combinare qualcosa del genere. Il vero problema stava in
quel che avrebbero trovato più in là, e che lei
non era certa di poter affrontare in compagnia di una potenziale
infiltrata. No, risolse infine, era decisamente più sicuro
proseguire uniti. Avrebbe tenuto le sue domande per sé fino
al momento giusto.
La
decisione che presero rispecchiava la volontà di ognuno,
quindi non vi furono obiezioni quando Nathaniel si avventurò
per primo nel tunnel più grande, lasciando che gli altri li
seguissero.
Fu
una camminata poco tranquilla, poiché il lento stillicidio
dell'acqua da qualche parte in quelle catacombe non faceva altro che
accrescere la loro ansia.
Lo
scenario iniziò a cambiare quando la pavimentazione
irregolare e compatta sotto i loro piedi cominciò a
declinare, mentre il tunnel si sollevava ampliandosi anche in
larghezza, lasciando apparire le prime, baluginanti luci a diversi
metri più in basso, oltre la curva.
Rachel
si sorprese a tremare, intimandosi mentalmente di riprendere padronanza
di se stessa, ricordando che nei suoi numerosi anni di servizio come
poliziotta raramente si era fatta prendere dal panico. Questa volta era
diverso, perché era alla sua prima vera indagine, e le prove
che aveva non erano affatto sufficienti a farla stare tranquilla.
Scacciò i pensieri con un cenno veemente del capo,
seguitando a camminare.
Guardingo,
Nathaniel si sporse, controllando con la pistola puntata chi si
nascondesse ove le prime luci comparivano. Si trattava di due file di
torce naturali disposte a ridosso delle pareti, ad intervalli regolare
di un metro e mezzo circa di distanza, i cui fumi si perdevano in dense
volute verso la volta oscura, diversi metri più in alto.
Illuminavano i loculi in cui sfavillavano ora diversi scheletri
completi, teschi, ossa e candele scarlatte, accese anch'esse. Ma non vi
era nessuno nel tunnel, ed ora al ticchettio delle gocce d'acqua si era
unito il crepitare sommesso delle fiamme delle fiaccole, che rendeva il
tutto ancor meno sopportabile del previsto. Non potevano più
parlare ora, non lì dove poteva consumarsi un agguato.
In
realtà, pensò Rachel, se davvero qualcuno avesse
voluto attentare alle loro vite, l'avrebbe già fatto
nell'oscurità completa, ma quelle torce non facevano altro
che ricordare quanto vicini potessero ora essere alla meta. Tenne la
mano tremante sulla fondina; aveva deciso che in caso di evenienza
sarebbe stata la sua ancora di salvezza.
«Pare
di essere nelle catacombe della Cattedrale di San Mungo.»
Suggerì Gregory a bassa voce, guardandosi intorno. E non
aveva torto, poiché interminabili intrecci di tunnel
sotterranei estesi per decine di chilometri quadri, scavati sin
dall'epoca romana costituivano i sotterranei del più recente
luogo di culto. Convennero tutti, almeno in teoria, ma nessuno fece mai
cenno ad Hawthorne di essere d'accordo.
Aggrappata
com'era all'illusione che un semplice pezzo di metallo potesse davvero
metterla al riparo da ogni male, non si accorse delle ombre che ora
parevano effettivamente vorticare tra le ombre oltre le fiamme, ma
seguitò, dietro Nathaniel che ora pareva avere i sensi
pericolosamente in allarme.
«Chi
è là?»Intimò, saldo,
fermandosi e puntando la Colt nell'ombra.
Evelyn
lanciò un urlo isterico quando credette di aver visto un
movimento avanti a loro.
Seguì
uno schiocco secco, che rimbombò in uno stridio spaventoso
lungo l'intera arcata. Rachel voltò lo sguardo, gli occhi
sbarrati.
La
donna scozzese aveva sbattuto la testa contro la parete in un impiastro
sanguinolento, il volto ancora contratto nella morte mentre il suo
corpo scivolava esanime in terra.
Fu
lì che la situazione sfuggì ad ogni possibile
controllo.
Quando
si sporse nuovamente, il cuore che rischiava ora di balzare via dalla
gola e perdersi per sempre tra le ombre, un altro secco schiocco
seguì ad un urlo concitato, mentre Hawthorne si sporgeva per
coprire Rachel e veniva scosso in un aspro singulto, mentre cadeva in
ginocchio, lo sguardo vuoto ed uno spruzzo di sangue cremisi alle
fiamme che zampillava dal largo pertugio nel cranio.
La
donna non ebbe più nemmeno il tempo di gridare, tremando,
incespicando, gli occhi sbarrati e l'anima persa nel riprodurre le
immagini fresche e nitide della morte dei suoi amici, si
voltò, abbandonando Nathaniel al suo destino e fuggendo a
perdifiato verso il negozio, distante metri e metri. Afferrò
una torcia di quelle stipate sulle pareti, abbandonò ogni
possibile pensiero lucido e corse, lontano da ogni pericolo, da ogni
minaccia, da ogni schiocco possente, che come frusta sferzava contro il
suo animo devastato, lasciandola rotta, persa, cancellata. I polmoni
cominciarono a bruciare, la torcia che nel freddo vento dei sotterranei
rischiava ora di spegnersi al prossimo possente alito, lasciandola nel
buio più assoluto e nella perdizione, nella follia.
Ansimando ripercorse a denti stretti il percorso, gettandosi d'istinto
oltre ogni roccia, ogni masso, la mente svuotata da tutto quello che
non era necessario al moto delle sue leve forsennate ed in fiamme per
lo sforzo prolungato.
Le
parve di impiegare un'eternità, in compagnia del sangue dei
suoi amici che aveva anche sporcato per sempre la sua anima, del suo
ansito spezzato, della fiamma che piano piano andava estinguendosi, per
raggiungere l'ingresso del seminterrato del negozio, sembrava che il
tempo si fosse dilatato in una ulteriore dimensione, rallentando i
sensi, la percezione, la consapevolezza. Correva perché
sapeva di doverlo fare, perché rispondeva ad un atavico
impulso di sopravvivenza, della ricerca disperata di una via d'uscita.
Non si era preoccupata del fatto che Nathaniel fosse sparito prima
ancora che Evelyn cadesse scompostamente in terra, privata dell'anima e
della vita da uno schiocco di frusta, da un rimbombo atroce.
Qualcosa
urtò contro la sua gamba. La torcia andò a
spegnersi sulla roccia umida, mentre urlava e, ignorando il dolore,
tentava di mettersi in piedi. Un paio di forti mani la tenne stretta, e
lei urlò pazzamente, un suono acutissimo che
rischiò di debilitarla, troppo potente perché
potesse erompere dalla sua bocca. Cercò di voltarsi, vide il
commesso che, inespressivo, la teneva ferma a terra, con presa salda,
decisa, autoritaria. In un gesto disperato, lasciò che i
muscoli gridassero il loro dolore lancinante, e ogni sua cellula
avvampasse come tra le fiamme mentre si opponeva alla forza dell'uomo,
le mani tremanti che si avvicinavano alla pistola riposta nella
fondina, lontana solo pochi centimetri dalle sue dita tese...
Istanti
lunghi secoli, prima di riuscire ad impugnarla, premendo il grilletto
alla cieca, ascoltando come lontana dal suo corpo il rumore della carne
perforata, del sangue che schizzò contro il suo volto, del
gemito di dolore dell'uomo che ora si teneva l'addome, inondandosi le
mani di scuro liquido ematico, gettarsi al suolo contro la sua figura,
gli occhi che si rovesciarono un'ultima volta, mente lei, terrorizzata
si dimenava e si dibatteva per sfuggire a quella morsa, e urlava e si
sbatteva graffiando, lacerando, la consapevolezza ormai un lontano
ricordo in quel corpo che pareva delicato, ma che adesso lottava per
mantenersi in vita, per ricacciare i fantasmi di Hawthorne e di Evelyn
che giungevano giù ad attirarla nella spirale oscura della
morte.
Un
ultimo schiocco nelle tenebre, il mondo che rallentò mentre
il proiettile perforava il ginocchio, causando l'immediato abbandono di
ogni resistenza. Il dolore passò in secondo piano mentre si
accasciava sotto il corpo di Mclean Watt, gli occhi sbarrati, la
tragica consapevolezza del mondo che si spegneva, istante dopo istante,
chiudendo il sipario sulla sua vita.
Una
torcia tornò a sfolgorare a breve distanza. Rachel
roteò lo sguardo inondato di lacrime verso quella fonte
luminosa, le labbra che tremavano. Ne comparve un'altra, poi un'altra
ancora, poi una in più. Una processione di volti
inespressivi sfilò dinanzi a lei. Il primo era Nathaniel
Rogers, al secolo Nat. Doveva essere un inguaribile pragmatico, si era
sempre ripetuta. Il sangue continuava a schizzare sulle vesti, il
ginocchio distrutto era un martirio che non aveva prezzo.
Lasciò che lo sguardo si posasse in quello del suo amato
compagno, incredula, mentre una lacrima scivolava solitaria a lavare il
sangue dalle guance della donna.
Le
labbra si mossero in un fremito. Nathaniel ricambiò lo
sguardo senza mutare quell'espressione glaciale, fredda, letale. Non
c'erano scuse da rivolgere mentre soffiava sulla canna. Era lui ad
averle sparato. Era lui ad aver distrutto la sua vita in un attimo,
fugace e perduto. Le passò avanti, mentre un boato riempiva
i tunnel e piccole pietre si staccavano dal soffitto naturale,
sfiorandola.
Come
se qualcuno avesse attivato il rewind, la consapevolezza
tornò a fluire come un fiume in piena nella sua coscienza,
colmandola dei collegamenti che a lungo aveva desiderato sistemare, che
tanto a lungo avrebbe voluto dispensare a chi chiedeva lei un
consiglio, anche solo un sorriso. I suoi neuroni inviarono impulsi
potenti, come se fosse urgente ora conoscere l'inutile
verità. Ora che tutto era perduto, che il mondo stava per
crollarle addosso, aveva finalmente la verità. Sfilavano
tutti, uno dopo l'altro, nei loro lunghi abiti scuri. Vi erano i
coniugi Dover, impassibili mentre le passavano innanzi, gli occhi persi
in una sorta di trance. Avevano Grigio con loro, il cane che
salvò San Giovanni e che egli adottò nella sua
vita terrena e che divenne il simbolo della lotta contro l'oprressione.
San Giovanni Bosco, erede dell'evangelista, disponeva di un cane dallo
stesso identico nome, e vi era il sorriso ed il cenno d'intesa che
Rachel non aveva considerato, quel giorno, quando Nathaniel l'aveva
messa a sedere. Vi era il massiccio uomo che odiava i gay della
metropolitana, e subito dietro l'altro dalla barba curata e lo sguardo
fisso su di lei, vi era lo sguardo complice di Nathaniel in quella
farsa architettata a dovere in una delle più antiche
metropolitane del mondo. Vi era il visionario Gillespie, gli occhi
vuoti fissi sulla sua figura spezzata, e vi era Nathaniel che affermava
di aver controllato egli stesso la stanza da far scegliere ad
Hawthorne. Vi era Thomas Gravehill, l'assassino di Flavio Domiziano
Kellie-Smith, depositario di verità scomode e fiero
oppositore della setta dei Giovannini, orgogliosi latori della parola
dell'Apocalisse, fanatici geni dalla insania smisurata. Rasato, come
rasato fu San Giovanni quando Domiziano lo riempì di scherno
e lo gettò nell'olio bollente. Era lui che doveva
sconfiggere il nemico. E poi vi era Nathaniel, il fautore del destino
della donna. L'uomo con cui aveva creduto di condividere sogni di
eternità, d'amore corrisposto, di un futuro. Lui sapeva
già tutto, era l'attore perfetto, il perfetto ammaliatore.
Aveva spinto i tre investigatori con idee apparentemente brillanti, con
intuizioni geniali, seminando indizi che gli altri avevano prontamente
raccolto, fidandosi ciecamente del suo charme da consumato amante. La
stava osservando in prima fila, avanti agli altri, appena all'interno
del seminterrato del negozio, le mani unite avanti a sé.
Il
rombo si fece più vicino.
Il
pianto di Rachel era silenzioso. Non era il dolore fisico a scuoterla,
ad annullarla, ad immergerla nel nero lago dell'oblio. Era la sua vita
perduta. Era il dolore che riguardava quella parte di lei che non
accettava che quell'uomo alto e bello e così letale avanti a
lei fosse l'uomo che l'aveva condannata a morte. Pianse, senza nulla
aggiungere, gemendo nella sua silenziosa agonia.
Il
rombo era ormai prossimo. Crollavano le catacombe, crollava la storia,
crollava il mondo. Evelyn McGonagall e Gregory Hawthorne erano
già morti. Uniti in quel paradossale rapporto di comica
unione che li aveva contraddistinti. Un giorno si sarebbero sposati. Un
giorno avrebbero avuto la loro vita insieme. Perché era
così che andavano le cose nella vita. Prima potevi odiare
una persona e ritenerti la sua nemesi. E poi ritrovarti a condividere
con la stessa persona le speranze, il futuro, la vita intera, e a
spegnerti mano nella mano con l'altro nella vecchiaia, con un sorriso
stampato sulla fronte. Oppure poteva succedere l'esatto contrario.
A
lei era riservato quel crudele destino. Poiché atea aveva
deciso di riporre unicamente il destino nelle sue sole mani e
nient'altro. Poiché non aveva valutato quanto lontano
potesse spingersi qualcuno ammantato nella sua fede per farti cambiare.
Il
rombo era ormai una frana, sentiva già i massi che la
seppellivano e sapeva che quei massi non avrebbero raggiunto i membri
della setta. Mantenne lo sguardo gravido di lacrime in quello di
Nathaniel fino alla fine.
«Che
il Signore illumini il peccatore con la sua misericordiosa benevolenza,
e possa riportarlo sulla via della luce. In questo, noi
preghiamo.»
Amen.
|