Passarono gli anni, e
come un prato in piena Primavera, anche Hinata fiorì.
Non era più
la kunoichi debole e indifesa di un tempo, oh no.
Era maturata, sia nel
carattere che nella forza, anche se conservava ancora quei piccoli
spicchi di timidezza che l’avevano sempre caratterizzata.
Erano come un segno di
riconoscimento, ormai, che aveva imparato ad apprezzare.
Non si vergognava
più di se stessa, della sua vulnerabilità.
Hinata aveva smesso di
avere paura.
Aveva urlato per anni,
e nessuno l’aveva mai sentita.
Ma il cambiamento che
tanto aveva atteso, quello che avrebbe fatto ricredere il suo clan e le
persone che la circondavano, era finalmente arrivato.
Camminava per il
parco, a passo lento e con in mano il suo gelato alla fragola, come a
volersi godere ogni singolo punto di quel villaggio che, ormai,
conosceva come le sue tasche.
Senza rendersene
conto, si ritrovò davanti a quella panchina.
La stessa panchina
che, dieci anni prima, era stata testimone di quell’incontro.
Si
avvicinò, e l’accarezzò con le dita.
Nonostante gli anni,
non aveva perso quello spiraglio di luminosità che aveva
attirato i suoi occhi da bambina.
Si sedette e sorrise,
come se quel semplice gesto l’avesse rispedita indietro nel
tempo.
Lei, di appena otto
anni, che non arrivava nemmeno a toccare il terreno con i piedi.
Eccola lì,
ora, ormai donna, con i capelli d’ebano lunghi fino a
metà schiena, un fisico longilineo e un viso aggraziato.
Solo gli occhi non
erano mutati, del suo aspetto.
Erano ancora grandi
come quand’era bambina, pieni d’amore e
ingenuità.
Ma non c’era
più solo quello, nei suoi occhi.
C’era anche
determinazione, grinta, forza d’animo.
Tutte cose che, una
volta, avrebbe solo immaginato di poter ottenere.
Sembrava ieri che, con
lo sguardo pieno di curiosità, osservava il ragazzo al suo
fianco sorriderle.
Solo in quel momento
capiva cos’aveva provato allora.
Una piccola cotta. Una
cosa innocente e del tutto normale.
Una cotta che,
però, si portava dietro da dieci anni.
Quante volte aveva
cercato quel sorriso, nelle persone che la circondavano.
Quante volte aveva
desiderato poter rivedere i suoi occhi, in quelli degli altri.
Niente da fare.
Era come una pietra
preziosa e rarissima, oltre che unica.
E quella stessa
pietra, che tanto le aveva fatto battere il cuore, non c’era
più.
La notizia della sua
morte le era arrivata come una doccia d’acqua gelida. Come la
stessa acqua gelida che aveva sentito sulla sua pelle quel giorno.
Itachi era morto.
Era morto per suo
fratello.
La speranza di poterlo
rivedere si dissolse come neve al sole, e nulla le rimase da fare se
non piangere.
Piangere una persona
che non vedeva da anni.
‘Non
mi sono dimenticata di te, Itachi. Tu, invece, l’hai
fatto...’
My beating
heart belongs to you
I walked
for miles 'til I found you
I'm here to honor you
Il sole batteva forte,
quel giorno.
Si asciugò
la fronte sudata e chiuse gli occhi, restando così per un
intero minuto.
Il vento portava con
sé l’odore dei pini.
L’odore dei
pini e il rumore di passi.
Quei passi.
Gli stessi di colui
che, anni prima, le sembrava camminasse su una nuvola.
Riaprì gli
occhi.
Non poteva essere
vero. Non poteva essere lui.
Non parlò.
Non un singolo suono fuoriuscì dalle sue labbra.
Si sedette di fianco a
lei, restando in silenzio.
<<
Itachi! Itachi! Sei proprio tu?! >>
Fece lei.
Nonostante il
trasporto che aveva usato in quella frase, sentiva le lacrime pungerle
gli occhi.
Non poteva sbagliarsi.
Era proprio lui.
Quegli occhi, quei
capelli, quelle labbra.
Erano passati anni
dall’ultima volta che l’aveva visto, eppure
l’avrebbe riconosciuto tra mille.
Itachi Uchiha. Il
ninja morto.
Il ninja che ora le
ridonava quel sorriso.
Il sorriso che tanto
aveva cercato, ma che mai aveva trovato.
Si incantò
come una bambina davanti ad un negozio di giocattoli.
Le labbra socchiuse e
mute, gli occhi ludici e le guance rosse.
Tremava, ma non di
freddo.
Quanto tempo aveva
atteso quel momento?
Per quanti anni si era
illusa di poterlo rivedere, nonostante non le avesse promesso nulla?
Per quanti anni aveva
desiderato di poter risentire la sua voce, mentre gli diceva che no,
non si era dimenticato di lei?
Aveva continuato a
sperare, invano, di poter esaudire quel suo piccolo desiderio.
Ora era lì,
a pochi centimetri.
Sentiva il cuore
battere forte, quasi volesse uscirle dal petto.
Itachi
ricambiò lo sguardo, senza smettere di sorridere.
<< Vedo
che non hai perso le tue abitudini... >>
Hinata non sapeva a
cosa si riferisse, finché lui non le alzò il
polso destro.
Come tanti anni fa,
anche quella volta aveva lasciato sciogliere il gelato.
Rivoli di fragola
appiccicosi le scorrevano tra le dita, e come in una sorta di
déjà vu, si ritrovò a cercare ancora
un fazzoletto.
Forse anche quella
volta Itachi l’avrebbe battuta sul tempo, tirandone fuori uno
e pulendole la mano.
In effetti fu proprio
quello che fece, ma non usò un fazzoletto.
Hinata divenne
più rossa di un pomodoro, mentre sentiva la lingua morbida
di Itachi tra le sue dita.
Gli occhi di rugiada
si spalancarono dallo stupore, ma non fece nulla per scansare la mano.
Non quella volta.
Rimase immobile come
una statua di cera, mentre osservava gli occhi felini di Itachi coperti
dalle ciglia lunghe e scure.
Se prima il cuore di
Hinata batteva all’impazzata, in quel momento quasi le doleva
per quanto era agitato.
Itachi
passò la lingua su tutte le dita, ripulendole, mentre con la
mano destra le teneva delicatamente il polso.
Hinata non parlava.
Decise di godersi
quell’attimo che sapeva d’infinito, e che non
voleva finisse mai.
Ma come tutte le cose
belle, anche quello finì, e Itachi raddrizzò
nuovamente la schiena.
Hinata rimase quasi
delusa da quel distacco così repentino, ma ne
approfittò per ritrovare un respiro regolare.
Sentiva le guance
bollenti, e distolse timidamente lo sguardo.
Avrebbe voluto fargli
un milione di domande, che l’avevano accompagnata fin dal
giorno in cui l’aveva visto andarsene, ma non sapeva da dove
iniziare.
Un altro lungo attimo
di silenzio, spezzato appena dal cinguettio degli uccellini.
Itachi era
così vicino a lei, che le sarebbe bastato allungare di poco
il braccio per poterlo toccare.
Ma le sembrava una
cosa così eterea, così proibita.
Un sospiro, basso e
pacato.
<< Devo
andare. >>
Disse lui con
malcelata aria mesta, alzandosi.
Ancora una volta, come
tanti anni prima, Hinata lo avrebbe visto allontanarsi.
Sparire tra la folla,
farsi sempre più lontano, fino a non vederlo più.
Era questo
ciò che voleva?
Ripetere lo stesso
sbaglio di allora?
Lasciarlo andare via,
senza fare nulla per fermarlo?
No, non era
ciò che desiderava.
Lei voleva che Itachi
rimanesse, che si fermasse e tornasse indietro.
Voleva vederlo ancora
accanto a lei, sulla panchina che anni prima li aveva divisi, e che per
un fortuito caso del destino, in quel momento, li aveva riuniti.
Quasi non si accorse
neanche del gelato che cadeva a terra, del suo corpo che faceva leva
sulle ginocchia per issarsi, dei piedi che andavano per conto loro,
delle braccia che si protendevano e delle mani che si chiudevano a
pugno sulla tunica scura di Itachi.
No, non si accorse di
nulla. Semplicemente il suo corpo si mosse per istinto, facendola
ritrovare con il viso appoggiato sulla schiena di Itachi, e con le
braccia strette attorno al suo corpo.
Per anni aveva
desiderato quel momento, e non le importava se fosse una visione o meno.
Sì, Itachi
era morto.
Sì, forse
si sarebbe dissolto tra le sue dita, come in una sorta di allucinazione.
Ma era lì,
ora, con lei.
Riusciva a sentire il
suo odore, il suo calore, e non desiderava altro.
Ignorò le
guance che, mano a mano, diventavano sempre più infuocate, e
si concentrò sul respiro di Itachi.
<< Non
mi sono dimenticato di te, Hinata. >>
Socchiuse le labbra, e
gli occhi già precedentemente lucidi, si inumidirono ancora
di più.
Stavolta,
però, non riuscì a fermare le lacrime.
Cominciarono a
scorrere copiosamente lungo il suo viso, ma non erano lacrime di
tristezza.
Erano lacrime di gioia.
Gioia per aver
ritrovato Itachi.
Gioia per aver capito
che non si era dimenticato di lei.
Gioia, e forse anche
un po’ d’amore.
Hinata
sentì le mani di Itachi sulle sue, e quasi per istinto,
strinse ancora di più la sua tunica.
Restarono
così per lunghi minuti, in silenzio, come a voler godere al
massimo di quell’attimo così sacro.
Hinata
guardò la figura di Itachi, messo di spalle, sentendo uno
strano moto di amarezza nello stomaco.
<<
Non... andartene... >>
Itachi non rispose.
Restò nella
stessa posizione di prima, con lo sguardo fiero perso
all’orizzonte.
La punta
d’orgoglio degli Uchiha, il vanto del suo clan, colui che
sacrificò il suo onore e la sua vita per il fratello, mosse
appena la bocca, ma lasciò morire le parole sulle labbra.
<< Non
posso... >>
<<
Itachi... >> prese tutto il coraggio accumulato in anni e
anni di allenamento, sfidando la figura regale dell’Uchiha.
<< Io... io ti... >>
Ma prima che potesse
finire di parlare, il suo mondo si fece buio.
Vide Itachi sparire in
una specie di vortice scuro, e si sentì come scaraventare a
terra.
Urlò il suo
nome a squarciagola e allungò un braccio per raggiungerlo,
ma non un suono uscì dalla sua bocca.
Tremò, con
ancora le lacrime che le pungevano gli occhi.
No, non poteva finire
così.
Quello era un incubo.
<<
HINATA! >>
Nel momento stesso in
cui sentì qualcuno pronunciare il suo nome,
spalancò gli occhi di scatto.
Si guardò
intorno, non riconoscendo subito il luogo in cui si trovava.
<<
Hinata! Come ti senti? >>
La diretta interessata
si voltò a sinistra, incontrando lo sguardo preoccupato di
Sakura.
Che ci faceva
lì? E come era finita sdraiata su un letto?
<<
S-Sakura... cos’è successo? >>
Sakura tirò
un sospiro di sollievo.
<<
Insolazione. Ti ho trovata accanto ad una panchina, sdraiata a terra.
Scottavi ed eri molto sudata. Mi hai fatto prendere una paura!
>>
Quelle parole ferirono
Hinata più di quanto potesse immaginarsi.
Insolazione.
Illusione.
Allucinazione.
Puntò gli
occhi chiari sul soffitto, mordendosi il labbro per non cedere alle
emozioni.
Non aveva rivisto
Itachi.
Aveva sognato ogni
cosa.
Deglutì,
mettendosi un braccio sugli occhi.
<< Vado
a prenderti un bicchiere d’acqua. Hai bisogno di idratare il
corpo per bene! >>
Detto questo, Sakura
si allontanò, ma Hinata non la sentì nemmeno.
<<
È stato tutto... un sogno... >>
Sussurrò,
lasciando che le lacrime le bagnassero il braccio.
Solo
un’illusione. Ecco cos’era stato Itachi.
Una splendida, bramata
illusione.
Hinata
sentì il cuore andare in frantumi.
Per
quell’inganno che la sua stessa mente le aveva giocato.
Per quel terribile
senso di frustrazione.
Per quel ‘ti amo’
che, ormai, non avrebbe mai più potuto esprimere.
If I lose
everything in the fire
Did I ever
make it through?
Fine.
Spero che
la mia fiction vi sia piaciuta! :)
Un bacione!
Rage&Love
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