Come un gatto sotto la pioggia, come un drago senza ali. [GrimmTatsu] di M e g a m i (/viewuser.php?uid=150368)
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NDA: Credo che sia il
capitolo più lungo che abbia mai scritto. Spero che questo
mi faccia perdonare almeno in parte per il mostruoso ritardo! xD
Davvero,
ringrazio di cuore tutti quelli che continuano a seguirmi
nonostante sia così lenta. E con una piccola lacrimuccia, vi
informo che ormai
stiamo volgendo al termine di questa
storia. Ancora due/tre capitoli e intendo concludere. Quindi
grazie, grazie
davvero per avermi seguita con questa long un po’ tanto
particolare, che tratta
di un pairing ancor più particolare! :°)
Detto
questo... ho deciso di trattare ormai alla fine di quello che
è stato
l’inizio. Ovvero... /rullo di tamburi/ ... come
Grimmjow e Tatsuki si sono conosciuti!
Perché
farlo ora? Perché voglio farvi capire quanto il loro
rapporto si sia
evoluto rispetto alla prima impressione. Ora in confronto si amano
talmente
tanto che mi fanno venire il diabete, puah.
E ora delle
piccole precisazioni!
Giusto per
essere chiari, visto che magari non tutti voi che seguite questa
long siete Tatsumaniaci come la sottoscritta:
–
la scena in cui Tatsuki vede il fragolo e il Grimmicio combattere
esiste davvero, non è un
parto della mia mente
malata –come tutto il resto. Per essere precisi... capitolo
211, ultime pagine,
potete controllare se siete diffidenti. Chissà che magari
Kubo abbia disegnato
quella scena proprio in previsione di un incontro tra i miei due
adorati...! Sì,
questo invece è un puro parto della mia mente malata.
–
Tatsuki è davvero
più minuta di
Orihime. Oltre che ad essere di qualche centimetro più
bassa, pesa pure una
decina di chili in meno. Saranno le tette a far questa
differenza?
–
Tatsuki fa davvero parte del
Comitato Disciplinare della Karakura
Ichikō. C’è scritto chiaro e tondo sulla
sua scheda. Ma come può farne
parte se metà dei casini li combina lei quando si incazza?
/schiva banco
volante/
Vi ricordo
anche che in Giappone non ci sono gli sms, bensì
è possibile
comunicare via mail attraverso il
cellulare.
Infine, vi
ricordo anche che quando ho iniziato questa long, Bleach
non era ancora arrivato al punto
in cui è adesso, quindi non potevo sapere che piega
avrebbero preso gli eventi.
Alcune cose sono inevitabilmente
inesatte, anche se ho cercato di incastrare tutti i pezzi.
Nella mia storia, Ichigo ha
riacquisito i
poteri da Shinigami prima
dell’inizio
della terza superiore, così come il ritorno di Grimmjow
è avvenuto nella pausa
tra la seconda e la terza. E ora, i nostri eroi non
sono costretti ad affrontare dei nazi-Quincy, ma i soliti
Hollow più un gruppo di Arrancar ribellatisi dopo la
sconfitta di Aizen.
Concludo
dicendo... AMATE URAHARA.
AMATELO E BASTA. Lui shippa GrimmTatsu, date retta a me.
Beh, buona
lettura! ♥
LA BELVA IN GABBIA.
Tatsuki Arisawa
fissò intensamente
il termometro appeso al muro mentre usciva dalla sala professori.
Trentatré gradi
centigradi.
Trentatré.
Ed era solo un
martedì mattina di
fine giugno, appena l’inizio dell’estate.
Certo, presto le
vacanze sarebbero
iniziate, ma avrebbe ancora dovuto sopportare qualche settimana prima
di poter
passare le giornate in casa, seduta a gambe incrociate davanti al
ventilatore,
con un ghiacciolo alla menta tra i denti.
Furtivamente, si
lanciò
un’occhiata intorno, verificando che il corridoio fosse
effettivamente deserto
come sembrava. Le lezioni non erano ancora iniziate, mancavano ancora
una
ventina di minuti prima del suono della campanella. Quella mattina, si
era
dovuta recare a scuola in anticipo rispetto al solito per consegnare
dei moduli
all’insegnante che si occupava di amministrare il Comitato
Disciplinare, ma non
avendolo trovato, aveva preferito lasciarglieli sulla sua scrivania.
Avrebbe anche
preferito sostare
qualche minuto di più nell’aula professori fornita
di condizionatori, ma
purtroppo agli studenti non era permesso desiderare un po’
d’aria in quell’afa
asfissiante, come le avevano ricordato le occhiatacce degli insegnati
lì
dentro.
Con una smorfia
irritata mandò a
quel paese le regole a cui tanto teneva, e si sfilò dal
collo il nastro rosso,
sbottonandosi la camicetta bianca a maniche corte fino
all’incavo del seno. Ma
subito abbassò lo sguardo su di sé con aria
critica. Se si fosse trovata a
parlare con un ragazzo più alto di lei, gli avrebbe offerto
una discreta
visuale. Arrossendo di colpo mentre si rendeva conto di chi fosse il
ragazzo a
cui aveva pensato involontariamente, si riallacciò i bottoni
fino ad un’altezza
più accettabile, per poi tentare di riassumere
un’aria dignitosa lisciandosi le
pieghe della gonna.
Il caldo e
l’estate le piacevano,
ma in momenti come quello si ritrovava proprio a rimpiangere il freddo
dell’inverno.
O meglio, la
freschezza della
primavera.
Riprendendo a
camminare, non poté
fare a meno di pensare a quanto diversa, quanto effettivamente fredda fosse la sua vita solo tre mesi
prima.
Per essere
precisi, esattamente
tre mesi prima...
Era un
martedì mattina di fine
marzo.
L’aria
era ancora fresca, e il
cielo non esattamente limpido. Un vento leggero soffiava smuovendo le
verdi
foglie neonate degli alberi, trasportando pigramente i petali dei
ciliegi che
fioriscono in primavera, per cui il Giappone è tanto famoso
in tutto il mondo.
Tatsuki Arisawa
si strinse nella
giacca, incrociando le braccia al petto, mentre osservava con aria
critica i
kanji su sfondo bianco che componevano la scritta Urahara
Shōten. Il grigio delle nuvole rifletteva il suo umore.
Nonostante
fossero le undici
passate, non c’era anima viva in giro. Non c’era
traccia neanche dei due
ragazzini, quello dalla chioma rossa spettinata e quella coi capelli
legati in
due codini, che erano soliti giocare davanti al negozio. Tutto le
sembrava
incredibilmente vuoto e triste. O forse era semplicemente lei che in
quel
periodo vedeva ogni cosa in quel modo, a partire da sé
stessa. Pensieri e preoccupazioni che tutti
si
trovano ad avere alla soglia dell’ultimo anno di superiori,
si diceva,
senza riuscire a convincersi del tutto. La verità era che
Tatsuki era veramente
preoccupata per il proprio futuro, e non solo per il fatto che non
avesse
ancora deciso cosa fare della sua vita dopo il diploma. Vita che, ad
essere
sinceri, aveva cominciato a sembrarle solo un’enorme presa in
giro da quando
aveva appreso come stavano veramente le
cose.
Con un sospiro,
si decise
finalmente ad aprire lo shōji di
legno e ad entrare.
« Gomen nasai, siamo chiusi, ritorni un
altro giorno, arrivederci! »,
la accolse la voce melliflua, modulata e noncurante di Kisuke Urahara
non
appena ebbe messo piede all’interno del negozio. Ma Tatsuki
non si fece
scoraggiare, sospettava che usasse sempre quella scusa coi clienti che
riteneva
“indesiderati”. Allentandosi la sciarpa che le
teneva caldo il collo, avanzò
tra gli scaffali colmi di liquori, candele aromatizzate e spezie, che
con tutta
probabilità servivano solo come parte
dell’arredamento fittizio, oppure erano a
uso e consumo del proprietario. Proprietario che non vide da nessuna
parte,
nonostante la sua voce l’avesse raggiunta. Ma le fu chiaro
dove si trovasse non
appena una piccola e scura figura dal passo felpato sbucò
fuori dalla porta che
dava sul retro, correndole incontro. Tatsuki rimase per un secondo
interdetta,
osservando la gatta dal pelo nero come la notte strusciarsi contro le
sue gambe
e regalarle una consistente dose di fusa. Prima di apprendere che in
realtà
quella gatta fosse una donna formosa dalla pelle del colore del
caffè e gli occhi
dorati, ogni volta che l’aveva vista le aveva sempre
riservato una carezza
affettuosa. Ora, invece, non aveva idea di come comportarsi. Fortuna
che non
l’avesse mai sentita parlare con la sua voce mascolina...
«
Yoruichi-san, deve proprio
correre incontro a ogni signorina che viene a farci visita...?
», finalmente
Urahara si mostrò, facendo capolino dallo stipite e
sollevando le tendine che
separavano il negozio dal retro, usando la mano in cui teneva un
ventaglio
bianco. Yoruichi Shihōin rispose con un miagolio che a Tatsuki parve
quasi
canzonatorio, mentre si allontanava lei e tornava ondeggiando
sinuosamente da
Urahara, al fianco del quale si sedette, leccandosi una zampa e
iniziando a
pulirsi il muso.
«
Arisawa-san, buongiorno. Non mi
ero accorto che si trattasse di lei, mi perdoni. »,
l’uomo le fece un leggero
cenno del capo, tenendosi il cappello bianco e verde per evitare che
cadesse.
Tatsuki rispose con una scrollata di spalle, sviando lo sguardo prima
che gli
occhi di lui potessero posarlesi addosso. Quell’uomo la
metteva sempre
incredibilmente a disagio quando la scrutava col suo sguardo affilato.
Fu in quel
momento che si accorse
che, oltre a quella strana coppia di ex Shinigami sul cui tipo di
relazione
preferiva non interrogarsi, c’era qualcun altro
nell’edificio. Pian piano,
aveva imparato ad individuare le reiatsu delle persone e a riconoscere
quelle
dei suoi amici. Dopotutto quella di Ichigo era... beh, inconfondibile.
Così
come quella di Orihime Inoue, che
poteva percepire forte e chiara a dispetto dei muri di legno
dell’Urahara Shōten.
Allora ecco
perché quella mattina Orihime
non si era fatta sentire, come era solita fare. O meglio, in
realtà nelle
ultime settimane non si era fatta viva così di sovente come
sua abitudine, ma
Tatsuki non si era preoccupata. Sapeva che ce la stava mettendo tutta.
E forse,
anche in quel momento si stava allenando. Ultimamente passava parecchio
tempo
nella sala sotterranea del negozio, punteggiata di rocce brulle e col
cielo di
un finto azzurro. Qualche volta, Tatsuki era pure scesa a guardarla, in
silenzio, senza farsi notare, per paura di disturbarla. E quello che
aveva
visto, aveva fatto nascere in lei un misto di orgoglio e stupore.
Orihime era...
davvero in gamba.
Quello che le
fece corrugare la
fronte, quindi, fu un altro tipo di reiatsu, che non conosceva. Allora
perché
qualcosa dentro di lei continuava a ripeterle che non era affatto
così, che
sapeva bene a chi appartenesse? Non riusciva a ricordare, e la cosa la
irritava, ma non solo. La sensazione di quella reiatsu le lasciava un
retrogusto... intenso, quasi graffiante, l’avrebbe definito.
Ma no, non era
possibile. Con tutta probabilità doveva essere di qualche
Shinigami in cui si
era imbattuta una sola volta, ed era quello il motivo per cui non
riusciva a
rievocare il suo proprietario. Il disagio che provava era semplicemente
causato
dal fatto di aver dimenticato.
Eppure
c’era qualcosa che non
andava, un pensiero che aveva preso a martellarle nella testa e non
voleva
saperne di lasciarle tirare un sospiro di sollievo. Perché
quella reiatsu le
sembrava incredibilmente simile a quella di un-...
« In
che cosa posso aiutarla? »,
la riscosse Urahara, interrompendo il filo dei suoi pensieri e
facendola
tornare alla realtà. Tatsuki sbatté le palpebre
più volte, dimenticandosi per
un attimo del suo proposito di non lasciare che gli occhi di Urahara si
fissassero nei suoi. Distolse immediatamente lo sguardo. Odiava
sentirsi così
in soggezione, ma era più forte di lei.
«
Avrei bisogno di... di quelle
pillole dell’altra volta. Le ho finite. »
Con un gesto
frettoloso, tirò
fuori dalla tasca della giacca a vento quella che era molto simile a
una
confezione ormai vuota di caramelle, e la porse ad Urahara che se la
rigirò tra
le mani.
Senza, le
sembrava di impazzire.
Ora capiva come doveva essersi sentito Ichigo da bambino, e
perché si fosse
rifiutato di dirle la verità, sul fatto che fosse davvero in
grado di vedere i
fantasmi. Era decisamente meglio fare finta di niente. Fingere che
nulla di
tutto quello che vedeva a differenza degli altri fosse reale. Eppure
era ben
difficile quando ad ogni angolo spuntava fuori un fantasma nuovo pronto
a lagnarsi
e a raccontarle vita, morte e miracoli del periodo che aveva trascorso
sulla
Terra.
Era per questo
che la prima volta
si era recata al negozio di Urahara, accompagnata da Karin, la sorella
minore
di Ichigo. Con lui non aveva trovato il coraggio di parlare, e nemmeno
con
Orihime. Dopotutto, le lamentele che era costretta a dover sopportare
ogni
giorno erano niente in confronto a quello che dovevano affrontare loro,
con un
genere più... “rabbioso” di fantasmi. Si
sarebbe sentita stupida ad esternare
davanti ai suoi due migliori amici qualcosa che non poteva neanche
essere
definito un problema vero e proprio, ma solo una scocciatura. Karin,
invece...
era stata lei stessa a tirare fuori quell’argomento, con
noncuranza, dandole il
benvenuto nel club degli “psicologi
dell’oltretomba”, come l’aveva definito
lei. Tatsuki le era stata immensamente grata. Quella ragazzina che
aveva visto
nascere e a cui aveva fatto più volte da baby-sitter le era
sempre stata
simpatica. Non che non provasse un forte affetto anche nei confronti di
Yuzu.
Ma a volte, Karin le ricordava un po’ se stessa.
«
Signorina, lo sa che questo
prodotto non è efficace al cento per cento, vero?
», disse Urahara porgendole
una nuova confezione, mentre un miagolio di Yoruichi Shihōin lo spinse
a
lanciare una breve occhiata alle sue spalle, verso il retro del
negozio. « Un
Hollow di rango superiore sarebbe perfettamente in grado di capire
quanto lei
sia... speciale. »
Tatsuki
aggrottò le sopracciglia
osservando il flebile sorriso che a tali parole si era dipinto sulle
labbra
dell’uomo di fonte a lei, ma decise di lasciar perdere quella
che le era
suonata come una presa in giro bella e buona.
Gli
“Hollow di rango superiore” non
venivano certo a cercare lei, e questo lo sapeva bene. Non era per
scampare a
loro che aveva preso il vizio di assumere regolarmente quelle piccole
pastiglie
colorate in grado di mascherare temporaneamente e almeno in parte la
sua reiatsu. In questo modo,
almeno, poteva
scampare al suo ruolo di “psicologa”, visto che i fantasmi
sembravano non accorgersi di quell’eccesso di forza
spirituale che possedeva e
che le permetteva di vederli. Nonché di sentirli blaterare
cose
incomprensibili.
«
Sempre meglio di niente. Quanto
le devo? », domandò inutilmente come ogni volta,
tirando fuori il portafogli,
che come ogni volta Kisuke Urahara le impedì di aprire
premendoci una mano
sopra. Eppure, questa volte fece anche un secondo gesto che la ragazza
non si
aspettava, posandole l’altra mano sulla sua spalla, quasi
come a volerla
sospingere verso l’uscita.
« Oh,
non si disturbi, davvero...
»
Anzi, fu quello
che fece, e
neanche troppo celatamente.
Tatsuki
piantò i piedi per terra,
contrariata. Spesso e volentieri non le andavano molto a genio gli
atteggiamenti di quell’uomo fin troppo misterioso per i suoi
gusti, ma mai
l’avevano sconcertata come in quel momento. Sembrava quasi
che la volesse cacciare
via per nasconderle qualcosa. E contando il fatto che da qualche parte
nel suo
negozio ci doveva essere Orihime, la cosa non le piacque per niente.
Che le
fosse successo qualcosa durante l’allenamento?
«
Insisto. », si intestardì,
decidendosi finalmente a guardarlo negli occhi. Urahara
sembrò esitare un
attimo, colto alla sprovvista. Ma poi si lasciò andare a un
sospiro, facendo
cadere la mano dalla sua spalla, come se si fosse rassegnato.
«
Anche io. », le sorrise con
accondiscendenza, parendole quasi dispiaciuto per qualcosa. «
Lei è un’amica di
Kurosaki-san, dopotutto.
E questo vuol dire che è anche una
mia
amica. »
Tatsuki
corrugò nuovamente la
fronte. Ma questa volta non ebbe minimamente il tempo di interrogarsi
sul
perché il tono di Urahara, fattosi improvvisamente
più alto e risoluto, le
fosse sembrato quasi d’ammonimento.
Successe tutto
in fretta. Troppo
in fretta per i suoi occhi castani, meramente umani. Un attimo prima,
di fronte
a lei c’era Kisuke Urahara, quello dopo, lui era stato spinto
in malo modo di
lato da una massa spettinata di capelli azzurri. Azzurri come il paio
di occhi dal
taglio affilato dai quali si sentì trafiggere. Ci mise una
frazione di secondo
di troppo per rendersi conto di chi si era prepotentemente impadronito
del suo
campo visivo, chinandosi su di lei con tutta la sua stazza, per poterla
scrutare col suo sguardo indagatore. E il tentativo di Urahara di
sdrammatizzare la situazione facendo le presentazioni fu totalmente
inutile.
«
Arisawa-san, forse lei non
conosce il signor Grimmjow Jaegerjaques-... »,
iniziò a dire, ma non appena si
accorse della consapevolezza che prese a lampeggiare negli occhi della
ragazza
che aveva cercato di far uscire prima che fosse troppo tardi, si
corresse con
perplessità. « ... O forse invece sì.
»
In un attimo,
ogni tassello era
andato al suo posto nella mente di Tatsuki, e i ricordi mancanti le
erano
tornati alla memoria come un fulmine a ciel sereno.
Lo conosceva,
certo che lo
conosceva. Conosceva i suoi capelli azzurri, il suo profilo marcato,
l’espressione colma di odio e i suoi occhi glaciali
traboccanti sete di sangue.
E soprattutto, riconosceva la reiatsu che aveva sentito esplodere nel
buio del cielo notturno quando quasi due anni prima aveva assistito a
uno scontro
tra lui e Ichigo, nel quale il suo amico di infanzia era stato ridotto
a uno
stato pietoso.
Lo conosceva, e
conosceva anche il
suo nome.
Non ti scordare
il mio nome.
Grimmjow
Jaegerjaques.
La prossima
volta che lo sentirai, sarà la
tua fine.
E anche se
quando le aveva sentite
quelle parole non erano state rivolte a lei, ora quella minaccia le
sembrò
tangibile.
« COSA DIAVOLO CI FA LUI QUI?! »
Quasi non la
riconobbe come la
propria voce. Tutto le sembrava talmente surreale che non si rese conto
di aver
urlato con tutto il fiato e la collera che aveva in corpo
finché non si ritrovò
ad ansimare, cercando una risposta che non ottenne nello sguardo
sfuggente di
Urahara. Tutto quello che riusciva a pensare era...
«
Tatsuki-chan! »
Orihime.
L’abbraccio
della sua amica quasi
la travolse, e ancora una volta Tatsuki non riuscì a seguire
il corso troppo
veloce degli eventi, e forse neanche Grimmjow, che a sua volta si
trovò
bloccato da dietro dalla presa ferrea di Kisuke Urahara. Ai suoi piedi,
Yoruichi Shihōin soffiava col pelo ritto sulla schiena e la coda.
« Dov’è Kurosaki?! »,
l’Hollow urlò a sua volta a pieni polmoni.
« Riesco
a sentire la sua reiatsu addosso a
te! Dimmi dove-...! », ma
Urahara lo
strattonò indietro, impedendogli di completare la frase.
«
Suvvia, signor Jaegerjaques,
faccia il bravo, non mi spaventi i clienti... »
Eppure
Tatsuki non era spaventata, o
almeno, non lo era più. Le era bastato sentirsi avvolgere
dal calore delle
braccia della sua amica per far scemare via la preoccupazione che le
aveva
attanagliato lo stomaco al pensiero che potesse esserle successo
qualcosa. Ora,
tutto quello che provava era un’incredibile rabbia.
«
Orihime, che diamine sta
succedendo?! », le domandò, posandole le mani
sulle spalle, quasi come se avesse
bisogno di sentire ancora di più che la sua presenza era
tangibile, e che
stesse veramente bene. La scosse appena, fissandola intensamente,
mentre lei si
limitò a guardarla piena di dispiacere, prendendole le mani
e stringendole
nelle sue.
«
Vieni con me, ti spiegherò
tutto, ma ti prego, calmati... »
Mentre si
lasciava guidare fuori
dal negozio, Tatsuki non poté fare a meno di incrociare lo
sguardo di Grimmjow,
trattenuto quasi come un animale in gabbia. L’odio e la furia
che trasmettevano
i suoi occhi azzurri era quanto di più profondo avesse mai
visto, e la scossero
in un modo che non avrebbe neanche lontanamente creduto possibile.
Orihime poteva
chiederle tutto.
Tutto, all’infuori di calmarsi.
La seconda volta
che si trovò ad
affrontarlo faccia a faccia dopo quell’episodio, a proprio
favore Tatsuki
almeno poté dire di essersi sentita più
preparata, e soprattutto, di non
essersi lasciata andare a una reazione isterica. Anzi, forse
reagì con più
calma di quanto lei stessa si sarebbe aspettata, dopo aver passato
più di una
settimana a rimuginare sulle parole di Ichigo e le spiegazioni che lui
e
Orihime avevano cercato di darle.
A quanto pareva,
l’Arrancar
Grimmjow Jaegerjaques, che una volta era stato al servizio di Sōsuke
Aizen e
aveva contribuito a tenere segregata Orihime Inoue nel cosiddetto Hueco Mundo, aveva accettato di
stipulare un patto di collaborazione con gli Shinigami che tanto
odiava,
rinunciando alla sua posizione da Sexta
Espada e a una sua eventuale, anche se non necessaria, dieta
a base di
anime umane.
Tatsuki Arisawa
non aveva creduto
a una sola parola.
Per questo aveva
preso l’abitudine,
o forse è meglio dire il vizio, di diventare
l’ombra di Orihime ogni volta che,
per un motivo o per l’altro, la ragazza si recava al negozio
di Urahara, anche
se spesso e volentieri quel motivo si riassumeva nel compito di
controllare
come l’irascibile nuovo inquilino di Urahara si stesse
comportando. Ichigo le
aveva chiesto di fargli questo favore quando lui non poteva, e Orihime
non
aveva potuto far altro che accettare di aiutarlo, nonostante Tatsuki
avesse
tentato più e più volte di convincerla a
rifiutare. C’era anche da dire che, al
contrario del suo atteggiamento quando si presentava Ichigo, davanti
all’incarnazione della bontà d’animo che
era la migliore amica di Tatsuki,
nemmeno Grimmjow riusciva a rispondere con più cattiveria di
qualche grugnito e
smorfia infastidita, nonostante fosse evidente che era esasperato dai
suoi
tentativi di comportarsi in modo gentile. Era anche palese, infatti,
che
Orihime per prima si sforzasse non poco di sorridere come niente fosse
ogni
volta che andava a accertarsi che tutto stesse andando per il verso
giusto. La
presenza di Grimmjow la metteva a disagio. Le faceva rivivere cose che
aveva
deciso di celare per sempre nel suo cuore.
Ma Tatsuki,
forse, era quella che
stava vivendo con maggiore tensione quella situazione. A volte si
rendeva conto
da sola di essere fin troppo apprensiva nei confronti di Orihime, e
soprattutto, che la sua presenza non fosse davvero più utile
che di quella di
un’ombra. Eppure non era capace di mettersi l’anima
in pace e lasciare che la
sua amica si gettasse da sola tra le fauci di quella belva affamata e
assetata
di sangue – e no, il paragone non le sembrava affatto troppo
esagerato. Nonostante
questo, però, non si azzardava praticamente mai ad entrare
con lei nel negozio,
e quando raramente lo faceva, tendeva a tenersi in disparte, con le
braccia
conserte e lo sguardo vigile. Si sentiva una sorta di guardia del
corpo.
Scherzando, Orihime le aveva addirittura proposto di indossare un
auricolare e paio
di occhiali da sole.
A dirla tutta,
se non fosse stato
che si sarebbe sentita ridicola, Tatsuki avrebbe preso volentieri in
considerazione l’idea degli occhiali da sole. In questo modo,
almeno, avrebbe
evitato in parte le occhiate affilate che ogni volta Grimmjow le
riservava,
quando la sorprendeva a fissarlo con diffidenza. Perché la
verità era che, per
qualche motivo che trascendeva la sua già di per
sé non trascurabile natura di
Hollow... lo trovava insopportabile, a pelle.
Era questo che
stava pensando,
osservando Ururu – la ragazzina coi capelli neri che lavorava
e viveva nell’Urahara Shōten
– sbocconcellare con
calma esasperante un tramezzino, seduta su una cassa di legno girata al
contrario. Anche lei tendeva a ritirarsi fuori dal negozio quando
Grimmjow decideva
di farsi vivo al piano terra, lasciando il campo sotterraneo dove
passava la
maggior parte del suo tempo ad allenarsi. Urahara le aveva spiegato che
era
perché la reiatsu di Ururu era particolarmente sensibile a
quella degli
Arrancar, che istintivamente considerava nemici naturali da eliminare,
e che
quindi sarebbe potuta diventare un problema non indifferente per il suo
ospite, come gli piaceva definirlo,
se
fosse stata esposta ad un contatto prolungato con lui. Tatsuki non
riusciva a
concepire come una ragazzina che le sembrava così timida e
indifesa potesse
addirittura rappresentare un problema
per un Arrancar di livello Espada, ma ormai aveva imparato a non
stupirsi più
di nulla, e soprattutto, a non giudicare dalle apparenze. Beh, Arrancar
di
Livello Espada coi capelli azzurri e occhi in tinta a parte.
Dentro al
negozio, intanto, si
poteva udire forte e chiara la voce di Orihime che con una risatina
nervosa
cercava di ristabilire la pace, e di far capire a Grimmjow che non era
bello
comportarsi ed esprimersi come spesso e volentieri faceva quando
perdeva la
pazienza, cosa che era appena successa. Urahara aveva tentato di
mettergli in
mano una scopa in modo che aiutasse a tenere pulito il negozio in cui
viveva “a
scrocco”, ma lui, in tutta risposta, aveva spezzato in due il
manico,
minacciandolo di infilarne le estremità dove non gli avrebbe
fatto piacere
sentirle. Suo malgrado, lo stesso ex Shinigami dai capelli color paglia
si era
visto costretto a desistere di fronte alla sua parlantina regale, e
concedergli
il privilegio di oziare in casa sua. Perché quelli di casa
sua, al momento,
erano i confini della gabbia in cui Grimmjow era obbligato a restare, a
meno
che Urahara in persona o un altro Shinigami non si fosse preso il
disturbo di
fargli da baby-sitter e
accompagnarlo
fuori. Cosa che non accadeva mai se non quando spuntava da qualche
parte un
Hollow che doveva essere eliminato.
Tatsuki si
chiese cosa diavolo
stesse facendo lì.
Grimmjow
Jaegerjaques era tenuto
più che sotto controllo. E in ogni caso, a suo discapito,
c’era da dire che
oltre a quelle minacce sboccate non si era mai azzardato ad alzare un
dito su
nessuno... a parte Ichigo, ovviamente, che ogni volta che si faceva
vivo veniva
letteralmente trascinato nella sala sotterranea e costretto a fargli da
sparring partner. Lo starsene lì fuori ad ascoltare quelle
stupide conversazioni,
aveva il potere di fare sentire Tatsuki solo inutilmente apprensiva. E
infreddolita, visto che in quei giorni l’inverno sembrava non
ancora disposto a
ritirarsi del tutto.
Sistemandosi
dietro un orecchio
una ciocca ribelle smossa dal vento, considerò
l’idea di entrare ed avvisare
Orihime che se ne stava andando. Ma il solo vedere Grimmjow le avrebbe
fatto
venire un incredibile prurito alle mani, così si
limitò a fare un cenno del
capo a Ururu, che rispose educatamente, e ad incamminarsi verso la
villetta in
cui viveva con la sua famiglia, distante non più di cinque
minuti a piedi da
dove si trovava. Spesso si era chiesta come fosse possibile che fino a
pochi
anni prima non avesse mai notato l’Urahara
Shōten, nonostante conoscesse i dintorni di casa sua come le
proprie
tasche. Quando l’aveva fatto notare al proprietario, lui
aveva aperto con uno
schiocco il ventaglio bianco e le aveva risposto che il suo negozio era
sempre
stato lì, ma che forse lei non aveva mai guardato con
attenzione.
Scuotendo la
testa, decise di
mandare comunque una mail ad Orihime, per non farla stare in pensiero
nel caso
fosse uscita e non l’avesse trovata. Stava
giusto tirando fuori il cellulare, sperando che la batteria quasi
scarica non
l’avesse abbandonata del tutto, che questo si mise a vibrarle
in mano.
✽Orihime:
03:36
pm
Tatsuki-chan,
senti...
non è che per caso hai incontrato Grimmjow, lì
fuori?
Aveva detto che
sarebbe
uscito a prendere una boccata d’aria, ma non è
ancora rientrato in negozio. (^_^;)
Tatsuki
corrugò la fronte.
E rilesse il
messaggio più e più
volte, cercando di trovarci un significato logico, qualcosa che le
potesse
essere sfuggito, una dannata
spiegazione. Orihime l’aveva presa forse per una stupida,
scrivendole in quel
modo tranquillo, come se non fosse successo niente di importante? Si
rese conto
che la sua fronte si era imperlata di sudore freddo solo quando
l’ennesima folata
di vento le fece venire i brividi.
C’era
posto per un unico pensiero
nella sua mente: Grimmjow non poteva
uscire a prendersi una boccata d’aria. Questo violava tutti i
patti.
Si
girò di scatto, tornando con lo
sguardo a scrutare il negozio ormai a parecchi metri alle sue spalle.
Non c’era
anima viva lì nei dintorni, anche Ururu era rientrata,
probabilmente richiamata
all’interno da Urahara. Tutto le sembrava immobile e calmo.
Fin troppo immobile e calmo.
Era assurdo, impossibile. Quanto tempo poteva essere
passato da quando Grimmjow
era uscito, violando i suoi confini di restrizione? Non più
di quello impiegato
da lei stessa per percorrere un centinaio di metri. Solo pochi minuti
prima
l’aveva sentito sbraitare all’interno del negozio,
davanti al quale era rimasta
proprio perché così sarebbe stata in grado di
sorvegliarne l’uscita. Come aveva
potuto distrarsi così? Avrebbe dovuto accorgersene,
dannazione, prestare più
attenzione alla sua...
... Reiatsu.
Il respiro
sembrò quasi morirle in
gola, come dopo una brutta caduta. La sua stretta si serrò
tanto sul cellulare
che quasi avrebbe potuto ridurlo in briciole, mentre ogni suo muscolo
si
irrigidiva progressivamente. Si sentì un pezzo di legno
mentre deglutiva,
tornando a voltarsi e a posare lo sguardo di fronte a sé.
E lui se ne
stava lì, in mezzo
alla strada, accovacciato, con i gomiti appoggiati sulle gambe piegate.
Come se
stesse solo attendendo che lei si avvicinasse per attaccarla. Adesso
che lo
poteva osservare con la mente più lucida rispetto a una
settimana prima, si
rese conto che non indossava i vestiti bianchi che gli aveva visto la
notte in
cui aveva combattuto contro Ichigo, abbigliamento che gli aveva
conferito un
aria ancora più sovrannaturale. Ora, invece, tutto in lui
sembrava in un certo
senso più... umano. Era questo l’effetto dei gigai, i corpi artificiali realizzati da
Kisuke Urahara? La cosa le
diede i brividi. Se non avesse saputo chi era, se non avesse avuto
l’abilità di
percepire la forza schiacciante della sua anima vuota e corrotta, forse
sarebbe
stata anche capace di avvicinarlo per chiedergli se si fosse perso e
avesse
bisogno di aiuto. Come una stupida, ingenua umana.
Ricominciò
a camminare.
Come sperava, il
suo passo risoluto
non tradì la sua esitazione. Per una volta in vita sua,
Tatsuki si scoprì a
ringraziare la sua caparbietà, che le infondeva tutto il
coraggio necessario a
dimostrarsi più sicura di quanto in realtà si
sentisse. Con ironia, si ritrovò
a pensare che se era proprio così che doveva finire, sarebbe
stato meglio
andarsene incontro alla morte con una certa dignità
piuttosto che cercare di
fuggire a gambe levate.
Anche
perché non sarebbe servito a
niente, se non a rendere la caccia più divertente per lui.
Era decisa a
superarlo, dargli
l’importanza di una formica, di una crepa
nell’asfalto, o almeno, di fargli
credere che questa fosse la considerazione che gli riservava. Sentiva
l’adrenalina
scorrere dentro di lei, il cuore martellarle all’impazzata
nel petto come se
ogni battito potesse essere l’ultimo. Il suo viso
però era una maschera di
pietra, che non lasciava trasparire nessuna emozione particolare, men
che meno
l’ansia che diventava più forte ad ogni passo.
Voleva dimostrarsi forte, benché
non si sentisse affatto così. E voleva dimostrare a lui
quanto poco lo temesse,
nonostante sapesse quello di cui poteva essere capace.
Ma evidentemente
Grimmjow non
aveva affatto intenzione di essere ignorato o sminuito.
« ...
Cerchi di scappare perché
hai paura? »
Il suo tono
beffardo la colpì con
la violenza di uno schiaffo non appena l’ebbe sorpassato di
un passo. Tatsuki si
bloccò.
E ancora prima
di rispondergli, si
diede della stupida orgogliosa e impulsiva.
« Non
mi sembra di averlo mai
detto. », replicò con tono secco e irritato, senza
però osare voltarsi.
Nonostante ormai il suoi buoni propositi di ignorarlo fossero andati
all’aria,
voleva mantenere una parvenza di superiorità e indifferenza.
Cosa che le
divenne incredibilmente
difficile quando all’improvviso una folata di vento la
colpì e avvertì che la
vicinanza tra di loro era diventata nulla. Lo sentì alle
proprie spalle, che si
chinava su di lei, accostando le labbra al suo orecchio. La sua voce
uscì in un
sussurro, ma non per questo risuonò meno minacciosa o
tagliente.
« Sono
le tue azioni che parlano
per te. »
Non lo aveva
sentito alzarsi. Né
camminare fino a raggiungerla. Com’era possibile che si
muovesse così
silenziosamente e velocemente anche dentro un gigai
che Urahara le aveva assicurato fosse stato costruito
appositamente per contenere la sua reiatsu e i suoi poteri da Hollow?
Ma non furono
solo questi pensieri che la tormentarono in quel momento.
Perché Grimmjow era
decisamente troppo vicino. E quel
contatto flebile tra i loro corpi ebbe la capacità di farla
irrigidire
all’inverosimile e rabbrividire per un
motivo che non aveva niente a
che fare con il freddo.
Ma Tatsuki
Arisawa rimaneva Tatsuki
Arisawa. E nonostante il suo cuore avesse rischiato di rimanere vittima
di un
infarto, il suo coraggio, o meglio, la parvenza di coraggio che era
abituata a
sfoggiare, non vacillò nemmeno un istante. Anzi, prese
letteralmente fuoco alle
parole provocatorie che Grimmjow aveva riempito di scherno, come a
volerla
sfidare implicitamente.
E Tatsuki non si
sarebbe di certo
tirata indietro davanti a una sfida.
« Ah,
sì? E cosa dicono le mie azioni,
sentiamo? », si voltò a
fronteggiarlo, incontrando con fierezza il suo sguardo. Non le
sfuggì il lampo
di sorpresa che fece spalancare i suoi occhi azzurri.
« ...
Che sei davvero stupida, per
essere un’umana. », Grimmjow replicò,
corrugando la fronte.
Decisamente, non
si era aspettato
quella reazione.
Così
come non si era aspettato la
reazione che lei aveva avuto quando si erano visti per quella che lui
era
convinto fosse la prima volta. Si era comportata quasi come se lo
conoscesse,
come se lo conoscesse bene, e non
solo di sentito dire.
L’essere
riconosciuto, l’aver
causato quell’attimo di panico, però, in un certo
senso gli aveva fatto
piacere. Era ormai da troppo tempo che veniva trattato come una
presenza
naturale da Ichigo Kurosaki, Orihime Inoue e Kisuke Urahara. Quando lo
guardavano, loro sembravano non vedere la sua natura. Lui era un
Hollow, un
Arrancar, un Espada, per la
miseria.
Un minimo di timore reverenziale era forse chiedere troppo?
Ma quel piacere
che aveva provato
era scemato via in fretta. Perché non appena aveva rivisto
Tatsuki Arisawa,
Grimmjow Jaegerjaques si era reso conto che ciò che aveva
causato la sua
reazione non era stato affatto timore
reverenziale.
Ogni volta, il
modo di comportarsi
di lei lo lasciava sconcertato. Non aveva senso. Non sapeva mai cosa
aspettarsi
quando se la trovava di fronte, perché lei faceva sempre tutto il contrario di quello che lui si
aspettava sarebbe successo.
Semplicemente, non capiva.
E il non capire
lo faceva
infuriare. L’essere messo in
discussione,
lo faceva infuriare.
Perciò
quel giorno, a differenza di
altri, spinto dall’istinto aveva deciso di seguire
quell’umana, quell’amica
di Orihime Inoue, concetto che lui
non afferrava a pieno. E forse era per questo che non aveva mai
compreso per
quale assurdo motivo quella... come si
chiamava, poi?, ogni volta seguiva la sua amichetta
dai capelli ramati quando questa si recava al negozio di
Urahara per controllare come andassero le cose. Insomma, per
assicurarsi che
lui stesse facendo il bravo animale da compagnia. Cosa che trovava
terribilmente
irritante, doveva ammetterlo. Almeno quando si presentava Ichigo poteva
sfogare
la sua irritazione pestandolo nella sala sotterranea – e ogni
tanto,
concedendogli l’onore di farsi pestare a sua volta
– ma quando si trattava di Inoue...
beh, nei suoi confronti aveva qualche piccolo debito. L’aveva
guarito più di
una volta, e cose così. Era sicuramente per quello che il
suo orgoglio gli
impediva di trattarla come ogni umano si meritava di essere trattato,
né più né
meno.
E poi
c’era quell’umana,
quella – evidentemente – stupida
umana, coi capelli e gli occhi scuri. Occhi scuri che non
mancavano mai di lanciargli occhiate di puro odio e ammonimento, come
se tutti
i mali dell’universo fossero colpa sua, e come se fosse sul
punto di
commetterne altri da un momento all’altro. Forse ce
l’aveva con lui per la
storia del rapimento di Inoue, o forse perché era in perenne
sindrome
premestruale, Grimmjow non lo sapeva. Sapeva solo che tra tutti,
quell’essere
insignificante per lui non riusciva ad essere così
insignificante.
Semplicemente, non la sopportava. E sopportava ancora meno i suoi
sguardi
penetranti e accusatori. Non aveva nessun diritto di giudicarlo,
né di sottovalutarlo.
Perché era questo ciò che evidentemente faceva, e
che stava facendo anche in
quel momento preciso.
Quella stupida umana non voleva capire, o forse
non poteva capire. Doveva essere
così, per forza. Perché nessun essere
dotato di intelligenza o almeno di un minimo di spirito di
osservazione,
avrebbe rischiato volontariamente di mettere a repentaglio la propria
vita
prendendo così alla leggera lui, il
re.
E osato stargli così vicino, senza indietreggiare e avere la
decenza di
mostrare un minimo di... paura.
«
Anzi, a pensarci bene, forse è
proprio per il fatto che tu sia umana, che sei stupida. »,
aggiunse, piegando
le labbra in una leggera smorfia di arrogante disgusto e affilando lo
sguardo,
mentre nel vano tentativo di intimidirla si piegava ancora di
più su di lei, la
cui stazza era irrisoria a confronto. Era ancora più bassa e
minuta di Orihime
Inoue, e senza nessuno dei suoi poteri per difendersi. Come poteva
pretendere
di sostenere il suo sguardo con tanto orgoglio?
« Sai,
lo prendo come un
complimento. », la sentì sibilare in risposta,
evidentemente offesa a dispetto
delle sue parole. Quasi gli venne da ridere per
l’assurdità di quella
situazione. Allo stesso tempo, però, provava un incredibile
disprezzo.
«
Perché vieni sempre qui? Ti
piace così tanto vedere... la belva
in gabbia? »
Suo malgrado,
Tatsuki si sentì
sconcertata. Ma non cedette.
« Mi
piace vedere che Orihime sia
al sicuro. »
Grimmjow
sbottò in una risata.
«
Quell’umana non rischia niente.
Non ho mai alzato un dito su di lei nemmeno nell’Hueco Mundo.
», tecnicamente
non era esatto, ma quando aveva afferrato la sua gola sollevandola da
terra,
era ben consapevole che ormai Ichigo si fosse ripreso.
L’aveva fatto solo per
provocarlo, per così dire. Sapeva che lui
l’avrebbe fermato. Quindi lui non era
colpevole, no? « ... Anzi,
mi hai
ricordato che mi deve un favore per averle tolto dai piedi un paio di
stronze
che l’avevano conciata da buttare. », esatto, lui
l’aveva protetta, una
volta. Non aveva fatto niente di male. Niente per
meritarsi la tacita e perenne accusa negli occhi di Tatsuki.
Tatsuki che
quasi trasalì a
sentirgli dire quelle parole, Orihime non le aveva mai accennato di
nessun paio
di stronze. Mentalmente, si
appuntò
di rimproverarla a dovere più tardi. Se un
“più tardi” per lei ci fosse stato,
s’intende.
« Non
le farò del male. Non ci si
prova gusto... con una come lei. »
Perché
il sorriso folle di
Grimmjow sembrava proprio prometterle che quel
“più tardi” non sarebbe mai
arrivato.
Provò
a mantenere la freddezza.
Urahara e i suoi dipendenti, Orihime, e forse anche Ichigo dovevano
essere in
stato di allerta. Con tutta probabilità, proprio in quel
momento stavano
cercando Grimmjow, e ben presto lo avrebbero trovato. Non
c’era bisogno di
agitarsi per niente.
Ma non era solo
questo. La verità
era che Tatsuki non si sarebbe mai perdonata se avesse dimostrato di
sentirsi
in soggezione e... impaurita.
Cercò
di prendere tempo.
« ...
Però con una come me sì.
Perché? », chiese, tenendo sotto controllo il tono
di voce.
Grimmjow non lo
sapeva.
O meglio, la
risposta che da
quando l’aveva incontrata cercava di darsi, non lo
soddisfaceva più. Non era
solo odio, quello che provava e che gli faceva ribollire il sangue
nelle vene.
Né “astinenza da omicidio”. Per lui non
era mai stato un bisogno, un
piacere innato, ed erano ormai lontani i tempi in cui
era costretto ad uccidere per
dimostrare la propria superiorità.
Lui preferiva...
giocare. Divertirsi, in un malato
gioco
di distruzione. Di altri, di sé stesso. Non era necessario
arrivare alla morte.
Quella sopraggiungeva solo quando finiva per perdere la pazienza, o
l’interesse. Forse ultimamente si stava annoiando, era per
questo che
quell’umana sembrava rappresentare una sfida così
appagante, nonostante la sua
evidente inferiorità? Forse era a corto di prede, di rivali.
Forse il suo ego
aveva bisogno di
qualcuno con cui confrontarsi, per riuscire a considerarsi superiore
sempre e
comunque, e non sentire su di sé il giudizio ingiusto di
occhi scuri di sorta.
«
Perché le belve combattono solo
contro altre belve. », sibilò.
Io
non sono una belva, sono un demone.
O almeno, prima
Tatsuki lo era.
Prima che cominciassero a spuntare veri
demoni e veri mostri proprio
davanti
a lei. Prima che cominciasse a sentirsi talmente piccola e
insignificante da
non incutere timore a nessuno. Per questo non avrebbe ma ceduto. Ne
andava del
suo orgoglio, lo doveva a sé stessa.
Le parole di
Grimmjow però
l’avevano colpita. Una belva,
era
così che la vedeva? Le sembrava ridicolo. Una presa in giro
bella e buona.
Dall’alto della sua superiore arroganza di Hollow, per lui
doveva essere
soltanto una preda. O meglio, uno
spuntino.
Assottigliò
a sua volta lo
sguardo, incrociando le braccia.
« Sai,
da bambina mi hanno
insegnato che non si gioca né si scherza con il cibo.
»
Grimmjow rimase
sconcertato. E nonostante
tutto, avrebbe quasi riso a quella specie di battuta sarcastica, se non
fosse
stato che in quello stesso istante qualcosa attirò la sua
attenzione,
risvegliando tutta la sua ira.
Qualcosa che
attirò anche
l’attenzione di Tatsuki, che si voltò nella
direzione in cui improvvisamente
sentì provenire una reiatsu che conosceva bene.
«
Urahara-san sa che sei qui. », disse,
nonostante non ce ne fosse bisogno, cercando di mascherare un certo
sollievo,
che però scemò via non appena tornò a
posare lo sguardo su Grimmjow e sui suoi
lineamenti distorti dalla rabbia.
« Urahara-san non sa niente di niente.
», lo udì ringhiare tra i
denti, mentre scrutava la strada di fronte a lui, per poi tornare a
fissare lei
coi suoi occhi pieni di glaciale rancore. « Tu
non sai niente di niente. »
Tatsuki
aprì la bocca per
replicare, ma non riuscì a dire niente, e non
perché la paura l’avesse zittita.
Un sentimento diverso l’aveva involontariamente colpita:
qualcosa di molto
simile alla compassione, che non si sarebbe mai aspettata di provare
per un
essere come lui.
Ma non ebbe il
tempo di pensarci
troppo, perché quell’essere
prese a
camminare e la superò, prendendo dentro senza tanti
complimenti la sua spalla,
e andando incontro a Kisuke Urahara che finalmente aveva deciso di
degnarli
della sua presenza. Girandosi e incontrando il suo sguardo, Tatsuki non
poté
fare a meno di chiedersi se quell’uomo ambiguo che ora si
stava sollevando il
cappello e le stava facendo un lieve inchino in segno di riconoscenza,
in
realtà non avesse saputo fin dall’inizio dove
Grimmjow fosse, e avesse usato
quella sua breve fuga per verificare come si sarebbe comportato senza
“guinzaglio”,
davanti a una semplice umana come lei. Con un misto di sconcerto e di
disappunto, Tatsuki si rese conto che se era davvero così
che stavano le cose,
allora Grimmjow aveva superato la prova a pieni voti, visto che non
aveva
alzato neanche un dito con l’intenzione di farle del male.
E con ancora
più disappunto, si
rese conto di non essere in grado di distogliere lo sguardo dalla sua
figura che
le dava la schiena, con le mani infilate nelle tasche dei jeans,
finché non rientrò
nel negozio e sparì dalla sua vista.
Solo a quel
punto, e con un po’ di
rimorso, si chiese dove fosse Orihime. Probabilmente era andata a
cercare da
tutt’altra parte. E ancora più probabilmente, era
in pensiero perché non aveva
ancora ricevuto una risposta alla mail che le aveva mandato.
Tatsuki rimase a
fissare per
parecchi secondi la schermata del suo cellulare. Poi, digitando
velocemente i
tasti, scrisse poche parole.
C Tatsuki
:
03:54
pm
No. Non
l’ho visto da
nessuna parte.
Si
pentì di quella bugia nello
stesso istante in cui premette “invio”.
Dopo
quell’episodio, Tatsuki non
si recò più all’Urahara
Shōten.
Aveva deciso di
accantonare l’Arrancar
Grimmjow Jaegerjaques in un angolo remoto della propria mente. In
fondo, lui
non era qualcosa che la riguardava, né qualcuno di cui
avrebbe dovuto
preoccuparsi troppo. Ogni giorno, per tranquillizzarsi, non faceva che
ripetersi che la situazione era sotto controllo, e che né
Orihime, né Ichigo,
né nessun’altro correva un pericolo reale.
La
verità era che quella pietà che
aveva provato nel vedere Grimmjow farsi ricondurre nella sua
“gabbia” senza la
minima opposizione, come un feroce animale ammaestrato,
l’aveva turbata più di
quanto fosse disposta ad ammettere con sé stessa.
Pure, era anche
vero che aveva
altre cose più pressanti a cui dover pensare. Cose come
comprare i nuovi
quaderni e i libri di testo, stirare la propria divisa scolastica,
impazzire
per cercare di ricordarsi in quale diavolo di cassetto avesse messo il
suo
fiocco rosso con la spilla della scuola, cercare di domare la propria
chioma
ribelle per non fare la figura della teppista quando avrebbe dovuto
accogliere
i nuovi studenti di prima superiore in qualità di membro del
Comitato
Disciplinare... Inutile dire che, come ogni anno, dopo svariati
tentativi si
fosse arresa all’evidente irrealizzabilità
quell’ultimo obiettivo.
Così,
il primo giorno del suo
ultimo anno scolastico, si limitò ad infilare camicia
bianca, gonna e giacca
grigia, e sul braccio sinistro, la sua fascetta rossa e oro da membro
del
Comitato.
Guardandosi
allo specchio con le mani sui fianchi, non si sentì
orgogliosa
come la prima volta che l’aveva indossata. Dentro di
sé la vedeva un po’ come
una presa in giro, una farsa, come quello che ormai la sua vita
scolastica era
diventata. Ma in fondo, pensò con un alzata di spalle mentre
afferrava la
propria borsa a tracolla, dopo la cerimonia di apertura non sarebbe
stata
costretta a mettersela tutti i giorni visto che aveva prontamente
rifiutato di
ricoprire la carica di presidentessa, alla quale, prima che la
percezione della
sua vita venisse stravolta, aveva segretamente ambito.
Fortunatamente,
con l’arrivo di
aprile anche la temperatura si era alzata, così Tatsuki
poté evitare di
prendere sciarpa e giubbotto uscendo di casa, nonostante fosse
piuttosto presto
e l’aria mattutina fosse ancora frizzante. Il tragitto verso
la scuola era
breve, ma a lei piaceva alzarsi in largo anticipo e fare le cose con
calma.
Svegliarsi in ritardo per lei era come iniziare male la giornata. E
fare le
cose di fretta, la rendeva ancora più nervosa di quanto
già non fosse
normalmente di suo.
Alzando gli
occhi al cielo limpido
e promettente una giornata serena, si chiese se Orihime
si fosse già svegliata. Con tutta
probabilità, in quel momento si stava lavando pigramente i
denti, con i lunghi
capelli tutti arruffati e con un piede ancora nel mondo dei sogni. Le
scappò un
sorriso. Invidiava la spensieratezza con cui la sua amica riusciva a
gestire
una vita che era dieci volte più complicata della sua.
Quando infine
svoltò sulla strada
principale e varcò i cancelli della Karakura
Ichikō, Tatsuki la trovò più gremita di
studenti di quanto aveva creduto
sarebbe stata. Facce nuove e spaesate le dissero che almeno la
metà di quegli
studenti, se non oltre, doveva appartenere a primini troppo emozionati
per
rimanersene a casa un minuto di più. Con una punta di
fastidio, notò inoltre
che alcuni di quei primini erano più alti di lei di una
buona spanna, e che
sgomitavano a destra e a manca senza alcun riguardo, ostruendole quasi
del
tutto la visuale, nonché impedendole di avanzare.
Sistemandosi sul braccio la
fascetta in modo da metterla in bella mostra, concluse che fosse il
caso di
comunicare la propria presenza con qualche secco: « Permesso.
». Almeno un paio
ebbero la compiacenza di lasciarsi intimidire e le cedettero il passo.
Rinunciando a
guardarsi intorno
per controllare se ci fosse qualcuno che conosceva, visto che sarebbe
stata
costretta ad alzarsi in punta di piedi per farlo, decise di dirigersi
verso la
palestra, in modo da verificare come stessero andando i preparativi per
la
cerimonia di apertura, e nel caso, dare una mano a sistemare quello che
poteva.
Fu in quel
momento che un colore
di capelli stranamente vivace catturò la sua attenzione.
Perché
tra la folla intravide una
chioma ramata che conosceva più che bene, ma che non
apparteneva ad Orihime.
Era strano che
Ichigo si fosse
recato lì così presto. Tatsuki aveva pensato che,
essendo quello il primo
giorno come studentesse delle medie per Yuzu e Karin, avrebbe
accompagnato le
sue sorelle a scuola, almeno per frenare la smania di fare foto a
manetta che
avrebbe sicuramente preso il controllo del corpo di Isshin Kurosaki.
Con una
smorfia, Tatsuki ricordò quando era stata lei stessa insieme
ad Ichigo ad
essere costretta a prestarsi come soggetto per quelle foto, nella sua seifuku nuova di zecca.
Sistemandosi la
tracolla sulla
spalla decise che, visto e considerato non aveva tutta questa fretta di
mettersi
a spostare sedie e appendere cartelloni di benvenuto in palestra, fosse
il caso
di andar a rimproverare Ichigo per i suoi mancati doveri di fratello
maggiore,
e sentire quale scusa avrebbe campato per aria in sua discolpa.
Cercando di
farsi nuovamente
strada tra gli studenti, quindi, si incamminò verso il lato
ovest dell’edificio
scolastico, dove lo aveva visto di sfuggita. Lì
c’era meno gente, per lo meno.
Infatti le fu possibile notare solo in quel momento, mentre si
avvicinava, che
Ichigo sembrava intento a discutere animatamente con qualcuno.
Qualcuno che
indossava un paio
pantaloni grigi, una camicia bianca sbottonata quasi fino al petto, e
una
giacca altrettanto grigia appoggiata sulle spalle con noncuranza. [NDA 2: Un modello,
insomma.]
« ...
Dimmi che è uno scherzo. »
Ma purtroppo non
lo era.
E per Tatsuki fu
chiaro come il
sole che splendeva in quel cielo d’aprile non appena gli
occhi azzurri di
Grimmjow, dilatati per la sorpresa e l’irritazione di essere
stato interrotto,
si posarono su di lei, investendola con la stessa delicatezza di una
doccia
fredda. Tutti i pensieri e le preoccupazioni che Tatsuki aveva cercato
di
mettere da parte in quelle ultime settimane, tornarono ad affollare la
sua
mente, e per un lungo istante si sentì sopraffatta.
Quasi
sobbalzò quando sentì la
mano di Ichigo posarsi sulla sua spalla.
«
Tatsuki, aspetta prima di
saltare a conclu-... »
«
Aspetta un accidente! », sbottò,
costringendosi a spostare lo sguardo su di lui. « Cosa
diavolo ti passa per la
testa, eh, Ichigo?! », si scostò, spingendogli via
la mano con un gesto
scontroso.
Lui
ammutolì. Davanti alla rabbia
e all’apprensione nel tono della sua amica di infanzia gli
era sempre stato
difficile reagire con eguale forza. Chiuse gli occhi, trattenendo un
sospiro
mentre si ravviava capelli già abbastanza spettinati. Era
proprio questo che
avrebbe voluto evitare. Tatsuki non era il tipo da accettare di buona
grazia
una situazione scomoda. Aveva messo in conto di prenderla da parte,
spiegarle
tutto con calma, fare in modo che vedesse le cose nel loro insieme,
presentandogliele sotto la luce migliore possibile. Già una
volta aveva sbagliato,
tagliandola fuori dalla sua vita anche se con il solo scopo di
proteggerla, ma
l’averle mentito e voltato le spalle era qualcosa per cui
ancora faceva fatica
a perdonarsi. Lui e Tatsuki avevano sempre condiviso tutto, fin da
bambini. Per
di più, solo poche settimane prima aveva fatto un altro
errore di calcolo,
permettendo che quei due si incontrassero all’improvviso,
senza il tempo di
metabolizzare la presenza dell’altro, e si era ripromesso che
non sarebbe più
capitato. Perché il carattere incredibilmente impulsivo di
entrambi era una
bomba ad orologeria che sembrava sul punto di esplodere ogni volta che
si
trovavano a meno di due metri di distanza. Orihime Inoue non aveva
affatto
esagerato quando aveva utilizzato quelle parole per descrivere il loro
incontro
nel negozio di Urahara, e questo Ichigo ora lo poteva percepire
più che bene, semplicemente
dallo sguardo di puro odio che aveva acceso le loro espressioni non
appena si
erano guardati.
« Tu
non ti devi preoccupare. Lo
terrò d’occhio io. », cercò
di dire nel tono più calmo possibile, che
ovviamente gli servì solo a guadagnarsi
un’occhiataccia scettica da parte di
Tatsuki.
« Ah
davvero? E come pensi di
fare, sentiamo? »
Ancora una
volta, Ichigo preferì
non rispondere, o forse è meglio dire che non sapeva bene
come rispondere. Lui
per primo era incredibilmente diffidente rispetto a quella
“soluzione
alternativa” presentatagli da Kisuke Urahara in persona, di
punto in bianco.
Certo, l’ex Shinigami aveva ragione dicendo che non avrebbero
potuto continuare
ancora per molto a tenere Grimmjow confinato come un criminale di
guerra o
peggio, col rischio così di provocare una sua ribellione,
però era anche vero che
la Karakura Ichikō non era una dannata località di
villeggiatura per
Shinigami e Hollow. Ma davanti sua opposizione, Urahara si era limitato
ad
agitare il ventaglio con un sorriso indecifrabile, come a sottolineare
che per
lui le sue parole avevano la stessa consistenza dell’aria, e
che alla fine, in
un modo o nell’altro, avrebbero fatto come aveva deciso.
Dopotutto, in segno di
una fiducia ritrovata, la Soul Society aveva affidato a lui, il vecchio
capitano della Dodicesima Divisione, il compito di sorvegliare
l’Arrancar
Grimmjow Jaegerjaques. In poche parole, Ichigo non aveva voce in
capitolo.
Stessa cosa
però non si poteva
dire di Grimmjow stesso, ovvero il diretto interessato, che quando era
stato
interpellato da Urahara su quale fosse la sua opinione in merito al
diventare
uno studente fittizio e in questo modo riottenere un minimo di
libertà, lo aveva
sorpreso non poco rispondendo con un categorico rifiuto. Inutili erano
stati i
suoi tentativi di presentargli i vantaggi della cosa: Grimmjow non ne
aveva
voluto sapere. E sottilmente, Ichigo aveva sperato che vista e
considerata
quella reazione che aveva un po’ stupito anche lui, alla fine
di quel
cosiddetto “piano di integrazione” non se ne
sarebbe fatto niente. Sia lui che
Grimmjow però non avevano ancora fatto i conti con
l’inattaccabile caparbietà
di Kisuke Urahara, che quando si metteva in testa una cosa, diventava cortesemente irremovibile. E in tutto
questo, Yoruichi Shihōin si era limitata a rotolarsi sul pavimento e a
giocare
con un topolino di plastica.
« Ti
rendi conto, vero, che è come
mettere un bambino in una stanza piena di caramelle e dirgli di non
toccarle?
», la voce perentoria di Tatsuki lo riscosse, riportandolo
alla realtà dei
fatti. « Questa è una scuola,
Ichigo.
Ed è piena di... di studenti!
Sai, persone. Commestibili.
»
Suo malgrado,
Grimmjow dovette
sforzarsi per trattenere una risata, al contrario di Ichigo che
mandò giù
l’ennesimo sospiro. Le sue labbra si distesero, mentre
incrociava le braccia al
petto e appoggiava una spalla al muro.
Il tono isterico
con cui
quell’umana aveva parlato, lo aveva divertito. Beh, se doveva
essere sincero,
le poche cose che lo avevano divertito da quando era arrivato a
Karakura, erano
state proprio fare quattro amichevoli
chiacchiere con lei e usare Ichigo come un sacco da boxe, il che era
diventato
la sua unica consolazione da ormai qualche settimana a quella parte.
Perché non
l’aveva più incontrata da quando le aveva fatto
capire che l’avrebbe volentieri
vista morta, o anche solo con qualche arto di meno. Chissà
che le sue minacce fossero andate in porto...?, si chiese,
celando una sottile soddisfazione all’idea.
«
L’umana ha ragione, Kurosaki. Questo non è
il posto per me. Facciamola finita con ‘sta cazzata e-...
»
« ... L’umana ha un nome.
L’umana si chiama TATSUKI ARISAWA, e ti conviene tenerlo
bene a mente. »
Il sorriso di
Grimmjow si congelò.
E il
divertimento lasciò il posto
all’incredulità non appena si rese conto del
significato delle parole che
quell’uman-... che Tatsuki Arisawa
gli aveva ringhiato in faccia, puntandogli un dito contro: le sue
minacce le
avevano fatto il solletico.
Ichigo, che era
rimasto a bocca
aperta, si riscosse non appena vide gli occhi di Grimmjow, spalancati
per lo
stupore, assottigliarsi fino a diventare due fessure colme di furia
cieca.
«
Tatsuki, piantala di provocarlo.
Non ti ci mettere anche tu. », fece un passo avanti, verso di
lei, cercando di
mettersi tra di loro e di interrompere la loro lotta di sguardi, che
altrimenti
aveva il sentore sarebbe durata in eterno.
«
Certo, perché adesso è colpa
mia. », la sua amica replicò, mettendosi le mani
sui fianchi con fare offeso.
Almeno però aveva smesso di esprimere con gli occhi il
desiderio di prendere Grimmjow
a pugni sui denti.
«
Non sto dicendo questo. »
« A me
sembra proprio di sì. »
Ichigo
sospirò esasperato. Quanto
a cocciutaggine, era peggio di una bambina.
«
Senti, Tatsuki, io sto solo
cercando di-... »
Ma non
riuscì a finire la frase.
Perché in quel momento anche Grimmjow si comportò
peggio di un bambino.
Successe
talmente in fretta che Ichigo
si rese conto di cosa avesse fatto solo quando lo vide ritrarre le dita
che
aveva appena allungato per tirare la fascetta che Tatsuki portava sul
braccio
sinistro, richiamando così la sua attenzione. Dalla sua
espressione, si poteva
ben intuire che quel gesto infantile gli era venuto spontaneo,
istintivo, non
appena si era sentito ignorato e messo da parte. Cioè non
appena Ichigo aveva
distratto Tatsuki da lui.
Tatsuki che lo
guardò sconcertata,
senza sapere come reagire. Ma bene presto si riscosse, e la rabbia
tornò ad
infuriare dentro di lei.
« Sai
che cos’è questa? », gli chiese,
superando un allarmato Ichigo senza tanti complimenti, fino ad arrivare
a
mettergli braccio e fascetta sotto il naso. Gli occhi chiari di
Grimmjow si
alternarono per un istante dai kanji
dorati
– che non sapeva leggere – impressi sulla stoffa,
agli occhi più scuri di
Tatsuki, nei quali poteva interpretare chiaramente una muta sfida. E da
essi
non riuscì più a distogliere lo sguardo quando si
fecero più vicini, mentre lei
gli sussurrava una dolce promessa a pochi centimetri dalla faccia.
« Questa è la tua rovina.
»
Quasi i lunghi
capelli di lei gli
schiaffeggiarono la faccia quando si voltò per allontanarsi,
lasciandolo lì,
come imbambolato a fissarla. Stava per vederla sparire tra il branco di
insignificanti umani nel cortile della scuola, quando qualcosa dentro
di lui
scattò.
« Ehi!
A-... Arisawa! », la
chiamò a pieni polmoni.
Tatsuki si
girò a guardarlo.
Grimmjow avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa, “lo
vedremo”, “potrei dire la
stessa cosa a te” o un’altra vuota minaccia. Ma non
lo fece.
Si
limitò a sorridere, sorridere
veramente, compiaciuto ed euforico al tempo stesso, come non gli
capitava da
secoli.
Tatsuki si
sentì avvampare. Per un
attimo provò l’irrefrenabile desiderio di tornare
sui suoi passi e togliergli a
suon di pugni quel ghigno odioso dalla faccia, ma il suono della
campanella
arrivò ad interrompere i suoi pensieri. Non aveva ancora
perso del tutto la
testa al punto di ignorare l’inizio delle lezioni.
Di una cosa
però era sicura. Non
sarebbe finita lì. E soprattutto, da quel momento in poi
avrebbe dovuto farsi
valere per quella che era veramente.
Perché non avrebbe certo potuto fidarsi di
quell’imbranato di Ichigo e dei suoi
“non preoccuparti”.
«
Sarò io quella a tenerti
d’occhio... Jaegerjaques!
» gli urlò
dietro in risposta, con tutto il fiato che aveva in gola.
Stranamente,
quell’umana non aveva
sbagliato la pronuncia del suo cognome.
Grimmjow Jaegerjaques non
poté fare a meno di
sorridere divertito.
Scostandosi i
ciuffi di capelli
azzurri e passandosi l’indice tra il collo e il bavero della
camicia, soppesò quei
ricordi che l’odio per il caldo gli aveva involontariamente
riportato alla
memoria. Alcune cose erano cambiate un bel po’ da quei giorni
di marzo e aprile,
ma altre affatto.
Tatsuki era
rimasta Tatsuki,
nonostante tutto.
Rimase ad
osservarla ancora per
qualche secondo, in silenzio, appoggiato con i gomiti al davanzale
della
finestra a muro della classe in cui si trovava, che si affacciava sul
corridoio.
Presto Tatsuki sarebbe passata davanti a lui, e nonostante sembrasse
totalmente
persa nei suoi pensieri, l’avrebbe sicuramente notato. E
Grimmjow non avrebbe
più potuto studiare i suoi movimenti con la stessa
attenzione, divorandola con
lo sguardo mentre camminava e si scostava i capelli di lato facendosi
aria, o sbadigliava
stirandosi le braccia sopra la testa e inarcando la schiena.
In mano teneva
il fiocco rosso che
solitamente portava annodato intorno al collo, ora lasciato scoperto
dalla camicetta
sbottonata. Solo il giorno prima, Grimmjow aveva sentito due umane
spettegolare
durante l’intervallo, parlando del “filo rosso del
destino” che univa le
cosiddette anime gemelle, senza
capire a pieno cosa intendessero con quel termine, nella sua ignoranza
da
Hollow immemore delle cose terrene.
Perciò,
tutto quello di cui si era
reso conto era che, decisamente, parecchie cose erano cambiate rispetto
a tre
mesi prima. Lui stesso era cambiato. Un tempo avrebbe definito quella
credenza
popolare una stronzata bella e buona.
Adesso, senza la
minima
esitazione, si tese oltre il davanzale e afferrò il nastro
rosso nella mano di
Tatsuki, tirandola a lui.
Inconsapevole di come stessero veramente le cose, Grimmjow
non aveva
dubbi che la sua anima e quella di Tatsuki fossero gemelle,
praticamente
separate alla nascita. E aveva senso che quello che li univa dovesse
essere più
spesso di un sottile “filo”, perché le
loro non erano anime qualunque. Erano
anime forti, con un legame ancora
più
forte.
« Ma
che diavolo-...?! », Tatsuki
iniziò a dire, sentendosi improvvisamente tirare da un lato,
e interrompendosi
solo quando i suoi occhi incontrarono quelli di fronte a lei, accesi di
un
azzurro vivo.
Grimmjow le
regalò un sorriso
furbo, avvolgendosi il nastro attorno a un dito.
« Se
cammini con il naso per le
nuvole prima o poi finirai contro un muro. »
Tatsuki
ammutolì, mentre la
sorpresa che aveva provato pian piano scemava via. Rimase a guardare la
sua
espressione ingenuamente infantile per diversi istanti.
Non
riuscì a trattenersi.
« ...
Si dice “camminare con il
naso per aria” o “camminare con la testa fra le
nuvole”, Grimmjow. », replicò,
costringendosi a mandar giù la risata che sicuramente lo
avrebbe fatto
infuriare. Divertita, osservò il suo sorriso trasformarsi in
una smorfia
infastidita, mentre si rendeva conto della gaffe appena fatta. Grimmjow
distolse
lo sguardo da lei, probabilmente preda di una vergogna che non avrebbe
mai
riconosciuto di provare.
« Beh?
A che stavi pensando di
tanto importante da non guardare neanche dove metti i piedi?
», le chiese quindi,
simulando indifferenza.
Tatsuki si
zittì ancora una volta.
E aspettò finché lui non si girò
nuovamente a guardarla, aggrottando le
sopracciglia, chiedendosi quale fosse il motivo del suo silenzio.
Gli sorrise.
E a sua volta si
appoggiò al
davanzale con le mani, tendendosi sulle punte dei piedi per avvicinarsi
a lui. Aumentò
la stretta attorno al fiocco rosso che non gli avrebbe mai ceduto, a
costo di
fare un tiro alla fune.
«
Stavo pensando a te, ovviamente.
»
Grimmjow
rimuginò per tutto il
giorno se considerare le sue parole solo come una presa in giro o come
qualcosa
di più.
Frustrato con sé stesso, non
ammise neanche per un secondo di sperare nella seconda opzione.
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