I'm nothing without you
I'm nothing without you
Capitolo 2
Ricordo quando due bulletti della
tua sezione, ti prendevano in giro perché parlavi in modo strano e delle volte
non capivi il significato di determinati
vocaboli ed eri di nazionalità diversa. Ovviamente tu non me ne feci mai
parola, e, quel giorno, io passavo per caso nel cortile, saltando una
noiosissima lezione di matematica. Stavo andando come al solito nel capanno
della palestra, dove vi tenevano tutti gli attrezzi sportivi; quel posto puzzava
di chiuso e se non facevi attenzione potevi ferirti con quegli aggeggi
scheggiati e smussati. Il cortile
era deserto ma quei due ti portarono fuori con una scusa e tu, ingenua li
seguivi, con le mani dietro la schiena ed i codini che ondeggiavano sulle
spalle. Sfortunatamente la nostra era una piccola città nella quale non c’erano
scuole per bambini stranieri e tu dovevi subirti assurde prese in giro ed ogni
sorta di discriminazione.
Spostando un attimo lo sguardo li
vidi: uno con un berretto in testa aveva il piede sul tuo zaino e tirava calci
dicendo in modo maligno
“Dicci qualche parola in
inglese!”
Tu te ne stavi immobile e
tremante come le foglie in autunno, raggomitolata su te stessa per farti scudo,
con lo zaino sulle spalle e le braccia piegate sopra la testa. L’altro, invece, se la prendeva
con i tuoi capelli ondulati
tirandoli verso di se.
Ed in quel momento, le tue
lacrime che rigavano le guancie arrossate mi sembrarono come delle tracce di un
pennarello indelebile che rovinavano l’immagine della tua figura radiosa nella
mia mente. Fu una questione di un
secondo e già gli ero addosso. Li picchiai con tanta rabbia che fino a quel
momento non sapevo nemmeno di avere. Non riuscivo a capire come potessero
prendersela con te, bambina graziosa e solare, a cui piaceva la compagnia e disegnare con i pastelli. Solo degli
stupidi potevano fare una cosa del genere.
I due si misero a frignare
scappando e proprio in quel momento arrivò il vecchiaccio che tanto per cambiare
mi mise in punizione, dicendo che non si doveva mai usare la violenza anche se
si aveva subito un torto, specialmente con le persone più piccole. Tutte
idiozie. Quell’odioso professore doveva conoscere mio padre prima di aprir
bocca.
Mentre tornavamo a casa, mano nella mano mi ringraziasti
dicendomi che mi volevi bene, e io risposi che non dovevi piangere perché
altrimenti ti mostravi debole e venivi presa ancora più di mira. Poi mi voltai
verso di te guardando il tuo bel sorriso, sentendomi sollevato di non vedere più
quelle lacrime.
Da quel giorno non ti vidi più
piangere.
Così, passavo il mio tempo insieme a te, insegnandoti i vocaboli in
giapponese e imparando da te, quelli inglesi. Stare in tua compagnia fu la cosa
più piacevole che ricordo della mia infanzia.
Già da quando eri piccola ti
piaceva intonare melodie inglesi o americane, molto probabilmente la maggior
parte insegnate da tuo padre; con gli occhi chiusi il naso rivolto verso l’alto
e la bocca che emetteva suoni dolci o corposi, ed io adoravo ascoltarti, rapito
dalla tua voce unica che era in grado di placare le mie angosce.
Ricordo i soffici cuscini in
camoscio a forma di cuore che aveva comprato tua madre e quell’ odore di
vaniglia che si sentiva nel soggiorno di casa tua. L’arredamento rigorosamente
occidentale, i tappeti persiani colorati,
i centrini ricamati a mano e i
fiocchi di raso dominavano la scena facendo sembrare quell’appartamento
come una casa surreale o almeno, insolita per le casalinghe giapponesi. Durante
il periodo natalizio ci tenevi molto ad aiutare tua madre ad addobbarla con gli
oggetti a tema, come le ghirlande di agrifoglio o le calze di lana, per non
parlare poi di tutti i Babbo natale che spargevi qua e la per la casa. Adoravi
quel vecchietto con la barba bianca, e mi ripetevi sempre “ lui è un papà buono,
ed è il papà di tutti, basta che si è buoni e gentili”
Io tra me e me mi ripetevo che
purtroppo si ha solo un papà e non sempre è buono, però non te lo dicevo mai
perché avevo intuito che il tuo era un modo di colmare quel vuoto
incomprensibile per te che tuo padre aveva lasciato nella tua vita.
Palline colorate, nastrini
scarlatti, campanellini argentarti e luci elettriche invadevano il tappeto color lavanda mentre tu decoravi un piccolo abete . Io me ne
stavo seduto sul divano a leggere un rivista dove lessi che una canzone molto in
voga era Twinkle Twinkle Little Star. Automaticamente ti chiesi se la conoscevi
e tu annuisti felice cominciasti a cantarla, dondolando con la testa mentre i
tuoi occhi erano impegnati ad controllare che ogni decorazione era fissata bene
agli esili rami dell’ abete. Se ci penso adesso mi verrebbe da dire che era una
sciocca canzonetta ma cantata da te, e con quel sentimento era tutta un’altra
cosa.
“Allora ti piace Takumi?”
Mi chiedesti mostrandomi
l’alberello addobbato con il puntale a stella un po’ storto
“Si, è molto bello Layla”
Appoggio
piano la mia mano contro la tua, sopra il soffice cuscino di piume. Le punte
delle dita sono fredde mentre il palmo è molto caldo. Un’ altro brivido mi
percorre la schiena. Era da tanto che non mi venivano in mente queste cose.
Probabilmente, soprattutto in questo periodo sto facendo davvero di tutto per
non pensarci.
Note:
SakiJune: *__* CaVa grassHie tu
sei troppo gentile >//< come al solito epr aggiornare ci metto un’
eternità (non è colpa mia se già al secondo liceo ho i prof che parlano e ci
fanno lavorare sul programma del quinto >__>”) spero che questo capitolo
ti soddisfi come il primo (anche se l’ho scritto di fretta, sorry) e che questo
font vada meglio ^^ un kiss
NanaOsaki: No, Takumi non stà con
Reira, stò semplicemente cercando di raccontare cosa prova lui nei suoi
confronti, attraverso anche la loro
infanzia ed adolescenza^^
Bellislady: grazie XD anche se io
ho il terrore di farlo troppo “cucciolosissimo” perché andrebbe visibilmente OOC
><” spero che anche questo Chappy ti piaccia!
Un ringraziamento anche a tutti
quelli che leggono la storia, ci sentiamo al prossimo capitolo (chissà magari
per Pasqua ci riesco XD) un bacione vostra Mommika ^w^
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