Ciao,
Annaterra! Leggevo la tua recensione e pensavo che è un
po' più complicato di così: Klaus ha SEMPRE il suo
tornaconto, non è così disinteressato come sembra. =)
Lecter (come tutti gli psicoanalisti) non si sbilancia, non fa
domande dirette, lascia parlare. Il lavoro 'vero' deve farlo Kat. Con
il procedere dei capitoli, apparirà un po' più chiaro.
Buona lettura.
Seduta
27. Studio Du Maurier, ore 20.04
Non
era un caso dei più eclatanti, di certo non da studio ne da
pubblicazione, ma era affascinato dalla giovane donna.
“Solleticato,
è il termine giusto.”
Hannibal
non poté fare a meno di increspare un angolo della bocca.
Bedelia Du Maurier si concesse a sua volta una debolezza: alzò
un sopracciglio, stupita dall'interesse umano del dottore. “Parlami
di lei.”
“Non
posso svelare i segreti di questa paziente.”
Non
ha ancora capito perfettamente. Ogni parola è un azzardo.
“La
sua età?”
Una
scintilla passò negli occhi dell'uomo. “Centinaia. E' la
sensazione che mi ha trasmesso la prima volta che l'ho vista.
Apparentemente, diciannove.”
“Stai
trasportando sulla paziente i sentimenti per Abigail Hobbs.”
Bedelia
non era mai così diretta. Non faceva parte della sua
formazione. Hannibal si rabbuiò. Ma per poco. “Non
hanno alcun tratto in comune.”
La
chiusura non passò inosservata. La dottoressa Du Maurier
allungò il braccio e sfiorò delicatamente il ginocchio
dell'uomo. “Questa perdita ha influito negativamente sulla tua
vita. Non continuare a negarlo.”
“Vorrei
fissare un altro incontro con la paziente. Vorrei che tu fossi
presente per porle tutte le domande che ritieni opportune.”
“Hannibal,
le nostre sedute sono chiacchierate fra amici. Ho smesso da tempo di
esercitare.”
“In
nome dell'amicizia, mi concede di chiamarla Bedelia, dottoressa Du
Maurier?”
Nessun
sorriso sulle labbra rosate. “Non glielo concedo, dottor
Lecter. Cosa hai provato quando Abigail è morta?”
“Dolore.
Perdita. Interruzione” sussurrò fra se. “Anche la
mia paziente ha subito una brusca interruzione in un
determinato punto della sua vita. Non era preparata alla novità.”
“Un
lutto in famiglia, una violenza in giovane età?”
“La
sua sessualità è spiccata ed egoistica, ma non mostra
segni di abusi.”
“Il
crollo di un ideale. Non hai mai parlato così tanto di un
paziente, Hannibal. Sei ossessionato”
“Ossessionato?
No.” Hannibal scosse la testa piano piano come se svolgesse il
filo di un pensiero interno in cerca della fine. “Incuriosito.”
Seduta
5. Studio Dr. Lecter, ore 19,01
“Vorrei
tu rispondessi ad una domanda diretta, Kat.”
Lecter
non fa mai domande dirette. Gli psicanalisti non ne fanno. Ci girano
intorno perché dobbiamo arrivare alla verità da
soli. Non sanno che pesci pigliare. “Non assumo
psicofarmaci. La mia droga è lo shopping, ma la moda è
orribile al momento” sospiro affondando nel divano. “Le
dispiace se mi tolgo le scarpe?”
Il
dottore fa un cenno di diniego. Lascio cadere le décolleté
da un lato e poso i piedi avvolti dai collant sul tessuto morbido.
“Non mi ha violentata.” Apro un occhio e lo vedo
immobile, la penna sollevata dal foglio. “Era questa la
domanda, no?”
“Era
questa.”
“Mi
ha reso l'esistenza impossibile, ma quando stavamo insieme, non mi ha
toccato con un dito. Gli servivo. Era indispensabile che restassi
viva e illesa.”
“E
Katerina?”
“Neppure
lei ha concesso le sue grazie a Niklaus. Era innamorata di lui,
avrebbe strigliato il suo cavallo in piena notte, pur di
accontentarlo” sibilo, ricordando un sentimento che non avrebbe
mai e poi mai dovuto provare. “Solo lei poteva credere che quel
pazzo l'avrebbe sposata!” Colpisco con il piede il bracciolo
del divano e incrocio le braccia sul seno, nervosa fino alla cima dei
capelli. “Avrebbe arato la terra con le sue mani per un singolo
sorriso e quel porco le ha ammazzato... per dio....” sibilo
rialzandomi di scatto. “Allora è vero che tutti piangono
sul lettino dell'analista!” Le lacrime colano lungo le guance,
le asciugo al volo con il dorso della mano e torno a sdraiarmi,
imbarazzata. “Possiamo parlare di qualcos'altro?”
“Indossa
calze di seta.”
“Ho
gusti sofisticati.”
L'uomo
mi guarda, muovendo appena il capo. “Solo le gentildonne di
rango elevato indossavano calze di seta, nell'antichità.”
Scivolo
via una gamba e la espongo alla sua vista. Calze di seta nere.
Lussuria pura. Che sogni di me, stanotte.
“Quanti
anni ha, Katerina?”
Sollevo
lo sguardo sull'uomo e le sopracciglia si avvicinano. E' il tipo di
domanda che nessuno fa mai. Il cellulare ronza nella borsetta. Roteo
gli occhi e con un cenno di scuse al dottore, faccio per spegnerlo,
quando leggo il nome sul display. Il cuore finisce un'altra volta in
gola.
“Se
non risponde continuerà a chiamare.”
Rispondo.
Odo silenzio dall'altra parte e appena Elijah sussurra 'Katerina', mi
viene uno sbocco di bile e lacrime. Scaravento il cellulare contro la
parete e l'oggetto si fracassa in tre pezzi anche stavolta. Ansimo di
rabbia e frustrazione ed infilo le mani fra i capelli, cercando di
riprendere il controllo. Questo è il tipo di cose che vorrei
evitare, nella vita: le scenate, le lacrime, le delusioni.
“Mi
parli di lui.”
Sto
evitando accuratamente di farlo. Tiro indietro i riccioli,
sprezzante. “Le sue domande mi irritano” dichiaro
infilando al volo le scarpe e agguantando la tracolla del borsetta.
“Ha
ancora un quarto d'ora. Vorrei che si sedette e finisse il racconto.”
La
sua voce è sempre ben modulata, calma e piacevole. Mi irrita
ancora di più. Lo ignoro, spalanco la porta dello studio, mi
getto nell'anticamera, il solito tipo barbuto alza lo sguardo di
scatto, sento un “aspetta qui, Will” e quando il dottore
mi chiama, sono già sul corridoio, immobilizzata di fronte
all'ultima persona che... “Ma che fai, mi segui?!”
Klaus
struscia la mano sulla guancia mal rasata, sta per dire qualcosa, ma
quando saetta lo sguardo alle mie spalle, si irrigidisce e tace.
“Katerina?”
“Katherine”
rettifico con voce secca e un sottofondo di paura. Klaus è
capace di farmi fuori anche l'analista. “Regali parte del mio
tempo a quel poveretto.”
“Will
non è un paziente.”
Occhieggio
l'uomo che sta vagando nello studio come un'anima in pena. Ha bisogno
dell'analista anche lui.
“Dottor
Hannibal Lecter, psichiatra.”
“Niklaus
Mikealson, vampiro.”
Ma
che fanno, si presentano?! Mi volto, raggelata. “Non ti
azzardare, Nik!”
Klaus
mi scocca un'occhiata velenosa, infila le mani in tasca e mi da le
spalle. “Ti aspetto fuori, dobbiamo parlare.”
Perché
è di nuovo qui?! Il cuore è arrivato a mille pulsazioni
e mi gira la testa. Il corridoio si muove, anche l'analista si muove.
Mi sento sostenere saldamente, mi aggrappo alle braccia del dottore e
trattengo il respiro.
“Venga.”
Piego
le gambe quando mi sollecita verso il basso e qualcosa di freddo mi
bagna le labbra. Riapro gli occhi su un bicchiere d'acqua fresco. Una
fazzoletto umido viene tamponato sulle guance e la fronte.
“E'
lui?”
Annuisco,
piano. Mi appoggio al fazzoletto ormai tiepido, premendo la mano
contro quella dell'analista. E' fresca e asciutta. Dita leggere
tamponano la gola e scendono lateralmente sul collo. Sta contando le
pulsazioni.
“Soffre
di pressione bassa?”
“No...”
“E'
incinta?”
“No...”
bisbiglio aprendo gli occhi. L'uomo, Will, è alle spalle del
dottore. Chiede se deve chiamare la guardia medica.
Non
ce n'è bisogno.
Se
voglio un passaggio a casa.
Un
passaggio, penso. Casa. Ho lasciato entrare Klaus in casa mia!
Trattengo il respiro e le lacrime salgono tutte insieme. Passo le
dita sotto gli occhi, premendo la mano contro la bocca per bloccare i
singhiozzi. “Non posso vincere contro di lui...”
“Quale
dei due?”
Nella
tempesta della mia disperazione, sento un cambiamento. Una legame che
si allenta e si sfilaccia. Sollevo le spalle come a dire che è
uguale.
“Martedì
alle diciannove?”
Annuisco
e mi sento più leggera. Con qualche speranza. Mi sa che è
quello che in psicologia chiamano catarsi.
***
“Accadono
spesso di queste cose?”
Hannibal
Lecter raccoglie il cellulare fracassato da terra, ne ricompone i
pezzi e lo accede. “Necessito di un favore, Will.”
Will
Graham non è un medico, non è un paziente, non fa parte
del FBI. Will Graham vede i crimini. Penetra la mente
dell'assassino e fornisce una spiegazione dinamica dell'omicidio. Il
suo emisfero destro è infiammato. Sindrome autoimmune. Will
Graham sta impazzendo lentamente. Si sveglia in posti strani. 'Si
sveglia', quando crede di essere sveglio.
“Vorrei
tu rintracciassi l'ultima telefonata fatta a questo cellulare”
mormora scoprendo il nome nascosto. Lo appunta nella sua agenda
insieme al numero. Lo racchiude in un parallelepipedo d'inchiostro
nero. “E' molto importante.”
“E
quell'uomo, nell'anticamera?”
Una
traccia delicata ha macchiato il polsino destro immacolato. Hannibal
Lecter lo nota appena. “Lui” dichiara con voce ferma “è
la soluzione e la causa.”
***
“Da
quando vai da uno strizzacervelli?”
Vorrei
non rispondere. Vorrei non averlo mai fatto entrare. Non mi ha ancora
riferito il motivo della visita. “Da quando te ne frega
qualcosa di me?”
Klaus
finisce di condire il piatto e fa a cambio col mio, vuoto. Osservo
l'insalata con aceto balsamico che ha accompagnato la bistecca ai
ferri e la stuzzico con la forchetta, svogliata. Non è male
avere un cuoco personale. “Non dovresti essere a New Orleans ad
esercitarti a fare il padre?”
“Mi
sto esercitando. Elijah ti ha chiamato?”
Lo
sa, penso. Si parlano ancora. “Ho tirato il cellulare contro il
muro.”
“E
l'analista cosa ha detto?”
“Credo
abbia liberato l'agendina per i prossimi tre anni” sospiro
bevendo un enorme bicchiere d'acqua fresca. “Maschio o
femmina?”
“Maschio.”
Un
altro bastardo come lui. “Grande festa in casa Mikealson. La
madre?”
“Non
mi interesso della sua salute.”
“Cioè
voi non...” muovo una forchetta nel vuoto e Klaus mi guarda
appena, distratto da un quadro comprato da un'artista di strada non
ricordo dove. “Non ti sembra di esagerare con il distacco?”
“Dovrei
accompagnarla nel suo shopping premaman?”
“Come
ti sei ridotto...” borbotto finendo l'insalata e attaccando il
dolce. “Il topper al cioccolato?”
“Toh”
borbotta lanciandomi la confezione. Spremo un rivoletto abbondante di
cioccolato sul gelato e mi lecco un dito. “Se ci sei andato a
letto, in minima parte ti piaceva. Hai paura di innamorarti della
madre di tuo figlio?”
“E'
stata una scopata alcolica.”
Secco
e diretto nelle risposte. L'argomento lo annoia e vuole tagliare
corto. “Mi ricordi che devo cominciare a prendere precauzioni
in quel senso” mugugno e una goccia di gelato alla crema
finisce sul mento. La pulisco col tovagliolo e Klaus torna a sedersi
di fronte a me. Ha una brutta cera. “Hai messo qualcuno
sotto i denti?”
Scuote
la testa e gratta la cute fra i capelli. “Non negli ultimi
tempi.”
“La
stai affrontando proprio male, questa paternità”
borbotto con il cucchiaino in bocca. Non ha neppure capito la battuta
ed io non riesco a smettere di parlare. Se stiamo in silenzio,
l'imbarazzo aumenta.
“Il
tuo analista puzzava di sangue.”
“E'
un gourmet chef. Prepara da se la propria scorta alimentare.
Ho fatto le mie ricerche.”
“Si
dice così, ora? Gourmet? Non più assassino a
sangue freddo?”
Batto
il retro del cucchiaino sulla sua nocca a mo di rimprovero e Klaus
bisbiglia 'ahio' a mezza bocca.
“Dovevi
ascoltare quello che aveva da dire, invece di fare la pazza e
lanciare il telefono.”
Lo
stomaco si chiude a tempo zero. Abbandono la ciotola. La
consapevolezza toglie l'appetito. “Si sta occupando di
Hayley... per questo sei qui. Per evitare che la piccola Katherine
faccia la pazza.”
Klaus
sbircia la mia reazione. “E per nascondermi.”
Mi
lascio andare contro la sedia, annichilita. Ci metto un po' ad
accettare l'idea che si stia prendendo cura di un'altra donna quando
IO... cioè, quando Katerina... “Beh, se tu non lo vuoi,
lascia che sia lui a crescerlo...”
Mi
guarda di nuovo, ma con uno bagliore diverso negli occhi. L'idea non
gli dispiace. “Ora sei di buon umore?”
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