Don't close....
Capitolo 3
Don’t close the door on what you adore
Sapevo di stare sognando.
Stavo esplorando una landa desolata,un deserto di sabbia color rame,un
colore talmente bizzarro da farmi fiorire in mente un pensiero
altrettanto stravagante :- Sembra di stare su Marte…-.
Mi accorsi allora di indossare una tuta da astronauta,e girandomi di
scatto notai dietro di me una struttura simile al modulo utilizzato
dagli uomini che per primi avevano messo piede sulla Luna.
Abbracciai il paesaggio con un’unica occhiata,assaporandone le
asperità,la solitudine,le differenze rispetto a qualsiasi
ambiente terrestre,e mi sentii….In pace con me stesso,libero.
Talmente libero che la voce di Gaia che mi chiamava dolcemente dal mondo reale mi diede un fastidio terribile.
- Matty,ho preparato la colazione…-
Aprii gli occhi a fatica,richiudendoli subito dopo per via della luce
del sole che spadroneggiava nella stanza,spietata ed abbagliante.
La mia compagna era seduta sul letto accanto a me,ad aspettare che mi
alzassi,con un atteggiamento da madre affettuosa che mi atterriva.
Mi rintanai sotto le lenzuola come un bambino capriccioso.
- Dai,pigrone,che il caffè si raffredda! – esclamò
allegramente,dandomi una scherzosa pacca sul sedere. Ne approfittai per
sgusciare fuori dal mio rifugio di cotone,afferrarla per un polso e
farla ricadere su di me.
- Lascialo raffreddare…- mormorai con la voce ancora impastata
di sonno,e rotolai su di lei invertendo le nostre posizioni,tappandole
la bocca con un bacio.
Il caffè di quel giorno fu il più gelido di tutta la mia vita.
- Cosa hai intenzione di fare,stamattina?- mi chiese,sistemandosi la
sottile sciarpa di lino davanti allo specchio del corridoio prima di
uscire.
- Mhm…Pensavo di fare la solita passeggiata sulla collina,e poi…Boh,cazzeggiare come al solito!- risi.
- Sta diventando davvero pigro,signor Bellamy… Le sue uniche
occupazioni sono cazzeggiare e mangiucchiare… E i risultati si
notano!- sogghignò lei,gettandomi un’occhiata fugace.
- Come si permette??- mi finsi indignato,andando ad abbracciarla da
dietro,trovando uno scampolo di pelle lasciato esposto dalla sciarpa e
baciandolo teneramente.
- Smettila…- la sentii mormorare,gli occhi chiusi e la testa
reclinata all’indietro,in un gesto di languido abbandono.
- E’ stata lei ad accusarmi di essere troppo
pigro,signorina…Sto cercando solo di dimostrarle che non
è affatto vero…- dissi innocentemente,mordicchiandole il
lobo dell’orecchio.
Mi respinse un po’ controvoglia,notai soddisfatto.
- Dio,sei davvero insaziabile…- sospirò,scuotendo il capo,con le labbra gentilmente incurvate in un lieve sorriso.
- Ora vado…Ci vediamo per pranzo…Stallone!-
esclamò ironicamente,prima di uscire di casa,lasciando dietro di
sé una scia sottile di profumo fruttato.
Rimasto solo,mi resi conto di non avere affatto voglia di affrontare
l’abituale scarpinata lungo i sentieri montani,e accesi la TV in
soggiorno,per poi spegnerla dopo nemmeno cinque minuti.
Che palle i programmi del mattino.
Meditai di infilarmi di nuovo a letto.
No,ormai il sonno era definitivamente evaporato.
Pensai al computer nello studio,che non usavo quasi mai,ma che in quel momento mi pareva un ottimo diversivo alla noia.
Decisi di dare un’occhiata al mio MySpace,che avevo dimenticato di chiudere dopo aver lasciato il gruppo.
Il sito ufficiale ancora esisteva,anche se molti membri lo avevano
abbandonato dopo che due settimane prima avevo pubblicato un lungo
messaggio su di esso per comunicare che non avrei più fatto
parte dei Muse.
E che di conseguenza i Muse stessi erano arrivati al capolinea.
Ventimila cento ventitre messaggi sul MySpace. Wow.
Ne lessi solo alcuni;la maggior parte erano totalmente disperati e mi
imploravano di tornare indietro sui miei passi,alcuni pragmaticamente
mi auguravano “buona vita e auguri per il bimbo”,altri
ancora mi davano del “figlio di puttana
egoista”,addirittura.
Tutti erano concordi nell’affermare che “comunque è
un vero peccato”,chi lo diceva in modo più civile e chi
meno.
Un messaggio mi colpì per la sua brevità e sobrietà.
“Mi dispiace davvero che sia finita. Mi dispiace per me ma
soprattutto per te,Matthew. Perchè questo poteva essere il
periodo più felice della tua vita,ma tu,parafrasando proprio un
verso di una tua canzone,hai chiuso la porta in faccia a ciò che
adori. E non credo che sarà qualcosa che ti scivolerà
addosso tanto facilmente. Buona fortuna,comunque.”
Non ne capii immediatamente il perché,ma quelle parole mi procurarono una sensazione sfocata e indefinibile di fastidio.
E questo sentimento uggioso e inafferrabile non tardò a
trasformarsi in un’irritazione sorda,fino a sfociare in
un’incazzatura davvero nera.
Chiusi il MySpace e spensi il computer rabbiosamente.
Ma cosa cazzo ne sanno loro della mia vita??
“Non sarà qualcosa che ti scivolerà addosso tanto facilmente.”
Ma certo,perché mi conosci abbastanza da sputare inutili sentenze sui miei sentimenti,giusto?
“Hai chiuso la porta in faccia a ciò che adori.”
Lo ammetto. Ho preso una decisione drastica,ma l’ho fatto
perché…Perché Gaia ha bisogno della mia totale
attenzione,del mio amore,e ne avrà bisogno pure mio figlio
quando nascerà - Dio,mi dà i brividi anche solo pensarlo.
Sono loro ciò che più amo. I miei beni più
preziosi. Più importanti di un concerto,di un album in cima alle
classifiche di vendita o di un premio per la migliore band
dell’anno X.
E…Bè,sì,più importanti dei fans.
Quest’ultimo concetto mi fece sentire un po’ in colpa.
Non se lo meritavano,certo. Ma neanch’io meritavo di essere definito un figlio di puttana,no?
Per una strana analogia improvvisa,quell’allusione alla
“porta chiusa” mi rimandò col pensiero alla
mia sala da musica,la stanza della casa dove tenevo le mie chitarre,gli
amplificatori,il pianoforte…
Da due settimane non vi ero più entrato;fra uscite con
Gaia,gitarelle al lago,visite ai suoi parenti,cene e pranzi con amici
comuni non avevo avuto né tempo né modo di pensare ad
alcun tipo di attività concernenti il suonare o il cantare.
Non avevo sentito il minimo bisogno di dedicarmi a due attività
che nel corso degli anni mi avevano non solo fatto diventare più
ricco e famoso di quanto osassi sperare in gioventù,ma mi
avevano aiutato ad esorcizzare i miei demoni interiori,mi avevano
impedito di uscire di senno inseguendo le mie fobie,le mie paranoie
talvolta insensate ma non per questo più gestibili.
Senza pensarci troppo su,scattai in piedi e mi diressi a passi decisi verso la stanza tanto trascurata.
La mia mano esitò per qualche secondo sulla maniglia,spinta da qualcosa che somigliava sgradevolmente a della…
…paura?
E di cosa?
Ingoiai a vuoto,come cercando con quel movimento di ricacciare quella
sensazione in fondo,dove non avrebbe potuto nuocere a nessuno.
Entrai.
Le mie Manson occhieggiavano dai loro cavalletti,brillando nella
sfolgorante luce mattutina che accentuava i loro bagliori
cangianti,glitterati,argentati come specchi…
Il pianoforte a coda nero giaceva in un angolo,e sempre quel riverbero di sole sembrava donargli un’anima.
Qualche tempo fa ero io che lo facevo.
Le mie dita formicolarono quasi di anticipazione quando mi sedetti
sullo sgabello lucido d’ebano e le poggiai cautamente sui tasti
candidi.
Non pensai razionalmente a cosa suonare,le mie mani si mossero da sé a riprodurre la mia Piano Thing.
Dapprima ero incerto,timido nel riprendere una relazione interrotta
bruscamente qualche settimana prima con quello strumento,ma poi i miei
movimenti si fecero più sicuri,tornando precisi e disinvolti
come ai concerti.
E più mi addentravo nella melodia più mi tornavano in
mente immagini di mani,centinaia di mani stese contro il cielo,il
silenzio brulicante di bisbigli durante i miei assoli alla tastiera,io
che semplicemente mi smarrivo fra le note,quasi perdendo ogni contatto
con la realtà circostante…
Interruppi la sinfonia a metà di un accordo,sentendomi sopraffatto da quel fiume di ricordi.
Ma non potei lo stesso impedirmi di alzarmi,afferrare una chitarra a
caso,attaccare spine e cavi,accenderla con uno scatto famelico.
Suonai con ferocia per ore,forse,o secondi,o secoli.
Passavo da New Born a Bliss,da Stockholm Syndrome a Hysteria,in un parossismo impossibile da placare.
Perché adesso sì che ricordavo tutto.
L’adrenalina libera di scorrere nelle vene prima di salire sul
palco,i miei gesti teatrali rivolti verso un pubblico puntualmente in
delirio,i riff finali infiniti e tortuosi,lo sguardo dei miei due
compagni assorto ed eccitato speculare al mio,le risate e le sbornie
degli aftershow,le ragazze (e i ragazzi…) che tentavano di
rimorchiarci,la stanchezza che finite le nostre performances permeava
ogni più piccola fibra del nostro corpo ma che non ci aveva mai
impedito di pensare che,Dio,suonare era la migliore delle cose che
potevano esistere in questo fottuto mondo,e che mai,mai nella vita
avremmo potuto rinunciare ad essere un tutt’uno con la
musica,per niente e nessuno al mondo…
Di nuovo smisi repentinamente di suonare,mozzando senza pietà un assolo di non ricordo più quale canzone…
Non riuscivo più a distinguere le corde attraverso il velo di
lacrime che mi gonfiarono gli occhi crudelmente e inaspettatamente.
Mi lasciai andare a dei singhiozzi convulsi,amari,nascondendo il volto
fra le mie mani ammaccate,vergognandomi di quello sfogo inarrestabile e
patetico.
La porta era di nuovo aperta. E sapevo perfettamente che richiuderla sarebbe stato impossibile.
Note dell'autrice:Ah, non potete capire che gusto ci provo a scrivere queste due scemenzuole a fine capitolo ^_^....Ok,sappiate che "Don't close..." lo amo da morire,è il figliuolo prediletto,quello che ha scalciato più degli altri nella mia mente per uscirne fuori XD....Spero vi piaccia!E grazie delle recensioni e della lettura :****!
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