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Autore: Loda    10/07/2013    2 recensioni
Se non ti guardi allo specchio, non lo vedi che stai piangendo. Ma le lacrime ne hanno anche un altro di riflesso, che è tutto interiore, ed è più crudele di esse stesse, infinitamente.
Si tratta del sangue.
"Non si tratta di essere buoni o cattivi, non si è mai trattato di questo. Ci sono solo epoche da attraversare, scelte da compiere e personalità che crescono. Nessuno vive così poco da non cambiare volto nemmeno una volta"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ventiseiesimo capitolo

Un riassuntino veloce per i miei lettori, perché stavolta ho fatto passare davvero troppo tempo! Che può essere utile anche per chi è rimasto un po' indietro ;)

Curtis ha rivelato la sua vera identità: un cacciatore. Acilia, per salvarsi, è stata costretta ad ucciderlo ma, braccata ormai dagli altri cacciatori, ha preso la difficile decisione di consegnarsi. Sotto tortura, ha dichiarato davanti all'intera nazione che, se l'avessero lasciata andare, avrebbe ucciso Kaeso, un vampiro crudelissimo, da lei stessa creato, che sta seminando il panico nel mondo. E, una volta fatto, si sarebbe consegnata a loro. Gli umani l'hanno assecondata e Acilia, Dubris, Ramona, Victoire e gli altri  si sono messi sulle tracce di Kaeso. Rapita e torturata Svetlana, creata di Kaeso, i protagonisti hanno scoperto dove trovarlo: in un paese in Valle D'Aosta. Dubris ha poi ucciso Svetlana, con grande disappunto di Ramona. Il PPC ora si trova all'interno del castello di Kaeso e la battaglia è cominciata. Dubris ha trovato Eliza e Charlene, entrambe prigioniere di Kaeso. Ramona è stata costretta a rivelare a Kaeso il mistero dell'origine dei vampiri e lui l'ha uccisa per vendicare Svetlana. 
Nel frattempo in Inghilterra Claire, essendo stata attaccata da dei vampiri, in punto di morte ha chiesto a Jacque e ad Eike di essere trasformata. L'esperimento è fallito perché Claire aveva già del sangue di vampiro in corpo, avendo fatto il patto. Per il momento è sepolta in una fossa, e Jacque ed Eike non sanno che fare: si tratta solo di aspettare una settimana. 

In questo capitolo c'è una sequenza appartenente al passato, che è il continuo di una sequenza di due capitoli fa. Kaeso, mostro sanguinario, nel 376, ha mutilato un ragazzino, privandolo di una gamba e della lingua, e l'ha portato, come fosse un dessert, ad Acilia che, spaventata, cerca di far rinsavire il suo creato. E Kaeso mostra un lato di sè che Acilia ora preferirebbe dimenticare... 








CAPITOLO XXVI
IL SOLE NON CAMBIA







Acilia e gli altri erano partiti la scorsa notte. Jacque lo aveva detto con una pesantezza negli occhi che ad Emily non era potuta sfuggire.
 
Poi, ve lo giuro, mi avrete. E farete di me quel che vorrete. 
Le parole di Acilia, così strane, risuonavano nelle orecchie di Emily. L’immagine di Jacque che cadeva sulle ginocchia davanti alla televisione con quellosguardo si faceva molteplice nella sua mente. 
Aveva provato a chiedergli come stava ma lui non le rispondeva. Anche Eike, seduto sul divano e dondolando concitatamente le gambe, mostrava un certo triste nervosismo, e non era da lui. 
Che ne vuoi sapere tu, Emily, di quello che provano? 
Se Jacque avesse perso Acilia, cos’avrebbe perso? Quello che lei non aveva mai capito, quel loro rapporto così strano. Una madre, una sorella, un’amica e amante allo stesso tempo. Ad Emily venivano i brividi. 
Michael succhiò rumorosamente dalla cannuccia il fondo del suo succo di frutta ed Emily si ridestò. 
Lo guardò un po’ torva, poi si addolcì, guardandolo a testa china sul suo succo, tristemente curvo e ingobbito. 
“Come sta Lydia?” si levò ad un tratto la voce di Eike. 
Emily lo fissò, stupita. “Male” rispose, automaticamente “Ho provato a parlarle… Sono stata capace solo di mettermi a piangere con lei”. Forse ora stava dormendo, pensò poi, chissà se ci era riuscita, ad addormentarsi. Aveva paura di incontrare Sam nei sogni, o forse era quello che sperava. “Non esce mai dalla mia camera”. Anche i suoi genitori erano da poco andati a letto, rassegnatisi all’idea che Jacque ed Eike non sarebbero stati pericolosi per i loro figli. 
Eike annuì senza dire altro. Ad Emily dispiacque. Le sarebbe piaciuto fare conversazione, qualunque cosa era meglio di quel silenzio. 
“Non avete notizie?” chiese. Era una domanda stupida. 
“Staranno combattendo, non possono stare al telefono!” esclamò Eike. 
Michael soffocò una risata con la cannuccia in bocca e quasi si strozzò. Emily gli batté la mano sulla schiena mentre lui tossiva, riemergendo con le labbra e il mento arancioni. 
“Erano diretti in Italia, sulle Alpi” aggiunse Jacque “Sono andati con l’elicottero e là avrebbero preso un furgone, han detto. Saranno già arrivati da un pezzo”. 
Quindi ha parlato con qualcuno, pensò la ragazza, con Dubris? Con Acilia? 
Lo squadrò con cautela. “Ma sono sicuri che Kaeso sia lì?”. 
Lui annuì e non pareva intenzionato a parlare ancora. 
Emily si alzò in piedi, di scatto, mentre tutte le sue ferite si riaprivano. Jacque aveva finalmente parlato dopo tanto tempo e lei non avrebbe permesso che lui si richiudesse di nuovo nel suo silenzio. 
“Jacque” fece, poco convinta “Posso parlarti un attimo? Per favore”. 
Lui la guardò con ancor meno sicurezza, la sua espressione diceva tutto: che non gliene fregava più nulla di lei. Però poi si alzò, sotto lo sguardo curioso di Eike, e la seguì in cucina. 
Lei chiuse la porta, tentando un sorriso in direzione di Michael che, dal divano, la guardava incerto. Stette qualche secondo a fissare il legno graffiato della porta poi prese coraggio e si voltò. 
Jacque la guardava mestamente e lei non sapeva più cosa dire. Frasi cominciate e lasciate a metà, parole a caso, impulsi ed emozioni, che le percorrevano la mente di continuo, e ora il vuoto. 
Ma, sorprendentemente, parlò lui: “Non ti ho ancora ringraziato per il sangue che mi hai dato”. 
“Oh” fece Emily, con un piccolo tremito “E io devo ringraziarti per essere venuto qui con l’argento in mano… E per aver portato a casa Lydia”. 
L’altro annuì, puntellandosi il labbro inferiore con quello superiore. 
“Perché l’hai fatto?” proruppe improvvisamente la voce di lei “Perché sei qua?”. Sentiva gli occhi inumidirsi e lei si voltò da un’altra parte per asciugarseli, odiandosi. 
Lui non rispondeva, allora lei andò avanti: “Perché mi vuoi proteggere?”. 
“Perché ti voglio bene, lo sai”. 
Emily pensava che la risposta fosse un’altra. Gli si avvicinò, sforzandosi di trattenere le lacrime. “A te piace proteggere la gente. E ora stai così perché non puoi fare niente per proteggere Acilia”. 
Certo, però lei, lui l’ama. Si vede, è ovvio. 
Fu più forte di lei e lo abbracciò. Era da quando lo aveva visto entrare in casa, qualche notte prima, con tutto quell’argento letale in mano, che aveva voglia di farlo. 
Lo abbracciava, voleva baciarlo, parlare di loro ma parlava di un’altra. 
“Hai tanta paura per lei, vero?”. 
Lui finalmente le mise le braccia intorno alla vita ed Emily non riuscì a trattenere un singulto. 
“Sì”. 
La ragazza si mise a piangere e Jacque la strinse. “Voglio che muoia nel modo in cui vuole. E non è così, non è così…”. 
“Non lo sai, Jacque” disse lei, tra le lacrime “Devi lasciarla andare, farle fare quello che crede…”. 
Jacque la strinse più forte e il suo respiro si fece più irregolare. “Mi manchi” le sussurrò, debolmente. 
Emily non riusciva più a tenere a freno le lacrime e pianse senza ritegno contro il petto del vampiro. Era freddo, freddissimo ma la faceva sentire bene. La morte di Sam, l’umanità in pericolo, il suo stupido e sciocco amore… Tutto si riversava in gocce di pianto disgraziate, che non ne volevano sapere più di niente. Non volevano nulla, solo uscire e inondare tutto, distruggerlo. 
Lo stai facendo, stai distruggendo tutto… 
“Emily” fece Jacque “Dai, per piacere, smetti di piangere…”. 
Lei tirò su col naso alzò il viso, cercando i suoi occhi. “È una delle prime cose che mi hai detto: non piangere”. 
Jacque sbatté le palpebre, lievemente attonito. 
Emily proseguì, con voce spezzata: “E io poi ti domandai se avevi voglia di piangere, ti ricordi?”. 
Lui annuì. Quegli occhi secchi e spenti, quegli occhi che, la prima volta che li aveva visti, la terrorizzavano. 
“Tu mi risposi di sì ma io… Io non avevo capito” disse ancora Emily “Non avevo capito niente…”. Strinse gli occhi per far uscire le lacrime. Bruciavano e rendevano tutto opaco. Mentre Jacque era splendente e lei voleva vederlo. Le stava accarezzando il viso, con un’espressione che in qualche modo era quella di qualche mese prima, ma in un altro modo ancora era diversa. 
“Ora ho capito perché vuoi tanto piangere” fece lei “Adesso più che mai, non è vero?”. 
Jacque le era così vicino. La sua mano, sul viso di lei, fredda, refrigerante, come poteva lei perdersi in un torpore d’amore? Lui la teneva sveglia, viva, triste, arrabbiata, felice. 
“E anche tu mi manchi…” pianse infine Emily. 
Jacque continuava a tenerla stretta e a guardarla, lei non poté più trattenersi. In tutte quelle notti niente le arrecava sollievo più di lui, era lui che le faceva ancora sperare, e le faceva pregare che il sole tramontasse al più presto e che non la faceva mai sentire stanca, non più. Si avvicinò alla sua bocca e lui ricambiò il bacio. In uno scatto di passione lui la sollevò e la fece sedere sul tavolo. Rovistava nella sua pelle come se non avesse cercato altro per tutta la vita e lei sentì infuocarsi, nonostante la pioggia di ghiaccio che le cadeva addosso. Era pronta a spogliarsi, pronta a cedere ad un magico momento di un periodo oscuro, quando la lingua di Jacque smise di muoversi e con un ultimo bacio sulle labbra lui si discostò. 
“Scusa” disse lui, evitando il suo sguardo “Non posso, non riesco, in questo momento…”. 
Ma certo, pensò Emily, nel momento in cui pensa così intensamente ad Acilia, e ha paura per lei, non può fare niente con me. 
Sei la solita egoista. 
Eppure mentre le lacrime tornavano a riempirle prepotentemente gli occhi e vedeva il ragazzo con cui era stata per sei mesi che neanche riusciva a guardarla, non si sentiva affatto un’egoista. 
“Mi dispiace” continuò lui, scuotendo la testa “Ti ho già delusa, ho deluso Eike, tutti… Non posso”. 
Perché mi hai detto che ti manco? 
Emily annuì, senza riuscire a dire niente. Le parole le si strozzavano in gola. 
Cosa ti manca di me? 
Jacque si allontanò e lei scese dal tavolo. Lui la stava aspettando di fronte alla porta e lei gli fece un cenno. “Vai prima tu” disse, con voce tremante. 
Il ragazzo obbedì e richiuse la porta dietro di sé, e lei scoppiò istantaneamente a piangere. 
Acilia è stata importante per me… Ma lei mi ha trasformato in quello che sono… Che senso ha mi chiedo? 
Che senso ha, si chiedeva Emily. In quale malsano modo si era innamorata di un vampiro? Ricordava l’espressione pungente di Lydia; tu sei malata, le aveva detto. 
Era un amore malato e ho provato a guarire, aveva detto Jacque. 
Non sei guarito, pensò Emily, non sei guarito e ora lo provo anch’io un amore malato, è malato tutto questo. 
Continuò a piangere. Nella sua testa sentiva le urla disperate di Lydia, e lei piangeva di più, sempre di più. 
  
  

Dubris non sapeva dire da quanto tempo stesse gridando, ma a un certo punto il dolore finì e lui capì di essere rannicchiato a terra sulle sue ginocchia. Annaspò e alzò la testa. 
La donna umana era a ridosso di una parete e lo guardava spaventata. La bambina non aveva mosso un muscolo, e lo fissava. 
Dubris si alzò, a fatica. L’impulso gli gridava di correre via, andare a cercare Ramona e assicurarsi che fosse stata solo un brutto scherzo della sua mente. Ma lo sguardo di quella bambina lo teneva lì inchiodato. 
“Chi è stato?” sussurrò. Chi aveva ucciso Ramona? Chi?! 
“Quel vampiro di nome Kaeso” rispose l’umana, avvicinandosi un poco. 
Kaeso… è stato Kaeso… 
Dubris puntò il suo sguardo sull’umana, che si ritrasse appena. Non doveva avere uno sguardo molto amichevole in quel momento. 
“Come fai a saperlo?”. 
“Stava sempre con lei” singhiozzò l’altra. 
Dubris aggrottò la fronte poi capì che la donna si riferiva alla sua, di figlia. 
“Ho paura ad avvicinarmi a lei” diceva, piangendo “Come posso aver paura di mia figlia?”. 
Il vampiro si avvicinò alla bambina e le toccò una guancia. Carne morbida e fredda. 
“Come ti chiami?” le chiese. 
“Charlene” rispose quella. Inclinò appena lo sguardo, sembrava volesse cercare la madre con gli occhi, ma si fermò a metà strada. “Non voglio fare male alla mamma”. Indossava un vestitino rosa a fiori. 
“Fai bene a non avvicinarti” disse Dubris, rivolgendosi alla madre, continuando ad accarezzare il viso di Charlene, come in un gesto automatico che poteva non avere mai fine “Non sarebbe in grado di controllarsi”. 
Tu non ti sei controllato, Dubris. 
“Me l’hanno tenuta lontana perché volevano che rimanessi incolume… Lei… Lei… non mi guarda neanche!”. 
Ramona, davanti a lui, gli diceva di controllarsi, di non uccidere Svetlana. 
La vendetta non porta niente, solo ad altra vendetta. 
“E’ incredibilmente controllata, per essere un vampiro così giovane” si sforzò di dire Dubris. Charlene era davvero intelligente, sapeva cosa sarebbe successo a sua madre se si fosse avvicinata? E se si fosse trattato di un altro umano? L’avrebbe attaccato, sicuramente. Ma da quanto tempo non mangiava? Se non si nutriva, l’avrebbe attaccata, avrebbe ucciso sua madre… Quando lui era entrato nella stanza, aveva notato i suoi grandi occhi blu. Il loro colore ora invece stava cominciando a sfumare, in una striscia purpurea. 
“Devo portarvi fuori di qui, subito” disse. 
Che fai, Dubris? Vuoi proteggere anche il vampiro infante? 
Senza creati, cerchi già qualcun altro di cui occuparti… 
Dubris gridò e scivolò di nuovo a terra. 
Non vuoi che io assista? Cosa le vuoi fare? 
Mi dispiace, mi dispiace, pensò Dubris… Era tutta colpa sua! Era stato Kaeso… si era vendicato! 
Potrei cercare la morte, cercando di uccidere Kaeso. 
No, si disse il vampiro, a chi sarei utile in questo modo? Ramona era morta, così come lo era Lyuben. Non doveva più cercare vendetta, non doveva più distruggere, doveva salvare delle vite! 
Chissà se Ramona sarebbe fiera di me se porto via Charlene e sua madre… 
Dubris lanciò di nuovo un grido, battendo un pugno sul letto su cui Charlene era seduta. D’altronde era il suo modo di piangere. 
“Che succede?!” strillò l’umana. 
Voglio vederlo morto, morto! gridava Dubris, dentro di sé. 
E se uccidesse anche Acilia? 
“Che succede?!” gridò ancora la donna. 
Dubris inspirò a fondo, poi alzò lo sguardo verso di lei. “Colui che ha fatto questo a tua figlia, ha ucciso la mia creata”. 
L’umana sembrò non capire. “Creata…”. 
“La mia figlia vampira. Una donna che ho trasformato io stesso” spiegò lui. 
“Mostri…” fece lei, scuotendo la testa “Siete mostri che trasformate!”. 
Dubris vacillò. Non aveva mai chiesto scusa a Ramona, per averla trasformata. Ma lei gli voleva bene, lui lo sapeva… Gli voleva bene davvero? 
“Vi porterò fuori di qui” dichiarò. 
Si alzò, reggendosi sul bordo del letto con le mani. 
“Charlene” disse “Sei veloce ora. Seguici”. 
In un lampo fu vicino alla madre e la prese per la vita. Lei lasciò andare un’esclamazione, poi scosse la testa dicendo: “Prendi in braccio lei”. 
Dubris fece un sorrisetto mesto. “Non ne ha bisogno”. 
Le iridi castane della donna parvero vibrare poi lei aprì la bocca, premendosi una mano contro le labbra. I suoi occhi si chiusero e lei si acquietò. 
Dubris aggrottò la fronte e finalmente chiese quello che, in realtà, si era domandato fin da subito. “Perché non ti hanno fatto niente? Perché volevano che rimanessi incolume?” fece, ripetendo le parole che aveva usato lei. 
La donna scosse la testa e inspirò a fondo. Poi alzò quegli occhi caldi e arrossati su di lui. “Sono incinta” disse. 
Dubris rivedeva davanti a sé Kaeso che teneva in braccio quell’umana e sua figlia, che le portava via. E lui, lui non poteva fare niente… Sparagli gridava Victoire Dobbiamo prenderlo! Non gli aveva sparato e Ramona non c’era più. Credevi di fare l’eroe? si era chiesto, cosa credevi? 
Ramona era volata via in un posto di morte, nel vero posto di morte. 
Un pensiero positivo per la prima volta lo pervase, mentre continuava a contare i respiri della donna davanti a lui. Ramona avrebbe raggiunto Lyuben. 
Ma dove? 
Eppure è stata colpa tua, Dubris, tua! 
I respiri dell’umana si trasformarono di nuovo in lacrime. Un lamento di bambina affamata, presto quella donna sarebbe morta, dissanguata, uccisa da sua figlia… E Dubris le rivedeva, le avrebbe sempre riviste, nei suoi ricordi, volare via da quella finestra in braccio al vampiro più crudele di sempre. 
E’ colpa tua! 
Sparagli, gridava Victoire, sparagli, sparagli, sparagli. 
E quella rabbia, che gli aveva fatto uccidere così violentemente Svetlana. 
Sparagli, sparagli, sparagli… 
Era lui che doveva colpire! 
Sparagli! 
Ma ormai Kaeso e Svetlana erano volati via, tenendo salde la donna e la bambina. E il cuore di Ramona ormai era a brandelli, l’esplosione era già avvenuta. 
Dubris abbracciò la donna. La voleva sollevare, voleva volare via ma si tenne stretto a lei. Anche se puzzava, anche se non sapeva chi fosse, anche se lui era affamato. 
Lei rimase spiazzata e cercò di allontanarlo. “Tu… sei… un vampiro”. Dubris non capì se si trattava di una domanda o di un’affermazione ma avrebbe fatto in modo che non andasse tutto perduto. Aveva commesso un grave errore a non sparare in quel bagno, ma voleva fare in modo che servisse a qualcosa. Almeno una delle tante persone coinvolte ne sarebbe uscita viva. 
“Qual è il tuo nome?”. 
“Eliza” rispose lei, dopo un po’ “Sei… sei molto freddo”. 
Tremava di paura e ad un certo punto urlò. Dubris si separò da lei e vide che la piccola Charlene, con sguardo famelico, aveva i denti infilati nella mano della madre. Eliza urlava d’orrore, senza staccare gli occhi dal visetto della figlia, mentre il sangue colava sulla moquette grigia e Dubris capì in quel momento che anche al piano di sotto la moquette un tempo doveva essere di quel colore. Subito afferrò la bambina e la lanciò lontano. 
“Andiamo!” esclamò, afferrando Eliza. Corse fuori dalla porta con la donna in braccio e Charlene si lanciò subito nell’inseguimento. 
  
  

Finalmente lo vide. Era comparso vicino ad un atrio buio ed era sporco di sangue. C’era del vento che gli muoveva i capelli. Il portone del castello era aperto. 
Acilia diede un calcio ad un vampiro che le impediva la vista poi gli trafisse il collo con una scarica di proiettili. Alzò la testa e vide che anche Kaeso l’aveva vista. La stava guardando, da lontano, come il giorno in cui lei l’aveva abbandonato. Quel giorno lei si era allontanata sempre di più, fino a perderlo di vista. 
Hai sbagliato tutto, lo sai?! 
Ma ora si sarebbe riavvicinata, passo dopo passo. Tra gli schiamazzi, le grida e il sangue, proprio come quella volta. Avrebbe dovuto percorrere il cammino a ritroso, raggiungerlo, arrivare alla sua morte, quella che gli aveva inflitto millesettecento anni prima. Era quello il punto di partenza a cui sarebbe dovuta tornare. 
Lui rimaneva fermo. Sembrava la stesse aspettando, impugnando una spada. 
No, non ho paura. 
Del resto, paura di cosa? Tanto sarebbe morta comunque. La paura era una cosa egoista, non poteva aver paura di fallire e di lasciare in eredità al mondo quel mostro. Perché da morta, non gliene sarebbe importato più nulla. 
O sì? 
A Jacque? Non ci pensi a Jacque? 
Nel volto dell’uomo che aveva davanti non c’era nulla di Jacque. Erano entrambi suoi ed erano così diversi, perché era lei che era diversa. Non era una persona sola. 
Chi ero? Cos’ero? 
Vivere così tanto tempo era logorante; non si faceva altro che cambiare, in continuazione, non si stava mai fermi, non si era mai gli stessi. Pareva di vivere più e più vite, tutte d’orrore, ma sembrava capitasse solo a lei, solo lei sembrava capirlo! 
Kaeso era ancora più vicino. Lui di certo non lo avrebbe capito. Il sangue colava dalla sua spada e le gocce si schiantavano silenziosamente sul pavimento. Quel sangue… di chi era? Acilia provava una strana sensazione, come se Kaeso avesse colpito qualcuno della sua famiglia. Ma era Kaeso stesso la sua famiglia! Acilia pensò d’istinto a Dubris, vedendo quel sangue colare. Perché pensava a lui? Era da un po’ che non lo vedeva combattere… 
Dubris l’ha mai capito che tu non sei mai stata la stessa? 
Dubris aveva fatto il possibile per lei ma comprenderla era impossibile. Lui non riusciva neanche a capire perché lei volesse morire! Lui era così… attaccato ai suoi sogni, attaccato alla vita! 
Ecco, ora Acilia avrebbe voluto rivederlo, mentre vedeva solo Kaeso, spiegargli tutto – ma cosa c’era da spiegare? Era stata così fredda nei suoi confronti negli ultimi giorni, solo per farsi odiare. Voleva che Dubris, quando lei fosse morta, non se ne rattristasse, ma che al contrario pensasse che liberazione! Non aveva più voluto guardarlo in faccia perché forse sarebbe stato capace di farle cambiare idea… 
Non cambio idea, non mi muovo, non mi muovo! 
Non rivedrai più Jacque… 
Stai fuggendo da quello che hai fatto. 
Acilia si riscosse. Quella voce sembrava provenire da Kaeso, ma lei non ne era sicura che fosse stato lui a parlare. La fissava, eterno e immobile, perfetto. 
“Fuggi?” diceva. 
Ancora. Vuole chiedermi se fuggirò ancora, pensava Acilia. 
“Quando mi hai abbandonato, non pensavi che mi avresti più rivisto, non è così?” domandò lui. 
Acilia non disse niente. Sentiva tutto il suo corpo intorpidito. Quella che aveva davanti era il suo sangue, il suo amore e il suo sbaglio, tutto insieme, tutto così dolosamente insieme, e intricato. 
“Era quello che speravi. Hai sbagliato tattica” proseguì lui “Sei diventata un personaggio in vista, lo dovevi pur sapere che io ti avrei cercata!”. Le ultime parole le pronunciò quasi sibilando, con un moto di cattiveria che per un attimo abbandonò la pazzia. Non era pazzo, ora era arrabbiato. 
“La prima volta ti ho rivisto nel castello di Lucius” riuscì a dire Acilia. 
“Quando stavo per ucciderti” precisò lui. 
Lei ebbe un fremito, e si vergognò di averlo avuto. “Mi odi così tanto?” fece. 
Kaeso alzò le sopracciglia, abbandonando la rabbia e con un sorriso quasi ilare. “Hai dichiarato in televisione che mi avresti ucciso. Hai fatto irruzione in casa mia con un esercito. Ora, dimmi… Perché non dovrei odiarti?”. 
Acilia fece un altro passo verso di lui, mordendosi il labbro. Sentiva il suo stesso sangue colare lungo il mento. 
Si era lasciata alle spalle la mischia, sicuramente qualcuno si era accorto che lei si era allontanata, che era con Kaeso… 
O forse no, perché stanno tutti morendo. 
Kaeso fece un cenno alla spada e continuò, cancellandosi il sorriso dalle labbra. “Mi sto solo difendendo, Aci. E’ quello che ho sempre fatto”. 
Le si avvicinò di scatto e fu a pochissima distanza da lei. Acilia lo vedeva alto, troneggiare su di lei, ed aveva paura. Cercava di ricordarsi chi fosse stata lei stessa, perché se fosse riuscita a vedere se stessa negli occhi di Kaeso, sarebbe stato più facile, forse… Ma l’idea la faceva solo rabbrividire di più e la vergogna si impadroniva di lei, accartacciandola come fosse fatta di carta, un foglio di carta da buttare. 
“Ricordi quando ti ho detto che oppressore e vittima non sono intercambiabili?” chiese lui, tranquillo. 
Acilia ricordava bene. Una serata che sembrava infinitamente lontana, eppure non erano passati che due mesi. Il tempo, scorreva così strano… 
“L’oppressore sei tu” sussurrò Kaeso, e tutto parve bloccarsi. Non c’erano le grida, gli spari, tutto era immobile e silenzioso, solo la voce del vampiro serpeggiava fino al suo orecchio. “Sei sempre stata tu”. 
Acilia voleva trovare la forza di alzare la sua arma e puntargliela dritto in quegli occhi malvagi, ma il suo braccio non si muoveva. 
“Per quanto tu lo desideri” continuava Kaeso “non sarai mai una vittima. Non stanotte e neanche dopo. Tu non ti consegnerai mai, non ti suiciderai mai! Ti conosco!”. Alzò la voce e, con un movimento rabbioso, levò la spada pronto a colpire. Acilia fu veloce e si spostò. Era quello che doveva fare, doveva combattere, doveva fermarlo e poi… uccidersi. 
Non ti suiciderai mai! Ti conosco! 
“Non è vero che mi conosci” ribatté “Non è vero! Tu hai conosciuto solo una parte di me!”. 
Kaeso era pronto a riprovarci e lei quasi gridò per la frustrazione. “Non lo sai perché voglio tanto morire!”. 
Il suo creato si fermò con la spada a mezz’aria, attonito. Ripresosi disse, con un mezzo sorriso: “Non lo so?”. 
Acilia trattenne il fiato, incerta. Non voleva che Kaeso dicesse più niente, lei non voleva ascoltarlo. Le venne in mente quando lo vedeva pieno di sangue, assetato più che mai, crudele e perfido, e lei si rivedeva in lui, e aveva paura. Non voleva che succedesse di nuovo la stessa cosa. Non voleva ascoltarlo e scoprire cose di lei che lei non sapeva! Ma Kaeso non parlò e scosse la testa, ancora con quel mezzo sorriso. 
Devo agire. Devo agire. 
“Sei entrato nella Rappresentanza per me?” domandò Acilia, con un tremito. Perché parlo? pensò disperatamente, guadagno tempo per cosa? 
Non lo vuoi uccidere. 
“Hai fatto tutto questo per me? Per vendicarti?”. 
Perché se lo uccidi, dovrai morire anche tu. 
“Mi stai facendo impazzire per farmela pagare?!” gridò ancora lei, esasperata. 
Kaeso finalmente rispose: “Sì”. 
Allora non è che ti dispiace per lui. Allora non è che gli vuoi bene. 
Acilia inspirò a fondo. “Quindi… Se io mi lasciassi uccidere da te, fermeresti poi questa follia?”. La sua voce stessa tremava. Sembrava incredibile pensare che solo poco prima lei era così tranquilla – o fingeva di esserlo. Aveva paura della risposta di Kaeso. Se lui avesse risposto di sì, lei si sarebbe sacrificata. Era quello che doveva fare. Aveva una maledetta paura di quella risposta – perché non lo voleva fare. 
Allora non è che ti dispiace per lui. Allora non è che gli vuoi bene. 
Kaeso fece un sorrisetto, poi aprì la bocca, fissandola dritto negli occhi. 
“No”. 
  
  
  
Il ragazzino, seduto e poggiando il peso del corpo sulle braccia, cercò di indietreggiare, con la paura più folle negli occhi, sgranati e piangenti, spargendo con la voce suoni più forti, ma comunque sordi. 
Acilia guardò Kaeso, poi abbassò di nuovo lo sguardo. “Sono io che ti ho ridotto così…” sussurrò. 
  
I ricordi si facevano confusi, annebbiati, colorati di rosso… 
  
Kaeso si buttò a terra, con la testa china. Il suo corpo tremava e Acilia lo raggiunse di scatto. Alzò una mano, incerta, pensando di toccarlo, di accarezzarlo – ma sarebbe servito a qualcosa? 
Il ragazzino continuava a emettere versi così fastidiosi. Fastidiosi? Acilia si voltò a guardarlo. Piangente, mugugnava, viola di paura. Poverino, pensava lei, poverino… Riesci davvero a provare pena per lui? 
E allora perché non gli diceva niente? Perché non lo rassicurava? Perché non lo liberava? 
Che vita potrebbe mai avere ridotto in quello stato? 
“Aci” fiatò Kaeso. 
Acilia si chinò sul suo creato. Gli prese il volto tra le mani. “Dimmi, dimmi…”. 
Era stato lui a ridurre a quel modo il ragazzino. Non doveva essere compassionevole, doveva sgridarlo, doveva imporsi! 
Non è colpa sua, lo sai, è colpa tua. 
“Vorrei tanto poter rivedere mia figlia”  biascicò Kaeso, con gli occhi sgranati e tristi “Secondo te è per questo che torturo dei ragazzini? Per la rabbia?”. 
Acilia non sapeva cosa dire. I versi del bambino erano strazianti per le sue orecchie, ma perché solo quelle di lui? Perché quelle di tutti gli altri no? E perché ora Kaeso diceva quelle cose? Era davvero lui? O era qualcun altro? Non si poteva essere due cose contemporaneamente, non si poteva! 
Allora tu cos’eri? 
“Kaeso, io…”. 
“Viridio, chiamami Viridio!” esclamò lui, guardandola con un sorriso. “Mi chiamava così mia moglie, sai…”. Le poggiò le mani sulle guance, con un velo di dolcezza poggiato sui suoi occhi rossi. “E io ti amo come ho amato lei, davvero”. Acilia trattenne il fiato e il velo di dolcezza su di lui parve poi stropicciarsi, in una smorfia su quel viso che sembrava sereno, un tempo, e lui strinse gli occhi, e digrignò i denti. “Perché mi hai fatto questo? Perché l’hai fatto?!”. Le sue mani si fecero pesanti e le graffiarono le guance. Acilia sentì un lieve dolore e il sangue che colava vicino alle orecchie. Lui era arrabbiato e continuava a stringerla, ferendola con le unghie. “Perché?!”. 
Acilia si lasciò graffiare e percuotere le guance, stringendo i denti per il dolore, davanti alla bocca teneva una mano, in cui cacciava grossi e tristi respiri. 
“Ti posso aiutare” disse dopo un po’, in un lamento, allontanandosi dalla presa di Kaeso. “Ti posso aiutare… Devi solo controllarti un po’ di più… Potrai ancora uccidere ma solo per sfamarti! Senza torturare, e senza bambini…”. 
Kaeso aggrottò la fronte. Non sembrava rincuorato, solo disgustato. “Potrò ancora uccidere… Che vita è… Che vita è!” urlò e conficcò le sue unghie, che poco prima avevano graffiato il viso di Acilia, sul suo collo, come se avesse voluto scavare a fondo nella sua gola e staccarsi la testa. Gridava e le sue dita si imbrattavano di sangue, quando Acilia gli prese con forza le braccia urlandogli di fermarsi. 
Kaeso, frustrato, abbandonò le braccia lungo il corpo, richinando la testa. 
“Cosa siamo, Aci?” domandò, con voce affatica “Tu lo sai?”. 
Alzò il viso e ad Acilia tremavano le mani, in quel momento si poteva perdere negli occhi di lui e si sarebbe persa volentieri, in quel mare. Perdersi, piuttosto che rispondere… 
“No” ammise “Non lo so…”. 
“Quanto durerà ancora?” continuava Kaeso “E cosa ci sarà dopo? Sarà così per sempre? Per sempre?”. La sua voce s’affievolì e quel per sempre, che pronunciava così mestamente – ma che suonava così minaccioso – si ridusse quasi ad un eco. 
Le prese una mano e la guardò con due occhi blu che mai erano stati così grandi, e vivi. “Hai detto che mi puoi aiutare. Promettimelo…” fece. 
Acilia si sentì mozzare il respiro. Kaeso… Dov’era finito Kaeso? Possibile che se ne fosse andato davvero? Per sempre? Strinse la sua fredda mano, come pervasa da un’istantanea fiducia. “Promettimi che mi aiuterai, e che non mi abbandonerai mai!” concluse lui. 
La fiducia scivolò via, come quel sangue appiccicoso e lei sentì un gran peso sul proprio cuore, era un macigno. Non era brava lei con le promesse. Era stata in grado di uccidere l’uomo che amava – e ancora aveva voglia di gridare per questo! – cosa sarebbe stata in grado di fare a Kaeso? 
Cosa gli hai già fatto… 
“Sì” disse dopo un po’ “Sì… Sì!”. Strinse con più vigore la mano, convincendosi lei stessa. 
“Staremo sempre insieme, non è vero?” chiese Kaeso, incurvando le sopracciglia. Tremò quando sentì il ragazzino mugghiare, e per un attimo non disse nulla, poi la sua voce riemerse da quelle spalle ingobbite e insicure, come un naufrago che ancora aveva speranza. 
“Questo per sempre mi fa paura, ma se staremo insieme… se ci sarai anche tu…”. Ebbe un altro tremito e guardò con orrore il ragazzino mutilato. “Tutto questo mi terrorizza!” esclamò. I suoi occhi rimasero fermi, come ipnotizzati dal sangue e dal dolore che colavano dalla sua vittima. 
“E’ come se non fossi più io… Non lo sono, non sono più io… Perché io sono morto, e questo è un altro me…”. Tornò a guardare Acilia, che intanto lo fissava, allucinata forse, o con chissà quale altra espressione di sgomento sul volto. “Sei tu che mi hai ucciso” dichiarò e lei non aveva più voglia di guardarlo in faccia. “Mi hai ucciso tu” continuò lui, annuendo e alzando la voce “Mi hai ucciso tu, ora non mi puoi più abbandonare, me lo devi… Me lo devi!”. 
Acilia mollò la presa e si portò entrambe le mani al viso. Aveva voglia di nascondere lacrime che non aveva. La voce di Kaeso la raggiunse attraverso le fessure tra le dita. “Se tu te ne andassi… Penso che potrei impazzire del tutto”. 
Acilia allargò le dita e guardò Kaeso. Guardandolo, si sentiva sicura. Bastava poco, un solo momento per cancellare tutto il resto. “Non ti abbandonerò” fece, con voce spezzata “Staremo insieme, sopporteremo tutto insieme…”. 
Kaeso fece un debole sorriso poi richinò lo sguardo sulle proprie mani, ancora sporche di sangue. Il suo viso divenne a poco a poco più freddo, e non diceva più niente, e Acilia aveva paura. Ad un tratto il vampiro si leccò avidamente le dita, con sguardo trasognato. “Ho fame”. I suoi occhi intercettarono il corpo del ragazzino che ancora era lì, tremante e disperato, e non avevano più niente di vivo dentro. 
Acilia si impietrì. Gli aveva tenuto stretto le mano, gli aveva fatto una promessa, lui le aveva sorriso. 
Come pensavi di poter cancellare tutto il resto? 
“Sono io che ti ho ridotto così” sussurrò nuovamente, ripetendo quello che si diceva sempre, quello che si infliggeva sempre, quello che non doveva dimenticare, mai. 
  
  

Dubris cercava di evitare il più possibile la mischia, tenendo ben stretta a sé Eliza, quando si accorse che nessun vampiro stava cercando di attaccarlo. Si fermò e si voltò indietro. Persino Charlene si guardava intorno, spaesata. La sala dal pavimento sempre più rosso, sangue che colava ovunque, di corpi a terra non ce n’erano e Dubris non riusciva a capire chi fosse vivo. Poi capì perché in quel momento la battaglia sembrava sospesa. 
Dalla parte opposta della sala Kaeso e Acilia stavano combattendo. Lei in realtà sembrava solo evitare la spada di lui, con un’inutile arma in mano. 
Cosa aspettava? Doveva colpirlo! 
Dubris sentiva di nuovo dentro di sé una grande rabbia e strinse più forte Eliza per calmarsi, fino a che lei non gemette. 
Scusa, pensò Dubris chinando la testa, senza parlare, scusa. Voleva vedere Kaeso morto, ora! 
Poi sarebbe morta anche Acilia… 
Dubris alzò di scatto il viso e vide la spada di Kaeso conficcarsi nel fianco di lei. 
“No!” gridò. Doveva andare ad aiutarla, subito. 
La gente urlava intorno a lui, parecchi fomentavano Kaeso, correvano, gli si avvicinavano brandendo le loro armi… “No!” urlò ancora Dubris, sentendosi inerme, con il peso di quell’umana addosso. 
“Fermi!” tuonò Kaeso voltandosi verso tutti loro, mentre Acilia, a terra, fiatava e gocciolava sangue. “Non vi intromettete. Questa è una battaglia tra me e la grande Acilia”. Tutti tacquero e Dubris lo odiò. Poi ebbe una strana sensazione, un presentimento così assurdo… Era come se Kaeso stesse dando il tempo ad Acilia di riprendersi. Dubris si guardò intorno. Tutti erano attoniti. Charlene guardava Kaeso con gli occhi e la boccuccia spalancati. 
Poi quello urlò di nuovo. “Uccidete tutti gli altri!”. 
Dubris ricevette un pugno o qualcosa di simile alla schiena e barcollò. Eliza era aggrappata a lui piangendo piano e digrignando i denti. 
Non posso aiutarti, Aci, non posso. 
Tutti ripresero a muoversi e a gridare, un terribile formicaio che Dubris doveva riuscire a superare. Doveva portare in salvo Eliza, doveva… Doveva salvare qualcuno! 
Perché non hai salvato Ramona. 
Corse più velocemente possibile, intorno a quelle macchie di colore che si muovevano repentine quanto lui, e lui vedeva tutto sfuocato, finché non vide… 
“Dubris! Dov’è Ramona?”. 
Non era possibile, quello era Lyuben! Vedeva distintamente la sua chioma bionda, increspata, e un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca. Stava combattendo al loro fianco! “Dov’è Ramona?!” insisteva. 
Come faccio a dirglielo, pensò Dubris, atterrito, come faccio… 
Aprì la bocca, sentendo le proprie labbre così pesanti. 
“E’… è morta”. 
Lo sguardo di Lyuben si raggelò. I suoi occhi si fecero così stranamente crudeli. 
“Non l’hai protetta” disse. 
A Dubris tremarono le gambe. Lyuben non poteva fare niente, quella volta toccava a lui, Dubris, il suo creatore, proteggere Ramona… Non l’aveva fatto e ora Lyuben l’avrebbe odiato. 
“E quella che hai in braccio chi è?!” abbaiò ancora il biondo, arrabbiato. 
“E’… è…”. Non è nessuno in confronto a Ramona, pensava Dubris, non ho giustificazioni. 
“Dubris! Ti ho chiesto chi è!”. La voce di Lyuben si era alzata, era diventata squillante… Sembrava una voce femminile. 
“Dubris!”. 
Dubris sbatté le palpebre più volte. Victoire era davanti a lui con gli occhi sgranati, i capelli impastati di sangue, un rivolto che le correva giù per il mento. “Mi dispiace per Ramona, Dubris… Ma non è colpa tua! Reagisci!”. 
Non l’hai protetta. 
Non c’era Lyuben in quella stanza. Certo, Lyuben era morto. 
Dubris fece un cenno d’assenso, confuso. Victoire lo guardava in attesa e lui parlò: “E’… è l’umana che ha rapito Kaeso. Ti ricordi? E’ incinta. La devo salvare”. 
Victoire spalancò ancora di più gli occhi. Era lei la stessa che gli gridava di sparare a Kaeso, anche se aveva quella donna in braccio, e ora non riusciva a dirgli che stava sbagliando ancora. 
“Vai” disse “Vai… al furgone… muoviti… tra un po’ sorgerà il sole!”. 
Allora sto facendo la cosa giusta. 
Dubris non disse più niente e corse, ignorando gli spari, le urla, il pianto di Eliza che, disperato, gli chiedeva dove fosse Charlene. 
  
  

Acilia si era rialzata ed aveva riacquistato velocità. 
Kaeso aveva di nuovo mancato il colpo. 
Perché fallisci? 
Lei era più forte e più veloce, ma lui non stava forse sbagliando un po’ troppo? Non stava prendendo tempo? 
La verità era che voleva che durasse molto, moltissimo tempo quella battaglia. Lui e Acilia, quel per sempre di cui avevano più volte parlato. 
Per farsi coraggio a vicenda. Per non arrendersi. 
Ma Kaeso aveva imparato ad apprezzare quello che era. 
E allora perché avresti voluto Acilia al tuo fianco? 
Acilia non faceva altro che evitare i suoi colpi, col volto concentrato e gli occhi tristi. Non avere quegli occhi tristi, pensò lui, è solo colpa tua se siamo arrivati a questo punto. 
Apprezzi davvero quello che sei? 
Ramona gli aveva parlato di una divinità che era più simile a loro che agli umani. Era una cosa strabiliante, ciò che aveva temuto per tutta la vita non era altro che un’immagine più potente di se stesso. 
Un’immagine più potente di me stesso. 
Acilia sparò improvvisamente un colpo e Kaeso fu costretto a volare via. Il respiro mozzato, le gambe sospese per aria, la spada lucida e oscillante. 
Un tempo, lui aveva avuto paura di se stesso… 
Rise appena quando vide Acilia librarsi in aria e raggiungerlo. Lo guardava con sfida, odio e rancore. 
No, quello è il tuo sguardo. 
Gli occhi di Acilia sono tristi, ricordi? 
Smettila di confondere le cose! 
“Kaeso” lo raggiunse la voce di Acilia. Ora Kaeso la vedeva bene. Aveva i lunghi capelli neri appiccicati alla faccia, i vestiti sporchi di sangue e non gli puntava la pistola addosso. Il viso piegato in rughe che la rendevano così vecchia, così tanto più vecchia di quello che era… 
Lei è vecchia. Lo sei anche tu. 
“Non ti ricordi più nulla di Viridio?”. 
Kaeso schioccò le labbra, infastidito. “Il mio nome da umano”. 
Acilia parve confusa e lui ridacchiò. “Aci, io mi ricordo tutto… Non sono pazzo, renditene conto”. 
Lei inspirò a fondo. Esitò un attimo, poi disse: “La pazzia ha preso completamente possesso di te. Sei pazzo da talmente tanto tempo che non lo sei più”. Aveva sussurrato, come se parlasse a se stessa. 
Kaeso rivide l’immagine di Acilia che sussurrava a se stessa, lo sussurrava sempre. Sono io che ti ho ridotto così. 
L’antica rabbia che tornava, una ragazza dal volto innocente che gli si avvicinava e a tradimento lo uccideva, beveva il suo sangue… E osava venirgli a dire che era pazzo! 
“Sono solo cambiato!” gridò “Tu ti credi la buona, non è vero? E io sarei il cattivo! Ma chi era il cattivo millecinquecento anni fa?!”.    
“Ho fatto degli errori!” urlò Acilia in risposta ma Kaeso non aveva alcuna intenzione di lasciarla parlare. Con odio, alzò il braccio e sfregiò con la punta della lama la bocca della ragazza. Lei barcollò, nella brezza che proveniva dalla porta aperta, e si portò una mano alla bocca con un urlo soffocato, imbrattandola subito di rosso e Kaeso recuperò la calma. 
“Non si tratta di essere buoni o cattivi, non si è mai trattato di questo” disse, fissando Aci, mettendo bene a fuoco il suo dolore, con piacere “Ci sono solo epoche da attraversare, scelte da compiere e personalità che cambiano”. 
Acilia ritrasse la mano lasciando intravedere sangue e labbra che si ricomponevano e Kaeso concluse: “Nessuno vive così poco da non cambiare volto nemmeno una volta”. Le si avvicinò in un lampo e le prese il viso tra le dita, stringendoglielo. “E tu hai vissuto parecchio, no?”. 
Acilia, immobile nella sua stretta, lo fissava senza battere ciglio e lui sputò fuori di nuovo la rabbia, gridando. “E io non so chi sei veramente!”. 
Alzò la spada, deciso finalmente a decapitarla, a punirla. 
Per cosa la vuoi punire? Ora fai tutto quello che ti ha insegnato. Ti piace quello che ti ha insegnato. 
Urlò di collera e la sua mano era pronta e veloce, il collo di Acilia in attesa. 
Quale parte di te la vuole punire? 
Ma ci fu uno sparo e Kaeso cadde all’indietro, planando a terra. 
Non ti ricordi più nulla di Viridio? 
L’impatto col pavimento fu forte e doloroso. Kaeso gridava, si contorse, ma il dolore diminuiva e lui si guardò il torace. Il proiettile si era infilato in una costola e il suo corpo e lo stava espellendo, insieme a fiotti di sangue. La spada era caduta poco distante da lui. 
Allora mi hai finalmente sparato, pensò. Guardò verso l’alto. Acilia aveva il fucile puntato su di lui e avrebbe di nuovo colpito, Kaeso ora sapeva che l’avrebbe fatto… 
“Papà!” fece una vocetta squillante, sovrastando il caos. 
Sia Kaeso che Acilia si voltarono. Lontana dalla mischia stava una figurina coi capelli ricci, in un vestitino schizzato di sangue. I suoi occhi blu, Kaeso li vedeva così bene, anche se erano rossi. 
“Charlene” fece lui, allarmato “Non dovresti stare qui! Torna di sopra!”. 
“Papà!” insistette lei, avvicinandosi “Stai bene?”. 
Papà. 
Kaeso sentiva qualcosa di stranamente caldo nel petto. Aveva voglia di abbracciare la bambina ma voleva anche che se ne andasse, che se ne stesse al sicuro. Charlene continuava ad avvicinarsi, ma era diversa. Aveva i capelli lisci e scuri, una tunichetta sporca e dei sandali. 
“Hai ricreato Iulia” giunse la voce di Acilia, incredula. 
Kaeso si voltò di scatto a guardarla. Lei aveva gli occhi spalancati, fissava Charlene e sembrava non capacitarsene. “Hai trasformato una bambina… Sì che sei pazzo!”. Sembrava un dolore immenso quello sul volto di Acilia e Kaeso non capiva il perché. Non c’era niente di sbagliato in quello che aveva fatto, niente! 
“Charlene, tesoro, è pericoloso qua… Torna di sopra” disse, rivolto a Charlene. Ma la bambina non si muoveva. Gli sorrise, e non aveva i denti aguzzi. Gli occhi non erano rossi e la sua carnagione era olivastra. 
Ma fasci di luce luminosi stavano entrando nel castello dall’ingresso e i piedi di Charlene cominciarono a fumare. La sua tunica si allungò e divenne un vestito, la pelle impallidì e i capelli tornarono ricci. Nei suoi occhi rossi zampillavano fiamme. 
“Spostati!” urlò Kaeso, sgranando gli occhi. 
Che è successo? 
Corse verso la bambina e la spinse via, verso l’interno e il buio del salone. Gli altri combattenti si erano fermati, allarmati. La notte era già finita, il sole stava sorgendo e loro erano diventati tutti ugualmente inermi. 
Hai ricreato Iulia. 
“Moriremo insieme, Kaeso!” gridò qualcuno, spintonandolo. Lui ricadde a terra, Acilia troneggiava su di lui. Il suo viso era un esplodere di angoscia e ira. Si chinò su di lui e lo afferrò con una mano, con l’altra ancora stringeva il fucile. Prese il volo, trascinandolo fuori. 
Kaeso non oppose troppa resistenza, non capiva cosa diavolo avesse in mente la sua creatrice, sapeva solo che se si fossero esposti entrambi alla luce del sole lui non sarebbe morto per primo. 
Il calore cominciò a trafiggerlo con delle fitte fastidiose, poi il calore divenne dolore e il dolore divenne insopportabile. Si sentì spinto e lui cadde a terra, sui fili d’erba che divennero rossi, perché lui stava sputando sangue, ma non era sangue normale… Era così rosso, fumante, gorgogliante ma lui dovette smettere di guardarlo perché gli occhi gli facevano male e gridò, rigirandosi e contorcendosi. 
“Tranquillo, non ci vorrà troppo” disse la voce di Acilia, lì vicino, affaticata “Siamo vecchi, bruceremo presto”. 
Kaeso si mise seduto con quelle che sentiva ancora come sue gambe e si sforzò terribilmente di aprire gli occhi. Si mise una mano sulla fronte, che fungesse da visiera, perché aveva paura che i suoi occhi si squagliassero e lui voleva vedere Acilia, la voleva vedere dannatamente bruciare. 
“Brucerai prima tu” biascicò, sentendo le guance che scendevano sulla bocca, impedendogli di articolare bene i suoni. 
Acilia aveva i capelli incendiati, in una corona di fuoco. Ed era bellissima, così illuminata; il sole, doveva essere bellissimo… Kaeso l’aveva dimenticato. I vestiti della donna si stavano annerendo e lacerando, scoprendo il suo corpo, che presto sarebbe stato cenere. 
Allora lo vuoi davvero, morire. 
Nessuno dei due riusciva più a parlare e Acilia si buttò a terra affianco a lui perché le sue ginocchia stavano scomparendo. Metà del suo viso stava bruciando ed era una visione orribile, perché Kaeso sapeva che stava capitando la stessa cosa a lui. 
Non riesco a essere felice. Non riesco a vederla bruciare ed essere felice. 
Ma stavano bruciando insieme, era la loro fine, decretata da un destino crudele, che li aveva voluti insieme, in tutti i modi in cui due persone possono stare insieme. 
Ma Acilia stava sollevando una mano annerita. Riusciva ancora a tenere il fucile con quel braccio, facendo ombra con il suo stesso corpo. 
La sua bocca smise di urlare e digrignò i denti che ancora aveva, preparandosi a parlare. E i suoni uscirono angosciati, spezzetati e brucianti, ma Kaeso capì. 
“Se brucerò per prima… Mi devo…” un urlo e chiuse l’occhio che ancora era intatto. Doveva muoversi, prima che le fiamme arrivassero alla bocca. “Assicurare… che tu… muoia”. Gli puntò il fucile tremante contro il petto e Kaeso si preparò. 
Mi abbandoni anche stavolta. Allora tu non cambi mai. 
Kaeso non capì come ma riuscì a parlare, mentre le fiamme continuavano a divorarlo. Non capiva neanche come potesse essere ancora vivo, ma forse era già morto e l’al di là non era che un ripetersi di tutti gli avvenimenti più brutti della propria vita. 
“La finiamo come… l’abbiamo cominciata, Aci. Con te che mi uccidi”. 
Acilia era ormai incandescente, avvolta dal fuoco, dal sole, dalla luce, tutto ciò che Kaeso aveva sempre disprezzato, e temuto. 
Almeno aveva potuto vederle un’ultima volta: il sole, la luce, Acilia. 
  
  

Dubris aveva volato fino ai piedi del monte con Eliza in braccio, ignorando i suoi scalpiti e le sue grida, ed aveva raggiunto il loro furgone. Il sole aveva cominciato a sorgere e lui aveva perso velocità ma era giunto appena in tempo. I suoi capelli avevano cominciato a fumare un poco e ora, seduto con la schiena poggiata alla parete del furgone, a grossi respiri, si stava riprendendo. Aveva una gran sete ma doveva trattenersi perché l’unica umana che aveva vicino era una donna incinta a cui aveva appena salvato la vita, e dissanguarla non sarebbe stato un gran finale.   
Eliza stava piangendo a dirotto. “Charlene…”. Guardava Dubris implorante, con gli occhi che traboccavano lacrime a non finire, una disperazione lacerante sul volto. “Ti prego… Dobbiamo tornare indietro e salvare Charlene!”. 
Dubris scosse la testa, sentendo un grossissimo nodo alla gola. “Non posso più uscire, Eliza, c’è il sole”. 
“Ti prego…” continuava a singhiozzare lei. 
Lui non ce la faceva più. Aveva le orecchie perforate dal suo pianto e non poteva fare più niente per aiutarla. Si sentiva inutile e stupido, impotente… Cosa sarebbe successo a Charlene? Forse… forse se la sarebbe cavata, in fondo era un vampiro. 
“C’è il sole” ringhiò, costernato, tirando un pugno sul pavimento “C’è il sole…”. 
“Lascia andare me” disse Eliza “Lascia andare me!”. Si alzò in piedi, accingendosi ad uscire ma Dubris in un attimo le fu addosso con un abbraccio strettissimo. “Smettila, moriresti!”. 
“Devo salvare mia figlia!” strillò lei. 
“E’ un vampiro! Non è più tua figlia!” gridò lui, continuando a stringerla. Non l’avrebbe mai lasciata andare, avrebbe fatto di tutto pur di proteggere almeno lei. 
Eliza sembrò acquietarsi un attimo poi scoppiò a piangere più forte. Guardò Dubris con odio e disse: “Anche tu sei un vampiro. Credevo che non facesse differenza”. 
Dubris annuì, poi scosse la testa subito dopo. Era confuso, era tutto assurdo, quella battaglia era andata in un modo così strano… così sbagliato. 
“Tutti i vampiri perdono la propria famiglia, tutti…”. 
Eliza si riagitò tra le sue braccia. 
“Vuoi uccidere anche il bambino che porti in grembo?” sbottò Dubris “Non andare, fallo per lui”. 
La donna si calmò di nuovo e poi scivolò giù dalle braccia del vampiro, cadendo sulle ginocchia, gemendo atrocemente. 
Dubris si chinò a terra insieme a lei e le prese le mani. “Mi dispiace, davvero, mi dispiace…”. 
Eliza continuò a piangere così forte che l’altro fu tentato di mettersi le mani sulle orecchie. Per lui era tutto moltiplicato, il sentire, il vedere, il soffrire… Ma si trattenne. Rimanse con le mani nelle sue, ad aspettare, chissà cosa. 
  
  

Il dolore era immenso e Acilia doveva riuscire a premere quel maledetto grilleto prima che il fucile le si sciogliesse in mano, per il contatto con la sua pelle, o prima che la mano le cadesse. Doveva farlo, l’aveva promesso: uccidere Kaeso e consegnarsi agli umani! 
Un urlo la raggiunse, ancora quell’urlo, questa volta più straziante… 
“Papà!”. 
Roteò gli occhi, o un occhio, la vista la stava abbandonando, liquefacendosi e nella luce che divampava e uccideva tutto vide un incendio. Era la bambina, quella povera bambina trasformata da Kaeso. Aveva i capelli e il vestito in fiamme e gridava tantissimo. Li aveva seguiti! Ad Acilia parve di rivedere Lolita, crogiolarsi in lingue di fuoco, mentre urlava all’ingiustizia umana e a tutto ciò che c’era di crudele. 
Poi sentì Kaeso gridare disperatamente il nome di Charlene ed Acilia desiderò di aver premuto subito il grilletto, per risparmiare a lui quella vista infame. Solo un mostro poteva trasformare un bambino in un vampiro per divertimento, ma non era un mostro il creatore che urlava così furiosamente vedendo la morte di un suo creato. 
Lei è un creato diverso dagli altri. Lei, per quella parte di lui sepolta e scomparsa, è Iulia. 
Acilia premette il grilletto con un ultimo sforzo e un ultimo urlo, proprio contro il petto di Kaeso, mentre gli guardava il volto stravolto dalle fiamme, dal dolore, dall’amore. 
Allora Viridio non è morto del tutto. 
Riuscì a udire lo sparo e riuscì a vedere Kaeso esplodere in un mare di sangue, avvolto da un mare di luce, così intenso e accecante. Poi gli spasimi e le fitte di dolore aumentarono vorticosamente e Acilia dovette abbandonare il fucile perché la sua mano non esisteva più – non se la sentiva più – e poi si accasciò a terra, o quella che pensava fosse terra, perché intorno a lei era tutta luce, e tutto fuoco. E lei bruciava. 
  
  

Dubris provò quella sensazione, di nuovo. Il suo petto che sembrava lacerarsi, un dolore così forte da farlo urlare. Dovette allontanarsi da Eliza e rimase sul pavimento del furgone, a contorcersi, senza sapere perché. Ramona non poteva essere morta due volte e lui non sapeva di chi stesse il suo corpo piangendo la morte. Ma un creatore del resto, da qualche parte, doveva avercelo anche lui. 
Ed evidentemente stava morendo.














Ormai ci siamo, mancano solo due capitoli, ma mi vedo costretta a rimandare il prossimo a fine luglio perché tra poco parto :) intanto non abbandonatemi! Entro agosto la storia sarà conclusa! Alla prossima! E buoni esami/vacanze (madonna che ossimoro) a tutti :)


ps: l'azione lascia sempre a desiderare, lo so.. abbiate pazienza XD























   
 
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