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Autore: miss dark    22/01/2008    8 recensioni
Una ragazza innamorata del suo migliore amico.
Lui non ricambia, non subito.
Potranno mai avere una storia, o entrerà qualcun altro nella loro vita?
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mai Più Noi-Capitolo 1

CAPITOLO 1


Pioveva. Il cielo scuro si rifletteva nelle grosse pozzanghere che, in due giorni di pioggia, si erano create in abbondanza.

Pioveva e lei correva. Correva veloce, come se qualcuno la stesse inseguendo, e non si fermava mai. I piedi, ormai zuppi di piccole gocce trasparenti, la sorreggevano ancora, unici suoi alleati in quella maratona furiosa.

Pioveva e lei correva, e intanto piangeva. Piangeva disperata, per quell’amore finito prima ancora di essere iniziato. Le lacrime sottili le rigavano il viso già bagnato dal volere del cielo.

Un’auto distratta, passò sopra una grossa pozza d’acqua e la bagnò ancora di più di quanto già lo fosse.

Si era fermata. Era arrivata alla sua destinazione.

Volse i profondi occhi neri verso quel grande balcone di pietra che, sopra di lei, la guardava severo.

La sua corsa era finita, era arrivata al punto di partenza, al traguardo, sotto quella casa colma di ricordi allegri e di delusioni. Sotto quella casa che li aveva visti ridere, domandare e litigare. Sotto quella casa che era stata anche un po’ sua. Sotto quella casa che, ormai, era di tutti e due.

Alzò lo sguardo, come a sfidare il maltempo, e si asciugò le lacrime, per fare spazio a quelle nuove, che erano già pronte a seguire il destino delle precedenti.

Girò la testa per guardarsi intorno. Non c’era nessuno, era il momento giusto.

Non volle neanche sapere se era in casa o meno, lei aveva corso, ed era il momento di dare un significato alla stanchezza che la affliggeva.

Raccolse tutto il fiato che aveva in gola e sputò quelle aspre parole che facevano male a lei, ma anche a colui che avrebbe dovuto sentirle.

Era uno strano modo per dire addio a qualcuno, ma lei aveva pensato che sarebbe stato molto meglio così, che per telefono.

Quella sentenza, quello strano punto e a capo al termine di una storia durata troppo poco per essere chiamata tale, si era dimenato tanto all’interno della mente di lei e ora aveva trovato la via adatta per uscire.

Aspettò. Per diversi secondi che a lei, triste, bagnata e stanca, parvero ore, ma niente, nemmeno una parola da qualche anziana signora che tentava di dormire, nessuno le rispose.

Come? Tutto quello che aveva fatto era stato inutile, nessuno l’aveva sentita, forse neanche lui. Quella fatica che le sarebbe costata due settimane di punizione, non aveva prodotto alcun risultato.

Venne invasa da uno strano senso di sconforto, come se tutta la sua vita, fino a quel momento, l’avesse vissuta solo per arrivare ad un traguardo che non meritava quel nome.

Non era arrivata da nessuna parte. Quello che lei per giorni aveva pensato l’avrebbe fatta di nuovo ridere, l’aveva fatta diventare più insicura.

Si scostò i capelli fradici dalla fronte e si lasciò cadere su quel marciapiede grigio, che la accolse con un abbraccio gelido.

Ora non riusciva più a distinguere se piangesse per la tristezza o ridesse per il nervoso che aveva addosso. Ognuna delle due eventualità le dava fastidio al solo pensiero.

Perché era arrivata fino a lì?

Perché aveva fatto tanto sforzo per trovarsi sotto quel palazzo?

Il perché non lo sapeva nemmeno lei. Veramente non aveva mai saputo il perché di nulla di tutto ciò che aveva fatto nell’ultimo mese.

Chiuse gli occhi. Li chiuse come ad accogliere quel dolore lancinante che aveva tenuto dentro di lei per tutte quella settimane.

Fra lo scroscio della pioggia che cadeva imperterrita e la bagnava dispettosa, riconobbe, senza alcun dubbio, il rumore di una finestra che si apriva.

Riprese quel minimo di speranza che le bastava per alzarsi e volgere lo sguardo in direzione del suono.

Era lui. La stava guardando dall’alto della finestra della sua camera. Da quell’alto che gli infondeva sicurezza. Non era neppure sceso.

I loro sguardi si incrociarono e l’attesa che uno dei due si arrendesse fu interminabile.

Nello sguardo di lei si leggeva chiaramente la tristezza che, anche se voleva, era impossibile nascondere. Era una tristezza forte, vera, che avrebbe lasciato qualsiasi essere umano senza possibilità di provare rabbia nei suoi confronti.

Nello sguardo di lui, tutto il suo pentimento e la sua insicurezza, erano ben lontani dal potersi leggere. Erano due occhi forti, di un azzurro cielo che stonava in quella sera di novembre. Reggeva lo sguardo sconsolato di lei e lo ricambiava con una carta più forte, spiazzante, ma nessuno dei due aveva l’intenzione di mollare.

All’interno dei cuori di entrambi balenavano i ricordi dei momento più svariati che avevano passato insieme.

Quei pochi, ma intensi minuti, sembravano non voler scorrere.

La prima a cedere fu lei.

Non ce la faceva a guardarlo negli occhi senza provare quel sentimento che aveva sorretto per due interi anni un’amicizia, all’apparenza, interminabile.

Abbassò la testa, quasi vergognandosi di averlo fatto.

Sentiva sulla sua pelle gli occhi di lui. La stava guardando, ma non diceva niente.

Non rispondeva al suo ultimatum. Lo ignorava, come se non fosse stato mai lanciato, e questo le dava molto fastidio.

Quando non ne potè veramente più, la ragazza alzò di nuovo la testa. Le provocava ansia essere guardata senza guardare. La bocca, quella stessa bocca che poco tempo prima aveva desiderato sfiorare le sue labbra, era serrata. Aveva già svolto il suo compito, era stato difficile, ma l’aveva fatto, aveva già parlato.

Ora toccava a lui. Era compito di quel ragazzo, che si sentiva protetto sopra il suo balcone, parlare, ma lui non parlava, non capiva che per lei era necessario sentirsi dire qualsiasi cosa, ma qualcosa.

O forse lo capiva, ma voleva farla soffrire. Voleva ripagarla con la stessa moneta con cui lei lo aveva ferito: l’indifferenza.

La ragazza si girò di scattò, inizio a camminare lentamente per la strada sotto casa sua.

Sapeva che lui la stava ancora guardando e per quello camminò ancora più lenta, come per dargli la possibilità, l’ultima, di dirle qualcosa.

Non parlava. Stava zitto, forse sentendosi superiore a lei.

La ragazza voltò l’angolo. Ora era finita per sempre.

Il giorno dopo non avrebbe più accettato nemmeno una parola. Aveva avuto la sua possibilità e non l’aveva sfruttata, per lei voleva dire molto.

Continuava a camminare sotto la pioggia, lentamente, senza rendersi conto del dolore che in quel momento regnava sovrano all’interno del suo cuore.

Si fermò al semaforo e, solo in quel momento, capì che era realmente, tutto finito, per sempre.

-*-*-

Chiuse la finestra. Ce l’aveva fatta, non era scoppiato a piangere, aveva vinto.

Era riuscito a sostenere il suo sguardo triste, sconfortato che, per un istante, aveva messo sconforto anche in lui.

Non aveva parlato, l’aveva fatta soffrire a fondo, si era dimostrato superiore.

Ora, non avrebbe avuto più problemi, non avrebbe più dovuto chiedersi se lei aveva letto l’ultimo messaggio che le aveva mandato, se stava rispondendo, se stava provando quello che lui avrebbe voluto farle provare.

Aveva messo a tacere, finalmente, quella storia.

Aveva dato una risposta definitiva a tutti i suoi punti interrogativi.

Non si sarebbero più parlati, non avrebbe più dovuto sostenere quei due occhi neri che l’avevano fatto innamorare.

Non avrebbe più avuto lei.

Si voltò verso la strada. Aveva vinto o perso?

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E' il primo capitolo della mia prima ff. Cercate di non essere troppo severi nel commentare, please....

  
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