Alex
Alex
Alessandra era in classe con
me, ed era famosa in tutta la scuola.
Era
pazza. Completamente pazza.
Non
perché fosse triste, o passasse il tempo a tagliuzzarsi le
braccia. Alessandra, detta Alex, era tutto tranne che depressa.
Era
un vulcano in eruzione perenne, uno splendido fuoco
d’artificio, una pioggia d’allegria eterna.
Qualcuno
aveva distribuito strani volantini con su poesie di Emily Dickinson e/o
versetti satirici (spesso di pregevole fattura) in giro per la scuola?
I professori astanti si guardavano negli occhi, scuotevano le spalle e
commentavano, con aria rassegnata: «
Alex! ».
Un’entità
ignota aveva formattato tutti i terminali dell’aula di
informatica, due giorni prima della verifica decisiva, e,
misteriosamente, su tutti i desktop era apparsa la scritta “tre a chi
legge”? Tutti gli alunni esclamavano con aria
trionfante: «
Alex! ».
Per
quanto potesse sembrare assurdo, ad Alex riusciva di fare praticamente
qualunque cosa; era l’incarnazione vivente del detto
“la fortuna aiuta gli audaci”.
Aveva
il coraggio di tentare tutto quello che le saltava in mente: e,
paradossalmente, più l’impresa sembrava disperata,
più avevi in lei una sostenitrice sicura.
Occupazioni,
autogestione, liberazione di rane in classe… qualsiasi
cazzata, magari anche la più assurda, Alex era in grado di
tentarla quasi senza pensarci su.
Ogni
cosa, quantunque fatta da lei, aveva sempre esiti positivi: mio nipote
sostiene che si parli ancora di quando ha dipinto un murales con gli
Uniposca neri sul tettuccio dell’auto del preside.
All’epoca dei fatti chiunque sapeva che era stata lei, e il
corpo docenti prese a detestarla.
Gli
insegnanti, incredibile ma vero, non potevano mai fare nulla per
inchiodarla alle sue responsabilità: con
l’abilità di un ninja, infatti, Alex evitava di
lasciare qualsiasi indizio sulla “scena del
delitto” di turno che potesse ricondurla al
“delitto” stesso.
Inoltre,
fatto non del tutto trascurabile, era la perenne vincitrice delle borsa
di studio in Latino e Inglese, cosa che la rendeva decisamente
inattaccabile dal punto di vista dei voti; insomma, un po’
per proprio diritto, un po’ per fortuna sfacciata, non
c’era nulla da fare: Alessandra Piretti, ricercata numero uno
dello staff di presidenza, era intoccabile.
E,
per quanto ci fossero persone (come la Vicepreside) il cui scopo nella
carriera fosse trovare le prove per riuscire a dimostrare che la
colpevole dei fatti era incontestabilmente lei, nessuno ci
riuscì mai.
A
vederla, non era niente di speciale.
Alta
appena un metro e cinquantacinque, piuttosto paffuta; a notarsi, oltre
alla figura assolutamente non da mannequin,
inoltre, erano i suoi capelli.
Castano
scuro, di media lunghezza, né lisci né ricci;
perennemente arruffati, non riuscivano ad assumere una forma nemmeno
dopo ore e ore di seduta dal parrucchiere. E lei non se ne curava
affatto: a volte dava l’impressione di non pettinarli neppure.
Li
lasciava sciolti, oppure, se voleva tenerli lontani dal viso,
li tratteneva approssimativamente con cerchietti o fasce multicolori.
Riguardo
ai capelli di Alex circolava una voce strana: quando compariva in
classe con la folta chioma acconciata in una coda era il segnale che
stava per compiere una delle sue “epiche azioni”.
Nessuno,
ovviamente, aveva le conferme di questo pettegolezzo; e io,
personalmente, non l’ho mai vista coi capelli raccolti se non
in due occasioni: sotto la cuffia per le selezioni
dell’annuale torneo scolastico di nuoto (cui arrivava sempre
ultima) e, avvolti in uno chignon, al funerale di Cassandra.
Dopo
i capelli, si notava, com’è ovvio, il viso: aveva
un volto perfettamente ovale, con zigomi alti e rotondi e un mento a
cupola. A parte la forma, non c’era nulla di notevole nella
sua faccia: le labbra erano sottili, il naso piuttosto pronunciato e
gli occhi neri erano di medie proporzioni, un po’ allungati
verso il basso. Le ciglia erano quasi inesistenti, compensate dalle
folte sopracciglia che disegnavano due archi perfetti attraverso quella
faccia dalla carnagione pallida.
Altre
caratteristiche fisiche degne di nota, Alex non le aveva: si vestiva
come una squatter dei centri sociali, con larghe tute, pantaloni
militari, magliette che le arrivavano più meno alle
ginocchia dalle fantasie più svariate (le sue preferite
erano informi camicioni batik decorati da ricami orrendi, eseguiti
sicuramente da un qualche alcolista).
Per
sua stessa ammissione, comprava ogni cosa su bancarelle e in negozi di
abiti usati, senza molto curarsi della provenienza dei capi.
Non
portava né trucco né alcun tipo di gioiello: non
aveva neppure i buchi per gli orecchini. Inoltre si mangiava le unghie
tanto che, a volte, erano rosicchiate anche le pellicine intorno e la
punta del dito stessa.
Alex
era tutta alchimia chimica: il viso perennemente sorridente o segnato
da una smorfia buffa, sembrava congegnato per far ridere o infondere
allegria in chi la guardava.
Era
simpatica, ovviamente, e di un buonumore perfetto e incrollabile: aveva
il dono di saper tirar su il morale solo con la sua semplice presenza.
A
volte, entrando in classe alla prima ora, buttava lì una
battuta delle sue: in quel momento, credeteci o no, ho sempre avuto
l’impressione che, per quante interrogazioni ci potessero
essere quel giorno o per quanto i prof esibissero il loro sadismo,
sarebbe stata una buona giornata.
Decine
di persone avrebbero voluto esserle amiche, tranne - forse
– i secchioni e i leccaculo più irriducibili (che,
ovviamente, si professavano d’accordo con
l’ostilità dei professori e la giudicavano
pressappoco una delinquente) o quelli che, come me, erano spaventati
dalla sua eccentricità, dal suo travolgente entusiasmo per
la vita.
Anche
in un corridoio vuoto, quando passava Alex pareva esserci tantissima
gente e spesso era attorniata da una piccola folla. Sembrava essere
ignara della sua popolarità, e non si accorgeva
né degli sguardi adoranti dei primini né delle
pacche sulle spalle di rispetto e ammirazione dei maturandi.
Era
come se vivesse in un suo fantastico mondo dove quelle attenzioni erano
dovute a tutti, e a tutti, perciò, dispensava sorrisi a
trentadue denti e allegria incondizionata. Era democratica nel fare una
smorfia divertente a una ragazzina di seconda come nel raccontare una
barzelletta al bidello; sfoggiava una tolleranza impressionante nei
confronti di chiunque e di qualunque categoria.
Spesso
organizzava distribuzioni di opuscoli ciclostilati anonimi a favore di
questa o quella minoranza (dai gay ai magrebini), e non si perdeva mai
un’autogestione o una manifestazione della CGIL; non so
quanto credesse in ciò che faceva e quanto non considerasse
questo, più che altro, un modo di divertirsi e far baccano.
Eppure,
pian piano, cominciai a rendermi conto di un particolare inquietante.
Alex,
pur essendo costantemente accerchiata da un folto gruppo di persone che
la trovavano simpatica e volevano la sua amicizia, era come…
separata da loro.
Nessuno
aveva avuto con lei altro che una frequentazione superficiale e si
sapeva pochissimo della sua vita privata; era come se, oltre alla sua
perenne allegria, non ci fosse altro.
Se
Alex avesse passioni, aspirazioni o talenti particolari era ignoto.
Che
avesse qualche problema, qualcosa che la rendeva triste o la faceva
star male, sembrava impossibile.
Era
come sola pur in mezzo alla gente.
Eppure,
qualcosa che la spingeva – seppure inconsciamente –
a tenere lontane le persone intorno a lei con il muro della sua
contentezza doveva esserci.
Perché,
altrimenti, una ragazza che avrebbe potuto uscire con chiunque volesse
aveva quest’atteggiamento di perenne isolamento?
Un’isola
felice, certo. Ma pur sempre abbandonata in mezzo al mare.
La
vidi solo due volte con il viso serio.
La
prima era perché non sapeva che la stavo osservando. Fissava
qualcosa fuori dalla finestra, con lo sguardo perso in lontananza; quel
giorno era nuvoloso, e grandi cumuli bianchi galoppavano attraverso un
cielo di un profondo blu lacca, specchiandosi nelle sue iridi nere.
Le
labbra sottili erano perfettamente orizzontali, gli angoli non si
alzavano verso l’alto in un sorriso come al solito, e neppure
il volto era contorto in un’espressione buffa; non sembrava
neanche lei, senza la sua maschera perpetuamente felice. Comunque
durò poco: non appena si rese conto che la stavo scrutando
strizzò gli occhi e mi fece un gran sorriso.
Non
la vidi più guardare fuori. Non vidi più il suo
sguardo perdersi nel vuoto.
La
seconda fu al funerale di Cassandra. Tutti coloro che erano venuti (e,
nonostante l’impopolarità della morta, non erano
pochi), quel giorno fecero fatica a riconoscerla. E, da allora, non fu
più la stessa.
Mi
chiedevo, a volte, se la sua felicità fosse fittizia. Non so
se qualcun altro si fosse mai posto la stessa domanda.
Forse
i sorrisi erano una sorta di maschera, le facce divertenti come una
calda coperta di Linus che non poteva abbandonare. Una protezione.
Da
cosa, francamente non lo so. Non l’ho mai capito.
Alex
era una persona in cui si mescolavano verità e menzogna,
realtà e finzione.
Penso
che nemmeno lei si rendesse più conto di quando questi due
aspetti si univano: si comportava come se fosse perennemente sul
palcoscenico di un immaginario teatro comico, e interpretava la sua
parte in modo impeccabile; i costumi con cui copriva la
realtà erano ricchi, il fondale sontuoso, la musica
assordante e la trama un vago canovaccio che lei doveva costantemente
riempire con battute sempre nuove.
L’unica
cosa in cui, consciamente o inconsciamente che fosse, non mentiva mai,
era il suo amore incondizionato per la vita; forse perché la
sua concezione di vita era così travolgente e divertente,
senza un attimo di respiro, da impedirle il semplice atto di pensare
all’improcrastinabile fine che attende tutti noi.
“La vita è
un enorme cono gelato del tuo gusto preferito. L’unica cosa
che devi fare è mangiarlo, fino a quando non ce
n’è più.”.
Lo
ripeteva continuamente.
A
chiunque fosse disposto ad ascoltarla.
Per
questa ragione sentiva di dover compiere tutte quelle sue spericolate
imprese, avvertiva come un obbligo il saltare, gridare, ridere e
giocare fino a essere sfinita, per godere ogni singolo minuto.
Forse
era per questo che non faceva mai nulla (a parte il bungee jumping e il
parapendio, che appagavano la sua voglia di rischio) che potesse
nuocerle. Eccetto una birra ogni tanto non beveva, e, ovviamente,
l’uso di qualsiasi sostanza più pesante era fuori
questione.
Alex
dava per scontato che tutti amassero la vita quanto lei, quindi era
affezionata a tutti coloro che condividevano la sua fascinazione, e a
tutti riservava calore, allegria, entusiasmo come se stesse saldando un
debito originale.
Tutti,
tranne una persona. Una persona che odiava il semplice atto di
esistere, e che quindi Alex non poteva fare a meno di detestare a sua
volta, con un’ostilità che si mescolava al
disprezzo.
Cassandra.
***
Se
mi chiedono che cosa abbia fatto Alex dopo la fine del liceo rispondo
sinceramente che non lo so, così come, a tutt’ora,
non sono a conoscenza di chi fossero i suoi genitori né so
di altri particolari sulla sua vita privata.
Quel
che è certo è che uscì dalla
maturità con novantotto su cento e, successivamente, si
iscrisse all’università alla facoltà di
Filologia Romanza (unica del nostro anno a imboccare tale strada).
Nessuno
la sentì più, e non si presentò mai
alle rimpatriate con i nostri vecchi compagni di classe.
Le
ultime voci mi dicono che si sia sposata con un ballerino di tango
proveniente da Buenos Aires, e che adesso vivano nel sud della Spagna,
gestendo una milonga1 con ristorante a Granada; questo è
certamente segno che, dopo la laurea (che mi dicono conseguita con
tanto di lode e bacio accademico), qualcuno ha trovato modo di
penetrare il suo costante oceano di allegria ed è riuscito
ad avvicinarsi a lei.
Non
posso che esserne felice; ma devo constatare che, evidentemente, non
dev’essere rimasto molto dell’Alex che conoscevo.
È come se fosse morta. Anche lei.
***
Milonga= tipico
locale, diffuso soprattutto in Argentina ma anche in altri paesi
dell’America Latina, in cui si ballano samba, salsa ma,
soprattutto, il tango.
***
Ebbene, eccomi qui con il primo capitolo, revisionato e corretto, con
alcune parti aggiunte e modificate.
Ringrazio
immensamente Ilychan e JiuJiu che mi hanno ricommentato per i loro
gentili complimenti: non sapete nemmeno lontanamente quanto mi abbiano
fatto piacere, perché trovo che il costante sforzo di
migliorarsi sia una caratteristica preziosa quanto, ormai, rarissima su
EFP e nel mondo delle fanfiction in generale. Vi ringrazio molto, e
aspetto le vostre opinioni riguardo al resto della revisione.
Ringrazio,
oltretutto Babyjenks (alias Chiara) perché mi ha inserito
non solo tra i preferiti, ma anche tra gli autori preferiti! Wow!
È la primissima volta, e mi sento molto orgogliosa!
Inoltre
rispondo al primo commento della prima nuova lettrice di
“Istituto Torquato Tasso” (incredibile!), ossia
Mabychan!
Benvenuta!
Passo
immediatamente a ringraziarti per i complimenti, e ti informo che sto
dando un’occhiata ai tuoi lavori, per cui presto ti troverai
qualche mia recensione tra capo e collo! Spero non ti
dispiaccia…
Ciao
a tutti, e alla prossima!
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