Mai Più Noi-Capitolo 1
CAPITOLO 1
Pioveva. Il cielo scuro si rifletteva nelle grosse
pozzanghere che, in due giorni di pioggia, si erano create in abbondanza.
Pioveva e lei correva. Correva veloce, come se
qualcuno la stesse inseguendo, e non si fermava mai. I piedi, ormai zuppi di
piccole gocce trasparenti, la sorreggevano ancora, unici suoi alleati in quella
maratona furiosa.
Pioveva e lei correva, e intanto piangeva.
Piangeva disperata, per quell’amore finito prima ancora di essere iniziato. Le
lacrime sottili le rigavano il viso già bagnato dal volere del cielo.
Un’auto distratta, passò sopra una grossa pozza
d’acqua e la bagnò ancora di più di quanto già lo fosse.
Si era fermata. Era arrivata alla sua
destinazione.
Volse i profondi occhi neri verso quel grande
balcone di pietra che, sopra di lei, la guardava severo.
La sua corsa era finita, era arrivata al punto di
partenza, al traguardo, sotto quella casa colma di ricordi allegri e di
delusioni. Sotto quella casa che li aveva visti ridere, domandare e litigare.
Sotto quella casa che era stata anche un po’ sua. Sotto quella casa che, ormai,
era di tutti e due.
Alzò lo sguardo, come a sfidare il maltempo, e si
asciugò le lacrime, per fare spazio a quelle nuove, che erano già pronte a
seguire il destino delle precedenti.
Girò la testa per guardarsi intorno. Non c’era
nessuno, era il momento giusto.
Non volle neanche sapere se era in casa o meno,
lei aveva corso, ed era il momento di dare un significato alla stanchezza che la
affliggeva.
Raccolse tutto il fiato che aveva in gola e sputò
quelle aspre parole che facevano male a lei, ma anche a colui che avrebbe dovuto
sentirle.
Era uno strano modo per dire addio a qualcuno, ma
lei aveva pensato che sarebbe stato molto meglio così, che per telefono.
Quella sentenza, quello strano punto e a capo al
termine di una storia durata troppo poco per essere chiamata tale, si era
dimenato tanto all’interno della mente di lei e ora aveva trovato la via adatta
per uscire.
Aspettò. Per diversi secondi che a lei, triste,
bagnata e stanca, parvero ore, ma niente, nemmeno una parola da qualche anziana
signora che tentava di dormire, nessuno le rispose.
Come? Tutto quello che aveva fatto era stato
inutile, nessuno l’aveva sentita, forse neanche lui. Quella fatica che le
sarebbe costata due settimane di punizione, non aveva prodotto alcun risultato.
Venne invasa da uno strano senso di sconforto,
come se tutta la sua vita, fino a quel momento, l’avesse vissuta solo per
arrivare ad un traguardo che non meritava quel nome.
Non era arrivata da nessuna parte. Quello che lei
per giorni aveva pensato l’avrebbe fatta di nuovo ridere, l’aveva fatta
diventare più insicura.
Si scostò i capelli fradici dalla fronte e si
lasciò cadere su quel marciapiede grigio, che la accolse con un abbraccio
gelido.
Ora non riusciva più a distinguere se piangesse
per la tristezza o ridesse per il nervoso che aveva addosso. Ognuna delle due
eventualità le dava fastidio al solo pensiero.
Perché era arrivata fino a lì?
Perché aveva fatto tanto sforzo per trovarsi sotto
quel palazzo?
Il perché non lo sapeva nemmeno lei. Veramente non
aveva mai saputo il perché di nulla di tutto ciò che aveva fatto nell’ultimo
mese.
Chiuse gli occhi. Li chiuse come ad accogliere
quel dolore lancinante che aveva tenuto dentro di lei per tutte quella
settimane.
Fra lo scroscio della pioggia che cadeva
imperterrita e la bagnava dispettosa, riconobbe, senza alcun dubbio, il rumore
di una finestra che si apriva.
Riprese quel minimo di speranza che le bastava per
alzarsi e volgere lo sguardo in direzione del suono.
Era lui. La stava guardando dall’alto della
finestra della sua camera. Da quell’alto che gli infondeva sicurezza. Non
era neppure sceso.
I loro sguardi si incrociarono e l’attesa che uno
dei due si arrendesse fu interminabile.
Nello sguardo di lei si leggeva chiaramente la
tristezza che, anche se voleva, era impossibile nascondere. Era una tristezza
forte, vera, che avrebbe lasciato qualsiasi essere umano senza possibilità di
provare rabbia nei suoi confronti.
Nello sguardo di lui, tutto il suo pentimento e la
sua insicurezza, erano ben lontani dal potersi leggere. Erano due occhi forti,
di un azzurro cielo che stonava in quella sera di novembre. Reggeva lo sguardo
sconsolato di lei e lo ricambiava con una carta più forte, spiazzante, ma
nessuno dei due aveva l’intenzione di mollare.
All’interno dei cuori di entrambi balenavano i
ricordi dei momento più svariati che avevano passato insieme.
Quei pochi, ma intensi minuti, sembravano non
voler scorrere.
La prima a cedere fu lei.
Non ce la faceva a guardarlo negli occhi senza
provare quel sentimento che aveva sorretto per due interi anni un’amicizia,
all’apparenza, interminabile.
Abbassò la testa, quasi vergognandosi di averlo
fatto.
Sentiva sulla sua pelle gli occhi di lui. La stava
guardando, ma non diceva niente.
Non rispondeva al suo ultimatum. Lo ignorava, come
se non fosse stato mai lanciato, e questo le dava molto fastidio.
Quando non ne potè veramente più, la ragazza alzò
di nuovo la testa. Le provocava ansia essere guardata senza guardare. La bocca,
quella stessa bocca che poco tempo prima aveva desiderato sfiorare le sue
labbra, era serrata. Aveva già svolto il suo compito, era stato difficile, ma
l’aveva fatto, aveva già parlato.
Ora toccava a lui. Era compito di quel ragazzo,
che si sentiva protetto sopra il suo balcone, parlare, ma lui non parlava, non
capiva che per lei era necessario sentirsi dire qualsiasi cosa, ma qualcosa.
O forse lo capiva, ma voleva farla soffrire.
Voleva ripagarla con la stessa moneta con cui lei lo aveva ferito:
l’indifferenza.
La ragazza si girò di scattò, inizio a camminare
lentamente per la strada sotto casa sua.
Sapeva che lui la stava ancora guardando e per
quello camminò ancora più lenta, come per dargli la possibilità, l’ultima, di
dirle qualcosa.
Non parlava. Stava zitto, forse sentendosi
superiore a lei.
La ragazza voltò l’angolo. Ora era finita per
sempre.
Il giorno dopo non avrebbe più accettato nemmeno
una parola. Aveva avuto la sua possibilità e non l’aveva sfruttata, per lei
voleva dire molto.
Continuava a camminare sotto la pioggia,
lentamente, senza rendersi conto del dolore che in quel momento regnava sovrano
all’interno del suo cuore.
Si fermò al semaforo e, solo in quel momento, capì
che era realmente, tutto finito, per sempre.
-*-*-
Chiuse la finestra. Ce l’aveva fatta, non era
scoppiato a piangere, aveva vinto.
Era riuscito a sostenere il suo sguardo triste,
sconfortato che, per un istante, aveva messo sconforto anche in lui.
Non aveva parlato, l’aveva fatta soffrire a fondo,
si era dimostrato superiore.
Ora, non avrebbe avuto più problemi, non avrebbe
più dovuto chiedersi se lei aveva letto l’ultimo messaggio che le aveva mandato,
se stava rispondendo, se stava provando quello che lui avrebbe voluto farle
provare.
Aveva messo a tacere, finalmente, quella storia.
Aveva dato una risposta definitiva a tutti i suoi
punti interrogativi.
Non si sarebbero più parlati, non avrebbe più
dovuto sostenere quei due occhi neri che l’avevano fatto innamorare.
Non avrebbe più avuto lei.
Si voltò verso la strada. Aveva vinto o
perso?
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E' il primo capitolo della mia prima
ff. Cercate di non essere troppo severi nel commentare,
please....
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