Sorprese
[POV Alice]
Qualche anno fa mia madre, borbottando come suo solito, mi aveva
caldamente raccomandato di non rivolgermi mai a Zia Jenny, qualunque
cosa dovessi chiedere, se non in caso di emergenza, in caso di
straordinaria emergenza. Quanto avrei voluto ascoltarla!
Non potevo farcela da sola ad organizzare un pranzo per quindici
persone.
Ero terribilmente demoralizzata all’idea che tutto
poteva andare a puttane e non volevo assolutamente annullare.
È la mia grande occasione per conoscere i Green Day, avevo
pensato, deve funzionare!
O comunque la farò funzionare io.
Insomma, per farla breve, mi serviva un alleato potente e
papà non solo non era in grado ma non era nemmeno in casa
anche se sarebbe dovuto rientrare ieri sera.
Come niente si sarà andato a sbronzare con i suoi studenti e
colleghi da qualche parte, intenti ad ascoltare un po’ di
musica da pianobar. Non gli ho nemmeno lasciato un messaggio per
avvertirlo del casino che ho combinato.
Papà è decisamente assente e non sarebbe capace
di organizzare nemmeno un vassoio di tartine, figuriamoci un pranzo per
quindici persone.
Allora ho chiamato Jenny.
Era in officina e trafficava con un tubo di scappamento di una vecchia
Audi, e mi ha subito passato Nicole. Mi sono sentita
più tranquilla; in fondo Nicki è il
tipo remissivo, gentile, mai audace, una grande ascoltatrice e molto
più saggia della Zia Jenny.
Proprio ora aveva deciso di vivere una vita spericolata?!
E io, trovandola un’idea geniale ho subito pensato di
accettare.
“Potremmo organizzarlo da me!”
“Da te?”
“Beh, al mio piccolo agriturismo, a sud di West Hollywood.
Qualche strada più avanti rispetto a V Sunset
Boulevard.”
“Praticamente vicino casa!”
“Già. Al pranzo ci pensa il mio servizio
di catering, il posto lo preparo io e…”
“Cosa?”
“Senti, Jenny mi sta facendo strani
segni…”
“Quali segni? Pronto?! Nicki?! ”
“Nicki, amore, molla il telefo…ecco…
Lys, è un problema se invito qualcuno?
Mi è venuta un’idea.”
“Non lo so, Zia…”
“Non ti preoccupare cocchina, lascia fare a Zia. Ho tutto
già in mente, devo fare qualche telefonata ed è
fatta. Ultima cosa: hai il numero di telefono di Billie?”
“Chi? Cioè, si!”
“Mandalo via messaggio. Stasera ti chiamo e ti faccio sapere.
Ciao.”
Mi ha sbattuto il telefono in faccia, fin troppo frettolosamente.
A quel punto avrei dovuto sospettare qualcosa, ma io, da brava idiota,
mi sono rilassata pensando alla fortuna che mi era capitata visto che
così tutti i problemi di organizzazione se li era accollati
Jenny e sono andata serenamente a vedermi un film con mamma, un
thriller che passano in tv tratto da Grisham, forse.
Checché ne dica mia madre io non ho affatto le sue manie di
controllo.
Io non mi agito per un nonnulla. Perché dovrei?
Era tutto assolutamente sotto controllo.
Stamani poi mi sono svegliata alle sei del mattino, agitata come non
mai.
Ho tentato di riaddormentarmi per un’ora buona, ho
bighellonato in giro, acceso la tv, cercato lo jogurt in frigo ma era
finito, dato la pappa al gatto della vicina (quella donna bisbetica lo
lascia morire di stenti, è così carino!) ,
osservato l’orologio ossessivamente fino alle nove del
mattino.
Ho avuto un’illuminazione mentre facevo la terza mano di
solitario, totalmente rincoglionita.
Cazzo! Zia Jenny non mi aveva fatto sapere più niente!
Ho tentato di rintracciarla sul cellulare ma era irraggiungibile e
così anche Nicki.
Non so nulla. Se ha organizzato tutto a dovere, se ha fatto la spia con
mamma, se ha dato appuntamento a Billie, lo ha rapito e adesso sono su
un isola del Pacifico a spassarsela alle mie spalle. Sto per andare nel
panico.
Improvvisamente compare sulla soglia della cucina Charlie,
mezza assonnata, con i capelli dritti in testa, e l’andatura
dondolante. Il sonno più che riposarla sembra
ridurla come una strega, tutta sfatta e con le occhiaie.
“Mbuondgioornmoo…”
Biascica qualcosa ma io non ci faccio caso, mentre metto il
caffè sul fuoco e giro il fornelletto a gas. Ci
metterà un po’ a cuocere, dovremmo cambiare
cucina. Mai che la mamma si decida a fare una spesa che valga la pena
di fare.
Poi suona la porta e per poco non mi prendo un infarto.
Chi diavolo sarà alle dieci meno un quarto di mattina?!
Mi sono lanciata verso la porta, mentre Charlie si ritraeva
terrorizzata, facendo un salto indietro per non essere
travolta dalla mia furia.
Ho spalancato l’uscio con gli occhi sbarrati come in una
scena da film horror e ho visto comparirmi davanti un tizio in jeans e
maglietta, con un cappellino da baseball che mi fissava decisamente
stranito, con un grosso pacco di carta in mano.
Ho salutato imbarazzata e lui ha annuito perplesso, avrà
risposto al saluto o forse non avrà capito neanche una
sillaba di quel che ho detto.
Si è schiarito la voce, facendo un passo avanti e tendendomi
il pacco con un sorriso amichevole buttato lì,
all’ultimo momento. Stringeva le labbra in maniera un
po’ equivoca come se si stesse trattenendo a stento dal
ridere.
“Avete ordinato una torta alla ricotta?”
“Cosa?”
“C’è in casa la Signora
Foster?”
“No”
“Questa è la torta che aveva ordinato ieri nel
pomeriggio.”
“Oh, grazie.”
“Tutto pagato.”
Ho afferrato la torta e stupidamente ho fatto un cenno a Charlie
perché me la prendesse di mano e la appoggiasse in cucina. E
stranamente ha inteso tutto così sono rimasta a fissare il
tizio fuori alla porta, mister cappellino da baseball, sui
vent’anni, un neo che fa tanto chich sul mento e i capelli
medio corti con un ciuffo tenuto alla ben e meglio con il gel o che so
io.
Quello che non si leva dalla porta di casa mia, CHE DEVO FARE?!?!
“Aehm… scusa ma… che vuoi?”
Mi sento tremendamente stupida ma non ho un minuto da perdere. Sono
già le dieci e mia madre, o Zia Jenny, o Billie, o chiunque
altro potrebbero arrivare da un momento all’altro.
Quello sbuffa scocciato e incredulo come se fossi all’oscuro
di un dettaglio fondamentale.
“La mancia, scema.”
LA MANCIA?!?!?! Devo dargli anche la mancia?! Non ho parole. Ma quanto
sono sfacciati da uno a dieci i facchini qui a Los Angeles?!
Arrossisco come una ragazzina al suo primo appuntamento o come una
ragazzina che ha appena fatto una figura di merda colossale, per essere
più precisi.
Bofonchio qualcosa e richiamo Charlie ma stavolta non capisce. Peccato,
mi ci stavo quasi abituando. Da stamattina è di quanto
più simile ad un cane abbia mai avuto, almeno fino ad ora.
Gli sibilo un “stai con lui” e mi fiondo in camera
ad attingere dal mio borsellino di pelle.
Mi dico che un dollaro andrà bene anche se in
realtà non ne ho idea.
Lui lo intasca senza fare tante domande, con una smorfia e mi confida
con un sorrisetto irritante
“tu sei tutta matta”
“Grazie tante”
Gli sbatto la porta in faccia e vorrei tanto rimettermi a letto,
sparire e non pensare più a niente.
Poi sento un ribollire e un improvviso rumore di schizzo. La cucina
è un disastro, il caffè è per terra,
sulle pareti, sugli armadietti, sui fornelli, dovunque!
Spengo il fornello rabbiosa e afferro una spugna, per poco non mi
scotto contro il metallo della macchinetta, mezza rovesciata sul
ripiano di marmo. Che casino.
Poi la porta, quell’odioso campanello che suona come il
cinguettio di un canarino.
Lascio andare la spugna nel lavandino, grondante di sapone marsiglia e
acqua tiepida e mi precipito ad aprire.
“Buongiorno carina!”
Oddio no… dimmi che non è vero.
La vicina, una vecchiettina innocua che ha seppellito quattro mariti e
ha chiesto gli alimenti ad altri due, con quattro o cinque figli
dispersi per il mondo, mi sta fissando con i suoi fondi di bottiglia
spessi come il copertone di una jeep.
Potrei morire.
“Amorino, uccellino, ciccina, piccolina, come va?
Quanto tempo eh, canarino?”
“Buongiorno, Mrs Phinnigans”
“Delfinetta di zia, ho finito lo zucchero!”
“Si certo, arriva.”
Ritorno con il nostro imbarazzante barattolo a forma di zuppa Campbell.
Questo di sicuro lo ha scelto mio padre.
“Ecco a lei…”
“Cucciolottina, angiolotta, piccipiiicci, ho finito anche la
farina!”
Mi inchiodo sul posto con un sospiro. Devo stare calma.
Improvviso uno dei miei migliori sorrisi a trentadue denti (e farei
bene a godermelo perché tra poco mi toccherà
portare l’apparecchio, orrore) e annuisco con
tranquillità, simulata con la freddezza di
un’attrice di Hollywood.
“Certo che si, un attimo.”
“Grazie, cicciottina, nipotina bella ”
Afferro il barattolo della farina e per poco non rischio di romperlo ma
mi sbilancio quanto basta per rovesciarne metà sulle
piastrelle della cucina, sul caffè.
Stando attenta ad evitare la macchia che si allarga a vista
d’occhio nella mia cucina lancio un’occhiata
disperata a Charlie che… non
c’è! Dove cazzo è la gente
quando ho bisogno di lei?!
Ma quando torno dalla vicina quella per poco non mi strappa la farina
di mano aggiungendo sempre più zuccherosa e stridula:
“Confettino, principessina, anima mia,
avete per caso del lievito? ”
“SIGNORA NON ABBIAMO PIU’ NIENTE ADESSO SI LEVI DAI
CO…”
annaspo e per poco non mi strozzo mentre lo sguardo di Mrs Phinnigans
si fa quasi tetro e mi lancia un avvertimento di fuoco. Prendo un bel
respiro e finisco, tossendo appena un pochino.
“Purtr…ooppo queesto èè
tuuuto…”
“Oh cioccolatino non importa. Grazie tante, verrà
uno splendido dolce. Ve ne porterò una fetta.
Vedo che ne avete bisogno visto che ne ordinate in
pasticceria” commenta velenosa indicando la confezione di
carta che un quarto d’ora fa aveva lasciato quel tizio.
“Bene, pinguinetta” lancia uno sguardo eloquente al
mio pigiama “io mi levo dai co...co…come
si è fatto tardi! Salutami la
mammiiina!” Trilla allegra la strega.
Furente richiudo la porta mentre penso allo schifo che mi aspetta in
cucina.
Mi precipito nello sgabuzzino delle scope e con stracci, acqua e
detersivo per pavimenti riesco a venirne a capo. L’orologio
con le ciliegie appeso al muro mi sbeffeggia, segnando quasi le undici
e dieci. Mi sono persino macchiata il pigiama. Che giornata di merda.
DING DONG
Osservo, sfinita, Charlie che scende allegramente dalle scale andando
ad aprire con tranquillità e stoicismo. Ed eccola che emette
un urletto di contentezza.
Mi catapulto fuori dalla cucina in pigiama e atterro a qualche metro da
Billie Joe Armstrong che mi sorride amichevole e, dopo un momento di
stupore e perplessità torna a sorridere con una bella fila
di denti… non proprio bianchi ma ci si accontenta.
“Alice, giusto?”
“Si infatti. ciao. siete arrivati presto.”
“Non direi. Sono quasi le undici e mezza. E dobbiamo ancora
passare a prendere Jenny, Nicki, Rod, Ned, Stephen, Mike, Tre, Matt,
Steave, Fred…”
Lo osservo mentre enumera una serie di nomi a me totalmente
sconosciuti, appoggiandosi alla maniglia della porta come se gli
costasse fatica stare in piedi.
“Ok ok ok, frena… pensare…ho bisogno di
pensare”
“Andiamo, questa cosa l’hai organizzata tu,
ragazzina.”
“NO! Nononono, io volevo soltanto un autografo!”
“Dai, ci sarà da divertirsi. Non vuoi conoscere il
passato di tua madre? Sarà esilarante”
Uno scintillio negli occhi ed è fatta.
Per un attimo penso davvero che questa sia la cosa più
sensata da fare.
Sul serio.
“Ok. Adesso che ne dici di levare quel pigiamino che
è tanto carino e tenero e metterti qualcosa
addosso?”
Oddio! Avevo il pigiama con i pinguinetti!
CHE FIGURA!!!
Fatto sta che, una doccia frenetica, rischiando una frattura
grave sul pavimento scivoloso del bagno, compaio in salotto, vestita in
jeans rossi a zampa e top bianco con Charlie al mio fianco,
in jeans scuri e lunga magliettina nera con le borchie intorno al collo.
Quei tre sono spaparanzati sui divani e noto che si sono serviti da
soli, almeno a giudicare dai tre bicchieroni di birra ghiacciata in cui
galleggiano dei cubetti agonizzanti e mezzi sciolti.
Non commento e dopo aver cacciato tutto nella mia fedele sacca di pelle
indiana impugno le chiavi e la busta della torta alla ricotta.
“Ragazzi , che faccio con quest’affare?
Lo presentiamo a tavola?”
A dissuadermi è la consapevolezza che è quasi a
metà.
Se la sono sbafata. In neanche un’ora. Che roba.
“Squisita, i miei complimenti al cuoco”
ironizza Tré, ridacchiando furbescamente.
Decido che è il caso di andarla a mettere in frigo e
lasciarla lì per quello che regge.
Finalmente usciamo di casa e io sto cuocendo dalla curiosità
di vedere le loro macchine.
E scopro che hanno affittato un furgoncino per almeno dieci persone.
Mentre Mike riscalda il motore sento BIllie gridare come un cowboy al
galoppo e penso che la cosa mi è decisamente sfuggita da
mano.
************************
[POV Vig]
Ero profondamente incazzata con mio marito, stavolta più del
solito.
Quel cretino di Jules non rispondeva al cellulare e neppure
la sua preziosa allieva.
In ufficio il telefono squillava, gli avevo lasciato almeno dieci
messaggi sulla segreteria telefonica (peccato che gli insegnanti di
conservatorio non abbiano una segretaria) per non parlare delle
centinaia di mail di avvertimento che probabilmente a
quest’ora infestavano la casella del suo Blackberry.
Mi rassegno a riporre il cellulare in borsa mentre entro in farmacia
per prendere le vitamine.
Non devono mai mancare a casa mia. Ai bambini preferisco darle sotto
forma di alimenti ma siccome non mangio frutta ogni tanto sento il
bisogno di integratori alimentari.
Saluto il farmacista, Paolo, con un sorriso stanco e lui mi consiglia
l’ennesimo rimedio omeopatico che rifiuto gentilmente.
Non che non mi fidi dell’omeopatia ma non voglio avere altri
rimedi “pseudo-medicinali” appresso. La mia borsa
è già abbastanza congestionata e confusionaria
senza bisogno delle capsule di arnika 200.
Proprio mentre do un’occhiata ad un nuovo idratante
“naturale” e aspetto che Paolo risorga dal
retrobottega mi arriva una chiamata di Jenny.
“Vig!”
“Ehi”
Esco dal negozio per cercare un punto dove prenda la linea ma continuo
a non sentire quello che lei mi urla nelle orecchie.
“…iam…ven…do…rende…t”
“Come?”
“stia…a…ve…a…preen…de…ti”
“Jenny, non ti sento!”
“STIAMO VENENDO A PRENDERTI!”
Urla qualcuno dal finestrino di un enorme furgone.
Mi giro, allarmata e incredula.
è là, che mi saluta dal finestrino, mentre Billie
è saltato giù da quel coso enorme, uno di quei
furgoncini blu d’affitto che avrebbero potuto contenere una
scolaresca in gita.
Le ruote sono mezze sgonfie e hanno un’aria decisamente poco
sicura.
Davanti a me Billie Joe Armstrong in maglietta a righine sottili sul
grigio e una giacca di pelle nera si avvicina fino ad abbracciarmi
calorosamente.
“Ehi Prof”
“Armstrong, ti dispiacerebbe informarmi di quello che sta
succedendo?
Sai com’è avrei ospiti a pranzo, io.”
“Ospiti? Ce li abbiamo tutti noi gli ospiti. Salta su che sto
morendo di fame.”
Mi indica il furgoncino dove una folla di gente chiacchiera allegra;
visi familiari fra l’altro.
“Billie non sto capendo, chi è tutta questa
gente?”
Mi avvicino sospettosa, osservando attentamente i visi oltre i vetri
che ridono e ammiccano fra loro.
Poi una donna si gira verso di me e, dopo l’iniziale sorpresa
sopraggiunge la gioia.
“Oddio… ma tu sei Meggy!”
“Vig, da quanto tempo!” sento la sua voce attutita
dal vetro del finestrino.
Senza più indugio mi infilo nel furgoncino e vengo investita
dai saluti di almeno una decina di persone.
Le osservo meravigliata mentre il passato si trasfigura in presente,
davanti ai miei occhi sbalordita.
Margaret Morgan*, la mia amica di una vita, con i suoi riccioli
castani, un tempo diligentemente cotonati, oggi ripassati con il ferro
e la frangetta piastrata, color biondo paglia.
Sempre e incessantemente alla moda, a qualunque età.
Accanto a lei è seduto un uomo, in giacca e camicia bianca
con iniziali ricamate sul taschino che spuntano fuori prepotenti, in
blu scuro e l’aria da manager affermato con tanto di
occhialetti.
“Vig, ti ricordi di George?”
Non ci posso credere! Il fidanzatino di Los Angeles*. Non mi dire.
“parlo con il signor Morgan?” scherzo con tono
solenne scatenando le risa dei due coniugi.
Evidentemente ci ho azzeccato.
“E Sabina?”
Sabina Ramirez*, altra nostra amica storica, mi saluta entusiasta
qualche fila di sedili più dietro.
“ Sab! Oddio ragazzi che bello rivedervi tutti!”
Sento Armstrong tossire in maniera teatrale ed evidente e intravedo sul
suo volto di profilo un sorrisone sornione.
“Vuoi dei ringraziamenti, Armstrong?”
“Mi offri anche una cena?” e mi strappa ancora una
volta un sorriso.
Mentre la strada intorno a noi scorre monotona e grigia, mi guardo
intorno tendendo l’orecchio alle conversazioni nel pulmino e
osservando le mie vecchie conoscenze.
Ogni tanto scambio un commento con Mike biondo-platino.
Mi fa piacere vederlo più rilassato, almeno non mi crolla
dal sonno.
in ultima fila sono stati relegati i bambini. Ronnie sembra trovarsi
bene con una bambinetta dall’aria esuberante con lunghi
capelli castani, raccolti in una treccia disordinata e sembra starle
mostrando alcuni suoi disegni dal blocco che porta sempre con
se.
Accanto ad Alice e Charlie ci sono due ragazzine appena più
grandi, forse due diciottenni dall’aria spocchiosa. Eppure
pare che abbiano trovato un punto di accordo, forse sulla musica, fatto
sta che stanno discutendo amabilmente se sia più bello un
certo Mark Hoppus o un certo Gerard Way* o che so io.
L’importante è che si capiscano loro.
Tra l’altro una è la bella copia di Meggy da
giovane.
“Ma quella che vedo è la tua progenie,
Meg?”
“Sylvia è mia figlia, Corinne è la
cuginetta che è in vacanza da noi. È
parigina.”
Lo dice con un’aria chioccia e orgogliosa. Quella donna non
cambierà mai.
Sempre all’ultimo grido ed ogni occasione è buona
per sbattertelo sotto gli occhi.
Lancio un’occhiata ironica a Mike-biondo-platino che risponde
divertito, con una smorfia finto-scioccata.
Un paio di sedili dietro vedo Fred, il buon vecchio Fred, mio autista
preferito al tempo della squatter house tra la West 7th e Peralta
Street*.
Era così dolce e bambino, lo comandavo facilmente a
bacchetta ma era un tesoro.
Con lui non sono mai arrivata in ritardo a scuola.
Lo vedo mentre gioca al nintendo in una sfida a supermario con un
ragazzino di dieci anni, il volto paffuto e i capelli scuri, dalla
corporatura robusta nonostante la sua giovane età.
E poi ancora una donna che li guarda divertiti mentre lancia
un’occhiata materna ad un secondo bambino di appena sei anni
che protesta sulle sue gambe, anche lui interessato a quella infernale
macchina per videogioco-dipendenti.
A distrarlo interviene un tizio dall’aria tremendamente
inquietante con i capelli verdastri, insozzati di gel fino al midollo e
gli occhi spiritati. Anche lui abbondante di corporatura, con le sue
espressioni scimmiesche imbastisce un circo di boccacce che mandano in
visibilio il bambinetto facendo ridere anche la madre che nasconde a
malapena sotto le mezze maniche i tatuaggi colorati.
Ho un bruttissimo presentimento.
“Ehi Mike”
“Si, si, stiamo arrivando” mi rimbecca Billie
sbrigativo.
“Non stavo parlando con te Armstrong. Ci sono un
po’ di personaggi che non conosco.”
“Di Fred ti ricordi spero.”
“Avevi dubbi?”
Ancora una volta Billie si intromette, provocatorio:
“Sta parlando di mia moglie. Lei è Adie. E vicino
a Fred e Tre ci sono Joey e Jake, i miei
figli.”
Wow, la famiglia al completo. Tutti con un’adorabile aria
punk, una faccia da campagnolo bifolco e abitudini decisamente poco
educative in fatto di pedagogia classica.
Complimenti, Armstrong, hai colpito ancora.
“Adorabili”
“Sapevo che avresti apprezzato”
“Non mi aspettavo niente di meno da te.”
“Ma se ti eri dimenticata della nostra esistenza fino alla
settimana scorsa!”
E anche qua non ha tutti i torti. Quasi quasi sono pentita.
“Non conosci Tre?”
“Il vostro nuovo batterista. È francese o
è semplicemente un cazzone?”
Vedo i due vecchi amici storici scambiarsi uno sguardo furbesco,
trattengono il riso in maniera evidente.
“Naturalmente te lo presenteremo” sogghigna Billie
mentre sterza violentemente facendoci sobbalzare tutti.
Siamo davanti al cancello dell’agriturismo di Nicole. At last.
Sono sconvolta ed estasiata.
Intanto non sapevo che l’agriturismo di Nicki fosse
così bello.
è un piccolo paradiso bucolico.
Prato ovunque, dei vigneti e persino tre gazebi, due invasi
dall’edera e uno adornato da una buganvilla violacea
rigogliosa che fa molto romantico.
Non manca dietro la casa un’enorme piscina olimpionica e una
piscinetta per i più piccoli.
La casa patronale è un carinissimo cottage di tre piani che
ospita circa sei –sette stanze per piano e poi ci sono una
quindicina di dependance nel giardino-ortobotanico che da un
tocco di esotico e selvaggio ai dintorni.
Sembra davvero un agriturismo di quelli italiani che vedi sulle foto
delle riviste di viaggi.
Per noi sono stante organizzate tavole e tavole di legno con apposite
banche e, a far da cornice un servizio di catering assolutamente
professionale che arrostisce bistecche, hamburger e hot dog caldi sul
momento su enormi braciole. Sembra attendano solo noi.
Si intravedono spiedini, verdure alla griglia, patate fritte a
volontà persino il pane e olio sulla griglia, poi servito
con burro e salmone.
Mi guardo intorno instupidita mentre mi vengono incontro nostri vecchi
compagni di scuola i cui nomi avevo dimenticato da un pezzo, ragazzi
che ho visto da qualche parte e che non riesco minimamente a ricordare.
Man mano che vado avanti è tutto un “Ciao, ti
ricordi di me?”, “Vig!” ,
“Virginia, come va?”.
Potrei avere un tracollo.
Rivedo Matt che si era subito alleato con me per i turni di pulizia
alla squatter e adesso ha aperto un locale notturno, Patricia che
adesso lavora in uno strip club e ha sposato il capo del locale,
persino Rod, mansueto e silenzioso come sempre, ha aperto
un’agenzia di viaggi ed è specializzato
nell’organizzazione di trasporti per festival del Jazz e mega
concerti rock*.
Eppure fra le tante facce che ricordo non c’è
Jason*.
Chissà, forse non sono riusciti a recuperarlo.
Un pensiero mi assilla con sempre maggiore insistenza.
Sono assalita da domande sulla mia famiglia e tutti non fanno che
chiedere:
“Dov’è Jules?”
Insomma dove cazzo è mio marito?
*********************
COLONNA SONORA:
Gioacchino
Rossini, il barbiere di Siviglia (La Scala di Milano , 1998)
All
by myself/ Dominated love sleave live 1994
Green
day – Live in Rock am Ring 2013 #rar
#oneofthebestconcertliveinstreamingdespitethenewtrilogy
à getting used to it u.u
Green
Day : MTV jaded in Chicago
Note
* Margarita Morgan e Sabina Ramirez, per la prima volta nominate in
Pinole Valley High School 1989-1990
Settembre:
trave di fuoco.
* Il fidanzato di Meggy compare come cameo in Pinole Valley High School
1989-1990
Novembre:
fracasso d’ inferno.
*rispettivamente cantante e bassista dei Blink-182 e cantante e
chitarrista dei My Chemical Romance
* Fred, nominato per la prima volta in Pinole Valley High School
1989-1990
16
Febbraio 1990.
*Rod compare per la prima volta in Pinole Valley High School
1989-1990
Ottobre:
Post-test d’ingresso
mentre Patricia e Matt compaiono in Pinole Valley High School
1989-1990
Febbraio:
trasferimenti e pulizie di primavera
*Jason compare per la prima volta in Pinole Valley High School
1989-1990
Febbraio:
trasferimenti e pulizie di primavera
ed è anche il Jason di J.A.R
“Il titolo è l'acronimo di "Jason Andrew
Relva", un amico del bassista della band, Mike Dirnt. Jason
Relva morì all'età di 19 anni il 18
aprile1992, in seguito ad un incidente stradale. Mike
Dirnt scrisse questa canzone in memoria del suo amico
scomparso ed essa parla di come si deve vivere la vita al massimo
facendo le nostre scelte personali senza farsi condizionare da quelle
degli altri.” [WIKI]
Angolo dell'autrice
Eccomi, in mostruoso ritardo di almeno un anno.
Non ho scusanti a parte la vita reale che pretende tutta la mia
attenzione di recente ma adesso, finiti esami universitari e fatto una
specie di progetto dei capitoli successivi, giuro che la
porterò a termine.
Perché tutto sommato la amo e la mia fedeltà va
al mitico trio di Berkeley.
Che notte il 5 giugno a Roma. Mai un concerto così bello.
Non perderò tempo con i Disclaimer. Tanto li sapete.
Così come non spenderò una parola a parlare di
Adie e della famiglia Armstrong al completo.
E sappiate che è bellissimo riscrivere questa storia.
A presto, spero,
Neal C.,
alias Misa
p.s si lo so, è cortino, abbiate pietà,
è un nuovo inizio!
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