Ron
rilesse per la seconda volta l’articolo che Hermione
gli aveva indicato. Finito di leggere ripiegò il giornale a
metà e lo poggiò
sulla cattedra.
“E’
per questo che te ne sei andata?”
Hermione
era in piedi accanto a lui, poggiata contro la
cattedra, lo sguardo rivolto alla finestra.
Non
rispose subito alla domanda. Rimase per qualche attimo
in silenzio a fissare il parco di Hogwarts fuori dalla spessa vetrata.
Poi si
voltò un po’ verso Ron, ma senza guardarlo in
volto. Annuì.
“Lo
sapevi che da piccola avevo una nonna che viveva nello
Yorkshire?”
Ron
scosse il capo ed Hermione continuò.
“Si
chiamava come me, Hermione, e viveva in una cittadina
chiamata South River, una di quelle vecchie città babbane
circondate dal verde.”
Alzò
lo sguardo su Ron e lui le fece un piccolo sorriso,
per incitarla a continuare.
Hermione
abbassò di nuovo lo sguardo e riprese a parlare
fissandosi le punte delle scarpe.
“Mia
madre
è cresciuta là. Ci ha vissuto fino a
diciott’anni,
poi si è trasferita a Londra per studiare da
dentista. Poi sai, ha conosciuto papà e non è
più
tornata nella sua città
natale, ma quand’ero piccola andavamo spesso a trovare la
nonna
durante le
vacanze estive. Viveva in una casa simile alla tua, nel senso che era
circondata da un grande giardino e tutto attorno era pieno di
campi...”
Ron
ascoltava curioso. Accadeva raramente che Hermione
raccontasse di sé e della sua infanzia ed era bello per una
volta poterla
osservare mentre il suo volto prendeva quell’espressione
pensosa, vagamente
sorridente e persa nei ricordi.
Se ne
stava con le braccia incrociate sul petto, lo sguardo
rivolto al pavimento davanti a lei. La luce della luna la illuminava
solo in
parte e dalla prospettiva di Ron i suoi lunghi capelli scuri parevano
circondati da un’aura luminosa.
Era
talmente carina che Ron dovette distogliere lo sguardo
per non arrossire.
“Capitava
anche che i miei genitori mi lasciassero da lei
per tutte le vacanze” stava dicendo intanto Hermione.
“Dovevano lavorare e
non volevano che passassi l’estate in un appartamento in
città, così mi
portavano a South River. Dicevano sempre che a Londra avrei finito per
rimanere
tutta l’estate chiusa in casa a leggere, mentre dalla nonna
avrei potuto respirare
aria pulita e divertirmi all’aria aperta.”
Ron
sorrise e involontariamente i suoi occhi si spostarono
su Hermione che tormentava il bordo di una manica della camicia. Non
aveva bisogno
di grande immaginazione per sapere che anche in campagna la sua
amica aveva preferito passare tutto il suo tempo immersa in qualche
libro, magari
seduta in veranda o sotto l’ombra di un ciliegio, ma solo
perché nonna
Hermione
aveva insistito tanto perché uscisse di casa.
Non ce la
vedeva proprio a correre dietro alle galline o a
rotolarsi giù per i pendii verdi.
No,
quella era una cosa che avevano fatto lui e i suoi
fratelli, ma Hermione era di un’altra pasta.
La
osservò ancora, mentre Hermione sovrappensiero di muoveva
dalla
cattedra verso il centro dell’aula. Gli rivolgeva le spalle,
ma Ron continuò
a guardarla, come incantato.
“Avevo
circa dieci anni quando la nonna è morta,” riprese
ad un tratto Hermione, come se avesse deciso improvvisamente che era
ora di metter
fine a quel flusso inatteso di ricordi. “Da quando
è successo non siamo più
tornati laggiù. La casa è stata venduta
perché i miei zii erano troppo
lontani per occuparsene e così, anche se a malincuore, non
abbiamo più avuto di
modo di tornarci.”
La
ragazza si voltò verso Ron e lui si ritrovò ad
annuire,
con la sensazione che si stessero avvicinando al vero problema.
“E’
stato strano...” riprese Hermione, distogliendo di
nuovo lo sguardo. “Leggere quello che è successo
l’altra notte... mi ha fatto...
mi ha fatto ripensare alla mia infanzia.”
“Ma
non è strano!” la interruppe Ron. “Hai
passato dei bei
momenti in quel posto ed è naturale che leggere quello che
è successo
ad una famiglia che abitava da quelle parti ti abbia colpita,
no?”
Hermione
scosse il capo e si avvicinò di nuovo alla
cattedra, poggiandovisi contro. Era così vicina che Ron
sentì come una fitta
all’altezza dello stomaco, come se improvvisamente le viscere
gli si fossero
attorcigliate. Hermione, comunque, non se ne accorse, perché
riprese a parlare
come se niente fosse.
“Non
è questo...” disse guardando un punto indefinito
in
fondo all’aula. “E’ stato come se... Non
so come spiegartelo. Non
era il fatto che fossero babbani o che vivevano nella stessa regione in
cui viveva
la nonna. Certo è anche questo che mi ha colpito,
però... Lo che siamo in
guerra e che con quei pazzi assassini in libertà queste cose
possono succedere,
ma...” esitò, cercando lo sguardo di Ron.
Ron
mantenne gli occhi fissi in quelli indecisi di lei.
Voleva farle capire che non doveva avere paura di confidarsi con lui.
Voleva
farle capire che non importava quanto strano fosse quello che provava,
lui
avrebbe capito e l’avrebbe ascoltata.
Non ebbe
il coraggio di dirlo a parole, però, e forse,
pensò tristemente, non sarebbe stato nemmeno in grado di
farlo.
Le
sorrise, invece. Un sorriso che cercò di rendere caldo e
aperto, nonostante i loro corpi fossero troppo vicini e lui avesse la
netta
sensazione di tremare da capo a piedi.
Funzionò,
comunque, perché anche Hermione si sciolse in un
piccolo sorriso. Sospirò piano e facendo leva sulle mani si
mise a
sedere sulla cattedra. Si voltò verso Ron e le sue gambe
sfiorarono quelle del
ragazzo.
Ron si
mosse un po’, a disagio, mettendo appena qualche
centimetro tra loro e concentrandosi, di nuovo, sul viso di Hermione
che
sembrava alla ricerca delle parole giuste per spiegare, quasi
più a se stessa,
quella strana sensazione che aveva provato.
Lo
guardò per un momento e poi sorrise, ma era un sorriso
vuoto. “Ti sembro pazza se dico che mi sono sentita come se
mi avessero portato
via qualcosa?”
Ron
corrugò la fronte, osservando sorpreso l’amica.
No, bè,
pazza no, ma era come minimo
singolare come stato d’animo.
Fece per
dire qualcosa, ma Hermione lo precedette.
“E’
come se ci fossi cresciuta in quel posto, Ron...”
disse, e lo sguardo triste che aveva lo colpì peggio di un
bolide. “Pensare che
questo schifo sia arrivato anche lì... E’ stato
come se anche quegli anni spensierati
fossero stati cancellati di colpo!”
Hermione
distolse lo sguardo, come se l’essere stata
finalmente sincera la facesse un po’ vergognare, ma per Ron
fu come una
rivelazione e lui capì, di colpo, cosa la ragazza stava
cercando di dirgli.
Poteva
essere insensibile e poco acuto, poteva essere
immaturo e avere la varietà emozionale di un cucchiaino da
tè, ma Ron capì molto
bene come Hermione si era sentita.
E lo
capì bene perché era quello che succedeva anche a
lui, certe volte, e finì col sentirsi anche un po’
male perchè ancora una volta
si rese conto di quanto quella dannata guerra stava cambiando le loro
vite.
Dominò
il folle desiderio di portare una mano su quella più
piccola di Hermione, adagiata sul ginocchio della ragazza, e
cercò di fare un
sorriso rassicurante, anche se quello che gli uscì fuori
doveva essere più
simile ad una smorfia che ad un vero sorriso.
“Nessuno
può portarti via i bei ricordi, Hermione” disse
infine, e gli sembrò una cosa davvero molto saggia da dire.
Continuò a tenere
gli occhi fissi in quelli di lei senza sentirsi in imbarazzo e senza
temere,
per una volta, di fare brutta figura. “Li hai vissuti. Sono
tuoi. Nessuno te li
può rubare e nessuno li può
distruggere.”
Lei lo
guardò per un momento, poi fece un sorriso piccolo
piccolo. Ron allora continuò, incoraggiato.
“Io
non lo so cosa ci aspetta e forse non voglio neanche
saperlo, ma mi piace pensare che se un giorno tutto dovesse cambiare,
ci
saranno ancora i bei ricordi a darmi la forza di andare
avanti.”
Abbassò
lo sguardo sulle proprie gambe. Si era voltato
verso Hermione e le aveva incrociate davanti a sé mentre
parlava. Portò le mani
sopra le ginocchia, stringendo un po’.
Ingoiò
a vuoto e rilasciò il fiato. Una sottile ansia si
era impadonita di lui. Era strano, pensò di sfuggita, che
fosse lui a fare
discorsi del genere, prima con Harry, ora con Hermione. Era strano come
ogni
volta che lui cercava la normalità,
quella fuggisse e si allontanasse, sfocandosi davanti alle
preoccupazioni più
profonde delle persone che più amava.
Hermione
era ancora lì, di fronte a lui. Anche lei aveva
incrociato le gambe sopra la cattedra.
Ron la
sentì avvicinarsi e fu con grande stupore che la
vide posare una mano sopra la sua e strigerla un po’.
Il
contatto durò poco, forse meno di un secondo, ma Ron lo
avvertì chiaramente. Alzando lo sguardo su Hermione vide che
era arrossita e
osservava imbarazzata un punto alla sua destra, come se volesse evitare
attentamente di guardarlo.
Ron
sorrise, senza sapere perché, mentre sentiva il cuore
martellare forte. Avrebbe voluto dire molte cose e tacere allo stesso
tempo.
Avrebbe voluto gridare e nascondersi insieme.
Non fece
nulla.
C’erano
tante cose che doveva capire meglio, c’erano tante
piccole sensazioni che dovevano trovare il loro posto. E non voleva
correre,
non voleva sbagliare.
Hermione
fece un mezzo sorriso e tornò a guardare Ron.
“Grazie”
sussurrò a voce bassissima.
Anche Ron
sorrise, arrossendo appena. “Non ho fatto nulla,
davvero.”
Hermione
non rispose, ma l’espressione che si dipinse sul
suo volto, gli disse ben più di mille parole.
Gratitudine.
Dolcezza. Affetto, persino.
Ron ne fu
colpito profondamente. Si sentì invadere da uno
strano sentimento, da una inspiegabile sensazione che gli capitava
spesso, ormai, di provare in compagnia di Hermione. Come
un’ondata, quella
sensazione crebbe velocemente e con tale folle violenza che lui fu
costretto a scavallare
in fretta le gambe e scendere di corsa da quella cattedra o con molta
probabilità avrebbe fatto qualcosa di cui si sarebbe pentito
per il resto dei
suoi giorni.
“Ron,
cosa...?”
“Ho
fame” buttò fuori a caso.
Razza di cretino che
non sono altro!
Fece un
paio di respiri profondi senza avere il coraggio di
guardare Hermione. Poi, con cautela, si voltò verso
l’amica. Era ancora seduta
sulla cattedra e lo guardava sorpresa.
“Ehm...
lo hai detto tu che ho uno stomaco coriaceo, no?”
tentò di giustificarsi.
Poco a
poco lo stupore sul volto di Hermione lasciò posto
ad un sorriso divertito.
“La
cena è finita solo un paio d’ore fa”
disse la ragazza
controllando l’orologio. “E concordo sul
‘coriaceo’, ma credo che la
definizione più adatta sia ‘senza fondo’
a questo punto.”
“Bè,
ehm, come vuoi tu, ma lo sai che una visita nelle
cucine è sempre gradita a noi Weasley.”
Hermione
sorrise, un sorriso, finalmente, senza ombre e Ron
pensò che in fondo un po’ di fame
l’aveva davvero e che in ogni caso era una buona
scusa per passare altro tempo insieme a lei.
E lui
adorava passare il tempo insieme ad Hermione,
confusione o non confusione.
Così
non si sentì minimamente in imbarazzo, quando chiese,
col tono più suadente che potè improvvisare:
“Allora, prefetto Granger, se la
sente di fare una breve scorreria nelle cucine dai nostri amici
elfi?”
Avrebbe
potuto dire di no. Avrebbe potuto dire che era da
matti perchè era tardi e perché loro due erano
prefetti e non ragazzini
incoscienti. Avrebbe potuto fare mille problemi. E Ron lo sapeva.
Non si
sorprese, però, quando Hermione scoppiò a ridere.
“E
se ci becca Gazza?”
“Dirò
che è stata una tua idea.”
“Figurati,
non ci crederà mai!”
“Oh
sì, dirò che eri così affamata che mi
hai costretto con
la forza, bacchetta in pugno, ad accompagnarti.”
“E
lui non ci crederà.”
“Dirò
che avevi così tanta voglia di cioccolato che hai
avuto una specie di crisi isterica in sala comune e hai cominciato a
saltare su
tutti i divani e la McGranitt mi ha praticamente obbligato
ad accompagnarti in cucina in cerca di-”
Non
finì la frase. Hermione era scoppiata a ridere ancora
più forte.
Fu
contagioso, rise anche lui.
Avrebbero
avuto mille motivi per restarsene ancora seduti
in quell’aula vuota, tristi e malinconici. Ma non era quello
di cui avevano
bisogno.
Avevano
bisogno di sentirsi vivi, invece, felici ed
esaltati per qualcosa, poco importava se questo qualcosa fosse il
rischio di
essere beccati dal vecchio custode della scuola.
La risata
liberatoria di Hermione era la migliore delle conferme.
E quando
Hermione, qualche minuto dopo, scese giù dalla
cattedra, un sorriso divertito ancora in volto, e si diresse a grandi
passi verso
la porta dell’aula, seguita prontamente da lui, Ron non ebbe
dubbi.
Non
avrebbe permesso a niente e a nessuno di cancellare
ancora quel sorriso dal suo volto.