36.
Vulnerabilità
Una volta all'interno dell'imponente edificio, fu proprio Parker a
pigiare, sicuro, il tasto dell'ascensore che li avrebbe condotti alla
meta, rivelando una conoscenza molto più che superficiale di
quel luogo.
“Tutti che hanno questa mania di stare in
piccionaia...” borbottò Phil suscitando una
risatina da parte del ragazzo al suo fianco.
“Le altezze danno l'idea di libertà!
Perché rinchiudersi nelle viscere della terra?”
commentò il suo accompagnatore.
“Questo tipo di strutture sono anche più
vulnerabili... ma certo, non dovrei dirlo io: la mia Agenzia usa navi
volanti...” replicò l'agente mentre le porte si
aprivano su un soggiorno caldo e accogliente. “Dica 33!
Sicurezza al massimo, qui, vedo...” ironizzò nel
constatare come fosse facile accedere agli alloggi della squadra di
ricercatori “Almeno con Stark ho dovuto impegnarmi a
bypassare i protocolli....”
“Phil!” sbottò la voce di un uomo da un
punto indefinito. Peter si guardò attorno, perplesso: non
c'era nessuno. “Vi aspettavamo...” disse ancora la
voce, divertita.
“Henry vieni fuori, mi stai spaventando il
ragazzo...” replicò Coulson incrociando le braccia
al petto “Soprattutto... cosa ci fai tu qui?”
“E' la mia seconda casa, cosa vuoi che ci faccia?”
replicò quello.
I sensi di ragno suggerirono a Spider-man dove focalizzare la sua
attenzione. Sul pavimento, davanti a loro, una macchiolina arancione,
grande quanto una formica, andò lentamente ingrossandosi
fino a raggiungere le dimensioni di un bambino e quindi di un uomo.
Raggiunta l'altezza di un metro e ottanta, quello digitò
qualche pulsante, arrestò la propria crescita e si
levò il casco integrale.
“Sei cresciuto ancora, Henry?” ironizzò
Coulson
“Spiritoso!” replicò quello
“Henry Pym, piacere...” disse porgendo la mano a
Peter attendendo che si presentasse.
“Peter, fratello!” urlò un'altra voce
maschile anticipando l'entrata di un ragazzo dai capelli biondi e
spettinati e introducendo il fotoreporter allo scienziato in toni
arancione.
“Lui è Peter Parker alias Spider-man...”
aggiunse una donna dai capelli biondi fasciata in una tuta blu
comparendo al seguito della freccia umana che si era lanciata loro
addosso. Quindi gli abbaiò contro con la confidenza che solo
le sorelle maggiori possono avere nei confronti dei fratelli -maschi-
più piccoli, indisciplinati e combina guai.
“Johnny, smettila di fare casino!” Posò
poi lo sguardo sull'agente dello S.H.I.E.L.D. “A cosa
dobbiamo l'onore della tua visita, Phil?”
“Di solito non è mai una visita di
cortesia!” replicò anche Henry Pym puntando le
mani sulle reni, facendo schioccare la colonna vertebrale in tutta la
sua lunghezza.
“Possiamo parlare un momento anche con Reed e Ben?”
domandò quello senza perdere il suo sorriso pacioso.
“Certo... bambini... voi potete andare a giocare al piano di
sotto” disse la donna a beneficio dei due compagni di merenda
che si stavano aggiornando, concitati, col tono baritonale fastidioso
di una pentola di fagioli in ebollizione.
“Neanche per idea, Susan!” replicò il
biondino, mani ai fianchi, prima di trascinare Peter nella sala
adiacente. La donna levò gli occhi al cielo, contando
un'ennesima sconfitta familiare.
“Posso restare anch'io o è meglio
che...?” cominciò Henry che Coulson lo
bloccò.
“Un'altra squadra era andata a casa tua... presumo che
parleranno solo con tua moglie, a questo punto, e che spetti a me il
compito di aggiornarvi tutti...”
“Scommetto che non
vuoi chiederci dove fossimo il giorno della guerra coi
Chitauri...” disse Susan Storm facendogli strada nella grande
stanza zeppa di articoli tecnologici. “Visto che stavamo
lavorando per voi...”
“No, no, tranquilla...” replicò lui
sulla difensiva “Il collaudo era stato deciso molto tempo
prima... cosa potevate saperne?”
“Appunto! È quello che cerco di spiegare a Reed...
ma non ci sente da quell'orecchio...” disse lei, stancamente,
servendo ai due uomini un bicchiere di succo di frutta.
“Noi eravamo, molto semplicemente...” disse Henry,
grattandosi la nuca, a disagio, sentendosi in dovere di giustificare la
propria assenza: per quanto non gli piacesse cooperare con lo
S.H.I.E.L.D., molte vite erano andate distrutte, forse anche a causa
del suo mancato intervento. “..presi con gli esperimenti,
giù nella grotta: non abbiamo sentito nulla e abbiamo saputo
del disastro solo il giorno dopo, per caso, a cena...”
“E giustamente fare un colpo di telefono per sapere se
eravamo tutti interi era troppo, per te...”
ridacchiò l'agente, prendendo posto a tavola.
“C'è stato l'attentato a Stark, quella sera... E
Janet ha provato a contattarvi ma sembrava che le linee fossero
intasate...” replicò risentito. “Poi,
però, forse, le è passato di mente, col fatto che
dovevamo finire l'esperimento....”
“Di quello dovrai riferire a Maria...” rispose
asciutto Coulson gettando un'occhiata fuori dalla finestra e
domandandosi quanto a lungo sarebbe durato quel momento di calma.
AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV
AV AV AV AV AV AV AV AV AV
La superstrada che li portava lontano dalla città si
svolgeva come una nastro grigio e deserto sotto le ruote dell'auto, che
ci scivolava sopra veloce e silenziosa.
Non si erano nemmeno rivolti la parola da quando si erano congedati dal
resto del gruppo che minacciava di infoltirsi ogni giorno che passava.
E di attirare altra gente più idonea di lui.
Scalò la marcia, nervoso, per sorpassare una vettura (un
cartello sul lunotto posteriore la contrassegnata come principiante)
che era in evidente difficoltà, tossendo convulsamente nel
suo lento avanzare.
“Sei stranamente silenzioso” fu lei a rompere
l'incanto. Come ogni donna che si rispettasse, voleva delle
spiegazioni. E lui avrebbe preferito congelare l'attimo piuttosto che
rovinare tutto. Se n'era, infine, accorta? Ma, evidentemente, non aveva
collegato i vari tasselli. “Tutto ok?”
“Sì...” riuscì ad articolare
con difficoltà. Ringraziava di essere impegnato al volante.
“A me non sembra...” replicò la rossa,
risistemandosi sul sedile, in modo da poterlo osservare meglio.
“E' da quando sono arrivati gli X-Men che non parliamo
seriamente. Anzi. Non abbiamo proprio avuto modo di rimanere da
soli...”
“Non credevo ti mancasse così tanto la mia
compagnia...” replicò lui con un ghigno.
Per qualche minuto il silenzio fu nuovamente solcato solo dal frusciare
del vento che scorreva sulla scocca scusa e metallizzata. Forse era
riuscito a farla sentire in colpa. Forse, semplicemente, stava
valutando la sua insistenza.
“Non sono abituata a sentirti così
distante...” ammise alla fine “Un conto
è quando siamo entrambi impegnati... ma se siamo a casa
entrambi...”
“Questo
è amore, agente Romanoff?”
ironizzò lui, facendo sue le parole di Loki, senza la minima
intenzione di provocarla. Sapeva già qual era la risposta.
Lei tacque, valutando la domanda, cosa che a lui sembrò
impossibile. Doveva essere alla ricerca di un modo carino per dirgli di
piantarla. “Perché non sei rimasta con
lui?” domandò serio, per evitare quella sua
risposta a favore di un'altra. In realtà, anche quella gli
costava uno sforzo tremendo, fingere che la cosa non gli importasse.
“Con Logan?” domandò lei di rimando,
sorpresa.
“No, parlavo di Wade, guarda...” la
canzonò lui “Un mercenario che manda in giro un
aereo con uno striscione in coda per chiederti un appuntamento non
è da buttare via...” Clint sorrise, suo malgrado.
Lui non era presente quand'era successo, conosceva la storia solo per
sentito dire, ma pareva fosse stata una situazione esilarante: Natasha
era stata incaricata di ritrovare Wade che, in teoria, si nascondeva al
mondo per il suo lavoro. Lei non aveva la più pallida idea
di dove cominciare la ricerca. Ma il mercenario chiacchierone non era
certo una persona che agisse secondo un qualunque senso logico:
innamorato perso della rossa (che per lui rimaneva l'infermiera Yelena
Belova, come entrambi l'avevano conosciuta) aveva noleggiato un
ultraleggero pubblicitario perché si portasse a spasso il
messaggio, nemmeno troppo criptato “VN ♥ DP? Chiama
il ….” Faceva seguito il numero
completo del mercenario. Le aveva sì facilitato il compito
ma l'aveva messa anche in ridicolo davanti a tutta la squadra.
Lei lo guardò accigliata “Spero tu stia
scherzando!” ringhiò “E' stata la cosa
più imbarazzante della mia vita. E comunque... Wade, quello
che ama farsi chiamare Space Cowboy o Gangster of love?”
ripeté arricciando il naso come se non avesse capito bene a
chi si riferisse.
“Tra l'altro, tu odi quella canzone...”
ridacchiò l'arciere
“Appunto. E comunque, no, grazie! E' appiccicoso come la
carta moschicida, per l'amor di Dio. Ed è completamente
fuori fase!”
“Seriamente... perché non sei mai rimasta con
Logan?” A questo punto non era più questione di
preferenze e gelosie, voleva solo capire.
Lei si volse verso la strada deserta che si inerpicava per le montagne
“Logan è un tipo molto fedele ma allo stesso tempo
è un solitario. Negli anni non è cambiato poi
molto. A parte che l'affetto che mi lega a lui è
più quello di una figlia verso un padre, anche se tra noi ci
fosse quel tipo di legame non credo durerei a lungo...”
Clint annuì, afferrando appieno quello che voleva dire.
Ancora una volta, ecco un dettaglio che li accomunava più di
quanto non volesse sperare. Entrambi erano cresciuti girando il mondo
come trottole impazzite, senza mai piantare radici da nessuna parte,
sempre sospesi come semi di pioppo. E quand'anche stavano per
atterrare, ecco che qualcosa li riportava in alto, lontano dalla
tentazione offerta dalla stabilità del terreno.
Rafforzò la stretta sul volante pensando a come solo pochi
dettagli, non così insignificanti, li separassero
inevitabilmente.
“E tutti gli altri immortali
come te, allora? Perché non... Rogers, ad esempio, ora che
è stato riesumato...”
“Rogers mi ricorda Bucky. Non credo saprei gestire i due
ricordi assieme.”
“Eh, già...Come dimenticare Bucky?”
replicò lui nervoso. “Il primo, e forse unico,
amore di Natasha Romanoff...” commentò sprezzante.
Lei non sembrò cogliere la frecciata e continuò
“Per tutti gli altri... Ti è mai capitato di
pensare che una persona non ti piaccia e basta? Magari è
bella, affascinante e brillante ma non ti dice assolutamente nulla? Una
persona con cui ti sta bene passare una serata in compagnia ma non una
giornata intera?”
Lui arricciò il naso “Sì, una certa
bionda che ho mollato dopo tre mesi”
“Dovevi pensarci bene prima di sposarti...” lo
rimbeccò lei
“Strano che la predica mi venga da una spia che non sapeva
cosa macchinasse suo marito e non sospettava che la sua morte fosse una
messinscena...”
Lei lo folgorò con lo sguardo “Sono diventata una
spia proprio per quello... Ad ogni modo, ci sono persone che non ti
ispirano né in un senso né in nessun
altro.” concluse seccata.
“Beh, ringrazio di essere almeno in una delle due
categorie...” ironizzò lui.
“Clint...” sbuffò lei levando gli occhi
al cielo.
“No, Tasha... seriamente, gradirei avere il letto tutto per
me e non doverlo dividere con te che ti metti a X per tutta la
lunghezza, confinandomi nell'angolino...”
“Parla quello che poi mi piazza una gamba sulla pancia per
mettersi comodo”
“Eccerto!” replicò lui con un ghigno.
Lei tacque per qualche momento “Davvero vuoi dormire
separati?”
“Mai stato più serio”
confermò.
“Ma... i tuoi incubi...” replicò confusa.
Clint digrignò i denti per un attimo “Al momento
sono il male minore.”
“Io sarei peggio degl'incubi che ti fanno urlare la
notte?” allibì la rossa.
Lui alzò il mento quasi a sfidarla pur mantenendo gli occhi
forzatamente incollati alla strada “Sembravi aver capito
tutto così bene all'indomani dell'attacco dei Chitauri e ora
ti dimostri così ottusa...” sibilò
prima di accostare bruscamente. Le ruote grattarono sul ghiaino,
sollevando una gran polvere. Clint, la macchina ormai ferma,
pigiò ancora il freno, facendo scattare il busto della
compagna in avanti per il contraccolpo. Lei rimase interdetta e senza
fiato dalla manovra repentina e inaspettata.
Sganciata la cintura di sicurezza, lui si chinò,
rapidamente, su di lei, premendo un pulsante a lato del sedile e
facendolo avanzare di colpo fino a bloccarle le gambe sotto il
cruscotto.
“Che diavolo stai facendo?” urlò mentre
lui le afferrava entrambe le mani e gliele piegava all'indietro,
tenendole poi incrociate dietro il poggia testa con una sola mano in
una presa che per lei era impossibile da sciogliere nonostante si
dibattesse come un salmone che cerca di risalire la corrente.
“Lasciami andare! Lasciami andare! Lasciami
andare!” urlò impanicata a pieni polmoni prima che
lui le posasse l'altra mano sulla bocca, costringendola a tacere.
Il volto di lui, contratto da una rabbia ben trattenuta ma mal celata,
e il volto di lei, gli occhi velati di lacrime e le pupille dilatate
dal terrore, erano a un soffio l'uno dall'altro.
Sapevano entrambi quale fosse la sua paura più cieca: tutto
ciò che non era prevedibile, come quel comportamento
irrazionale, e l'essere seriamente impossibilitata a muovere il corpo
per liberarsi: il sedile di un'auto non era una sedia da interrogatorio
che, facendo leva sui piedi, si poteva mandare in frantumi con un colpo
di reni: era agganciata all'interno di una gabbia più grande
e senza poter usare le gambe, per sferrare qualche calcio per stordire
l'aggressore e guadagnare tempo, né le mani, che lui teneva
agganciate con tale forza da bloccarle la circolazione sanguigna
né la testa, trattenuta contro il sedile in una stretta
soffocante: era totalmente inerme e alla sua mercé.
“Puoi essere la più brava quanto vuoi, nel corpo a
corpo. Ma senza un corpo a disposizione, dimmi, Tasha, come pensi di
difenderti dalla forza di un uomo?” sibilò con
astio e gli occhi di lei si gonfiarono di lacrime e ribrezzo
“Non puoi chiedermi seriamente se sei peggio dei miei incubi
come se nulla fosse!” ringhiò fissando il punto in
cui avrebbero dovuto esserci le sue labbra carnose che erano,
però, coperte dalla propria mano che le stringeva con tale
forza il volto da avere le nocche sbiancate. Deglutì e
allentò la presa, colpevole. “Non lo so se
è colpa della stregoneria di Loki o se è solo la
bestia dentro di me che si è risvegliata...” disse
piantando gli occhi nei suoi, studiandone ogni minima reazione
“Ma non puoi più chiedermi di far finta di nulla.
Non ora. Ti chiedo solo di darmi un po' di tempo e un po' di
spazio.” Sbuffò e si chinò sulla sua
spalla, il corpo torto e proteso verso di lei “Ti prometto
che tornerò quello di sempre ma mi serve tempo. Se non sei
disposta a concedermelo, credo che abbandonerò la squadra.
Quella dello S.H.I.E.L.D.” disse baciandole la fronte
corrugata, cercando di lenire il proprio senso di colpa e il male che
le aveva fatto deliberatamente “E che Fury e il mondo si
fottano.” disse liberandola e passandole il pollice sul
labbro prima di lasciarla andare del tutto.
Lasciò che lei sciogliesse l'intreccio dei polsi e che lo
mordesse o lo schiaffeggiasse, a seconda di quello che avrebbe
preferito fare. Non si massaggiò nemmeno la parte offesa.
Allungò le mani su di lui, che, ancora vicino,
serrò gli occhi: se l'era più che meritato.
Ma il contatto con le sue labbra morbide lo colse di sorpresa.
Sbarrò gli occhi, aprendoli su quelli di lei che,
diversamente da Budapest, erano socchiusi mentre gli faceva scorrere le
mani sulla nuca e tra i capelli.
Lui le rispose istintivamente, lasciandosi andare al traino di anni di
aspettative e di fantasie attorno a quell'unico bacio che si erano
scambiati a Budapest. E sui tanti altri mancati, almeno nella sua
testa. Le sue mani corsero, autonome, sulle sue spalle, per tirarla a
sé appena un po' di più di quello che la scomoda
posizione, e la cintura di sicurezza che ancora la teneva agganciata al
suo posto, concedeva loro, per poi scivolare lungo la schiena e il
costato, ripercorrendo ogni ferita che le aveva curato, ogni costola
incrinata, avvertendo, mai come allora, la fragilità del
corpo della compagna. Più piccolo di quello di un uomo, meno
protetto dai muscoli temprati dall'esercizio fisico. Le braccia di lei,
per quanto forti, erano un terzo delle sue e sarebbe stato
così semplice spezzarle: poteva quasi sentire la consistenza
delle ossa sotto la carne. Eppure, sull'Helicarrier, dominato dal suo
lato oscuro, non era riuscito a vincere contro quella misera resistenza.
Si stava lasciando andare del tutto, desideroso soltanto di
approfondire quel contatto tanto ricercato, completamente dimentico del
motivo per cui erano arrivati a quel punto quando ricordò
con chi aveva a che fare. Natasha era la Vedova Nera, non una
matricolina del corpo di Polizia al suo primo giorno in poligono.
Si sottrasse all'ennesimo assalto di quella bocca invitante, quasi
infastidito. Pose tra loro la massima distanza che poteva,
allontanandola pur tenendola per le spalle. Chinò la testa,
cercando di riprendere il controllo sulla sua mente già
provata dai sortilegi.
Mollò la presa e si risistemò alla guida.
Senza dire una parola, rimise in moto e riguadagnò la strada.
AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV
AV AV AV
Dopo una serie di false partenze, di tentativi goffi e impacciati di
prendere il volo, Pepper riuscì, finalmente a librarsi in
aria abbastanza a lungo da prendere confidenza con la sensazione di
essere sospesa in aria. Certo, due reattori sotto la pianta dei piedi
davano tutta l'impressione di poggiare ancora sul cemento solido e solo
guardandosi attorno si rendeva conto che il senso di vertigine
aumentava. Riuscì a padroneggiare il panico che le annodava
l'intestino ogni volta che guardava oltre il parapetto. D'altronde
aveva anche Rogue pronta ad assisterla ad ogni evenienza.
“Pronta a fare un vero giro in giostra?”
domandò la mutante quando la vide più disinvolta.
L'elmetto di Rescue accennò una risposta affermativa.
“Non allontanatevi troppo...” disse Steve
“Non sono tempi facili...”
“Rimarremo in collegamento con J.A.R.V.I.S. E poi
è solo un giro... cosa vuoi che succeda,
zucchero?” replicò Rogue impaziente
“Avanti signorina Potts, dai gas a questa bellezza!”
E in un batter di ciglia le due scomparvero nel cielo azzurro e sgombro
di nuvole di New York. Il computer, oltre a tenere sotto controllo il
traffico aereo, raddrizzava automaticamente tutti gli errori della
ragazza che si era fatta man mano più coraggiosa.
“E' divertente!” urlò a Rogue che volava
a zig zag intorno a lei “Ora capisco come mai Tony adori
quest'armatura...”
“Da un senso di libertà, vero? Se solo potessi
toglierti l'elmo sentiresti il vento tra i capelli. E' come andare in
moto. O a cavallo”
“Tu dici?” domandò scettica la rossa
“In moto non ci sono mai andata: troppo pericoloso. E
l'equitazione... sì, l'ho praticata ma... sono
così concentrata su dove mandare l'animale che proprio non
riesco a godermi l'aria tra i capelli.”
Rogue rise “Non sai cosa ti perdi allora. Ma aspetta... le
auto di Stark sono tutte decappottabili... non ti ha mai portata a fare
un giro?”
“Sì, certo...” rispose l'altra perplessa
“Ecco... esattamente come guidare una spider in un giorno di
sole. Questo è volare!”
“Io non amo particolarmente nemmeno guidare. Ci pensano
sempre Tony o Harold...”
“Allora è normale che tu sia tutta elettrizzata,
ora...” ridacchiò quella di rimando
“Sono contenta che ti piaccia. In pochi possono
apprezzare...”
– Attenzione! – la voce sintetica di J.A.R.V.I.S.
si intromise nei loro futili discorsi con un tono allarmato –
Armatura Mark 1616 Rescue agganciata.–
“Che vuol dire?” domandò Pepper
fermandosi di colpo a galleggiare indecisa, in cerca di qualunque
indizio per quell'anomalia.
“Seguimi, presto!” urlò Rogue tuffandosi
in picchiata.
“Che sta succedendo?” domandò Pepper
preoccupata seguendola a ruota.
“Qualcuno ha puntato la tua armatura. Hai presente Top Gun?
Quando i missili vengono impostati per non perdere mai di vista
l'obiettivo? Ecco!”
“Ommioddio!” urlò l'altra in preda al
panico.
“Fa quello che ti dico e abbatteremo qualunque cosa ti
abbiano lanciato addosso. Non è da escludere che Stark stia
giocando con noi, in questo momento. Ma preferisco non prenderla
così sotto gamba.” urlò ancora, il
vento le strappava le parole di bocca mentre si lanciavano verso il
mare che già si intravedeva all'orizzonte: fortunatamente si
erano dirette nella parte ovest della città per la loro
sperimentazione “A scuola ho già effettuato
simulazioni simili: so come eliminare questo tipo di minacce. E con
l'aiuto dell'acqua, in caso estremo, posso alzare una barriera che ci
protegga”
– Attenzione!– replicò ancora
J.A.R.V.I.S., ignaro delle loro manovre –
Attenzione!–
“Dannazione!” ringhiò Rogue
“Vola, ti coprirò le spalle! Tu avvisa
Stark!”
“Come puoi proteggermi senza armatura?”
replicò Pepper cercando di guardarla da sopra la spalla.
“Non temere...” rispose quella, stirando un sorriso
divertito, mentre la sua pelle diventava di un colore freddo e lucente,
quasi fosse fatta di acciaio. “No, ho
sbagliato....” disse mentre la sua pelle mutava ancora,
diventando quasi trasparente, ma con un substrato latteo, e assumendo
mille sfaccettature lucenti. Sembrava... “Ora ho la pelle di
diamante...” disse strizzandole l'occhio “Qualunque
cosa dovesse impattarmi addosso si sfascerebbe prima di farmi
male...”
“Ma io credevo...” replicò Pepper
confusa prima di tornare a volare spedita verso l'oceano.
“Sì, lo pensano tutti. Ma posso sfruttare anche i
poteri che ho assorbito nel corso degli anni. Quando dicevo di essere
un'arma, quella volta, prima dell'attentato, mi riferivo a questo. Sono
pericolosa coi miei poteri di base. Figurati quando, potenzialmente,
posso mescolarli tutti tra loro. Ma tutto ha un costo,
ovviamente.”
“E sarebbe?” domandò la rossa, vinta
dalla curiosità.
“La mia sanità mentale. E non ci tengo proprio a
diventare come Wade” replicò quella
“Avvisa gli altri!”
– Attenzione!– continuava a pigolare Jarvis, nel
frattempo. Pepper riuscì a stabilire un contatto, ma la
linea era tremendamente disturbata.
– Rogers... – rispose impacciata la voce del
capitano che, dopo due anni, ancora non si era davvero abituato a quel
mondo per lui così assurdo.
“Chiama Tony! Io e Rogue siamo state attaccate da... non lo
so da cosa! Ah!” urlò mentre qualcosa le sfilava
accanto a velocità così sostenuta da spostare
l'aria attorno a lei “Fai presto!”
–Dimmi dove siete!– ordinò lui, spiccio.
“Ci stiamo dirigendo verso Liberty Island, spero riusciremo
ad arrivarci ...”
– Arriviamo! –
AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV
AV AV AV
Dunque, ho finalmente introdotto i Fantastici 4 e Pym. La mia
è una versione alternativissima. Ovvero, Richards e Pym sono
scienziati indipendenti che lavorano per lo S.H.I.E.L.D. Vedremo
più avanti in che modo (o meglio, parlerò di
Howard Stark e, implicitamente, farò riferimento a loro). Ad
ogni modo, dovevo
giustificare la loro assenza dalle scene dello scontro coi Chitauri.
Dunque, al servizio dello SHIELD li ho mollati al lavoro. E sia Reed
che Henry, quando si mettono, si dimenticano del mondo circostante. Poi
c'è stata una nuova emergenza e quando finalmente si
è potuto nuovamente comunicare tranquillamente, la
cosa era ormai passata di mente...più o meno come quando
siamo convinti di aver scritto a una persona e non l'abbiamo fatto.
Tasha e Clint... :) ditemi... siete contenti -nonostante tutto-? A
proposito... Bucky, sempre lui, è l'omino che Stark ha
chiamato per proteggere l'ospedale. Lo ripeto per chi non abbia
confidenza coi personaggi. E lo ripeterò pure più
avanti, visto che tornerà sia nel film di Cap -il titolo
è dedicato a lui, Winter
Soldier- che nella fic.
Beh... per un po' sarà l'unica romanticheria nella fic
perché dal prossimo episodio cominciano i casini..
ovviamente la cosa non riguarderà solo Pepper (figurarsi).
Secondo voi vi dico altro? Illusi!
No no, vi terrete la curiosità per un paio di
capitoli ♥
See
you!
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