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Autore: Anacarnil    16/03/2013    1 recensioni
Tra le vie di Glasgow, caotica metropoli scozzese, si consuma un delitto dalle tinte oscure ed insondabili. la polizia solleva le mani, incapace di ficcare il naso in questioni tanto subdole, e toccherà così a Rachel, giovane detective inglese di belle speranze, assieme al suo ragazzo Nathaniel, consumato e seducente poliziotto e a due nuovi innesti sollevare il velo caduto su questa misteriosa dipartita.
Genere: Drammatico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per il calendario la primavera era prossima, se non imminente, eppure Glasgow svettava solida e caparbia contro un cielo plumbeo come un fiero gigante risvegliato dal suo lungo sonno. La pioggia batteva copiosa ed incessante sulle automobili e sulla cattedrale di San Mungo che torreggiava a pochi isolati di distanza, la torre gotica che osservava silente ed austera il frenetico cicaleccio della razza umana con solenne distacco.

Rachel alzò lo sguardo, rabbrividendo nel suo pesante cappotto di piuma d'oca. Pesanti gocce d'acqua la accecavano, rendendole il tentativo di scrutare l'insegna del negozio che i quattro avevano di fronte una sorta di straordinaria impresa.

«Proprio quel che stavamo cercando.»

Esordì Nat. Ed era vero, poiché l'insegna in legno con lettere smaltate in un rosso spento recitava quella dicotomia che i quattro investigatori avevano ripetuto nei giorni precedenti sino alla nausea.

«Più facile del previsto, che sia un miracoloso dono del Signore nostro Dio?» Ironizzò Gregory, le mani nelle tasche del giaccone di pelle e il ridicolo e pregno cappello da golf calcato sulla fronte a nascondere la capigliatura rossa scurita dall'acqua.

Le due donne si limitarono a scuotere la testa ignorandolo, affrettandosi sotto la piccola tettoia per evitare di inzupparsi ulteriormente gli abiti. Solo Nathaniel rivolse un'occhiataccia al compagno, come se volesse indicare con una certa, decisa eloquenza quanto fosse inappropriato il suo intervento in un momento del genere.

Hawthorne si strinse nelle spalle, sul volto il sorriso di chi è solito prendere la vita alla leggera, e nel suo caso forse anche troppo.

Non era stato difficile dopotutto scovare la precisa locazione del negozio, un comunissimo esercizio di compravendita di oggetti usati dall'aria placida e anonima, l'idea di cominciare da quello che con buona probabilità doveva essere l'occhio della testa d'aquila disegnata su Google Maps avuta da Rogers si era scoperta infatti vincente.

Non indugiarono sulla soglia, catapultandosi all'interno per sfuggire alla morsa terribile del freddo scozzese e della violenta pioggia che assai spesso scuriva tristemente la volta celeste delle Lowlands.

La campanella sbatacchiò risuonando brevemente mentre richiudevano la porta di vetro e legno dietro le loro spalle, sfregando le mani fra loro o soffiando su di esse per ottenere un po' di calore. Il locale puzzava di vecchio e risultava essere un vero e proprio labirinto di bassi scaffali, vasi dalle più disparate origini ed aggeggi di varia natura, dai comuni telefoni a strani oggetti dalle forme bizzarre. Più che un locale di oggettistica usata, pareva “un bazar dell'usuale e del grottesco”, ed effettivamente il bancone in noce ingombro di ogni possibile cianfrusaglia e la polvere colta nel suo infinito turbinio, colpita dai coni di luce che filtravano dalle due finestre sporche ed opache ai lati della stanza, conferivano all'insieme un aspetto accattivante, misterioso. Ad accoglierli, oltre la rigida armatura completa di due metri corredata di lancia e celata che pareva ammiccare a pochi centimetri dal loro viso, vi era un uomo con curiosi baffetti, spessi occhiali rotondi e una zazzera di corti capelli bianchi, che rivolgeva loro un cordiale ma contenuto sorriso.

«Buongiorno, signori. - La voce era bassa, profonda, come si poteva intuire anche dalla statura non eccelsa e dall'ampio torace coperto da una camicia bianca ed un panciotto oliva. - Lauchlan Maclean Watt umilmente al vostro servizio. - E inclinò di poco il busto in avanti per prodursi in un breve inchino. - Cercate qualcosa in particolare o posso consigliarvi offerte irripetibili direttamente dal catalogo?» Il tono era cortese, e in generale l'individuo non pareva destare sospetto nella mente di Rachel. Forse si trattava della sua gentilezza, o della sua disponibilità, ma nonostante la tensione che inondava come fuoco vivo le sue vene non riusciva a scorgere un ruolo importante in tutta quella storia nella figura del commesso del negozio.

«Amico, siamo qui per … »

Iniziò Hawthorne, ma l'impeto di Nathaniel lo interruppe. Lo sguardo da rapace fisso in quello nocciola, anonimo dell'uomo che avevano difronte.

«Cosa sai dirci a proposito di una setta cristiana che si presume avere sede in questo negozio?»

L'uomo aggrottò la fronte, stringendosi le mani dietro il bacino e puntellandosi sui piedi.

«Temo di non aver ben compreso, signore.»

Le labbra di Nathaniel si incresparono in un sorriso glaciale, che non si espanse anche agli occhi.

«Non un abile mentecatto, pare. Ripeto la domanda più lentamente: cosa sai dirci a proposito della setta di fanatici che ha sede in questo locale?»

«Signore la prego, si calmi, qui non esiste nessuna...»

Ancora una volta, l'uomo di Liverpool fu più veloce. Estrasse la sua Colt 1911 dalla fondina, puntandola contro la testa dell'uomo sbigottito e ora terrorizzato, sfoderando inoltre con la mano sinistra il distintivo dalla tasca sul petto dell'ampio giaccone.

«Non è il momento di nascondersi.» Concluse lapidario.

La tensione ora era palpabile e pareva trasudare dalle pareti e dagli oggetti che invadevano la stanza ricolma. Mclean Watt parve tentennare un attimo, deglutendo e tremando.

«Non so mo-molto, signore, sono un semplice commesso. Alcune persone hanno un accesso privilegiato ad alcune stanze nel seminterrato, signore, ma ho avuto ordine di non entrare mai né di mettere il naso nelle faccende di questa gente. Fa-faccio solo il mio lavoro.» Il tono di voce ora era incrinato, più acuto, il terrore veniva evidenziato in ogni singola parola che con sforzo il commesso pronunciava. Sudore salato scese dall'attaccatura della tempia dell'uomo, scivolando sulla guancia sinistra e perdendosi nel colletto. Erano attimi infuocati, ma i tre oltre Nat mantennero i nervi saldi e un'espressione credibile. Dopotutto, erano giunti fin lì per sgominare potenziali assassini, e non certo per acquistare cianfrusaglie in un negozio esotico e singolare.

«Dov'è l'entrata al seminterrato?»

«Il padrone ha ordinato di chiedere una parola d'ordine a chiunque volesse entrare, mio-mio signore.» Stentava ormai a mettere due parole di senso compiuto in fila, tremante come un cerbiatto accerchiato da lupi famelici e sbavanti.

Il sorriso di Nathaniel si allargò di un infinitesimo mentre silente faceva scattare la sicura dell'arma che impugnava.

«Forse è questa?» Azzardò suadente, riferendosi al suono secco che la sicura aveva prodotto liberando la canna.

Mclean Watt deglutì una volta ancora, silenzioso per qualche attimo, paonazzo in volto.

«Una botola sotto il tappeto, lì, dietro il bancone.»

Rogers ringraziò con un cenno del capo, avviandosi per primo verso la botola sotto lo sguardo basito del commesso, seguito dagli altri tre investigatori.

A primo acchito, le tenebre ammantarono le figure che scendevano cautamente i pioli della scaletta, la scarsa luce che proveniva dall'alto insufficiente per poter rischiarare il seminterrato. Nell'oscurità, le paure di Rachel si moltiplicarono, non tanto per le infantili reminiscenze che sovente tornavano a turbarla, ma bensì per la piega che stavano assumendo gli eventi. Seminterrati bui, sette invischiate nei più efferati delitti, e poi quei sospetti che sussurravano biechi in un angolo remoto della sua mente, rivolti alla donna scozzese che, silente, si affrettava a scendere per ultima le scale. Non era facile mantenere l'auto-controllo, specie quando quattro ore di sonno scarso non erano bastate certo a ricostituire le energie psico-fisiche di intere settimane passate a lambiccarsi il cervello su un caso fantasma che solo ora andava giungendo ad una lenta risoluzione. Qualcuno azionò una torcia, facendo trasalire la donna londinese. Hawthorne ammiccò nervosamente alla sua destra, spostando la pila verso le pareti per comprendere dove erano finiti.

Era una stanza umida, che segnava subito un netto distacco con il negozio locato su di essa. Non vi erano arredamenti di sorta, né nulla che lasciasse ipotizzare a cosa era adibito realmente quel piccolo spazio. Vi era una seconda apertura nella parete di fronte, ed il pavimento era ricoperto da piastrelle di marmo sulle quali giaceva un leggero strato di polvere in cui erano segnate decine di orme, tutte più o meno fresche, che trafficavano dalla botola alla stanza successiva senza un ordine specifico di successione. Evidentemente, l'unico probabile modo per uscire da lì era ritornare nel negozio.

Iniziarono timidamente la traversata di quelle stanze che si rivelarono essere un dedalo interminabile, viaggiando cauti e timorosi nell'oscurità che li avvolgeva e lanciava le sue lunghe, affusolate ombre lungo il percorso della luce della torcia, suggestionandoli al punto che anche il più piccolo dei rumori a parte il ticchettio, in qualche punto imprecisato, dell'acqua nelle tubazioni, facesse trasalire anche il più stolido dei quattro. Erano vicini, assolutamente non intenzionati a separarsi, gli occhi che saettavano lungo le pareti e le porte che affacciavano ad altre stanze.

«Certo che il trucco della pistola e del distintivo funziona sempre. Chi potrebbe mai sapere che non sei disposto a sparare per ricevere semplici informazioni?» Osò esordire sussurrando Hawthorne per stemperare, a suo solito, la tensione che serpeggiava tra gli animi tumultuosi degli investigatori.

«Piuttosto, come puoi essere sicuro che quell'uomo non ci lasci qui a marcire per sempre?»

Tentò di dissipare la nebbia del nervosismo Evelyn.

«Forse voi non avete studiato la botola. Cede facilmente con un paio di colpi ai cardini. Usciremo di nostra spontanea volontà, che il commesso lo voglia oppure no.»

La pronta risposta di Nathaniel la rassicurò. In un certo senso, nutriva gli stessi dubbi che albergavano nell'animo del rosso e della bionda accanto alla sua figura.

Avevano camminato per svariati minuti ed avevano perso il conto dei minuti. Hawthorne si rifiutava di adocchiare l'orologio per paura di ricevere in risposta brutte sorprese sul tempo che scorreva nel cuore della vecchia città scozzese.

Impiegarono diversi altri minuti in un muto peregrinare tra le stanze disposte linearmente, prima di imbattersi nella prima svolta di quella misteriosa indagine. Nell'ultima stanza, la candida parete avanti a loro degradava in un muro di roccia naturale, con un'apertura scavata alla bell'e meglio che portava verso mete ignote ed avvolte nella tenebra. Si fermarono un secondo, vagliando le ipotesi a loro disposizione. Il rumore dell'acqua si era fatto più intenso ora, e la fonte era più o meno chiara nella loro mente. Il silenzio seguitava a tormentare i loro sensi con sussurri ed illusioni di simile natura; ombre che vorticavano ai margini della luce e che assumevano i contorni sfuggenti di un volto nell'immaginario complesso di Rachel la facevano sussultare e rabbrividire, manipolavano la sua essenza, erano menestrelli inesperti alle prese con le prime note strimpellate sulle corde che erano i suoi nervi tesi.

In mutuo accordo, proseguirono all'interno della formazione rocciosa naturale, la differenza di temperatura che ora si faceva sentire, l'umidità che penetrava le ossa, lasciandoli intirizziti e con il cuore in gola. Più si inoltravano nel tunnel di roccia, più l'aria si faceva greve, difficile da inalare. Passò ancora qualche minuto prima che iniziassero ad affiorare le prime tombe dal buio. Nient'altro che loculi apparentemente vuoti delle dimensioni di una bara che si aprivano direttamente sulle pareti, all'altezza del petto e della testa. Non vi era nulla di strano, se non per il tempismo perfetto con cui erano apparse, seminando silenziosamente il panico nel gruppo sotto forma di battiti accelerati ed aritmici nel petto di ognuno di loro. A neanche duecento metri di distanza si presentava ora il primo bivio, nient'altro che una biforcazione scavata nella roccia da mani inesperte. Il bivio a sinistra pareva la chiara continuazione della strada che avevano imboccato, quello a destra era più basso e più stretto.

«Senza indugi, o tutti insieme da una parte o ci dividiamo e ci ritroviamo qui tra dieci minuti.» Propose con determinazione Nathaniel. Si guardarono negli occhi alla luce della torcia, indecisi sul da farsi.

«Negli horror dividersi è sempre la scelta peggiore...» Sussurrò Hawthorne nervosamente, gli occhi azzurri che guizzavano alternativamente sui due tunnel, fin dove la luce poteva lambire le pareti.

Rachel cercò di fare rapidamente due conti. L'idea di dividersi la spaventava, come pareva spaventare del resto anche i suoi compagni. Ma l'idea di poter fronteggiare faccia a faccia Evelyn e poter quindi chiarire i suoi dubbi la allettava, per quanto potesse essere rischioso in quel posto combinare qualcosa del genere. Il vero problema stava in quel che avrebbero trovato più in là, e che lei non era certa di poter affrontare in compagnia di una potenziale infiltrata. No, risolse infine, era decisamente più sicuro proseguire uniti. Avrebbe tenuto le sue domande per sé fino al momento giusto.

La decisione che presero rispecchiava la volontà di ognuno, quindi non vi furono obiezioni quando Nathaniel si avventurò per primo nel tunnel più grande, lasciando che gli altri li seguissero.

Fu una camminata poco tranquilla, poiché il lento stillicidio dell'acqua da qualche parte in quelle catacombe non faceva altro che accrescere la loro ansia.

Lo scenario iniziò a cambiare quando la pavimentazione irregolare e compatta sotto i loro piedi cominciò a declinare, mentre il tunnel si sollevava ampliandosi anche in larghezza, lasciando apparire le prime, baluginanti luci a diversi metri più in basso, oltre la curva.

Rachel si sorprese a tremare, intimandosi mentalmente di riprendere padronanza di se stessa, ricordando che nei suoi numerosi anni di servizio come poliziotta raramente si era fatta prendere dal panico. Questa volta era diverso, perché era alla sua prima vera indagine, e le prove che aveva non erano affatto sufficienti a farla stare tranquilla. Scacciò i pensieri con un cenno veemente del capo, seguitando a camminare.

Guardingo, Nathaniel si sporse, controllando con la pistola puntata chi si nascondesse ove le prime luci comparivano. Si trattava di due file di torce naturali disposte a ridosso delle pareti, ad intervalli regolare di un metro e mezzo circa di distanza, i cui fumi si perdevano in dense volute verso la volta oscura, diversi metri più in alto. Illuminavano i loculi in cui sfavillavano ora diversi scheletri completi, teschi, ossa e candele scarlatte, accese anch'esse. Ma non vi era nessuno nel tunnel, ed ora al ticchettio delle gocce d'acqua si era unito il crepitare sommesso delle fiamme delle fiaccole, che rendeva il tutto ancor meno sopportabile del previsto. Non potevano più parlare ora, non lì dove poteva consumarsi un agguato.

In realtà, pensò Rachel, se davvero qualcuno avesse voluto attentare alle loro vite, l'avrebbe già fatto nell'oscurità completa, ma quelle torce non facevano altro che ricordare quanto vicini potessero ora essere alla meta. Tenne la mano tremante sulla fondina; aveva deciso che in caso di evenienza sarebbe stata la sua ancora di salvezza.

«Pare di essere nelle catacombe della Cattedrale di San Mungo.» Suggerì Gregory a bassa voce, guardandosi intorno. E non aveva torto, poiché interminabili intrecci di tunnel sotterranei estesi per decine di chilometri quadri, scavati sin dall'epoca romana costituivano i sotterranei del più recente luogo di culto. Convennero tutti, almeno in teoria, ma nessuno fece mai cenno ad Hawthorne di essere d'accordo.

Aggrappata com'era all'illusione che un semplice pezzo di metallo potesse davvero metterla al riparo da ogni male, non si accorse delle ombre che ora parevano effettivamente vorticare tra le ombre oltre le fiamme, ma seguitò, dietro Nathaniel che ora pareva avere i sensi pericolosamente in allarme.

«Chi è là?»Intimò, saldo, fermandosi e puntando la Colt nell'ombra.

Evelyn lanciò un urlo isterico quando credette di aver visto un movimento avanti a loro.

Seguì uno schiocco secco, che rimbombò in uno stridio spaventoso lungo l'intera arcata. Rachel voltò lo sguardo, gli occhi sbarrati.

La donna scozzese aveva sbattuto la testa contro la parete in un impiastro sanguinolento, il volto ancora contratto nella morte mentre il suo corpo scivolava esanime in terra.

Fu lì che la situazione sfuggì ad ogni possibile controllo.

Quando si sporse nuovamente, il cuore che rischiava ora di balzare via dalla gola e perdersi per sempre tra le ombre, un altro secco schiocco seguì ad un urlo concitato, mentre Hawthorne si sporgeva per coprire Rachel e veniva scosso in un aspro singulto, mentre cadeva in ginocchio, lo sguardo vuoto ed uno spruzzo di sangue cremisi alle fiamme che zampillava dal largo pertugio nel cranio.

La donna non ebbe più nemmeno il tempo di gridare, tremando, incespicando, gli occhi sbarrati e l'anima persa nel riprodurre le immagini fresche e nitide della morte dei suoi amici, si voltò, abbandonando Nathaniel al suo destino e fuggendo a perdifiato verso il negozio, distante metri e metri. Afferrò una torcia di quelle stipate sulle pareti, abbandonò ogni possibile pensiero lucido e corse, lontano da ogni pericolo, da ogni minaccia, da ogni schiocco possente, che come frusta sferzava contro il suo animo devastato, lasciandola rotta, persa, cancellata. I polmoni cominciarono a bruciare, la torcia che nel freddo vento dei sotterranei rischiava ora di spegnersi al prossimo possente alito, lasciandola nel buio più assoluto e nella perdizione, nella follia. Ansimando ripercorse a denti stretti il percorso, gettandosi d'istinto oltre ogni roccia, ogni masso, la mente svuotata da tutto quello che non era necessario al moto delle sue leve forsennate ed in fiamme per lo sforzo prolungato.

Le parve di impiegare un'eternità, in compagnia del sangue dei suoi amici che aveva anche sporcato per sempre la sua anima, del suo ansito spezzato, della fiamma che piano piano andava estinguendosi, per raggiungere l'ingresso del seminterrato del negozio, sembrava che il tempo si fosse dilatato in una ulteriore dimensione, rallentando i sensi, la percezione, la consapevolezza. Correva perché sapeva di doverlo fare, perché rispondeva ad un atavico impulso di sopravvivenza, della ricerca disperata di una via d'uscita. Non si era preoccupata del fatto che Nathaniel fosse sparito prima ancora che Evelyn cadesse scompostamente in terra, privata dell'anima e della vita da uno schiocco di frusta, da un rimbombo atroce.

Qualcosa urtò contro la sua gamba. La torcia andò a spegnersi sulla roccia umida, mentre urlava e, ignorando il dolore, tentava di mettersi in piedi. Un paio di forti mani la tenne stretta, e lei urlò pazzamente, un suono acutissimo che rischiò di debilitarla, troppo potente perché potesse erompere dalla sua bocca. Cercò di voltarsi, vide il commesso che, inespressivo, la teneva ferma a terra, con presa salda, decisa, autoritaria. In un gesto disperato, lasciò che i muscoli gridassero il loro dolore lancinante, e ogni sua cellula avvampasse come tra le fiamme mentre si opponeva alla forza dell'uomo, le mani tremanti che si avvicinavano alla pistola riposta nella fondina, lontana solo pochi centimetri dalle sue dita tese...

Istanti lunghi secoli, prima di riuscire ad impugnarla, premendo il grilletto alla cieca, ascoltando come lontana dal suo corpo il rumore della carne perforata, del sangue che schizzò contro il suo volto, del gemito di dolore dell'uomo che ora si teneva l'addome, inondandosi le mani di scuro liquido ematico, gettarsi al suolo contro la sua figura, gli occhi che si rovesciarono un'ultima volta, mente lei, terrorizzata si dimenava e si dibatteva per sfuggire a quella morsa, e urlava e si sbatteva graffiando, lacerando, la consapevolezza ormai un lontano ricordo in quel corpo che pareva delicato, ma che adesso lottava per mantenersi in vita, per ricacciare i fantasmi di Hawthorne e di Evelyn che giungevano giù ad attirarla nella spirale oscura della morte.

Un ultimo schiocco nelle tenebre, il mondo che rallentò mentre il proiettile perforava il ginocchio, causando l'immediato abbandono di ogni resistenza. Il dolore passò in secondo piano mentre si accasciava sotto il corpo di Mclean Watt, gli occhi sbarrati, la tragica consapevolezza del mondo che si spegneva, istante dopo istante, chiudendo il sipario sulla sua vita.

Una torcia tornò a sfolgorare a breve distanza. Rachel roteò lo sguardo inondato di lacrime verso quella fonte luminosa, le labbra che tremavano. Ne comparve un'altra, poi un'altra ancora, poi una in più. Una processione di volti inespressivi sfilò dinanzi a lei. Il primo era Nathaniel Rogers, al secolo Nat. Doveva essere un inguaribile pragmatico, si era sempre ripetuta. Il sangue continuava a schizzare sulle vesti, il ginocchio distrutto era un martirio che non aveva prezzo. Lasciò che lo sguardo si posasse in quello del suo amato compagno, incredula, mentre una lacrima scivolava solitaria a lavare il sangue dalle guance della donna.

Le labbra si mossero in un fremito. Nathaniel ricambiò lo sguardo senza mutare quell'espressione glaciale, fredda, letale. Non c'erano scuse da rivolgere mentre soffiava sulla canna. Era lui ad averle sparato. Era lui ad aver distrutto la sua vita in un attimo, fugace e perduto. Le passò avanti, mentre un boato riempiva i tunnel e piccole pietre si staccavano dal soffitto naturale, sfiorandola.

Come se qualcuno avesse attivato il rewind, la consapevolezza tornò a fluire come un fiume in piena nella sua coscienza, colmandola dei collegamenti che a lungo aveva desiderato sistemare, che tanto a lungo avrebbe voluto dispensare a chi chiedeva lei un consiglio, anche solo un sorriso. I suoi neuroni inviarono impulsi potenti, come se fosse urgente ora conoscere l'inutile verità. Ora che tutto era perduto, che il mondo stava per crollarle addosso, aveva finalmente la verità. Sfilavano tutti, uno dopo l'altro, nei loro lunghi abiti scuri. Vi erano i coniugi Dover, impassibili mentre le passavano innanzi, gli occhi persi in una sorta di trance. Avevano Grigio con loro, il cane che salvò San Giovanni e che egli adottò nella sua vita terrena e che divenne il simbolo della lotta contro l'oprressione. San Giovanni Bosco, erede dell'evangelista, disponeva di un cane dallo stesso identico nome, e vi era il sorriso ed il cenno d'intesa che Rachel non aveva considerato, quel giorno, quando Nathaniel l'aveva messa a sedere. Vi era il massiccio uomo che odiava i gay della metropolitana, e subito dietro l'altro dalla barba curata e lo sguardo fisso su di lei, vi era lo sguardo complice di Nathaniel in quella farsa architettata a dovere in una delle più antiche metropolitane del mondo. Vi era il visionario Gillespie, gli occhi vuoti fissi sulla sua figura spezzata, e vi era Nathaniel che affermava di aver controllato egli stesso la stanza da far scegliere ad Hawthorne. Vi era Thomas Gravehill, l'assassino di Flavio Domiziano Kellie-Smith, depositario di verità scomode e fiero oppositore della setta dei Giovannini, orgogliosi latori della parola dell'Apocalisse, fanatici geni dalla insania smisurata. Rasato, come rasato fu San Giovanni quando Domiziano lo riempì di scherno e lo gettò nell'olio bollente. Era lui che doveva sconfiggere il nemico. E poi vi era Nathaniel, il fautore del destino della donna. L'uomo con cui aveva creduto di condividere sogni di eternità, d'amore corrisposto, di un futuro. Lui sapeva già tutto, era l'attore perfetto, il perfetto ammaliatore. Aveva spinto i tre investigatori con idee apparentemente brillanti, con intuizioni geniali, seminando indizi che gli altri avevano prontamente raccolto, fidandosi ciecamente del suo charme da consumato amante. La stava osservando in prima fila, avanti agli altri, appena all'interno del seminterrato del negozio, le mani unite avanti a sé.

Il rombo si fece più vicino.

Il pianto di Rachel era silenzioso. Non era il dolore fisico a scuoterla, ad annullarla, ad immergerla nel nero lago dell'oblio. Era la sua vita perduta. Era il dolore che riguardava quella parte di lei che non accettava che quell'uomo alto e bello e così letale avanti a lei fosse l'uomo che l'aveva condannata a morte. Pianse, senza nulla aggiungere, gemendo nella sua silenziosa agonia.

Il rombo era ormai prossimo. Crollavano le catacombe, crollava la storia, crollava il mondo. Evelyn McGonagall e Gregory Hawthorne erano già morti. Uniti in quel paradossale rapporto di comica unione che li aveva contraddistinti. Un giorno si sarebbero sposati. Un giorno avrebbero avuto la loro vita insieme. Perché era così che andavano le cose nella vita. Prima potevi odiare una persona e ritenerti la sua nemesi. E poi ritrovarti a condividere con la stessa persona le speranze, il futuro, la vita intera, e a spegnerti mano nella mano con l'altro nella vecchiaia, con un sorriso stampato sulla fronte. Oppure poteva succedere l'esatto contrario.

A lei era riservato quel crudele destino. Poiché atea aveva deciso di riporre unicamente il destino nelle sue sole mani e nient'altro. Poiché non aveva valutato quanto lontano potesse spingersi qualcuno ammantato nella sua fede per farti cambiare.

Il rombo era ormai una frana, sentiva già i massi che la seppellivano e sapeva che quei massi non avrebbero raggiunto i membri della setta. Mantenne lo sguardo gravido di lacrime in quello di Nathaniel fino alla fine.

«Che il Signore illumini il peccatore con la sua misericordiosa benevolenza, e possa riportarlo sulla via della luce. In questo, noi preghiamo.»

Amen.

   
 
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