Carson
aveva ragione. Leoben non
vedeva il perché di fare giochetti. Forse perché, come disse al
dottore, quando
si sta per morire tutto diventa chiaro. Vedeva quello che aveva fatto,
e capiva
che il suo percorso era alla fine. Ma che aveva dell’altro ancora da
fare,
prima di dire addio.
Kara
però rifiutò di incontrarlo
di nuovo, anche solo per pochi minuti. Sorvegliava via le telecamere
gli
interrogatori, arrivando perfino a suggerire alle volte le domande ai
soldati
dentro con lui attraverso la radio, ma non sarebbe mai più entrata
nella sua
cella. Boomer invece si era chiusa in un ostinato mutismo. Sembrava che
dopo
aver fatto rapporto sulla sua situazione, non avesse altro da dire.
Alle volte
chiedeva di Sarah, ma niente di più.
Sarah
era l’unica che con il
tempo iniziò sul serio a migliorare. Passati gli effetti della droga,
Weir
aveva dato l’ordine di incarcerare anche lei, ma aveva dovuto cambiare
idea
subito perché Sarah aveva avuto una crisi di panico minuti dopo essere
entrata.
Vista la sua precaria sanità mentale, Carson suggerì di tenerla sotto
sorveglianza con un bracciale elettronico, e di affidarla alla sua
tutela. La
cosa aveva sorpreso molti alla base, ma non Elizabeth. Carson aveva una
gran
carica di empatia dentro di sé, era per questo che era un ottimo
dottore. Sarah
era totalmente indifesa, e visto che i suoi amici non potevano
proteggerla,
l’avrebbe fatto lui.
Kara
lo avvertì di non
avvicinarsi troppo, ma qualcosa nei suoi occhi le fece capire che era
tardi.
Era lo stesso sguardo che aveva Helo su Caprica, quando aveva trovato
lui e
Sharon, e lui le aveva detto che Sharon era incinta. Aveva urlato di
rabbia e
frustrazione perché non poteva capire come il suo migliore amico
potesse essere
così idiota da stare con una Cylon sapendo perfettamente chi o cosa lei
fosse,
e Helo l’aveva guardata a quel modo. Lui non vedova la Cylon, vedeva la
persona.
Vedeva la donna. L’essere umano. Pensò che l’ultima cosa che mancava a
quel
punto, era Carson e Sarah diventassero gli Helo e Sharon locali.
Atlantis non
era il Galactica, ma molti scienziati, McKay in testa, non vedevano la
differenza tra lei e un Replicante. O un tostapane, come avevano
sentito Kara
chiamare i cylon più di una volta.
Kara
fu certa di aver perso il
dottore, quando quasi venne alle mani con McKay dopo aver sentito lo
scienziato
chiamare Sarah ‘tostapane’ assieme ad un gruppetto di scienziati.
Zelenka se
n’era andato scuotendo la testa, e mormorando qualcosa in ceco di cui
l’unica
parola che Carson comprese era ‘idiota’. Il dottore era appena reduce
da una
videoconferenza con l’SGC che annunciava l’imminente arrivo della
Odyssey, in
cui aveva dovuto riferire delle condizioni della sua paziente. Non
esattamente
dell’umore migliore per sentire quel genere di commenti. Ringraziando
il cielo
il maggiore Lorne era nelle vicinanze e aveva evitato che ci fossero
conseguenze.
Sarah
stava migliorando ogni
giorno, ma per quanto riguardava la sua mente era un discorso diverso.
I cylon
avevano un concetto di emozioni come poteva averlo un bambino. Sarah
aveva
vissuto sei anni con gli umani delle Colonie, quindi con ogni
probabilità aveva
iniziato a capire quanto i sentimenti potevano essere complessi. Poi
era
ritornata dalla sua gente, e infine era stata imprigionata e torturata
dai
Wraith. E quest’ultima cosa era grave abbastanza per non riprendersi
più.
Sarah
però voleva ritornare
quella che era. Ricordava tutto quello che era stata, quello che aveva
appreso
dagli Antichi e dai suoi amici di Caprica. Aveva imparato da loro cosa
voleva
dire essere umana, e questo glielo doveva. Il bracciale di sorveglianza
lo
capiva, e non era nemmeno una scocciatura. Il problema erano gli altri.
Doveva
essere questo quello che aveva provato Boomer sul Galactica, nonché
ragione
principale della sua decisione di starsene da sola nella sua cella.
Ma
a differenza di Boomer, lei
sapeva che le sue conoscenze potevano chiarire molte cose ai nuovi
abitanti
della città sui vari laboratori e sulla città stessa. Questa, oltre a
sapere di
essere molto ma molto più intelligente dell’insopportabile umano che
chiamavano
McKay, era la sua motivazione a impegnarsi nelle sedute di terapia con
Carson e
la dottoressa Heighmeyer.
E
arrivò il giorno dell’arrivo
della Odyssey.
“Non
sembra eccitato” commentò
Vala osservando Daniel che dormiva con la testa sul tavolo in sala
mensa.
“Fidati”
disse Cameron “È
eccitato come un bambino la sera di Natale.”
“Credevo
avessimo deciso di
limitare i riferimenti culturali che non posso capire…”
“È
così eccitato che è stato in
piedi tutta la notte.”
“No,
è solo perché è preoccupato
da morire per l’esito della missione…”
E
avrebbe voluto aggiungere che
anche lui non aveva una gran cera. Non c’era voluto un genio in quei
quattro
mesi per capire che il colonnello e il maggiore non l’avevano
raccontata
giusta. Mitchell, almeno. Appena aveva saputo che Kara poteva tornare
prima
dalla missione, gli era tornato il buonumore. Poi aveva saputo che il
maggiore
Thrace aveva deciso di restare. Vala non avrebbe usato la parola
‘deluso’, ma
era quella che più ci si avvicinava. Quei ciondoli servivano fino ad un
certo
punto, la cosa reale era mille volte meglio.
E,
a quanto pareva, preferiva
vivere in una galassia a milioni di anni luce da lui.
Ormai
però non aveva più
importanza. Avrebbe rivisto Kara entro pochi minuti, e avrebbe capito
come
stavano le cose tra loro. Erano ancora in tempo a troncare, dopotutto
non c’era
più niente di vincolante tra loro.
Con
un pezzo di tovagliolo, si
allungò per tormentare l’orecchio del compagno addormentato.
“Sveglia,
raggio di sole. È ora
di vedere che ti ha portato Babbo Natale…”
Daniel
si svegliò di colpo, un
attimo disorientato.
“Che
c’è?”
“Buongiorno!”
disse Cameron.
“Siamo appena usciti dall’iperspazio. Immagino tu non ti voglia perdere
l’atterraggio…”
Mentre
Jackson controllava l’ora,
la voce del colonnello Emerson annunciò l’entrata nell’atmosfera del
pianeta.
Daniel fissò sconvolto Cameron e Vala.
“Perché
non me l’avete detto?!”
E
corse via come un fulmine
diretto sul punte di comando.
Vala
sputò nella sua mani i semi
del frutto che stava mangiando.
“Ok.
È un po’ eccitato.”
“Eccitata,
maggiore?” domandò la
dottoressa Weir a Kara, che dal balcone osservava il cielo.
“Un
po’. Dispiaciuta, anche. Non
vorrei andarmene. Ma a quanto pare la mia squadra è sul punto di
ammutinarsi…
se non ci sono io a farli rigare dritto, pare combinino di tutto!”
Eliabeth
sorrise.
“John
sentirà la tua mancanza. E
anche noi. Ti eri inserita bene.”
“Questo
posto mi piace molto. Mi
spiace non poter restare a darvi una mano coi Wraith” disse sfiorando
sul petto
l’area dove le era rimasta la cicatrice “Ma credo che John salderà il
mio
debito per me. Ehi, guardi, la Odyssey!” disse poi, indicando con il
braccio
una nave in lontananza che si stava avvicinando velocemente.
“Odyssey,
siete autorizzati
all’atterraggio” comunicò il responsabile nella torre di controllo di
Atlantis.
“Grazie,
iniziamo le procedure” rispose
il colonnello Emerson, dando ordine al pilota di correggere la rotta e
di
iniziare a ridurre la velocità. In quel momento, Jackson arrivò
correndo e si
mise al fianco di Carter, seguito poi da Vala e Cameron.
“Eccoti,
lo stavi per perdere”
disse la donna.
“Scherzi? Non l’avrei perso
per niente al
mondo! Quante volte ho provato a venire qui?”
“Due
volte di queste non ci sei
riuscito per colpa mia” disse Vala. Come dimenticare il loro primo
incontro
sulla Prometheus, e quando erano finiti legati da quei braccialetti
goaul’d,
costretti ad una vicinanza forzata fino a quando il legame non si era
affievolito? Entrambi erano ricordi che Vala conservava con affetto…
Daniel, un
po’ meno.
“Odyssey,
qui Weir. Volevo essere
la prima a darvi il benvenuto ad Atlantis.”
“Grazie,
dottoressa. Stiamo dando
un’occhiata alla sua bella città intanto che ci avviciniamo.”
“Sentitevi
liberi di prendervi un
momento, ma il Comando Stargate vuole che la missione inizi appena
finito di
scaricare i nostri rifornimenti. Weir, chiudo.”
Jackson
fece una smorfia.
Finalmente era arrivato ad Atlantis, ma la sua missione non era quella
che
aveva previsto. Subito avrebbe fatto una chiacchierata con Kara, perché
non
capiva come mai non fosse riuscita a venire a capo di niente sull’arma
e di
tutto su Kobol. Poi, dopo il briefing, avrebbe visto questa famosa
Sarah. C’era
una possibilità che venisse trasferita al Comando Stargate, ma tutto
dipendeva
dalle valutazioni del dottor Beckett, di Weir, di Carter e sue.
“Daniel,
che c’è?”
“Niente,
Sam… è solo che speravo
che la mia prima visita non fosse in circostanze così poco piacevoli.”
“È
solo un’altra missione,
Jackson.”
“Con
il fato della galassia in
pericolo.”
“Andiamo
in continuazione in
missioni del genere.”
“Vala
ha ragione. Se non abbiamo
successo, e gli Ori fanno passare altre navi dal supergate…”
“Come
ha detto la signora,
prendiamoci un momento.”
Seguendo
il consiglio di
Mitchell, i quattro fissarono in silenzio la meravigliosa città a cui
si
stavano velocemente avvicinando.
“Benissimo,
momento finito.
Andiamo a salvare la galassia!”
Kara
batteva le dita sulla
ringhiera, nervosissima. La Odyssey era appena atterrata ad Atlantis, e
i
rifornimenti stavano venendo immagazzinati in quel preciso momento. In
contemporanea, John e Weir stavano discutendo con l’SG-1 il da farsi
con quella
pazza idea di usare uno stargate della galassia di Pegaso per tenere
occupato
il Supergate. Non era una scienziata, ma non ci sarebbe stato un
problema di
dimensioni tra i due anelli?
Ad
ogni modo, appena finito il
briefing, non ci sarebbe stato modo per lei di sfuggire a Daniel e
Cameron. Due
conversazioni che moriva dalla
voglia
di avere.
Sentì
le porte della sala
conferenze aprirsi, e le voci di John e Cam. Cameron stava facendo i
complimenti a John per la città, e John come al solito aveva fatto una
battuta
delle sue, oltre a dargli consigli (e un limone) per vedersela con
McKay, in
prestito, a quanto pareva, all’SG-1.
Cam
parlò brevemente con Daniel,
e poi la vide sul balcone. Bene, il momento era arrivato. Cam guardò
Kara
appoggiata coi gomiti alla ringhiera, con addosso la divisa della
spedizione, e
mentre andava da lei ripassò il discorso che si era preparato in due
mesi e
mezzo, ovvero da quando Kara aveva rifiutato di tornare sulla Terra.
Non c’era
niente di scritto, di definitivo tra loro. Avevano dormito insieme
quante
volte? Quattro? Cinque? Conoscevano dettagli inimmaginabili l’uno
dell’altra,
ma l’immagine generale continuava a sfuggire. Infatti era convinto che,
visto
che non era stata in grado di concludere niente, sarebbe tornata subito
sulla
Terra a quello che sapeva fare, alla sua squadra che solo lei pareva in
grado
di tenere in riga. Invece Kara aveva trovato motivi per restare, che
Landry
però non aveva voluto digli. Sapeva della cattura e della prigionia
sulla nave
Wraith, ma anche quello per lui sarebbe stato un motivo per tornare e
non per
rimanere.
Kara
lo osservò avvicinarsi, fino
a quando non le fu accanto sul balcone. Il cuore le batteva
all’impazzata. Dei,
e ora?
“Kara.”
“Cam.”
Si
guardarono un attimo, e poi
tornarono a fissare il pavimento e l’oceano.
“Come
va sulla Terra?”
“Bene.
Atlantis?”
“Tutto
a posto.”
“Bene.”
“Bene.”
Ok, si disse Kara, ora
o mai
più.
“Mi
sei mancato.”
“Mi
sei mancata” disse Cameron
nello stesso momento, e tutti e due sorrisero divertiti della cosa. Cam
scosse
la testa, e strinse forte Kara tra le braccia. Kara nascose la faccia
contro il
suo collo, e ricambiò la stretta. Rimasero così parecchi minuti,
completamente inconsapevoli
di tutto quello che li circondava o che stava per succedere.
“Mi
sei mancata” sussurrò
Cameron, lasciandola andare.
Kara
sorrise “Come, niente
rimproveri per la stronza che ha preferito una città al suo ragazzo?”
“Non
ti preoccupare, a quello ci
arriveremo. Al momento però sono solo felice di guardarti. Ho sentito
che ho
rischiato di non poterlo più fare.”
Kara
abbassò lo sguardo “Hai
sentito della mia avventura coi Wraith, allora.”
“Tu
sei geneticamente incapace di
non ficcarti nei casini, vero Kara?”
Kara
pensò un attimo a John, e
rise “Sì, è una tara di famiglia. E a proposito di famiglia…”
John
scelse proprio quel momento
per raggiungerli. Cam si allontanò da Kara per non destare sospetti, ma
l’unica
cosa che vide sulla faccia di Sheppard fu un’espressione divertita.
“Allora,
è lui?”
“È
lui” disse Kara annuendo.
“Fate
capire anche a me?”
Kara
si avvicinò a John “Weir mi
ha detto che ‘quella cosa’ all’SGC la sa solo Landry. Direi però che è
il caso
di dirla anche a lui, che ne dici?”
“Dirmi
cosa?”
John
annuì e disse che era d’accordo.
“Bene…
Cam, ti voglio presentare
John.”
“Kara,
ci siamo conosciuti prima,
in sala conferenze.”
“No,
lì hai conosciuto il
colonnello Sheppard. Questo è John… mio cugino e unico mio parente
rimasto
nella galassia.”
Cameron
prese un’aria incredula e
sbatté gli occhi un paio di volte.
“Certo
che ne sono successe di
cose dall’ultima volta che ci siamo visti… Scusa, questa me la devi
spiegare.
Cugini?”
“Non
lo sa nemmeno Beckett come
possa essere possibile, eppure eccoci qua” disse John.
“Caspita…
dev’essere stato uno
shock. E da quanto lo sapete?”
“Da
quando mi hanno salvato dalla
nave Wraith. Era nel rapporto inviato all’SGC, ma a quanto pare Landry
ha
preferito che fosse una sorpresa.”
“E
che sorpresa.”
“Eh
già. Mi spiace di non poterti
dare una mano, ma il programma delle esplorazioni è fatto e sarò fuori
mondo
durante la missione.”
“Goditela,
considerato che sarà
l’ultima tua avventura in questa galassia. Ho intenzione di riportare
di peso
il tuo posteriore sulla Terra, maggiore, ti piaccia o no.”
“Cos’è,
minacci mia cugina?”
“Dio
me ne scampi, l’ira funesta
di Kara è qualcosa di leggendario!”
John
annuì con aria di sapere che
voleva dire, e Kara gli tirò una gomitata. Poi tutti e tre si fecero
una
risata, e ognuno ritornò al suo lavoro.
Kara,
per l’occasione, avrebbe
avuto una squadra totalmente diversa. I soldati della sua squadra erano
stati
requisiti dalla Odyssey, e per la prima volta avrebbe comandato un team
scientifico.
Si
fece una risata. Era quello
che McNamara le aveva addotto come ragione per non andare nella
galassia di
Pegaso. Fare la balia a degli scienziati, come diceva lui, gli sembrava
uno
spreco del talento della ragazza.
Il
team comprendeva il dottor
Zelenka, il dottor Graydon, il tenente Cadman e l’appena arrivata
dottoressa
Crenshaw, che aveva terminato la missione su Kobol. River appena aveva
visto
Kara si era data ad una delle sue calorose cerimonie di accoglienza,
neanche
fosse Kara l’ultima arrivata. Trovava interessante che l’ultima
missione di
Kara coincidesse con la sua prima. Kara guardò il suo team (un
ingegnere, un
fisico, un marine, e un’archeologa) con un sopracciglio alzato, ma
diede
comunque ordine dopo il briefing di andare a prepararsi. Sarebbe stata
un’esperienza interessante.
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