SOCIAL
NdA: Eccomi quii, mio amato fandom della mia amata
OTP. Come dire? Ne sentivo la necessità, ce l'ho in pentola
da tanto questa cosa qui e fino all'ultimo questo capitolo uno dovevano
essere un oprologo e un capitolo separati, ma ho deciso di uni tutto.
Non ho mai scritto qualcosa di così lungo e pieno di
feelings, quindi spero che apprezziate il mio sforzo <3
Visto che avete detto che doveo postarla eccola qui. <3
Avvertimenti:
Il rating per ora è arancione, ma dovrebbe variare verso la
fine della storia
- strifylover <3
I SHOULD INK MY SKIN
1. i
gotta find you
Ed Sheeran - Wake
Me Up
Le
cose con Blaine non andavano bene.
Nonostante
entrambi cercassero di forzare la cosa, di far sì che
andasse come doveva
andare, che tornasse come era un tempo, ma non ce n’era
più verso.
Non
erano più i due ragazzi innamorati, erano semplicemente
migliori amici che
facevano della loro vita un’opportunità in
più per confidarsi e trovare un
calore familiare, ma nulla di più.
Ogni
tanto si prendevano la briga, quando erano insieme, mano nella mano, di
guardarsi intorno per cercare lo sguardo di qualche ragazzo carino che
ricambiasse un sorriso. Non che uno dei due volesse tradire
l’altro,
semplicemente per sentirsi desiderati in quel senso, come solo un
amante può
fare.
Per
fortuna che Kurt aveva trovato quel lavoro presso quella pizzeria a
domicilio.
Ebbene sì, Kurt Hummel consegnava pizze a bordo di una
bicicletta rosso fuoco
con su stampato il nome della pizzeria e quello era il suo primo giorno.
Sarebbe
stato un ottimo diversivo, inoltre, con i soldi guadagnati avrebbe
potuto
comprare gran parte della collezione primavera-estate di H&M.
Gli sembrava
tutto perfetto e con un filo logico neanche troppo male.
Giunse
sul posto di lavoro puntuale, dopo un lungo rituale di preparazione,
che
consisteva nell’idratare al meglio la sua pelle con una crema
depuratrice
L’Oréal, risciacquare immediatamente con una dose
abbondante di sapone
purificante contro le escoriazioni cutanee e applicare, infine,
l’ultima dose
di crema idratante, questa destinata a permanere sulla sua pelle, di
certo, non
poteva permettere che il primo giorno di lavoro sembrasse un povero
sciagurato.
Entrò
nella pizzeria con il sole che lentamente stava calando, simbolo di una
sera
che stava giungendo anche abbastanza in fretta. Lo investì
subito un odore di
pomodori appena tagliati misto a quello nauseabondo delle patatine
fritte
ricoperte eccessivamente da maionese e sul suo volto comparve una
smorfia.
“Hey
tu…” Disse una voce proveniente dalla destra della
pizzeria. “Sei il nuovo
fattorino?” Kurt si voltò e notò un
uomo con i capelli leggermente arricciati,
con una camicia a quadretti azzurri e una giacca scamosciata, color
caramello.
Pessimo abbinamento per un professionista, ma dal volto sembrava una
brava
persona.
“Sì,
sono io … lei è il signor Schuester?”
Chiese Kurt, avvicinandosi al bancone
dove era poggiata un enorme cassa mangia scontrini. Si sentì
un attimo in
soggezione, perciò non allungò la mano per
stringerla al suo superiore, aspettò
che lui lo facesse.
L’uomo
annuì.
“Come
ti chiami, ragazzo?” Il proprietario allungò la
mano, prendendo quella di Kurt
e stringendogliela, senza che il ragazzo potesse far nulla, neanche
rispondere
a quella domanda così semplice .
“Kurt
Hummel, signore.” Rispose il ragazzo, stringendo la mano con
più vigore e
agitandola verso il basso, facendole fare il classico segno di
cordialità.
“Sono curioso e volenteroso di cominciare!” Sorrise
ancora, desideroso di
cominciare a dimenticare i suoi problemi con Blaine.
“Sai
andare in bicicletta vero? Se è così puoi andare
per tutta la città appena
cominceranno ad a-” Il signor Schuester non ebbe il tempo di
finire la frase,
interrotto dal suono di un telefono fisso antico, così
stridulo da costringere
Kurt a tapparsi le orecchie per attutire il suono. Dopo pochi minuti e
dopo un
paio di ‘Sì’, ‘mmmh’
pronunciato dal suo capo, Kurt capì che quella sarebbe
stata la sua prima consegna.
Il
signor Schuester attaccò la cornetta e si rivolse al giovane
aiutante. “Sei
fortunato, era il tuo primo ordine, dovrai andare a questo indirizzo ed
arrivare entro mezz’ora.”
Sarebbe
stato semplice, anche perché conosceva una scorciatoia che
l’avrebbe portato
dall’altra parte della città in meno di dieci
minuti. Avrebbe consegnato la
pizza prima del previsto.
Sospirò
soddisfatto e afferrò il bigliettino con
l’indirizzo, subito saltando in sella
alla sua bicicletta fiammante, come primo giorno non era affatto male.
Era
partito solo venti minuti prima e già aveva consegnato il
suo primo ordine, si
era anche divertito a cercare di mantenere in equilibrio la pizza sul
box
installato sul retro della bici.
Stava
percorrendo la scorciatoia al contrario, per
tornare in negozio, pedalava tranquillamente, quando sentì
un rumore strano, un
‘track’ che non
avrebbe dovuto
sentire. Era un rumore pessimo e davvero poco rassicurante.
Scese
dalla sella, anch’essa rossa, e controllò le
ruote, cercando di capire cosa
fosse successo. Un ‘no’
sonoro e
prolungato, ripetuto e ansimato, fece capire alla mente di Kurt che era
davvero
terribile. Davanti ai suoi occhi si presentò uno spettacolo
per niente bello.
La
catena della ruota posteriore si era staccata e alcuni anelli erano
danneggiati, in quelle condizione non poteva pedalare. La tragedia non
era il
fatto di dover camminare fino alla pizzeria, ma il fatto che al suo
primo
giorno avesse già combinato un guaio. Era terrorizzato,
anche perché non poteva
farsi licenziare.
Si
guardò intorno, con fare preoccupato, nessuno stava passando
di lì in quel
momento. A fargli compagnia, nel bene o nel male, c’erano
solo gli alberi con i
rami ancora secchi e tardivi, senza neanche una fogliolina verde, e i
pipistrelli.
Nella
disperazione, l’unica cosa da fare era cominciare a camminare
verso la pizzeria
a piedi, con il freddo serale che gli stava lentamente rovinando la
pelle,
creandogli microfratture tra le cellule cutanee. Batteva i denti,
sentiva il
freddo dentro le ossa che continuava a distruggerle lentamente
dall’interno.
Si
sentiva stanco e quell’odissea contro il vento non aveva fine.
Kurt
decise di riposarsi un attimo, lasciando che il suo corpo riprendesse
fiato. Si
sedette sul muretto che impediva la crescita di erba selvatica sotto
l’asfalto
e cominciò a respirare affannosamente, mentre con i piedi
manteneva ancorata a
sé la bicicletta.
“Guarda
chi c’è, la signorina
Hummel!” Disse
una voce familiare, mentre Kurt si era rintanato nella sua giacca
leggera, per
cercare di riscaldarsi un po’.
Si
accorse di quella voce, dannatamente familiare, fin troppo familiare.
Non ci
volle molto per farlo scattare in piedi, terrorizzato
all’idea di trovarsi
ancora quei bulli dietro.
No,
non voleva alzare lo sguardo e capire che erano reali.
“Che
c’è Patty? Non hai voglia
di vederci?” Un’altra
voce, si facevano sempre più vicine e sentiva i loro passi,
li sentiva rimbombare
dentro di sé, dentro al suo cuore.
“Che
cosa volete?” Ebbe il coraggio di chiedere e alzare lo
sguardo, tremante, ma
allo stesso tempo coraggioso.
“Cominciamo
col capire perché sei qui e
perché hai questa bicicletta così
carina.” Disse uno dei tre.
“Non
sono affari tuoi.” Li aveva riconosciuti, erano i giocatori
di football del suo
liceo, di quelli che continuavano a gettarlo nei cassonetti quando
Blaine non
c’era. “Niente della mia vita ti
riguarda.” Scattò immediatamente sulla
difensiva, mentre riprese il manubrio della bici e
ricominciò a camminare,
sperando che quegli idioti non lo seguissero.
“Dove
scappi, checca?” Chiese quello più grosso,
andandogli dietro, tenendo il passo
con Kurt.
“In
un posto che sia lontano da voi.” Rispose Hummel con un tono
acido, pungente,
quasi cattivo. “Sai, Karofsky, non ho mai avuto intenzione di
rimanere troppo
tempo in una stanza con voi e non ho neanche troppa voglia di farmi i
vestiti
con il vostro alito pesante.” Forse era troppo, bastava un
minimo per far
scattare uno di loro e sarebbero scattati a catena anche gli altri due.
David
strinse il polso di Kurt, interrompendo la posa del fattorino sul
manubrio
della bici.
“Se
dici ancora una cosa del genere, ti giuro che-” Il bullo non
ebbe il tempo di
finire la frase, che venne interrotto da una voce sconosciuta.
“Non
hai nulla da fare che rimanere qui a
prendere in giro un ragazzo? Non ce l’hai la
fidanzatina?” Kurt aveva gli
occhi chiusi per lo spavento, non ebbe il coraggio di guardare il
ragazzo che
era intervenuto, ma sentì che la presa di Karofsky stava
diventando più lenta.
In quel momento Kurt aprì gli occhi.
“Chi
sei tu?” Chiese David, voltandosi e preparando già
il pugno per sferrarlo
contro quel ragazzo dagli occhi luccicanti. I lampioni, con la loro
luce fioca,
non facevano distinguere a Kurt il loro colore, ma capì in
quel momento che gli
sarebbe stato grato per un bel po’ di tempo.
“Qualcuno
che non dovevi incontrare.” Lo sconosciuto
digrignò i denti, producendo un
rumore abbastanza fastidioso, e sferrò un pugno sulla
guancia dura di Karofsky,
lasciando che il bullo cadesse a terra.
A
quel punto gli altri due, che Kurt aveva identificato come Azimio e
Matt, si
avvicinarono al loro capobanda, aiutandolo ad alzarsi. Se David le
aveva prese
da quel tizio, voleva dire che entrambi dovevano darsela a gambe.
Corsero
via, urlando contro ad un Kurt sotto shock che non sarebbe finita
lì. Hummel
aveva le lacrime agli occhi, attribuibili sia al freddo che stava
cominciando a
calare su Lima, sia alla paura di essere pestato per
l’ennesima volta da David
Karofsky e i suoi scagnozzi.
La
sua attenzione, per un attimo persa, venne attirata dalla voce dello
sconosciuto che gli aveva appena salvato la pelle.
“Non
dovresti girare da solo a quest’ora della sera.” Lo
ammonì con voce calda,
prendendo il manubrio della bici. “Cosa
c’è che non va in questa qui?” Chiese,
cercando anche di smorzare un po’ il discorso e rompere il
ghiaccio, facendo sì
che Kurt si sentisse a proprio agio con lui.
“Si
… Si è rotta la catena credo
…” Ipotizzò Hummel, balbettando
leggermente e
stringendosi nelle sue spalle. Cominciava a sentire freddo, un freddo
che gli
stava letteralmente gelando le ossa.
“Un
mio amico ha un negozio di bici, solo che è un po’
lontano, ce la fai a
camminare?” Chiese, cominciando lentamente a comporre un
percorso fatto di
piccoli passi.
Kurt
annuì appena, seguendo il percorso tracciato da quel
ragazzo. Non sapeva come,
ma sapeva di potersi fidare di lui, ciecamente. Abbassò la
testa, sperando che
il discorso non fosse finito lì. Voleva sapere come si
chiamava, ma aveva
troppa paura a chiederglielo.
“Come
ti chiami?” Chiese poi il ragazzo, come se avesse letto nella
mente di Kurt,
facendo trasalire da quel tentativo di riscaldarsi strofinandosi
rovinosamente
le mani sulle braccia coperte da una giacca primaverile, adatta per il
giorno,
ma sicuramente sconsigliabile per la sera.
“So-Sono
Kurt, tu?” Rispose balbettante, tanto da permettere al suo angelo di voltarsi verso di lui e
porgergli la sua felpa scolorita.
“Io
sono Sebastian.” Disse il ragazzo. Mentre con gentilezza gli
appoggiargli la
felpa sulle spalle, un pugno nell’occhio con tutte quelle
macchie colorate in
diverse gradazioni di grigio, ma sicuramente calda. Talmente calda che
fece
subito riacquistare la sensibilità alle dita di Hummel.
Camminarono
ancora per un po’, alternandosi nel trasporto della
bicicletta, anche se
Sebastian la teneva per più tempo rispetto a Kurt. Non si
rivolsero la parola
per circa un kilometro, poi Kurt notò qualcosa dietro il
collo di Sebastian
grazie alla luce fioca di un lampione, l’ennesimo sulla loro
strada.
“Hai
un tatuaggio!” Esclamò, notando quelle scritte
criptiche in un alfabeto che
sembrava arabo.
“E’
il nome di mia madre in arabo, è morta quando ero
piccolo.” Sebastian rispose
con un tono di acidità nella voce, quasi come se avesse
voluto evitare
quell’argomento. “No, non cacciare fuori una di
quelle frasi tipo mi dispiace, ti capisco,
se non lo
provi, non sai cosa vuol dire.” Il ragazzo si
indispettì subito, facendo
ricredere Kurt sulla sua sensibilità, almeno per un attimo.
Ma
Hummel sorrise, in modo amaro, molto probabilmente perché
era spiacevole anche
per lui ricordare la morte di sua madre.
“E
se io ti dicessi che ti capisco perché anche mia madre
è morta quando ero
piccolo?” Kurt fece un respiro profondo, sperando ch le
lacrime non
cominciassero a sgorgare dai suoi, perché se
l’avessero fatto, sarebbe stata
una figura pessima.
Sebastian
non rispose, chinò solo il capo, continuando a camminare
trasportando la bicicletta,
immerso fin troppo nei suoi pensieri per sentire il cellulare di Kurt
squillare.
Il
ragazzo prese il suo iPhone, lesse il nome di Blaine sullo schermo e
sospirò.
Non voleva parlargli in quel momento, ma sapeva che doveva
rispondergli, perciò
sbloccò la tastiera e si portò
l’apparecchio all’orecchio.
“Blaine?!”
Pronunciò quasi in un tono interrogativo.
“Si
può sapere dove diavolo sei
finito?”
“La
bici si è rotta e ora sto cercando un modo per ritornare a
casa e devo farla
prima aggiustare da qualcuno.”
“Potevi
avvisarmi però, mi sono
preoccupato
visto che ho chiamato in pizzeria e non sapevano dove fossi.”
Già,
la pizzeria. L’avrebbero sicuramente licenziato dopo quella
sera. “Scusami, è
solo che ho quasi la batteria a terra e dopo questo piccolo incidente,
volevo
tenermela al sicuro per qualsiasi evenienza strana, perciò
credo sia meglio
riattaccare. Ci vediamo presto, promesso.” Non diede al suo
ragazzo il tempo di
rispondere, lasciandolo probabilmente allibito con il cellulare in
mano.
Non
perché fosse una cosa nuova di quei tempi, visto che
Kurt&Blaine
ultimamente non esisteva più, ultimamente esisteva solo Kurt
e Blaine,
un’amicizia profonda, quasi empatica, che portava i due a non
mentirsi quasi
mai.
L’unica
cosa sulla quale continuavano a mentirsi era il loro rapporto, non
riuscivano a
trovare la forza di rompere quello che era diventato un legame
indissolubile
agli occhi di tanti.
“Era
tuo fratello?” Chiese Sebastian, cercando di fare chiarezza
sull’espressione
che Kurt aveva dipinta in volto.
“No,
era-” Kurt interruppe la frase, prima di pronunciare la
parola ragazzo per la
troppa paura che anche Sebastian potesse giudicarlo. Lima, in fondo,
era un
covo di serpi.
“Era?”
Chiese ancora Sebastian, invadente.
“Era
il mio ragazzo.” Sopirò. Bene, l’aveva
detto e doveva ammettere a se stesso di
sentirsi più leggero, in attesa della reazione di Sebastian.
“Ah
… Sei omosessuale?” Chiese, senza mezzi termini.
Più che una chiacchierata,
cominciava a sembrare un terzo grado, ma Kurt non ci fece caso.
Annuì
appena, poi abbassò il capo, come se dire ad uno sconosciuto
che, con molte
probabilità, non avrebbe, più rivisto quello che
era davvero lo mettesse a
disagio più di quando l’aveva detto ai suoi
compagni di scuola.
“Anche
io…” La voce di Sebastian, quella sera, sembrava
avere il compito di
rassicurarlo, di coccolarlo, di farlo sentire a suo agio, anche in un
caso
delicato come quello.
Sebastian
fermò per un attimo la loro camminata, voltandosi verso Kurt
e accarezzandolo
dolcemente sotto il mento, per alzare il suo sguardo e farlo incontrare
con il
suo.
“Non
permettere mai a nessuno di farti condizionare, tu sei perfetto
così come sei.”
Kurt
non sobbalzò a quel contatto caldo della mano di Sebastian
con il suo viso, non
era necessario, perché era un contatto così
familiare e così naturale, che
l’unica cosa che gli provocò fu sentirsi subito
meglio.
“Grazie
…” Rispose dolcemente, mentre Sebastian, con
un’altra carezza gli sfilava la
mano dalla piega del collo e la riportava sul manubrio della bici, per
ricominciare a camminare.
“Non
devi ringraziarmi, ho detto solo la verità.” Kurt
era affascinato da lui, lo
sentiva così vicino e allo stesso tempo così
sfuggente che non poteva fare a
meno di osservarlo quando era distratto per cercare di catturare ogni
singolo
dettaglio estetico e ogni espressione di quell’angelo.
“Guarda,
siamo quasi arrivati.” Sebastian indicò una casa
leggermente rovinata
all’esterno, che non sembrava per niente accogliente, ma Kurt
si fidava. “Ora
andiamo a bussare e se non c’è sarai costretto a
chiamare qualcuno.”
I
due attraversarono il vialetto della casa che Sebastian aveva appena
indicato,
lentamente, come se i due non avessero intenzione di separarsi
l’uno
dall’altra.
Arrivarono
alla porta e Kurt si sporse verso il piccolo bottoncino che fungeva da
campanello. Lo premette e sentì il suono del campanello che
si propagava in
casa, ma nessuno rispose.
“Forse
non c’è nessuno …”
Ipotizzò Hummel, sperando che fosse così con
tutto il suo
cuore. Continuava a ripetere dentro di se, come un incantesimo, le
parole ‘non aprire, non aprire, non
aprire.’ E
infatti nessuno rispose al richiamo del campanello.
“Beh,
pazienza, hai qualcuno che può venire a
prenderti?” Chiese Sebastian,
toccandosi il retro del collo infreddolito.
Kurt
annuì, prendendo il cellulare dalla tasca. Mandò
un sms a suo fratello Finn e
non appena arrivò la notifica della visualizzazione, lo
ripose, sapendo che
anche se non avrebbe risposto, sarebbe comunque arrivato.
Si
sbottonò poi la felpa, porgendola a Kurt, ma il ragazzo la
rifiutò.
“Tienila
tu, sei tu ad avere freddo tra noi due.”
Rispose gentilmente, accarezzando appena la spalla di Kurt, come fosse
un
saluto. Infatti, si voltò e cominciò a camminare,
svoltando ben presto l’angolo
che li aveva portati lì. Lasciando solo Kurt, la sua bici
rotta e mille dubbi e
curiosità che assillavano la mente del ragazzo dagli occhi
azzurri.
Finn
non ci aveva messo molto ad arrivare, circa cinque minuti dopo che
Sebastian
era andato via.
Non
appena Kurt fu disteso sul letto di camera sua, nonostante
l’orario, mandò un
sms alla sua amica Santana.
(22:23): Ho
bisogno di te!
(22:25):
Così mi fai
preoccupare, non
hai comprato l’ultimo Vogue?
(22:26): Magari
fosse quello, in
questo
momento lo preferirei.
No,
non poteva aver scritto una cosa del genere. Kurt Hummel stava davvero
male e
Santana doveva capire il perché.
(22:28): Fai come
se fossi
già lì,
arrivo subito.
Posò
il cellulare accanto a lui, poi si rannicchiò portandosi le
gambe quanto più
possibile vicino al petto e chiuse gli occhi, aspettando che Santana
arrivasse.
Non
riusciva a togliersi dalla testa quel viso meraviglioso, quanti anni
poteva
avere? Più di 20, su questo non ci pioveva, forse 22 o 23. E
poi quegli occhi
verdi … Come avrebbe fatto a dirlo a Blaine?
La
vibrazione del suo cellulare lo distolse per un attimo da quei pensieri.
(22:37): Aprimi!
Per
fortuna che Santana era arrivata in tempo, prima che Kurt cominciasse a
piangere come una femminuccia davanti ai ricordi di lui e Blaine e dei
primi
periodi che avevano trascorso insieme.
“Dimmi
tutto, cos’è successo?” Chiese Santana,
prendendo posto accanto al ragazzo sul
suo letto.
“E’
successo che ho incontrato un ragazzo …” rispose
Kurt, “Un ragazzo bellissimo
che mi ha salvato dal tornare a casa con una faccia piena di lividi per
colpa
di Karofsky.” Continuò il racconto,
minimizzandolo, sapendo che Santana avrebbe
capito il problema focale della situazione.
“E
scommetto che questo ragazzo ti piace e non sai come dirlo a Blaine
Warbler,
giusto?” Chiese Santana retoricamente, accavallando le gambe
sul bordo del
letto di Kurt.
Il
ragazzo annuì appena.
“Per
prima cosa, come si chiama questo ragazzo?” Chiese Santana,
allungando una mano
verso quella di Kurt per stringerla. Di solito non era così
sentimentale, anzi,
era tutta battutine e frecciatine, ma quando si trattava del suo Kurtie
cambiava radicalmente. “E seconda cosa, per capire meglio
cosa senti e
soprattutto se lui si ricorda di te, devi trovarlo.
Kurt
alzò lo sguardo verso quello di Santana. “E come
faccio a trovarlo? So solo che
si chiama Sebastian e che, molto probabilmente sulla ventina
d’anni.” Nel suo
tono c’era una punta di rassegnazione che la Lopez fu subito
pronta a smentire.
“Hai
zia Snix a proteggerti, lo troverò io per te.”
L’ispanica fece l’occhiolino. “E
devi promettere che non ne farai parola con nessuno, nemmeno con
Finn.” Gli
propose.
Kurt
annuì, ancora.
Erano
passati un paio di giorni da quell’incontro fortuito con Sebastian e, nonostante le ricerche
forsennate di Santana non si
era riuscito a sapere nulla di lui.
Forse
non era possibile, forse il destino prima l’aveva messo alla
prova e poi
l’aveva beffato, sottraendo quel viso angelico dalla sua
vita.
Si
sentiva triste, così triste che neanche la cena di quella
sera stessa lo stava
distraendo. Mancavano solo due ore e Kurt non era pronto. Era disteso
sul
letto, con ancora il pigiama indosso e con le cuffie alle orecchie che
trasmettevano l’ennesima canzone deprimente di quel giorno.
Forse
era troppo, ma per Kurt tutto aveva un senso. Si sentiva vuoto e quasi
incapace
di fare qualsiasi cosa, mentre quelle parole d’amore
rimbombavano nelle sue
orecchie accompagnate solo dal suono sterilizzato di una chitarra.
And you
will never know
Just
how beautiful you are to me
But
maybe I’m just in love
When
you wake me up
Già,
perché Sebastian non l’avrebbe mai saputo quando
Kurt lo considerasse bello.
Non ebbe il tempo di perdersi in altri pensieri quando sentì
l’iPhone
avvertirlo di un sms.
Sperò
vivamente che non fosse l’ennesimo messaggio di Blaine.
(17:08): Hummel,
aprimi!
(17:10):
Subito, Snix!
Santana
aveva detto che ci avrebbe pensato lei, magari aveva trovato qualcosa.
Magari
Kurt avrebbe rivisto Sebastian prima di sera.
Ah
no, non poteva. Doveva vedersi con Blaine.
La
Lopez fece irruzione in casa Hummel senza neanche dare il tempo a Kurt
di
riprendersi da quello stato di torpore fisico che lo aveva assalito
fino a quel
momento.
Kurt
vide che sul volto di Santana cominciava a disegnarsi un sorriso
sornione, un
sorriso che sapeva di vittoria.
Gli
angoli di quelle labbra carnose si chinavano sempre di più,
suggerendo al
ragazzo una vittoria.
Un
sorriso non tardò ad arrivare neanche sul suo di viso e non
si fece sfuggire
l’occasione per chiedere a Santana novità.
“L’hai
trovato?” Chiese Kurt, stringendole la mano, senza neanche
darle il tempo di
chiudere la porta alle sue spalle.
“Hey,
stai calmo.” Disse la latina, porgendogli un fascicolo di
fogli. “Qui ci sono i
cognomi e i luoghi di lavoro o di studio di tutti i Sebastian della
città.”
Disse, notando che gli occhi di Kurt si illuminarono improvvisamente.
Le
piaceva vederlo felice, da quando l’aveva preso sotto la sua
ala protettrice,
teneva a lui quasi quanto tenesse alla sua ragazza, Brittany.
“Grazie
Santana, non so come ringraziarti!” Esclamò il
ragazzo, dipingendo sul suo
volto l’ennesimo sorriso a 32 denti.
“Potresti
cominciare col farti una doccia e prepararti per la cena di
stasera.” Propose
Santana, “Sai com’è, devi anche trovare
un pretesto
per lasciare Blaine.” Quelle parole trafissero il cuore di
Kurt, lasciando che
gli oltrepassassero il corpo e gli rimbombassero nella mente.
Non
aveva pensato all’eventualità di lasciare
Blaine, piuttosto aveva considerato l’idea di prendersi una
pausa, rimanendo in
contatto, magari scrivendosi ancora sms bollenti prima di andare a
dormire, ma
nient’altro. Invece Santana gli stava facendo notare che
neanche quello poteva
più esistere, sarebbe stato meschino correre dietro a
Sebastian e continuare a
stare con Blaine. Sarebbe stato come tradire e no, Kurt non voleva
farlo.
“Dammi
venti minuti e sono pronto.” Disse Kurt, pronto a farsi
consigliare dal getto
d’acqua tiepida della doccia. “Tu, intanto puoi
fare tutto quello che vuoi, lo
sai.” Aggiunse, con un sorriso stampato sul volto, questa
volta però era appena
accennato, quasi turbato.
“Tutto
bene, Kurt?” Chiese Santana, sedendosi sul divano di fronte
alla TV e poggiando
i piedi sul tavolino di fronte al sofà.
Il
ragazzo annuì appena. Non vedeva l’ora di
togliersi quel peso dal cuore, forse
vedendo Sebastian sarebbe passato tutto, oppure sarebbe andata sempre
peggio.
Poggiò il fascicolo che gli aveva portato Santana sul
tavolino all’ingresso e lo
lasciò lì, avviandosi verso il bagno al piano di
sopra.
In
quel momento, doveva prepararsi, avrebbe scoperto dopo tutto quello che
riguardava Sebastian.
“Ed
è così che ho convinto Lord Tubbington a smettere
di assumere crack
abitualmente, anche se ultimamente ha ricominciato. Non mi sembra che
abbia
intenzione di ascoltarmi, soprattutto quando è
nervoso.” La voce di Brittany e
i suoi racconti sul suo gatto non riuscivano ad attirare
l’attenzione di Kurt,
che sentiva le risate trattenute di Blaine rompersi nella sua gola.
Si
voltò verso Santana, in cerca di aiuto, ma la latina era
troppo occupata a
compiacersi della voce della sua ragazza per dargli ascolto.
Guardò
l’orologio e quasi esultò alla scoperta
liberatoria del fatto che erano passate
appena due ore da quando erano arrivati lì. Potevano anche
andarsene visto che
avevano appena finito di mangiare grissini in sostituzione ai dessert
pessimi
della casa.
“Beh
ragazzi, scusatemi, ma credo di dover tornare a casa, visto che avevo
promesso
a mio padre di preparargli la cena.” Kurt mentì,
era la prima volta che lo
faceva a Blaine, ma quella situazione in cui si trovavano era
così ridicola che
non poteva fare altro.
“Ti
accompagno se vuoi.” Propose Blaine, prendendo le chiavi
dell’auto e porgendole
dolcemente a Kurt che sorrise per il gesto dolce del suo ragazzo.
Si
sentiva un verme, uno di quei lombrichi che mangiano le code degli
altri
lombrichi per pure e semplice fame. Oppure una di quelle madri iene che
lasciano i propri cuccioli più deboli smarriti nella savana.
Ma
non poteva rispondere in altro modo se non con un sì tenue e
indeciso, ma
spinto fuori dalla sua bocca, come un motore a propulsione, dalla
voglia di far
capire a Blaine che tra loro era finita.
Il
moro rispose con un sorriso sincero, per poi alzarsi e far passare
anche Kurt.
Un saluto con la mano e Santana e Brittany poterono di nuovo continuare
a
raccontarsi del gatto obeso di Brittany e di come avrebbe fatto a
renderle
ricche.
Era
già calata la sera e il cielo non era costellato da alcuna
stella, forse troppo
timide e simboli dell’amore che non osavano uscir fuori e
farsi guardare da
Kurt.
Quando
si trovarono fuori casa Hummel, il ragazzo dagli occhi azzurri si
voltò verso
il suo accompagnatore e con un sorriso amaro lo invitò a
salire da lui, con un
cenno della testa eloquente.
“Dobbiamo
parlare …” Aggiunse, mentre apriva la portiera
dell’auto e spegneva il motore.
Blaine
non rispose, lasciando che sul suo volto si dipingesse
un’espressione
contrariata, di dubbio, forse perché stava cercando di
capire cosa avesse fatto
per suscitare il nervosismo o, peggio, la tristezza di Kurt.
Scesero
entrambi dall’auto ed entrarono in casa. Con sua grande
sorpresa, Kurt trovò
suo padre addormentato sul divano in una posizione che sembrava davvero
scomoda, ma non lo svegliò.
Ora
il problema Blaine era più importante da risolvere.
Si
fece seguire fino in camera sua, chiudendo la porta alle due spalle
dopo aver
fatto entrare Blaine. Prese un respiro profondo e quasi difficile
perché i polmoni sembravano essere contro di lui. Fece un
cenno al suo ragazzo per farlo accomodare sul letto e lo raggiunse
subito dopo
aver preso un altro respiro.
“Cosa
c’è, Kurt?” Blaine prese la parola,
cercando di capire perché il suo ragazzo lo
tenesse lì, segregato nella sua camera da letto, invece di
farlo correre a casa
per farlo preparare per il loro rituale di cosacce telefoniche.
“Tu
non hai fatto niente …” Cominciò Kurt,
maledicendo le parole di Anderson, che
stavano rendendo tutto più difficile.
“Blaine, io ti voglio bene
…” Continuò, sperando che il ragazzo
capisse
dove in realtà voleva arrivare.
“Anche
io te ne voglio.” Esclamò Blaine, lasciando che le
parole di Kurt gli
scivolassero addosso, senza neanche capire cosa voleva dire, senza dare
attenzione al messaggio che nascondevano, costringendo Kurt a parlare
chiaro a
tondo.
“Il
fatto è che io ti voglio solo bene.”
Continuò Hummel, lasciando che le loro mani si
intrecciassero per iniziativa di
Blaine.
Ci
fu una pausa, un silenzio pesante e tombale che andava a ledere
l’animo di
entrambi.
“A
me potrebbe bastare …” Blaine spezzò il
silenzio, facendo capire a Kurt quanto
in realtà volesse rimanere con lui.
“Ma
a me non basta, Blaine, sei una persona fantastica, ma il nostro
rapporto potrebbe
degenerare. E’ meglio così, credimi
…”
“Ci
stiamo lasciando?” Anderson cominciò a capire la
necessità di quel discorso
quando Kurt si alzò, sciogliendo le loro dita e aprendo la
porta per darlo
uscire.
“Sarai
libero di non rivolgermi più la parola
…” Kurt lo congedò in quel modo,
sperando disperatamente che non rispondesse in altri modi.
Ce
l’aveva fatta, anche se era stata dura. Ora l’unica
cosa che rimaneva da fare
era cancellare quelle brutte sensazioni dalla mente, mentre vedeva
Blaine
andare via da casa sua senza far alcun rumore.
Sebastian Smythe,
23 anni.
Tatuatore e
proprietario del negozio di tatuaggi “Ink your skin” Kurt lesse
ad alta voce, facendo sentire anche a
Santana quello che c’era scritto sul fascicolo di Sebastian.
Finalmente sapeva
il suo nome, sapeva dove trovarlo e tutto sembrava perfetto, se non
fosse stato
per quella minuscola intromissione di Santana, con una frase che
avrebbe potuto
largamente risparmiarsi.
“E
con Blaine?” Chiese l’ispanica. “Con lui
come la metti?” Aggiunse insistente.
Aveva visto il modo in cui loro due erano andati via dal Breadstix
senza dir
nulla a nessuno e sapeva che Kurt voleva lasciare Blaine, visto che
glielo
aveva suggerito lei stessa, ma si aspettava che il suo migliore amico
la
avvertisse.
“E’
finita, pensavo si fosse capito.” Rispose Kurt, abbassando lo
sguardo, giusto
per far sentire Santana un po’ in colpa, voleva sentirsi al
centro
dell’attenzione per una volta e non perché aveva
appena rotto con Blaine, ma
solo perché dovevano andare da Sebastian.
“Hai
ragione, scusa, non avrei dovuto chiedertelo.” Disse
alzandosi in piedi, “Ora
muoviti, dobbiamo andare da questo Sebastian o no?” Chiese,
sistemandosi la
giacca scura che aveva indosso.
Kurt
la guardò con aria interrogativa, lasciando che le sue
labbra si arricciassero
in un’espressione quasi di curiosità. Non capiva
cosa Santana stesse dicendo,
aveva voglia di vedere Sebastian, ma non ora. Era ancora troppo fresca
la
ferita riguardante Blaine e vedere il suo angelo
(nella sua mente era utile continuare chiamare
così, per evitare di far
ricadere su di lui le colpe della sua rottura con Blaine) in quel
momento, con
il cuore ancora distrutto non gli sarebbe stato molto utile.
“Forza,
vestiti, non vorrai mica che vada in pausa pranzo per quando arriviamo
lì.”
Disse Santana, prendendo le mani di Kurt ed aiutandolo ad alzarsi.
Fece
un respiro profondo, non sapeva dire no a Santana, anche
perché di certo, con
la sua esperienza, sapeva cosa diceva. Conosceva bene gli uomini,
paradossalmente,
e Kurt doveva fidarsi per forza di lei.
“Ma
come faccio a presentarmi lì senza un pretesto, cosa gli
dico?” Chiese Kurt
improvvisamente, cercando disperatamente un appiglio per non andarci.
“Non
mi avevi detto che ti aveva dato una giacca?” Chiese Santana,
decisa a non
abbattersi davanti alle difficoltà che Kurt continuava a
crearle.
Hummel
si maledisse, perché le diceva sempre tutto? Fu costretto ad
annuire,
lasciandosi alle spalle ogni preoccupazione, ormai sembrava fatta.
Santana era
decisa a fargli rincontrare Sebastian, quindi perché negare
ancora?
“E’
dentro l’armadio, l’ho nascosta
nell’eventualità che Blaine o mio padre
potessero trovarla.” Spiegò, lasciando che la sua
amica si avviasse verso il
suo armadio e lo aprisse, prendendo poi la giacca.
“Caspiterina
Hummel, non è proprio l’emblema della pulizia
questa cosa qui.” Disse la
latina, richiudendo tra l’indice e il pollice un lembo di
quella felpa e
sostenendola con un’aria disgustata.
“Dai
Santana, non scherzare, aspettami qui, che devo prepararmi.”
Disse Kurt che,
rassegnato, si diresse verso il bagno della sua camera. Aveva bisogno
di una
delle sue docce lunghe e rilassanti, una di quelle che serviva
soprattutto per
fargli pensare positivo.
Quella
giornata era davvero troppo torrida e neanche l’aria
condizionata dell’auto di
Santana sembrava alleviare quello che sembrava un caldo che aveva
penetrato le
loro ossa.
Kurt
guardò dal finestrino l’insegna del negozio di
tatuaggi e gli salì il cuore in
gola, si stava pentendo di essersi fatto convincere da Santana.
“Su,
avanti, sono proprio curiosa di vedere questo Sebastian
Smythe.” Esclamò la
mora, aprendo lo sportello della sua auto e scendendo in modo
aggraziato. Ma,
ben presto, notò che Kurt era rimasto lì, fermo
al suo posto di passeggero, a
fissare l’uscita del negozio, come se stesse aspettando
qualcosa.
“Kurt?”
Lo chiamò lei, sperando che il suo amico rispondesse. Lo
vedeva davvero troppo
strano per uno che di solito era abituato a giudicare le situazioni
senza peli
sulla lingua. “Senti … Se non vuoi andarci non
sarò io a trasc-”
La
voce di Santana fu interrotta dal click
dello sportello dell’auto. Kurt era sceso, finalmente, e
ciò significava che
voleva davvero vedere Sebastian. Santana sorrise, e gli andò
incontro abbracciandolo.
“So
che è stata dura, ma per tutto quello che hai passato era
ora che facessimo
qualcosa anche per te.” Lo rassicurò
l’ispanica.
Kurt
sorrise amaramente, abbassando lo sguardo e lasciando che Santana lo
stringesse
forte.
“Dai,
ora andiamo dentro …” Disse improvvisamente,
facendosi coraggio. Avevano fatto
tanta strada e ora non poteva andarsene via di lì, senza
aver visto Sebastian,
anche se si sentiva ancora in colpa per aver rotto con Blaine.
Fece
comunque un respiro profondo, pensando al fatto che avrebbe rivisto
quell’essere angelico solo percorrendo pochi passi. Strinse,
perciò, la felpa
grigia tra le mani e si avviò verso l’entrata.
Una
porticina con i cardini tremolanti lo separava da Sebastian,
esitò ancora un
attimo, poi l’aprì, ritrovandosi davanti ad un
corridoio pieno di quadri
riempiti con disegni tribali, tanto belli, ma allo stesso tempo
inquietanti.
Percorse quello stretto cunicolo, con Santana al seguito, ed
arrivò davanti
alla casa, dove c’era una ragazza dai capelli rosa con un
capello malandato in
testa, immersa nella lettura di qualche giornalino scadente, almeno
così
credeva Kurt.
Il
ragazzo ebbe quasi paura di chiederle informazioni,
tant’è si fece sorpassare
da Santana, sicuramente più sfacciata di lui. La mora gli
passò avanti,
avvicinandosi al bancone e alla ragazza con i capelli rosa,
batté una mano
sulla cassa e chiese con fermezza dove fosse Sebastian.
La
ragazza al di là della cassa non si mosse, alzò
soltanto il capo, inarcando un
sopracciglio e mostrando un sorriso per niente raccomandabile.
“Sebastian
chi?” Chiese sfacciata, facendo finta di non conoscere alcun
Sebastian, anche
se non era neanche troppo brava a recitare.
“Sebastian
Smythe il
prop-” La voce di Santana si
fermò nel momento in cui un suono di un campanello e un
sonoro ‘arrivederci’
distrassero tutti da quel
discorso. Fu in quel momento che lo vide e sicuramente anche Kurt lo
stava
vedendo e lo stava reputando bellissimo, sapeva che era
così.
“Questa
pazza e il suo amichetto sono piombati qui senza alcuna
spiegazione.” Quella
che sia Santana che Kurt avevano identificato come una tirocinante
eccentrica dai capelli rosa si
voltò verso
Sebastian, spiegandogli velocemente la situazione.
Poi
il proprietario alzò lo sguardo e notò Kurt e
subito comparve sul suo volto
un’espressione contrariata, quasi come se non avesse alcun
bisogno di vederlo.
“Cosa
ci fai tu qui?” Chiese improvvisamente, lasciandosi alle
spalle la tirocinante
e ignorando Santana, per dirigersi verso Kurt con un fare che sapeva
quasi di minaccia.
“Ho-Ho
ritenuto opportuno riportarti la felpa.” Gli rispose
balbettando, porgendogli
quel pezzo di stoffa rovinato che teneva stretto tra le mani. Non
ricordava
quanto fossero belli i suoi occhi, verdi, due smeraldi incastonati in
un viso splendido,
all’altezza della loro bellezza. Sentì il proprio
respiro bloccarsi in gola
quando Sebastian deglutì, perché vide quel
meraviglioso pomo d’Adamo fare su e
giù, sperando fosse per lui, sperando che fosse
perché anche Smythe riteneva
giusto un approccio da Kurt&Sebastian,
anche se era altamente improbabile.
Sebastian
si chinò verso Kurt, facendo notare che, dal giorno in cui
si erano incontrati,
aveva fatto un piercing. Era fresco, lo si capiva dal leggero contorno
rossastro che aveva.
“Potevi
tenerla, non c’era bisogno che tu me la portassi,
è un regalo.” Esclamò Smythe,
facendo rimanere un attimo basito anche il povero Kurt.
“No,
sul serio … Non mi serve.”Kurt gli porse ancora la
felpa, lasciando che le mani
di Sebastian sfiorassero le sue.
Smythe
sospirò e prese la felpa, gettandola poi su una sedia che,
nella testa di
Santana e Kurt fungeva da sala d’aspetto.
Kurt
si sentì smarrito in quel momento, accogliendo una
sensazione che pensava
potesse essere più gratificante.
“Sei
venuto qui solo per consegnarmi la felpa?!” Chiese
spudoratamente.
Kurt
si sentì per un attimo sperduto, non sapendo cosa
rispondere. Cosa doveva dire?
Che era come diceva lui o che si trovava da quelle parti e aveva deciso
di
ringraziarlo per la sera prima?
“In
realtà, voleva farsi un tatuaggio.”
Suggerì Santana, appoggiando i gomiti al
bancone e dando le spalle alla tirocinante.
“E
che cosa volevi tatuarti, Kurt?”
Si
ricordava il suo nome, anche se l’aveva detto con un pizzico
di malizia, quasi
di cattiveria.
Hummel
si guardò intorno, cercando ispirazione per un qualsiasi
tatuaggio che potesse
essere in stile Kurt Hummel. Era difficile, troppo difficile, poi
notò un
quadro di Timon e Pumba, li aveva sempre amati, soprattutto quando la
domenica
mattina si svegliava e c’era suo padre ad aspettarlo avanti
alla TV.
“Una
mangusta ...” Disse frettolosamente. “Sul
polso.”
Santana
lo guardò con occhi increduli, sbarrati per quella proposta
assurda e Kurt non
poté far altro che chiudere la testa nelle spalle, facendole
capire che era
l’unica soluzione per restare lì con Sebastian.
“Quanti
anni hai?” Chiese il tatuatore, lasciando che la sua mano
corresse sul proprio
fianco, mentre l’altra era ancora coperta da un guanto in
lattice bianco.
“Diciotto.”
Rispose secco Kurt, sicuro che Smythe potesse fargli un tatuaggio senza
discutere in alcun modo. Voleva rimanere solo con lui e quello era
l’unico
modo, anche se probabilmente se ne sarebbe pentito amaramente.
“Mi
dispiace allora, non posso farti alcun tatuaggio
…” Sebastian si spostò e
indicò un cartello. “A meno che tu non venga qui
con paparino.” Sorrise,
guardando per un attimo la sua tirocinante. “Ora, scusa, ma
devo lavorare.”
Aggiunse, riportando lo sguardo su Kurt.
“C’è
un cliente di là che ti aspetta.” Disse la ragazza
dietro il bancone,
osservando il suo capo e sorridendogli, anche se non poteva vederlo.
“Grazie,
Quinn, ci vado subito.”
Sorrise, un
sorriso riferito a Kurt che aveva lo sguardo basso. Di certo non capiva
perché
si stesse comportando in quella maniera, ma l’unica cosa che
gli aveva fatto
nascere dentro era una rabbia lancinante.
“Santana,
andiamocene, qui siamo solo d’intralcio.” Kurt si
rivolse alla sua amica,
stranamente in silenzio per essere la solita Santana Lopez,
evidentemente era
rimasta male anche lei per Kurt. Non l’aveva mai visto
così triste, così
desideroso di aria pulita, se solo avesse potuto avrebbe preso a
schiaffi quel
Sebastian, ma non poteva.
Ora
l’unica cosa che potevano fare, entrambi, era lasciarsi alle
spalle Sebastian
Smythe.
(16:34): Certo che
è
proprio uno stronzo
quel tizio, ma come hai fatto ad invaghirti di lui?
(16:37): Quello
non era il
Sebastian che
ho conosciuto io.
(16:39): E quale
Sebastian hai
conosciuto tu?
(16:41): Era
gentile quando ci
siamo
conosciuti. Domani mi accompagni a farmi un tatuaggio?
(16:43): Ci
ritorni con tuo padre?
(16:45):
C’è
un negozio dove si possono
fare senza fornire alcun documento.
(16:49): Kurt,
riposati, stai
vaneggiando.
(16:50): Lo
farò quando
sarà finita
questa storia, Sannie, ora vado in biblioteca a studiare, ci sentiamo
al più
presto, promesso.
Santana
lesse quel messaggio e sospirò, non poteva fare altro. Kurt
era strano, così
strano da farla preoccupare. Non era più il piccolo ed
indifeso Kurt Hummel,
stava lentamente uscendo fuori di testa e lei non poteva permettere che
succedesse tutto quello per colpa di un tatuatore da quattro soldi. In
qualche
modo, doveva distogliere Kurt da quei pensieri cupi che gli stavano
conquistando gli occhi.
Il problema era il
come.
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