Ventiseiesimo capitolo
Un riassuntino veloce
per i miei lettori, perché stavolta ho fatto passare davvero troppo
tempo! Che può essere utile anche per chi è rimasto un po' indietro ;)
Curtis
ha rivelato la sua vera identità: un cacciatore. Acilia, per salvarsi,
è stata costretta ad ucciderlo ma, braccata ormai dagli altri
cacciatori, ha preso la difficile decisione di consegnarsi. Sotto
tortura, ha dichiarato davanti all'intera nazione che, se l'avessero
lasciata andare, avrebbe ucciso Kaeso, un vampiro crudelissimo, da lei
stessa creato, che sta seminando il panico nel mondo. E, una volta
fatto, si sarebbe consegnata a loro. Gli umani l'hanno assecondata e
Acilia, Dubris, Ramona, Victoire e gli altri si sono messi sulle
tracce di Kaeso. Rapita e torturata Svetlana, creata di Kaeso, i
protagonisti hanno scoperto dove trovarlo: in un paese in Valle
D'Aosta. Dubris ha poi ucciso Svetlana, con grande disappunto di
Ramona. Il PPC ora si trova all'interno del castello di Kaeso e la
battaglia è cominciata. Dubris ha trovato Eliza e Charlene, entrambe
prigioniere di Kaeso. Ramona è stata costretta a rivelare a Kaeso il
mistero dell'origine dei vampiri e lui l'ha uccisa per vendicare
Svetlana.
Nel
frattempo in Inghilterra Claire, essendo stata attaccata da dei
vampiri, in punto di morte ha chiesto a Jacque e ad Eike di essere
trasformata. L'esperimento è fallito perché Claire aveva già del sangue
di vampiro in corpo, avendo fatto il patto. Per il momento è sepolta in
una fossa, e Jacque ed Eike non sanno che fare: si tratta solo di
aspettare una settimana.
In
questo capitolo c'è una sequenza appartenente al passato, che è il
continuo di una sequenza di due capitoli fa. Kaeso, mostro sanguinario,
nel 376, ha mutilato un ragazzino, privandolo di una gamba e della
lingua, e l'ha portato, come fosse un dessert, ad Acilia che,
spaventata, cerca di far rinsavire il suo creato. E Kaeso mostra un
lato di sè che Acilia ora preferirebbe dimenticare...
CAPITOLO XXVI
Acilia
e gli altri erano partiti la scorsa notte. Jacque lo aveva detto con
una pesantezza negli occhi che ad Emily non era potuta sfuggire.
Poi, ve lo giuro, mi avrete. E farete di me quel che vorrete.
Le
parole di Acilia, così strane, risuonavano nelle orecchie di Emily.
L’immagine di Jacque che cadeva sulle ginocchia davanti alla
televisione con quellosguardo si faceva molteplice nella sua mente.
Aveva
provato a chiedergli come stava ma lui non le rispondeva. Anche Eike,
seduto sul divano e dondolando concitatamente le gambe, mostrava un
certo triste nervosismo, e non era da lui.
Che ne vuoi sapere tu, Emily, di quello che provano?
Se
Jacque avesse perso Acilia, cos’avrebbe perso? Quello che lei non aveva
mai capito, quel loro rapporto così strano. Una madre, una sorella,
un’amica e amante allo stesso tempo. Ad Emily venivano i brividi.
Michael succhiò rumorosamente dalla cannuccia il fondo del suo succo di frutta ed Emily si ridestò.
Lo
guardò un po’ torva, poi si addolcì, guardandolo a
testa china sul suo succo, tristemente curvo e ingobbito.
“Come sta Lydia?” si levò ad un tratto la voce di Eike.
Emily
lo fissò, stupita. “Male” rispose, automaticamente “Ho provato a
parlarle… Sono stata capace solo di mettermi a piangere con lei”. Forse
ora stava dormendo, pensò poi, chissà se ci era riuscita, ad
addormentarsi. Aveva paura di incontrare Sam nei sogni, o forse era
quello che sperava. “Non esce mai dalla mia camera”. Anche i suoi
genitori erano da poco andati a letto, rassegnatisi all’idea che Jacque
ed Eike non sarebbero stati pericolosi per i loro figli.
Eike annuì senza dire altro. Ad Emily dispiacque. Le sarebbe piaciuto fare conversazione, qualunque cosa era meglio di quel silenzio.
“Non avete notizie?” chiese. Era una domanda stupida.
“Staranno combattendo, non possono stare al telefono!” esclamò Eike.
Michael
soffocò una risata con la cannuccia in bocca e quasi si strozzò. Emily
gli batté la mano sulla schiena mentre lui tossiva, riemergendo con le
labbra e il mento arancioni.
“Erano
diretti in Italia, sulle Alpi” aggiunse Jacque “Sono andati con
l’elicottero e là avrebbero preso un furgone, han detto. Saranno già
arrivati da un pezzo”.
Quindi ha parlato con qualcuno, pensò la ragazza, con Dubris? Con Acilia?
Lo squadrò con cautela. “Ma sono sicuri che Kaeso sia lì?”.
Lui annuì e non pareva intenzionato a parlare ancora.
Emily
si alzò in piedi, di scatto, mentre tutte le sue ferite si riaprivano.
Jacque aveva finalmente parlato dopo tanto tempo e lei non avrebbe
permesso che lui si richiudesse di nuovo nel suo silenzio.
“Jacque” fece, poco convinta “Posso parlarti un attimo? Per favore”.
Lui
la guardò con ancor meno sicurezza, la sua espressione diceva tutto:
che non gliene fregava più nulla di lei. Però poi si alzò, sotto lo
sguardo curioso di Eike, e la seguì in cucina.
Lei
chiuse la porta, tentando un sorriso in direzione di Michael che, dal
divano, la guardava incerto. Stette qualche secondo a fissare il legno
graffiato della porta poi prese coraggio e si voltò.
Jacque
la guardava mestamente e lei non sapeva più cosa dire. Frasi cominciate
e lasciate a metà, parole a caso, impulsi ed emozioni, che le
percorrevano la mente di continuo, e ora il vuoto.
Ma, sorprendentemente, parlò lui: “Non ti ho ancora ringraziato per il sangue che mi hai dato”.
“Oh”
fece Emily, con un piccolo tremito “E io devo ringraziarti per essere
venuto qui con l’argento in mano… E per aver portato a casa Lydia”.
L’altro annuì, puntellandosi il labbro inferiore con quello superiore.
“Perché
l’hai fatto?” proruppe improvvisamente la voce di lei “Perché sei
qua?”. Sentiva gli occhi inumidirsi e lei si voltò da un’altra parte
per asciugarseli, odiandosi.
Lui non rispondeva, allora lei andò avanti: “Perché mi vuoi proteggere?”.
“Perché ti voglio bene, lo sai”.
Emily
pensava che la risposta fosse un’altra. Gli si avvicinò, sforzandosi di
trattenere le lacrime. “A te piace proteggere la gente. E ora stai così
perché non puoi fare niente per proteggere Acilia”.
Certo, però lei, lui l’ama. Si vede, è ovvio.
Fu
più forte di lei e lo abbracciò. Era da quando lo aveva visto entrare
in casa, qualche notte prima, con tutto quell’argento letale in mano,
che aveva voglia di farlo.
Lo abbracciava, voleva baciarlo, parlare di loro ma parlava di un’altra.
“Hai tanta paura per lei, vero?”.
Lui finalmente le mise le braccia intorno alla vita ed Emily non riuscì a trattenere un singulto.
“Sì”.
La
ragazza si mise a piangere e Jacque la strinse. “Voglio che muoia
nel modo in cui vuole. E non è così, non è
così…”.
“Non
lo sai, Jacque” disse lei, tra le lacrime “Devi lasciarla
andare, farle fare quello che crede…”.
Jacque
la strinse più forte e il suo respiro si fece più
irregolare. “Mi manchi” le sussurrò, debolmente.
Emily
non riusciva più a tenere a freno le lacrime e pianse senza ritegno
contro il petto del vampiro. Era freddo, freddissimo ma la faceva
sentire bene. La morte di Sam, l’umanità in pericolo, il suo stupido e
sciocco amore… Tutto si riversava in gocce di pianto disgraziate, che
non ne volevano sapere più di niente. Non volevano nulla, solo uscire e
inondare tutto, distruggerlo.
Lo stai facendo, stai distruggendo tutto…
“Emily” fece Jacque “Dai, per piacere, smetti di piangere…”.
Lei
tirò su col naso alzò il viso, cercando i suoi occhi.
“È una delle prime cose che mi hai detto: non
piangere”.
Jacque sbatté le palpebre, lievemente attonito.
Emily proseguì, con voce spezzata: “E io poi ti domandai se avevi voglia di piangere, ti ricordi?”.
Lui annuì. Quegli occhi secchi e spenti, quegli occhi che, la prima volta che li aveva visti, la terrorizzavano.
“Tu
mi risposi di sì ma io… Io non avevo capito” disse ancora Emily “Non
avevo capito niente…”. Strinse gli occhi per far uscire le lacrime.
Bruciavano e rendevano tutto opaco. Mentre Jacque era splendente e lei
voleva vederlo. Le stava accarezzando il viso, con un’espressione che
in qualche modo era quella di qualche mese prima, ma in un altro modo
ancora era diversa.
“Ora
ho capito perché vuoi tanto piangere” fece lei
“Adesso più che mai, non è vero?”.
Jacque
le era così vicino. La sua mano, sul viso di lei, fredda, refrigerante,
come poteva lei perdersi in un torpore d’amore? Lui la teneva sveglia,
viva, triste, arrabbiata, felice.
“E anche tu mi manchi…” pianse infine Emily.
Jacque
continuava a tenerla stretta e a guardarla, lei non poté più
trattenersi. In tutte quelle notti niente le arrecava sollievo più di
lui, era lui che le faceva ancora sperare, e le faceva pregare che il
sole tramontasse al più presto e che non la faceva mai sentire stanca,
non più. Si avvicinò alla sua bocca e lui ricambiò il bacio. In uno
scatto di passione lui la sollevò e la fece sedere sul tavolo.
Rovistava nella sua pelle come se non avesse cercato altro per tutta la
vita e lei sentì infuocarsi, nonostante la pioggia di ghiaccio che le
cadeva addosso. Era pronta a spogliarsi, pronta a cedere ad un magico
momento di un periodo oscuro, quando la lingua di Jacque smise di
muoversi e con un ultimo bacio sulle labbra lui si discostò.
“Scusa” disse lui, evitando il suo sguardo “Non posso, non riesco, in questo momento…”.
Ma
certo, pensò Emily, nel momento in cui pensa così
intensamente ad Acilia, e ha paura per lei, non può fare niente
con me.
Sei la solita egoista.
Eppure
mentre le lacrime tornavano a riempirle prepotentemente gli occhi e
vedeva il ragazzo con cui era stata per sei mesi che neanche riusciva a
guardarla, non si sentiva affatto un’egoista.
“Mi
dispiace” continuò lui, scuotendo la testa “Ti ho
già delusa, ho deluso Eike, tutti… Non posso”.
Perché mi hai detto che ti manco?
Emily annuì, senza riuscire a dire niente. Le parole le si strozzavano in gola.
Cosa ti manca di me?
Jacque
si allontanò e lei scese dal tavolo. Lui la stava aspettando di fronte
alla porta e lei gli fece un cenno. “Vai prima tu” disse, con voce
tremante.
Il ragazzo obbedì e richiuse la porta dietro di sé, e lei scoppiò istantaneamente a piangere.
Acilia è stata importante per me… Ma lei mi ha trasformato in quello che sono… Che senso ha mi chiedo?
Che
senso ha, si chiedeva Emily. In quale malsano modo si era innamorata di
un vampiro? Ricordava l’espressione pungente di Lydia; tu sei malata,
le aveva detto.
Era un amore malato e ho provato a guarire, aveva detto Jacque.
Non sei guarito, pensò Emily, non sei guarito e ora lo provo anch’io un amore malato, è malato tutto questo.
Continuò
a piangere. Nella sua testa sentiva le urla disperate di Lydia, e lei
piangeva di più, sempre di più.
Dubris
non sapeva dire da quanto tempo stesse gridando, ma a un certo punto il
dolore finì e lui capì di essere rannicchiato a terra sulle sue
ginocchia. Annaspò e alzò la testa.
La donna umana era a ridosso di una parete e lo guardava spaventata. La bambina non aveva mosso un muscolo, e lo fissava.
Dubris
si alzò, a fatica. L’impulso gli gridava di correre via, andare a
cercare Ramona e assicurarsi che fosse stata solo un brutto scherzo
della sua mente. Ma lo sguardo di quella bambina lo teneva lì
inchiodato.
“Chi è stato?” sussurrò. Chi aveva ucciso Ramona? Chi?!
“Quel vampiro di nome Kaeso” rispose l’umana, avvicinandosi un poco.
Kaeso… è stato Kaeso…
Dubris
puntò il suo sguardo sull’umana, che si ritrasse appena.
Non doveva avere uno sguardo molto amichevole in quel momento.
“Come fai a saperlo?”.
“Stava sempre con lei” singhiozzò l’altra.
Dubris aggrottò la fronte poi capì che la donna si riferiva alla sua, di figlia.
“Ho paura ad avvicinarmi a lei” diceva, piangendo “Come posso aver paura di mia figlia?”.
Il vampiro si avvicinò alla bambina e le toccò una guancia. Carne morbida e fredda.
“Come ti chiami?” le chiese.
“Charlene”
rispose quella. Inclinò appena lo sguardo, sembrava volesse cercare la
madre con gli occhi, ma si fermò a metà strada. “Non voglio fare male
alla mamma”. Indossava un vestitino rosa a fiori.
“Fai
bene a non avvicinarti” disse Dubris, rivolgendosi alla madre,
continuando ad accarezzare il viso di Charlene, come in un gesto
automatico che poteva non avere mai fine “Non sarebbe in grado di
controllarsi”.
Tu non ti sei controllato, Dubris.
“Me
l’hanno tenuta lontana perché volevano che rimanessi
incolume… Lei… Lei… non mi guarda neanche!”.
Ramona, davanti a lui, gli diceva di controllarsi, di non uccidere Svetlana.
La vendetta non porta niente, solo ad altra vendetta.
“E’
incredibilmente controllata, per essere un vampiro così giovane” si
sforzò di dire Dubris. Charlene era davvero intelligente, sapeva cosa
sarebbe successo a sua madre se si fosse avvicinata? E se si fosse
trattato di un altro umano? L’avrebbe attaccato, sicuramente. Ma da
quanto tempo non mangiava? Se non si nutriva, l’avrebbe attaccata,
avrebbe ucciso sua madre… Quando lui era entrato nella stanza, aveva
notato i suoi grandi occhi blu. Il loro colore ora invece stava
cominciando a sfumare, in una striscia purpurea.
“Devo portarvi fuori di qui, subito” disse.
Che fai, Dubris? Vuoi proteggere anche il vampiro infante?
Senza creati, cerchi già qualcun altro di cui occuparti…
Dubris gridò e scivolò di nuovo a terra.
Non vuoi che io assista? Cosa le vuoi fare?
Mi dispiace, mi dispiace, pensò Dubris… Era tutta colpa sua! Era stato Kaeso… si era vendicato!
Potrei cercare la morte, cercando di uccidere Kaeso.
No,
si disse il vampiro, a chi sarei utile in questo modo? Ramona era
morta, così come lo era Lyuben. Non doveva più cercare vendetta, non
doveva più distruggere, doveva salvare delle vite!
Chissà se Ramona sarebbe fiera di me se porto via Charlene e sua madre…
Dubris
lanciò di nuovo un grido, battendo un pugno sul letto su cui
Charlene era seduta. D’altronde era il suo modo di piangere.
“Che succede?!” strillò l’umana.
Voglio vederlo morto, morto! gridava Dubris, dentro di sé.
E se uccidesse anche Acilia?
“Che succede?!” gridò ancora la donna.
Dubris
inspirò a fondo, poi alzò lo sguardo verso di lei.
“Colui che ha fatto questo a tua figlia, ha ucciso la mia
creata”.
L’umana sembrò non capire. “Creata…”.
“La mia figlia vampira. Una donna che ho trasformato io stesso” spiegò lui.
“Mostri…” fece lei, scuotendo la testa “Siete mostri che trasformate!”.
Dubris
vacillò. Non aveva mai chiesto scusa a Ramona, per averla trasformata.
Ma lei gli voleva bene, lui lo sapeva… Gli voleva bene davvero?
“Vi porterò fuori di qui” dichiarò.
Si alzò, reggendosi sul bordo del letto con le mani.
“Charlene” disse “Sei veloce ora. Seguici”.
In
un lampo fu vicino alla madre e la prese per la vita. Lei lasciò andare
un’esclamazione, poi scosse la testa dicendo: “Prendi in braccio lei”.
Dubris fece un sorrisetto mesto. “Non ne ha bisogno”.
Le
iridi castane della donna parvero vibrare poi lei aprì la bocca,
premendosi una mano contro le labbra. I suoi occhi si chiusero e lei si
acquietò.
Dubris
aggrottò la fronte e finalmente chiese quello che, in realtà, si era
domandato fin da subito. “Perché non ti hanno fatto niente? Perché
volevano che rimanessi incolume?” fece, ripetendo le parole che aveva
usato lei.
La
donna scosse la testa e inspirò a fondo. Poi alzò quegli
occhi caldi e arrossati su di lui. “Sono incinta” disse.
Dubris
rivedeva davanti a sé Kaeso che teneva in braccio quell’umana e sua
figlia, che le portava via. E lui, lui non poteva fare niente… Sparagli gridava Victoire Dobbiamo prenderlo! Non gli aveva sparato e Ramona non c’era più. Credevi di fare l’eroe? si era chiesto, cosa credevi?
Ramona era volata via in un posto di morte, nel vero posto di morte.
Un
pensiero positivo per la prima volta lo pervase, mentre continuava a
contare i respiri della donna davanti a lui. Ramona avrebbe raggiunto
Lyuben.
Ma dove?
Eppure è stata colpa tua, Dubris, tua!
I
respiri dell’umana si trasformarono di nuovo in lacrime. Un lamento di
bambina affamata, presto quella donna sarebbe morta, dissanguata,
uccisa da sua figlia… E Dubris le rivedeva, le avrebbe sempre riviste,
nei suoi ricordi, volare via da quella finestra in braccio al vampiro
più crudele di sempre.
E’ colpa tua!
Sparagli, gridava Victoire, sparagli, sparagli, sparagli.
E quella rabbia, che gli aveva fatto uccidere così violentemente Svetlana.
Sparagli, sparagli, sparagli…
Era lui che doveva colpire!
Sparagli!
Ma
ormai Kaeso e Svetlana erano volati via, tenendo salde la donna e la
bambina. E il cuore di Ramona ormai era a brandelli, l’esplosione era
già avvenuta.
Dubris
abbracciò la donna. La voleva sollevare, voleva volare via ma si tenne
stretto a lei. Anche se puzzava, anche se non sapeva chi fosse, anche
se lui era affamato.
Lei
rimase spiazzata e cercò di allontanarlo. “Tu… sei… un vampiro”. Dubris
non capì se si trattava di una domanda o di un’affermazione ma avrebbe
fatto in modo che non andasse tutto perduto. Aveva commesso un grave
errore a non sparare in quel bagno, ma voleva fare in modo che servisse
a qualcosa. Almeno una delle tante persone coinvolte ne sarebbe uscita viva.
“Qual è il tuo nome?”.
“Eliza” rispose lei, dopo un po’ “Sei… sei molto freddo”.
Tremava
di paura e ad un certo punto urlò. Dubris si separò da lei e vide che
la piccola Charlene, con sguardo famelico, aveva i denti infilati nella
mano della madre. Eliza urlava d’orrore, senza staccare gli occhi dal
visetto della figlia, mentre il sangue colava sulla moquette grigia e
Dubris capì in quel momento che anche al piano di sotto la moquette un
tempo doveva essere di quel colore. Subito afferrò la bambina e la
lanciò lontano.
“Andiamo!”
esclamò, afferrando Eliza. Corse fuori dalla porta con la donna in
braccio e Charlene si lanciò subito nell’inseguimento.
Finalmente
lo vide. Era comparso vicino ad un atrio buio ed era sporco di sangue.
C’era del vento che gli muoveva i capelli. Il portone del castello era
aperto.
Acilia
diede un calcio ad un vampiro che le impediva la vista poi gli trafisse
il collo con una scarica di proiettili. Alzò la testa e vide che anche
Kaeso l’aveva vista. La stava guardando, da lontano, come il giorno in
cui lei l’aveva abbandonato. Quel giorno lei si era allontanata sempre
di più, fino a perderlo di vista.
Hai sbagliato tutto, lo sai?!
Ma
ora si sarebbe riavvicinata, passo dopo passo. Tra gli schiamazzi, le
grida e il sangue, proprio come quella volta. Avrebbe dovuto percorrere
il cammino a ritroso, raggiungerlo, arrivare alla sua morte, quella che
gli aveva inflitto millesettecento anni prima. Era quello il punto di
partenza a cui sarebbe dovuta tornare.
Lui rimaneva fermo. Sembrava la stesse aspettando, impugnando una spada.
No, non ho paura.
Del
resto, paura di cosa? Tanto sarebbe morta comunque. La paura era una
cosa egoista, non poteva aver paura di fallire e di lasciare in eredità
al mondo quel mostro. Perché da morta, non gliene sarebbe importato più
nulla.
O sì?
A Jacque? Non ci pensi a Jacque?
Nel
volto dell’uomo che aveva davanti non c’era nulla di
Jacque. Erano entrambi suoi ed erano così diversi, perché
era lei che era diversa. Non era una persona sola.
Chi ero? Cos’ero?
Vivere
così tanto tempo era logorante; non si faceva altro che cambiare, in
continuazione, non si stava mai fermi, non si era mai gli stessi.
Pareva di vivere più e più vite, tutte d’orrore, ma sembrava capitasse
solo a lei, solo lei sembrava capirlo!
Kaeso
era ancora più vicino. Lui di certo non lo avrebbe capito. Il sangue
colava dalla sua spada e le gocce si schiantavano silenziosamente sul
pavimento. Quel sangue… di chi era? Acilia provava una strana
sensazione, come se Kaeso avesse colpito qualcuno della sua famiglia.
Ma era Kaeso stesso la sua famiglia! Acilia pensò d’istinto a Dubris,
vedendo quel sangue colare. Perché pensava a lui? Era da un po’ che non
lo vedeva combattere…
Dubris l’ha mai capito che tu non sei mai stata la stessa?
Dubris
aveva fatto il possibile per lei ma comprenderla era impossibile. Lui
non riusciva neanche a capire perché lei volesse morire! Lui era così…
attaccato ai suoi sogni, attaccato alla vita!
Ecco,
ora Acilia avrebbe voluto rivederlo, mentre vedeva solo Kaeso,
spiegargli tutto – ma cosa c’era da spiegare? Era stata così fredda nei
suoi confronti negli ultimi giorni, solo per farsi odiare. Voleva che
Dubris, quando lei fosse morta, non se ne rattristasse, ma che al
contrario pensasse che liberazione! Non aveva più voluto guardarlo in faccia perché forse sarebbe stato capace di farle cambiare idea…
Non cambio idea, non mi muovo, non mi muovo!
Non rivedrai più Jacque…
Stai fuggendo da quello che hai fatto.
Acilia
si riscosse. Quella voce sembrava provenire da Kaeso, ma lei non ne era
sicura che fosse stato lui a parlare. La fissava, eterno e immobile,
perfetto.
“Fuggi?” diceva.
Ancora. Vuole chiedermi se fuggirò ancora, pensava Acilia.
“Quando
mi hai abbandonato, non pensavi che mi avresti più rivisto, non
è così?” domandò lui.
Acilia
non disse niente. Sentiva tutto il suo corpo intorpidito. Quella che
aveva davanti era il suo sangue, il suo amore e il suo sbaglio, tutto
insieme, tutto così dolosamente insieme, e intricato.
“Era
quello che speravi. Hai sbagliato tattica” proseguì lui “Sei diventata
un personaggio in vista, lo dovevi pur sapere che io ti avrei
cercata!”. Le ultime parole le pronunciò quasi sibilando, con un moto
di cattiveria che per un attimo abbandonò la pazzia. Non era pazzo, ora
era arrabbiato.
“La prima volta ti ho rivisto nel castello di Lucius” riuscì a dire Acilia.
“Quando stavo per ucciderti” precisò lui.
Lei ebbe un fremito, e si vergognò di averlo avuto. “Mi odi così tanto?” fece.
Kaeso
alzò le sopracciglia, abbandonando la rabbia e con un sorriso quasi
ilare. “Hai dichiarato in televisione che mi avresti ucciso. Hai fatto
irruzione in casa mia con un esercito. Ora, dimmi… Perché non dovrei
odiarti?”.
Acilia fece un altro passo verso di lui, mordendosi il labbro. Sentiva il suo stesso sangue colare lungo il mento.
Si
era lasciata alle spalle la mischia, sicuramente qualcuno si era
accorto che lei si era allontanata, che era con Kaeso…
O forse no, perché stanno tutti morendo.
Kaeso
fece un cenno alla spada e continuò, cancellandosi il sorriso dalle
labbra. “Mi sto solo difendendo, Aci. E’ quello che ho sempre fatto”.
Le
si avvicinò di scatto e fu a pochissima distanza da lei. Acilia lo
vedeva alto, troneggiare su di lei, ed aveva paura. Cercava di
ricordarsi chi fosse stata lei stessa, perché se fosse riuscita a
vedere se stessa negli occhi di Kaeso, sarebbe stato più facile, forse…
Ma l’idea la faceva solo rabbrividire di più e la vergogna si
impadroniva di lei, accartacciandola come fosse fatta di carta, un
foglio di carta da buttare.
“Ricordi quando ti ho detto che oppressore e vittima non sono intercambiabili?” chiese lui, tranquillo.
Acilia
ricordava bene. Una serata che sembrava infinitamente lontana, eppure
non erano passati che due mesi. Il tempo, scorreva così strano…
“L’oppressore
sei tu” sussurrò Kaeso, e tutto parve bloccarsi. Non c’erano le grida,
gli spari, tutto era immobile e silenzioso, solo la voce del vampiro
serpeggiava fino al suo orecchio. “Sei sempre stata tu”.
Acilia
voleva trovare la forza di alzare la sua arma e puntargliela dritto in
quegli occhi malvagi, ma il suo braccio non si muoveva.
“Per
quanto tu lo desideri” continuava Kaeso “non sarai mai una vittima. Non
stanotte e neanche dopo. Tu non ti consegnerai mai, non ti suiciderai
mai! Ti conosco!”. Alzò la voce e, con un movimento rabbioso, levò la
spada pronto a colpire. Acilia fu veloce e si spostò. Era quello che
doveva fare, doveva combattere, doveva fermarlo e poi… uccidersi.
Non ti suiciderai mai! Ti conosco!
“Non
è vero che mi conosci” ribatté “Non è
vero! Tu hai conosciuto solo una parte di me!”.
Kaeso
era pronto a riprovarci e lei quasi gridò per la frustrazione.
“Non lo sai perché voglio tanto morire!”.
Il
suo creato si fermò con la spada a mezz’aria, attonito.
Ripresosi disse, con un mezzo sorriso: “Non lo so?”.
Acilia
trattenne il fiato, incerta. Non voleva che Kaeso dicesse più niente,
lei non voleva ascoltarlo. Le venne in mente quando lo vedeva pieno di
sangue, assetato più che mai, crudele e perfido, e lei si rivedeva in
lui, e aveva paura. Non voleva che succedesse di nuovo la stessa cosa.
Non voleva ascoltarlo e scoprire cose di lei che lei non sapeva! Ma
Kaeso non parlò e scosse la testa, ancora con quel mezzo sorriso.
Devo agire. Devo agire.
“Sei
entrato nella Rappresentanza per me?” domandò Acilia, con un tremito.
Perché parlo? pensò disperatamente, guadagno tempo per cosa?
Non lo vuoi uccidere.
“Hai fatto tutto questo per me? Per vendicarti?”.
Perché se lo uccidi, dovrai morire anche tu.
“Mi stai facendo impazzire per farmela pagare?!” gridò ancora lei, esasperata.
Kaeso finalmente rispose: “Sì”.
Allora non è che ti dispiace per lui. Allora non è che gli vuoi bene.
Acilia
inspirò a fondo. “Quindi… Se io mi lasciassi uccidere da te, fermeresti
poi questa follia?”. La sua voce stessa tremava. Sembrava incredibile
pensare che solo poco prima lei era così tranquilla – o fingeva di
esserlo. Aveva paura della risposta di Kaeso. Se lui avesse risposto di
sì, lei si sarebbe sacrificata. Era quello che doveva fare. Aveva una
maledetta paura di quella risposta – perché non lo voleva fare.
Allora non è che ti dispiace per lui. Allora non è che gli vuoi bene.
Kaeso fece un sorrisetto, poi aprì la bocca, fissandola dritto negli occhi.
“No”.
Il
ragazzino, seduto e poggiando il peso del corpo sulle braccia, cercò di
indietreggiare, con la paura più folle negli occhi, sgranati e
piangenti, spargendo con la voce suoni più forti, ma comunque sordi.
Acilia
guardò Kaeso, poi abbassò di nuovo lo sguardo.
“Sono io che ti ho ridotto così…”
sussurrò.
I ricordi si facevano confusi, annebbiati, colorati di rosso…
Kaeso
si buttò a terra, con la testa china. Il suo corpo tremava e Acilia lo
raggiunse di scatto. Alzò una mano, incerta, pensando di toccarlo, di
accarezzarlo – ma sarebbe servito a qualcosa?
Il ragazzino continuava a emettere versi così fastidiosi. Fastidiosi? Acilia si voltò a guardarlo. Piangente, mugugnava, viola di paura. Poverino, pensava lei, poverino… Riesci davvero a provare pena per lui?
E allora perché non gli diceva niente? Perché non lo rassicurava? Perché non lo liberava?
Che vita potrebbe mai avere ridotto in quello stato?
“Aci” fiatò Kaeso.
Acilia si chinò sul suo creato. Gli prese il volto tra le mani. “Dimmi, dimmi…”.
Era stato lui a ridurre a quel modo il ragazzino. Non doveva essere compassionevole, doveva sgridarlo, doveva imporsi!
Non è colpa sua, lo sai, è colpa tua.
“Vorrei tanto poter rivedere mia figlia” biascicò
Kaeso, con gli occhi sgranati e tristi “Secondo te è per
questo che torturo dei ragazzini? Per la rabbia?”.
Acilia
non sapeva cosa dire. I versi del bambino erano strazianti per le sue
orecchie, ma perché solo quelle di lui? Perché quelle di tutti gli
altri no? E perché ora Kaeso diceva quelle cose? Era davvero lui? O era
qualcun altro? Non si poteva essere due cose contemporaneamente, non si
poteva!
Allora tu cos’eri?
“Kaeso, io…”.
“Viridio,
chiamami Viridio!” esclamò lui, guardandola con un sorriso. “Mi
chiamava così mia moglie, sai…”. Le poggiò le mani sulle guance, con un
velo di dolcezza poggiato sui suoi occhi rossi. “E io ti amo come ho
amato lei, davvero”. Acilia trattenne il fiato e il velo di dolcezza su
di lui parve poi stropicciarsi, in una smorfia su quel viso che
sembrava sereno, un tempo, e lui strinse gli occhi, e digrignò i denti.
“Perché mi hai fatto questo? Perché l’hai fatto?!”. Le sue mani si
fecero pesanti e le graffiarono le guance. Acilia sentì un lieve dolore
e il sangue che colava vicino alle orecchie. Lui era arrabbiato e
continuava a stringerla, ferendola con le unghie. “Perché?!”.
Acilia
si lasciò graffiare e percuotere le guance, stringendo i denti per il
dolore, davanti alla bocca teneva una mano, in cui cacciava grossi e
tristi respiri.
“Ti
posso aiutare” disse dopo un po’, in un lamento, allontanandosi dalla
presa di Kaeso. “Ti posso aiutare… Devi solo controllarti un po’ di
più… Potrai ancora uccidere ma solo per sfamarti! Senza torturare, e
senza bambini…”.
Kaeso
aggrottò la fronte. Non sembrava rincuorato, solo disgustato. “Potrò
ancora uccidere… Che vita è… Che vita è!” urlò e conficcò le sue
unghie, che poco prima avevano graffiato il viso di Acilia, sul suo
collo, come se avesse voluto scavare a fondo nella sua gola e staccarsi
la testa. Gridava e le sue dita si imbrattavano di sangue, quando
Acilia gli prese con forza le braccia urlandogli di fermarsi.
Kaeso, frustrato, abbandonò le braccia lungo il corpo, richinando la testa.
“Cosa siamo, Aci?” domandò, con voce affatica “Tu lo sai?”.
Alzò
il viso e ad Acilia tremavano le mani, in quel momento si poteva
perdere negli occhi di lui e si sarebbe persa volentieri, in quel mare.
Perdersi, piuttosto che rispondere…
“No” ammise “Non lo so…”.
“Quanto
durerà ancora?” continuava Kaeso “E cosa ci sarà dopo? Sarà così per
sempre? Per sempre?”. La sua voce s’affievolì e quel per sempre, che pronunciava così mestamente – ma che suonava così minaccioso – si ridusse quasi ad un eco.
Le
prese una mano e la guardò con due occhi blu che mai erano stati così
grandi, e vivi. “Hai detto che mi puoi aiutare. Promettimelo…” fece.
Acilia si sentì mozzare il respiro. Kaeso… Dov’era finito Kaeso? Possibile che se ne fosse andato davvero? Per sempre?
Strinse la sua fredda mano, come pervasa da un’istantanea fiducia.
“Promettimi che mi aiuterai, e che non mi abbandonerai mai!” concluse
lui.
La
fiducia scivolò via, come quel sangue appiccicoso e lei sentì un gran
peso sul proprio cuore, era un macigno. Non era brava lei con le
promesse. Era stata in grado di uccidere l’uomo che amava – e ancora
aveva voglia di gridare per questo! – cosa sarebbe stata in grado di
fare a Kaeso?
Cosa gli hai già fatto…
“Sì”
disse dopo un po’ “Sì… Sì!”.
Strinse con più vigore la mano, convincendosi lei stessa.
“Staremo
sempre insieme, non è vero?” chiese Kaeso, incurvando le sopracciglia.
Tremò quando sentì il ragazzino mugghiare, e per un attimo non disse
nulla, poi la sua voce riemerse da quelle spalle ingobbite e insicure,
come un naufrago che ancora aveva speranza.
“Questo
per sempre mi fa paura, ma se staremo insieme… se ci sarai anche tu…”.
Ebbe un altro tremito e guardò con orrore il ragazzino mutilato. “Tutto
questo mi terrorizza!” esclamò. I suoi occhi rimasero fermi, come
ipnotizzati dal sangue e dal dolore che colavano dalla sua vittima.
“E’
come se non fossi più io… Non lo sono, non sono più io… Perché io sono
morto, e questo è un altro me…”. Tornò a guardare Acilia, che intanto
lo fissava, allucinata forse, o con chissà quale altra espressione di
sgomento sul volto. “Sei tu che mi hai ucciso” dichiarò e lei non aveva
più voglia di guardarlo in faccia. “Mi hai ucciso tu” continuò lui,
annuendo e alzando la voce “Mi hai ucciso tu, ora non mi puoi più
abbandonare, me lo devi… Me lo devi!”.
Acilia
mollò la presa e si portò entrambe le mani al viso. Aveva voglia di
nascondere lacrime che non aveva. La voce di Kaeso la raggiunse
attraverso le fessure tra le dita. “Se tu te ne andassi… Penso che
potrei impazzire del tutto”.
Acilia allargò le dita e guardò Kaeso. Guardandolo, si sentiva sicura. Bastava poco, un solo momento per cancellare tutto il resto. “Non
ti abbandonerò” fece, con voce spezzata “Staremo
insieme, sopporteremo tutto insieme…”.
Kaeso
fece un debole sorriso poi richinò lo sguardo sulle proprie mani,
ancora sporche di sangue. Il suo viso divenne a poco a poco più freddo,
e non diceva più niente, e Acilia aveva paura. Ad un tratto il vampiro
si leccò avidamente le dita, con sguardo trasognato. “Ho fame”. I suoi
occhi intercettarono il corpo del ragazzino che ancora era lì, tremante
e disperato, e non avevano più niente di vivo dentro.
Acilia si impietrì. Gli aveva tenuto stretto le mano, gli aveva fatto una promessa, lui le aveva sorriso.
Come pensavi di poter cancellare tutto il resto?
“Sono
io che ti ho ridotto così” sussurrò nuovamente, ripetendo quello che si
diceva sempre, quello che si infliggeva sempre, quello che non doveva
dimenticare, mai.
Dubris
cercava di evitare il più possibile la mischia, tenendo ben stretta a
sé Eliza, quando si accorse che nessun vampiro stava cercando di
attaccarlo. Si fermò e si voltò indietro. Persino Charlene si guardava
intorno, spaesata. La sala dal pavimento sempre più rosso, sangue che
colava ovunque, di corpi a terra non ce n’erano e Dubris non riusciva a
capire chi fosse vivo. Poi capì perché in quel momento la battaglia
sembrava sospesa.
Dalla
parte opposta della sala Kaeso e Acilia stavano combattendo. Lei in
realtà sembrava solo evitare la spada di lui, con un’inutile arma in
mano.
Cosa aspettava? Doveva colpirlo!
Dubris
sentiva di nuovo dentro di sé una grande rabbia e strinse
più forte Eliza per calmarsi, fino a che lei non gemette.
Scusa, pensò Dubris chinando la testa, senza parlare, scusa. Voleva vedere Kaeso morto, ora!
Poi sarebbe morta anche Acilia…
Dubris alzò di scatto il viso e vide la spada di Kaeso conficcarsi nel fianco di lei.
“No!” gridò. Doveva andare ad aiutarla, subito.
La
gente urlava intorno a lui, parecchi fomentavano Kaeso, correvano, gli
si avvicinavano brandendo le loro armi… “No!” urlò ancora Dubris,
sentendosi inerme, con il peso di quell’umana addosso.
“Fermi!”
tuonò Kaeso voltandosi verso tutti loro, mentre Acilia, a terra,
fiatava e gocciolava sangue. “Non vi intromettete. Questa è una
battaglia tra me e la grande Acilia”.
Tutti tacquero e Dubris lo odiò. Poi ebbe una strana sensazione, un
presentimento così assurdo… Era come se Kaeso stesse dando il tempo ad
Acilia di riprendersi. Dubris si guardò intorno. Tutti erano attoniti.
Charlene guardava Kaeso con gli occhi e la boccuccia spalancati.
Poi quello urlò di nuovo. “Uccidete tutti gli altri!”.
Dubris
ricevette un pugno o qualcosa di simile alla schiena e barcollò. Eliza
era aggrappata a lui piangendo piano e digrignando i denti.
Non posso aiutarti, Aci, non posso.
Tutti
ripresero a muoversi e a gridare, un terribile formicaio che Dubris
doveva riuscire a superare. Doveva portare in salvo Eliza, doveva…
Doveva salvare qualcuno!
Perché non hai salvato Ramona.
Corse
più velocemente possibile, intorno a quelle macchie di colore che si
muovevano repentine quanto lui, e lui vedeva tutto sfuocato, finché non
vide…
“Dubris! Dov’è Ramona?”.
Non
era possibile, quello era Lyuben! Vedeva distintamente la sua chioma
bionda, increspata, e un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca.
Stava combattendo al loro fianco! “Dov’è Ramona?!” insisteva.
Come faccio a dirglielo, pensò Dubris, atterrito, come faccio…
Aprì la bocca, sentendo le proprie labbre così pesanti.
“E’… è morta”.
Lo sguardo di Lyuben si raggelò. I suoi occhi si fecero così stranamente crudeli.
“Non l’hai protetta” disse.
A
Dubris tremarono le gambe. Lyuben non poteva fare niente, quella volta
toccava a lui, Dubris, il suo creatore, proteggere Ramona… Non l’aveva
fatto e ora Lyuben l’avrebbe odiato.
“E quella che hai in braccio chi è?!” abbaiò ancora il biondo, arrabbiato.
“E’…
è…”. Non è nessuno in confronto a Ramona,
pensava Dubris, non ho giustificazioni.
“Dubris!
Ti ho chiesto chi è!”. La voce di Lyuben si era alzata,
era diventata squillante… Sembrava una voce femminile.
“Dubris!”.
Dubris
sbatté le palpebre più volte. Victoire era davanti a lui con gli occhi
sgranati, i capelli impastati di sangue, un rivolto che le correva giù
per il mento. “Mi dispiace per Ramona, Dubris… Ma non è colpa tua!
Reagisci!”.
Non l’hai protetta.
Non c’era Lyuben in quella stanza. Certo, Lyuben era morto.
Dubris
fece un cenno d’assenso, confuso. Victoire lo guardava in attesa e lui
parlò: “E’… è l’umana che ha rapito Kaeso. Ti ricordi? E’ incinta. La
devo salvare”.
Victoire
spalancò ancora di più gli occhi. Era lei la stessa che gli gridava di
sparare a Kaeso, anche se aveva quella donna in braccio, e ora non
riusciva a dirgli che stava sbagliando ancora.
“Vai” disse “Vai… al furgone… muoviti… tra un po’ sorgerà il sole!”.
Allora sto facendo la cosa giusta.
Dubris
non disse più niente e corse, ignorando gli spari, le urla, il pianto
di Eliza che, disperato, gli chiedeva dove fosse Charlene.
Acilia si era rialzata ed aveva riacquistato velocità.
Kaeso aveva di nuovo mancato il colpo.
Perché fallisci?
Lei era più forte e più veloce, ma lui non stava forse sbagliando un po’ troppo? Non stava prendendo tempo?
La
verità era che voleva che durasse molto, moltissimo tempo quella
battaglia. Lui e Acilia, quel per sempre di cui avevano più volte
parlato.
Per farsi coraggio a vicenda. Per non arrendersi.
Ma Kaeso aveva imparato ad apprezzare quello che era.
E allora perché avresti voluto Acilia al tuo fianco?
Acilia
non faceva altro che evitare i suoi colpi, col volto concentrato e gli
occhi tristi. Non avere quegli occhi tristi, pensò lui, è solo colpa
tua se siamo arrivati a questo punto.
Apprezzi davvero quello che sei?
Ramona
gli aveva parlato di una divinità che era più simile a loro che agli
umani. Era una cosa strabiliante, ciò che aveva temuto per tutta la
vita non era altro che un’immagine più potente di se stesso.
Un’immagine più potente di me stesso.
Acilia
sparò improvvisamente un colpo e Kaeso fu costretto a volare via. Il
respiro mozzato, le gambe sospese per aria, la spada lucida e
oscillante.
Un tempo, lui aveva avuto paura di se stesso…
Rise appena quando vide Acilia librarsi in aria e raggiungerlo. Lo guardava con sfida, odio e rancore.
No, quello è il tuo sguardo.
Gli occhi di Acilia sono tristi, ricordi?
Smettila di confondere le cose!
“Kaeso”
lo raggiunse la voce di Acilia. Ora Kaeso la vedeva bene. Aveva i
lunghi capelli neri appiccicati alla faccia, i vestiti sporchi di
sangue e non gli puntava la pistola addosso. Il viso piegato in rughe
che la rendevano così vecchia, così tanto più vecchia di quello che era…
Lei è vecchia. Lo sei anche tu.
“Non ti ricordi più nulla di Viridio?”.
Kaeso schioccò le labbra, infastidito. “Il mio nome da umano”.
Acilia parve confusa e lui ridacchiò. “Aci, io mi ricordo tutto… Non sono pazzo, renditene conto”.
Lei
inspirò a fondo. Esitò un attimo, poi disse: “La pazzia ha preso
completamente possesso di te. Sei pazzo da talmente tanto tempo che non
lo sei più”. Aveva sussurrato, come se parlasse a se stessa.
Kaeso rivide l’immagine di Acilia che sussurrava a se stessa, lo sussurrava sempre. Sono io che ti ho ridotto così.
L’antica
rabbia che tornava, una ragazza dal volto innocente che gli si
avvicinava e a tradimento lo uccideva, beveva il suo sangue… E osava
venirgli a dire che era pazzo!
“Sono
solo cambiato!” gridò “Tu ti credi la buona, non è vero? E io sarei il
cattivo! Ma chi era il cattivo millecinquecento anni fa?!”.
“Ho
fatto degli errori!” urlò Acilia in risposta ma Kaeso non aveva alcuna
intenzione di lasciarla parlare. Con odio, alzò il braccio e sfregiò
con la punta della lama la bocca della ragazza. Lei barcollò, nella
brezza che proveniva dalla porta aperta, e si portò una mano alla bocca
con un urlo soffocato, imbrattandola subito di rosso e Kaeso recuperò
la calma.
“Non
si tratta di essere buoni o cattivi, non si è mai trattato di questo”
disse, fissando Aci, mettendo bene a fuoco il suo dolore, con piacere
“Ci sono solo epoche da attraversare, scelte da compiere e personalità
che cambiano”.
Acilia
ritrasse la mano lasciando intravedere sangue e labbra che si
ricomponevano e Kaeso concluse: “Nessuno vive così poco da non cambiare
volto nemmeno una volta”. Le si avvicinò in un lampo e le prese il viso
tra le dita, stringendoglielo. “E tu hai vissuto parecchio, no?”.
Acilia,
immobile nella sua stretta, lo fissava senza battere ciglio e lui sputò
fuori di nuovo la rabbia, gridando. “E io non so chi sei veramente!”.
Alzò la spada, deciso finalmente a decapitarla, a punirla.
Per cosa la vuoi punire? Ora fai tutto quello che ti ha insegnato. Ti piace quello che ti ha insegnato.
Urlò di collera e la sua mano era pronta e veloce, il collo di Acilia in attesa.
Quale parte di te la vuole punire?
Ma ci fu uno sparo e Kaeso cadde all’indietro, planando a terra.
Non ti ricordi più nulla di Viridio?
L’impatto
col pavimento fu forte e doloroso. Kaeso gridava, si contorse, ma il
dolore diminuiva e lui si guardò il torace. Il proiettile si era
infilato in una costola e il suo corpo e lo stava espellendo, insieme a
fiotti di sangue. La spada era caduta poco distante da lui.
Allora
mi hai finalmente sparato, pensò. Guardò verso l’alto. Acilia aveva il
fucile puntato su di lui e avrebbe di nuovo colpito, Kaeso ora sapeva che l’avrebbe fatto…
“Papà!” fece una vocetta squillante, sovrastando il caos.
Sia
Kaeso che Acilia si voltarono. Lontana dalla mischia stava una figurina
coi capelli ricci, in un vestitino schizzato di sangue. I suoi occhi
blu, Kaeso li vedeva così bene, anche se erano rossi.
“Charlene” fece lui, allarmato “Non dovresti stare qui! Torna di sopra!”.
“Papà!” insistette lei, avvicinandosi “Stai bene?”.
Papà.
Kaeso
sentiva qualcosa di stranamente caldo nel petto. Aveva voglia di
abbracciare la bambina ma voleva anche che se ne andasse, che se ne
stesse al sicuro. Charlene continuava ad avvicinarsi, ma era diversa.
Aveva i capelli lisci e scuri, una tunichetta sporca e dei sandali.
“Hai ricreato Iulia” giunse la voce di Acilia, incredula.
Kaeso
si voltò di scatto a guardarla. Lei aveva gli occhi spalancati, fissava
Charlene e sembrava non capacitarsene. “Hai trasformato una bambina… Sì
che sei pazzo!”. Sembrava un dolore immenso quello sul volto di Acilia
e Kaeso non capiva il perché. Non c’era niente di sbagliato in quello
che aveva fatto, niente!
“Charlene,
tesoro, è pericoloso qua… Torna di sopra” disse, rivolto a Charlene. Ma
la bambina non si muoveva. Gli sorrise, e non aveva i denti aguzzi. Gli
occhi non erano rossi e la sua carnagione era olivastra.
Ma
fasci di luce luminosi stavano entrando nel castello dall’ingresso e i
piedi di Charlene cominciarono a fumare. La sua tunica si allungò e
divenne un vestito, la pelle impallidì e i capelli tornarono ricci. Nei
suoi occhi rossi zampillavano fiamme.
“Spostati!” urlò Kaeso, sgranando gli occhi.
Che è successo?
Corse
verso la bambina e la spinse via, verso l’interno e il buio del salone.
Gli altri combattenti si erano fermati, allarmati. La notte era già
finita, il sole stava sorgendo e loro erano diventati tutti ugualmente
inermi.
Hai ricreato Iulia.
“Moriremo
insieme, Kaeso!” gridò qualcuno, spintonandolo. Lui ricadde a terra,
Acilia troneggiava su di lui. Il suo viso era un esplodere di angoscia
e ira. Si chinò su di lui e lo afferrò con una mano, con l’altra ancora
stringeva il fucile. Prese il volo, trascinandolo fuori.
Kaeso
non oppose troppa resistenza, non capiva cosa diavolo avesse in mente
la sua creatrice, sapeva solo che se si fossero esposti entrambi alla
luce del sole lui non sarebbe morto per primo.
Il
calore cominciò a trafiggerlo con delle fitte fastidiose, poi il calore
divenne dolore e il dolore divenne insopportabile. Si sentì spinto e
lui cadde a terra, sui fili d’erba che divennero rossi, perché lui
stava sputando sangue, ma non era sangue normale… Era così rosso,
fumante, gorgogliante ma lui dovette smettere di guardarlo perché gli
occhi gli facevano male e gridò, rigirandosi e contorcendosi.
“Tranquillo,
non ci vorrà troppo” disse la voce di Acilia, lì
vicino, affaticata “Siamo vecchi, bruceremo presto”.
Kaeso
si mise seduto con quelle che sentiva ancora come sue gambe e si sforzò
terribilmente di aprire gli occhi. Si mise una mano sulla fronte, che
fungesse da visiera, perché aveva paura che i suoi occhi si
squagliassero e lui voleva vedere Acilia, la voleva vedere dannatamente
bruciare.
“Brucerai
prima tu” biascicò, sentendo le guance che scendevano
sulla bocca, impedendogli di articolare bene i suoni.
Acilia
aveva i capelli incendiati, in una corona di fuoco. Ed era bellissima,
così illuminata; il sole, doveva essere bellissimo… Kaeso l’aveva
dimenticato. I vestiti della donna si stavano annerendo e lacerando,
scoprendo il suo corpo, che presto sarebbe stato cenere.
Allora lo vuoi davvero, morire.
Nessuno
dei due riusciva più a parlare e Acilia si buttò a terra affianco a lui
perché le sue ginocchia stavano scomparendo. Metà del suo viso stava
bruciando ed era una visione orribile, perché Kaeso sapeva che stava
capitando la stessa cosa a lui.
Non riesco a essere felice. Non riesco a vederla bruciare ed essere felice.
Ma
stavano bruciando insieme, era la loro fine, decretata da un destino
crudele, che li aveva voluti insieme, in tutti i modi in cui due
persone possono stare insieme.
Ma
Acilia stava sollevando una mano annerita. Riusciva ancora a tenere il
fucile con quel braccio, facendo ombra con il suo stesso corpo.
La
sua bocca smise di urlare e digrignò i denti che ancora aveva,
preparandosi a parlare. E i suoni uscirono angosciati, spezzetati e
brucianti, ma Kaeso capì.
“Se
brucerò per prima… Mi devo…” un urlo e chiuse l’occhio che ancora era
intatto. Doveva muoversi, prima che le fiamme arrivassero alla bocca.
“Assicurare… che tu… muoia”. Gli puntò il fucile tremante contro il
petto e Kaeso si preparò.
Mi abbandoni anche stavolta. Allora tu non cambi mai.
Kaeso
non capì come ma riuscì a parlare, mentre le fiamme continuavano a
divorarlo. Non capiva neanche come potesse essere ancora vivo, ma forse
era già morto e l’al di là non era che un ripetersi di tutti gli
avvenimenti più brutti della propria vita.
“La finiamo come… l’abbiamo cominciata, Aci. Con te che mi uccidi”.
Acilia
era ormai incandescente, avvolta dal fuoco, dal sole, dalla luce, tutto
ciò che Kaeso aveva sempre disprezzato, e temuto.
Almeno aveva potuto vederle un’ultima volta: il sole, la luce, Acilia.
Dubris
aveva volato fino ai piedi del monte con Eliza in braccio, ignorando i
suoi scalpiti e le sue grida, ed aveva raggiunto il loro furgone. Il
sole aveva cominciato a sorgere e lui aveva perso velocità ma era
giunto appena in tempo. I suoi capelli avevano cominciato a fumare un
poco e ora, seduto con la schiena poggiata alla parete del furgone, a
grossi respiri, si stava riprendendo. Aveva una gran sete ma doveva
trattenersi perché l’unica umana che aveva vicino era una donna incinta
a cui aveva appena salvato la vita, e dissanguarla non sarebbe stato un
gran finale.
Eliza
stava piangendo a dirotto. “Charlene…”. Guardava Dubris implorante, con
gli occhi che traboccavano lacrime a non finire, una disperazione
lacerante sul volto. “Ti prego… Dobbiamo tornare indietro e salvare
Charlene!”.
Dubris
scosse la testa, sentendo un grossissimo nodo alla gola. “Non
posso più uscire, Eliza, c’è il sole”.
“Ti prego…” continuava a singhiozzare lei.
Lui
non ce la faceva più. Aveva le orecchie perforate dal suo pianto e non
poteva fare più niente per aiutarla. Si sentiva inutile e stupido,
impotente… Cosa sarebbe successo a Charlene? Forse… forse se la sarebbe
cavata, in fondo era un vampiro.
“C’è
il sole” ringhiò, costernato, tirando un pugno sul
pavimento “C’è il sole…”.
“Lascia
andare me” disse Eliza “Lascia andare me!”. Si alzò in piedi,
accingendosi ad uscire ma Dubris in un attimo le fu addosso con un
abbraccio strettissimo. “Smettila, moriresti!”.
“Devo salvare mia figlia!” strillò lei.
“E’
un vampiro! Non è più tua figlia!” gridò lui, continuando a stringerla.
Non l’avrebbe mai lasciata andare, avrebbe fatto di tutto pur di
proteggere almeno lei.
Eliza
sembrò acquietarsi un attimo poi scoppiò a piangere più forte. Guardò
Dubris con odio e disse: “Anche tu sei un vampiro. Credevo che non
facesse differenza”.
Dubris
annuì, poi scosse la testa subito dopo. Era confuso, era tutto assurdo,
quella battaglia era andata in un modo così strano… così sbagliato.
“Tutti i vampiri perdono la propria famiglia, tutti…”.
Eliza si riagitò tra le sue braccia.
“Vuoi uccidere anche il bambino che porti in grembo?” sbottò Dubris “Non andare, fallo per lui”.
La
donna si calmò di nuovo e poi scivolò giù dalle
braccia del vampiro, cadendo sulle ginocchia, gemendo atrocemente.
Dubris si chinò a terra insieme a lei e le prese le mani. “Mi dispiace, davvero, mi dispiace…”.
Eliza
continuò a piangere così forte che l’altro fu tentato di mettersi le
mani sulle orecchie. Per lui era tutto moltiplicato, il sentire, il
vedere, il soffrire… Ma si trattenne. Rimanse con le mani nelle sue, ad
aspettare, chissà cosa.
Il
dolore era immenso e Acilia doveva riuscire a premere quel maledetto
grilleto prima che il fucile le si sciogliesse in mano, per il contatto
con la sua pelle, o prima che la mano le cadesse. Doveva farlo, l’aveva
promesso: uccidere Kaeso e consegnarsi agli umani!
Un urlo la raggiunse, ancora quell’urlo, questa volta più straziante…
“Papà!”.
Roteò
gli occhi, o un occhio, la vista la stava abbandonando, liquefacendosi
e nella luce che divampava e uccideva tutto vide un incendio. Era la
bambina, quella povera bambina trasformata da Kaeso. Aveva i capelli e
il vestito in fiamme e gridava tantissimo. Li aveva seguiti! Ad Acilia
parve di rivedere Lolita, crogiolarsi in lingue di fuoco, mentre urlava
all’ingiustizia umana e a tutto ciò che c’era di crudele.
Poi
sentì Kaeso gridare disperatamente il nome di Charlene ed Acilia
desiderò di aver premuto subito il grilletto, per risparmiare a lui
quella vista infame. Solo un mostro poteva trasformare un bambino in un
vampiro per divertimento, ma non era un mostro il creatore che urlava
così furiosamente vedendo la morte di un suo creato.
Lei è un creato diverso dagli altri. Lei, per quella parte di lui sepolta e scomparsa, è Iulia.
Acilia
premette il grilletto con un ultimo sforzo e un ultimo urlo, proprio
contro il petto di Kaeso, mentre gli guardava il volto stravolto dalle
fiamme, dal dolore, dall’amore.
Allora Viridio non è morto del tutto.
Riuscì
a udire lo sparo e riuscì a vedere Kaeso esplodere in un mare di
sangue, avvolto da un mare di luce, così intenso e accecante. Poi gli
spasimi e le fitte di dolore aumentarono vorticosamente e Acilia
dovette abbandonare il fucile perché la sua mano non esisteva più – non
se la sentiva più – e poi si accasciò a terra, o quella che pensava
fosse terra, perché intorno a lei era tutta luce, e tutto fuoco. E lei
bruciava.
Dubris
provò quella sensazione, di nuovo. Il suo petto che sembrava lacerarsi,
un dolore così forte da farlo urlare. Dovette allontanarsi da Eliza e
rimase sul pavimento del furgone, a contorcersi, senza sapere perché.
Ramona non poteva essere morta due volte e lui non sapeva di chi stesse
il suo corpo piangendo la morte. Ma un creatore del resto, da qualche
parte, doveva avercelo anche lui.
Ed evidentemente stava morendo.
Ormai ci siamo, mancano solo due capitoli, ma mi vedo costretta a
rimandare il prossimo a fine luglio perché tra poco parto :)
intanto non abbandonatemi! Entro agosto la storia sarà conclusa!
Alla prossima! E buoni esami/vacanze (madonna che ossimoro) a tutti :)
ps: l'azione lascia sempre a desiderare, lo so.. abbiate pazienza XD
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