Ed eccoci a una nuova
sfolgorante TS! Yeeee!
Stavolta
siamo verso Settembre-Ottobre del secondo anno...
Vi avverto,
ci sono un po' tanti pg originali ma non manca qualche siparietto dei
nostri T-Boyz.
Buona lettura.
*******
Quasi una sorella
“Salve
a
tutti!” trillò Yasu, rincasando. Una rapida
occhiata al divano e alla cucina e
si rese subito conto che mancava qualcuno.
“Dov’è
Ken?”
“Ha
le sue
cose...” ridacchiò Sorimachi. Sawada gli
assestò una gomitata e lo rimproverò:
“Smettila! Ha detto-”
“Mugugnato”
precisò Kazuki.
“SMETTILA!
Ha
detto che aveva mal di testa e voleva restare da solo in camera
sua” continuò
poi, rivolto a Yasu. “Credo abbia discusso di nuovo con suo
padre.” Aggiunse a
mezza voce.
“Per
la storia
dell’esame?”
“Già”
indugiò Sawada.
“Se ho ben capito gli rimprovera di non allenarsi
abbastanza...”
Yasu
sospirò.
Nonostante tutti i buoni propositi, il signor Wakashimazu continuava a
interferire
nella vita del figlio: ma d’altronde era stato lo stesso Ken
a promettere di
non abbandonare del tutto il karate... e ora che c’era in
ballo quella storia
dell’esame, il papà non gli avrebbe dato pace.
Magari se avesse preso anche
quel cavolo di “terzo dan” o quello che era, per un
po’ il padre lo avrebbe
lasciato stare.
E
come sempre
Ken somatizzava: non era la prima volta che si chiudeva in camera sua
al buio,
senza cena, pregandoli di non disturbarlo e di fare meno rumore
possibile.
Le
altre volte,
Yasu si era limitata ad attenersi alle istruzioni.
Ma
adesso?
Sì,
insomma,
ora era la sua ragazza, ora, ormai
da qualche mese, stavano insieme.
Poteva entrare nella
stanza? Doveva vedere come stava?
“Beh?”
la richiamò Kojiro affacciandosi dalla cucina con un
bicchiere di coca in mano,
“ti sei imbambolata?”
Doveva
essere
rimasta ferma nel corridoio per un po’.
“Sì...”
balbettò, “appoggio lo zaino in camera e
arrivo”.
“Chiedigli
se
è sicuro di non voler niente, del tè o che so
io.” Borbottò il cannoniere.
Yasu
si bloccò
di nuovo. Hyuga dava per scontato che sarebbe andata da Ken. Allora
doveva?
Poteva? Dio, che casino. Avrebbe voluto che esistesse un manuale d’ istruzioni
su come fare
la ragazza di qualcuno.
Appoggiò
la
borsa in camera, mise la tuta che portava in casa e si diresse verso la
stanza
di Ken. Di fronte alla porta si
“imbambolò” di nuovo, come avrebbe detto
il
capitano.
Al
diavolo, al
massimo se non voleva vedere nessuno, le avrebbe detto di andarsene.
Dischiuse
con
cautela la porta, chiamandolo piano.
“Ya-chan
sei
tu?” la sua voce era flebile e roca, poco più di
un sussurro, come se parlare gli
costasse fatica.
“Sì,
amore,
come stai?”
“Non
molto
bene.”
Nella
penombra
lo vide alzare una mano e la ragazza si avvicinò al letto
per prenderla fra le
sue. “Vuoi qualcosa da mangiare o da bere?”
Mormorò.
“No,
non mi
va. Voglio cercare di dormire, poi mi passa, non vi
preoccupate.”
“Capisco,
se vuoi
riposare, me ne vado.”
“No!”
Lo pronunciò
a voce più alta del dovuto e trasalì, come se gli
avesse fatto male.
“Shhh”
disse lei
carezzandogli i capelli e il viso, dove indugiò, sentendolo
premere la guancia contro
il proprio palmo. “Ti va di parlare?”
“No,
voglio
solo stare in silenzio...”
“Se vuoi resto, ma
sai che non so starmene
zitta.” Gli sussurrò, in tono allegro.
“Sì,
ma resta
lo stesso... la tua voce, non so mi fa... bene” le
rivelò, stringendo la mano
che ancora toccava la sua e portandosela alle labbra per sfiorarla con
un
bacio.
Yasu
sorrise e
si sedette in terra vicino al letto, poggiò la testa contro
il fianco di Ken continuando
a tenergli la mano. Visto che, a quanto pareva, non gli andava di
parlare di
suo padre e dell’esame, cominciò a raccontargli
sottovoce la sua giornata.
A un certo punto
sentì le palpebre farsi
pesanti e che stava perdendo il filo del discorso, quando si rese conto
che Ken
si era addormentato. Allora piegò la testa di e
lasciò che il sonno
l’avesse vinta anche su di lei.
Si
svegliò
quando la mano, che stringeva ancora, si mosse, poi udì il
portiere cambiare
posizione. Sentì i suoi capelli sfiorarle il volto e poi le
labbra che
premevano sulla sua guancia. “Piccolina, ma hai dormito qui?
Dai, vieni sopra.”
Yasu
si tirò
su e s’infilo sotto le coperte, dove Ken le aveva fatto
spazio.
“Stai
meglio?”
gli chiese, una volta che si fu accomodata.
“Molto
meglio,
grazie.”
Si
chinò su di
lei, facendo aderire il proprio corpo al suo, e la baciò a
lungo sulle labbra e
poi sulle guance, e sul collo.
Yasu
mugolò
soddisfatta, abbracciandolo e ricambiando quelle coccole con entusiasmo.
“Ieri
sera
Takeshi mi ha detto-” cominciò a dire, ma fu
interrotta da uno strano rumore.“È
il mio stomaco” spiegò, imbarazzata.
“Ieri sera non ho cenato”.
Ken
la guardò sorridente.
“Nemmeno io e, se vuoi saperlo, muoio di fame. Spuntino
delle...” si allungò
per guardare la sveglia. “Due?”
“Ora
sto davvero bene”
disse Ken, fregandosi le mani, guardando
le tazze colme di latte caldo e il barattolo della nutella. Yasu era
seduta
sulle sue ginocchia, che spalmava fette biscottate a getto continuo.
“Fai
‘aaa’...”
fece, porgendogliene una perché la mordesse, infilandosi poi
in bocca il pezzo
rimasto.
“Cosa
volevi
dirmi prima, hai rammentato Takeshi -”
Ma
anche
stavolta furono interrotti: in quel momento, infatti, il portoncino
d’ingresso
si aprì facendoli sussultare. Kojiro, con un pallone sotto
braccio, entrò,
cercando di non fare rumore.
Quando
alzò la
testa sobbalzò a sua volta alla vista dei due,
perché proprio non si aspettava
di trovare qualcuno ancora in piedi. Sentendosi scoperto, da cannoniere
di
razza, rispose con l’attacco: “E voi che ci fate
qui?”
I
due,
sentendosi altrettanto colti in flagrante, balbettarono
all’unisono una
risposta, solo che uno disse “Cena” e
l’altra “Colazione”.
“E
tu invece?”
rinviò abilmente Yasu. “Passeggiata al chiaro di
luna col tuo migliore amico?”
chiese. E scoppiarono
tutti e tre a ridere, come sempre, di fronte alle citazioni di Tsubasa.
“Dai
siediti
con noi, Hyuga” intervenne Ken, mentre Yasu andava a prendere
un’altra tazza,
la riempiva di latte e la porgeva al nuovo arrivato.
Kojiro
la
ringraziò, ma preferì prendere della coca dal
frigo. Poi si rivolse a Ken: “Sono
contento di vedere che stai bene.”
Ken
annuì,
deglutendo in fretta per rispondere, ma l’altro
proseguì con un risolino. “Una
guarigione lampo, di solito hai la faccia da zombie fino al mattino
dopo...”
Il
portiere
sorrise imbarazzato, mentre Yasu sceglieva una fetta biscottata
particolarmente
carica di nutella, e la porgeva a Kojiro, tenendogliela di fronte alle
labbra.
“Non sai cosa non può fare, un po’ di
dolcezza” sussurrò.
Kojiro
guardò
la fetta arricciando il naso, quindi la strappò dalla mano
della ragazza
ficcandosela in bocca. Poi ne arraffò altre due
già pronte e le mangiò di
gusto. “Avevo fame” spiegò con
un’alzata di spalle, di fronte allo sguardo
divertito degli altri due.
Si
sistemò
sulla sedia, mangiando le fette che Yasu continuava a spalmare.
D’un
tratto si
bloccò e li guardò: “Non ho interrotto
qualcosa, vero?”
I
due scossero
la testa all’unisono, ridacchiando. Il capitano ancora non
sembrava aver ben
realizzato “cosa” fossero loro due. Ma infondo era
meglio così.
“Bene”
fece Hyuga
alzandosi e stiracchiandosi. “Andate pure a letto, sistemo
io...”. Si diresse
verso il lavello e aprì l’acqua.
Yasu,
a sua
volta, scese dalle ginocchia di Ken e allungò la schiena.
“Sì, ora ci vuole un
letto” disse, sbadigliando.
“Che
ne dici
del mio?” le sussurrò Ken contro
l’orecchio, abbracciandola. “Abbiamo un
discorso in sospeso...”
“Ma
non ti
faceva male la testa?” lo canzonò.
“Passato
completamente”
“Ma
va?” rise.
“Mi sa che è meglio se andiamo a letto, ognuno nel
proprio” precisò mentre le
mani di Ken la cercavano. “Volevo chiederti di tuo padre, ma
ne parliamo
domani...yawn!” sbadigliò di nuovo.
“Mio
padre”
sbuffò, lasciando cadere le braccia. “Se volevi
smontarmi, hai trovato il
modo...”
“Wakashimazu”
La voce del capitano li fece scattare entrambi sull’attenti,
come sempre. “Mi è
sembrato di capire che hai bisogno di alcune ore da dedicare al karate.
Ne ho
parlato con Nat-san”.
“Capitano,
non...”
“Non
abbiamo
partite per un po’, quindi se ti alleni a karate, ti
autorizziamo a saltare
l’allenamento in palestra e ad arrivare un poco dopo
l’inizio degli allenamenti.
Se qualche volta hai bisogno di saltare proprio, puoi accordarti col
portiere
delle medie o con Wakabayashi... nel senso di lei”
sbuffò, indicando Yasu.
“Grazie
capitano, ma non...”
“Ken”
disse,
asciugandosi una mano insaponata ai pantaloni per poggiarla sulla
spalla
dell’amico. “Ho bisogno che tu sia sereno, e so che
non lo sarai finché non avrai
saldato questo... debito d’onore
con
tuo padre. E so anche che sei bravo e che in fondo ti piace. Non
sprecare
neanche questo tuo talento. E poi... che portiere del karate sei se non
mi
diventi almeno terzo dan?”
“Grazie,
capitano” ripeté Ken, abbracciandolo. A Yasu venne
da sorridere, sentendo la
commozione nella sua voce.
“Sì,
sì... ti
voglio bene anche io, Wakashimazu” bofonchiò
Kojiro, divincolandosi. “Ma
andiamo tutti a letto, che è tardi”.
“Peccato
non
avere una macchina fotografica! Eravate così... kawaii!!!” disse Yasu, facendo
la vocetta stridula e congiungendo
le mani. “Con una foto così, ci potevo fare dei
bei soldi...”
“Eh
beh, ti
avrebbero fatto comodo...” l’apostrofò
Ken, allungandole una pacca sul sedere.
Yasu
rise e
scappò via, seguita dal portiere che la agguantò
sulla soglia della camera.
“Allora... Buonanotte?” le chiese, sperando di
farle cambiare idea circa il
letto in cui dormire.
“Buonanotte.”
Rispose lei con un sorriso di dolce rimprovero e un bacio leggero.
Quindi si
diresse verso la propria stanza.
****
Quando
la sera
successiva Yasu trillò “Salve a tutti!”,
si guardò intorno e chiese:
“Dov’è Ken?”,
un senso di deja-vu aleggiò nella casa.
“Fa le sue
cose...”ridacchiò Sormachi,
con una piccola variazione sul tema, ma ottenendo la solita gomitata da
Sawada.
“Non
avrà di
nuovo mal di testa?” si preoccupò la ragazza.
“No!”
rispose
Kazuki con un ghigno. “Sta meditando...”
“Meditando?”
chiese Yasu, strabuzzando gli occhi.
“Sììì!”
Proseguì l’attaccante, “sai tipo:
OOOOMMMM”. E così dicendo, si arruffò i
capelli, lasciando cadere un ciuffo sugli occhi, incrociò le
gambe, le mani
aperte poggiate sulle ginocchia, indice e pollice congiunti, occhi
chiusi. “Tu,
donna, partorirai con dolore...” salmodiò.
“Kazuki,
finiscila” sbuffò Takeshi.
“Tu,
invece,
ti sfarai di pugnetteeeee” proseguì, cantilenando.
Yasu
ridendo,
con le lacrime agli occhi, si avviò verso la sua stanza.
Ken
sospirò,
sfiduciato. Si era illuso di poter meditare almeno in camera, ma si era
arreso
all’evidenza che era impossibile.
Per
primo era
rientrato il capitano: come sempre si era scolato un po’ di
coca cola
(lasciando, per regola, il solito odioso goccio infondo alla bottiglia
che se
ti viene voglia di berne un po’ anche tu, lungi dal
soddisfarti, ti fa solo
incazzare), aveva emesso un rutto da tirannosaurus rex, infine era
andato in
camera e aveva acceso lo stereo. A dire il vero, aveva regolato il
volume
piuttosto basso, probabilmente proprio per rispetto nei suoi confronti,
ma le
pareti di cartapesta dell’appartamento non aiutavano. E per
quanto il death metal non gli
dispiacesse, non era
l’ideale per favorire il rilassamento e la concentrazione.
Poco
dopo
erano arrivati, praticamente insieme, Sawada e Sorimachi: se il primo
aveva
quella vocina sottile e discreta, l’altro non poteva esimersi
dall’urlare. E
sentire solo metà del dialogo che si svolgeva al di
là dell’altra parete di
cartapesta è quasi più frustrante che sentirlo
per intero.
Almeno
così
aveva pensato, finché non era arrivata anche Yasu. Voleva
bene alla sua
ragazza, davvero, forse anche qualcosa di più, ma,
veramente, darle un nome che
significa “pace” era proprio uno scherzo crudele. E
poi la sua voce gli faceva
l’effetto di quella dell’allenatore in campo, che
per quanto casino ci sia,
riesci a sentirla al di sopra di tutte, come una radio sintonizzata su
una
certa frequenza… e se per la maggior parte del tempo la
trovava una cosa
romantica e lo faceva star bene, come la sera prima, a volte era una
gran
seccatura, specie quando il tono delle conversazioni era tipo:
“SORIMACHI!!!
PASSI CHE TU NON ABBIA UNA MIRA INVIDIABILE, MA IN BASE A QUALE
FILOSOFIA O RADICATO
CREDO RELIGIOSO NON TIRI MAI LO SCIACQUONE?”
“Se
è gialla
resta a galla, se è marrone tiri lo sciacquone!”
“SORIMACHI
FAI
SCHIFO!”
Oppure:
“SORIMACHIIIIII!!!!!!
NON TI SARAI SBAFATO LA TORTINA CHE ERA IN FRIGO?????”
“Sì,
era
buonissima… insolitamente dolce per chiamarsi Yasu, come
diceva il foglietto
attaccato sopra…”
E
così via. Se
non avesse avuto l’esame da lì a pochi giorni,
avrebbe trovato i siparietti
piuttosto divertenti ma, in quella situazione, non facevano che
aumentare il
suo nervosismo.
Per
non
parlare delle visite alla sua stanza.
Non
ci entrava
praticamente mai nessuno, eppure in quei giorni sembrava che tutti
avessero
qualcosa da prendere\lasciare\sapere in camera sua… Kojiro
doveva restituire
dei vestiti che aveva preso per sbaglio, Sorimachi cercava un libro,
Takeshi
voleva essere aiutato con un tema di letteratura.
Infine,
Yasu
era entrata senza bussare e, dopo una riflessione di sì e no
trenta secondi,
prima gli aveva praticamente riso in faccia e
poi si era seduta sul letto vicino a lui…
Forte
del
fatto che la sera prima Ken aveva tanto voluto la sua compagnia, Yasu,
messa la
solita tuta, non aveva esitato un attimo a entrare in camera del
portiere per
salutarlo. Si era fermata sulla porta un po’ sorpresa nel
vederlo davvero nella
posa assunta da Sorimachi e non riuscì a impedirsi di
scoppiare a ridere
sguaiatamente, ripensando alla spassosissima e quanto mai fedele
imitazione.
Vedendo che Ken rimaneva immobile, a parte aver dischiuso appena gli
occhi, Yasu
gli si avvicinò, ma pur impegnandosi per non fare rumore,
urtò un paio di cose.
Infine, andò a sedersi in fondo al letto, perpendicolarmente
rispetto a Ken e
si mise a fissarne il profilo immobile.
Ken
le lanciò
un paio di sguardi in obliquo da sotto le palpebre socchiuse.
Inspirò
profondamente e, mettendocela tutta per non sbottare,
soffiò: “Yasu sei…
inquietante, finiscila di fissarmi così, mi
deconcentri!”
Lei
sbatté gli
occhi un paio di volte, confusa e un po’ offesa:
“Vuoi dire che ti do
fastidio?”
“Sì.”
Rispose,
brusco, alzandosi dal letto e poi aggiunse, come ad attenuare il
concetto, “un
po’…”. Si pentiva di quelle parole
già mentre le pronunciava, perché vedere gli
occhi color caramello di Yasu velarsi di tristezza era una cosa che non
sopportava… Ma era esasperato! Suo padre che gli faceva
pressioni, i suoi amici
che non capivano le sue esigenze…
“Va…
va bene”
mormorò la ragazza, confusa. Si alzò dal letto
quasi barcollando e si diresse
in camera sua.
“Fanculo”
sibilò Ken, sferrando un calcio all’armadio.
“Sei
proprio
deciso?” chiese ancora Hyuga.
“Sì,
è meglio
così, mio padre ha già avvisato la scuola e hanno
detto che basta mi tenga in
pari con i compiti a casa. In fondo, fra una settimana
torno… poi mi metterò un
po’ sotto. ci penso io qui” aggiunse, accennando
alla tavola apparecchiata per
la colazione. “Tanto mio padre viene a prendermi fra
un’oretta, voi andate a
lezione”.
Yasu
osservò
Hyuga, Sawada e Sorimachi lasciare la stanza.
“Scusa
per
ieri sera” dissero praticamente all’unisono, non
appena furono soli. Sorrisero.
“Quindi
vai a
casa per un po’…”
“Sì,
niente di
personale, lo sai. Mi mancherai ma… ho bisogno di
più…”
“…concentrazione.
La preparazione di un esame del genere richiede un’intensa
preparazione fisica
ma anche psicologica…” disse Yasu. Sembrava un
discorso imparato a mente, come
quando recitava una poesia che dovevano mandare a memoria. E quelle non
erano
parole sue sembrava più un discorso da…
“Hai
parlato a
tuo fratello di ieri sera?” Intuì. Per lo
più gli stava vagamente sulle palle
pensare che Wakabayashi sapesse praticamente tutto della sua vita, ma
doveva
ammettere che in certi casi si rivelava… illuminante.
Nessuno come lui era in
grado di far entrare un concetto nella testa della sorella.
“Sì”
ridacchiò
lei. “Scusa… la sera prima mi avevi voluta vicina
anche se stavi male e ho
pensato…”
“Piccola
mia…”
la chiamò, abbracciandola. “Mi mancherà
tutto di te… persino, anzi, soprattutto
la tua voce…”
“Ti
chiamo e
poi…” s’interruppe. “E poi
tornerai presto!”
Si
baciarono,
poi lei uscì di corsa, diretta a lezione, in ritardo come
sempre.
****
Ken
sarebbe
impazzito di gioia, se lo sentiva. Si chiedeva addirittura se non
sarebbe stato
meglio farsi vedere solo dopo l’esame: conoscendolo, non
voleva farlo
emozionare.
Intanto,
però,
a essere emozionata era lei: il cuore le rimbalzava nel petto come una
trottola
impazzita.
Non
era la
prima volta che andava a casa Wakashimazu, e aveva avvertito la mamma
di Ken
del suo arrivo, pregandola però di non dire niente al
figlio… era stata lei a
fornirle l’orario esatto dell’esame, che si sarebbe
tenuto da lì a qualche ora,
nel pomeriggio.
Quando
fu a
pochi metri dalla casa sentì, distintamente, la risata di
Ken. Di rado rideva
così, ma lo faceva in un modo che per Yasu era
inconfondibile.
Il
suo ragazzo
che rideva, a cuor leggero, a poche ore da un importante esame di
karate? Dopo
che per giorni era stato intrattabile e nervoso, quasi ostile, persino
con lei?
Intravedeva
la
testa di Ken oltre la siepe che circondava il giardino della casa e del
dojo.
Sembrava stesse combattendo, allenandosi con qualcuno. Qualcuno ben
più basso
di lui, che Yasu non riusciva a scorgere.
Si
guardò
intorno e, con un sorriso sghembo, individuò il suo punto
d’osservazione.
Rapida, si arrampicò su un albero del parco vicino e
guardò oltre la recinzione.
Osservò
Ken
lottare contro qualcuno di piccolo e minuto, lasciandosi atterrare e
ridendo.
Ora, lei di karate non ne capiva un gran che, ma era quasi certa che
non
contemplasse mosse del genere, per non parlare del rotolarsi per terra
ridendo
e facendo il solletico all’avversario. Yasu strinse gli occhi
per vedere meglio
e dovette tenersi forte al ramo su cui si era appollaiata, quando si
rese conto
che, in realtà, si trattava di un’avversaria. Una
ragazza si stava divertendo
un sacco col suo fidanzato, mettendogli le mani dappertutto,
aggrovigliata a
lui in modo strano. E quello rideva, tranquillo, sereno,
allegro… come non lo era
praticamente mai.
Tremando,
Yasu
scese con estrema cautela dall’albero e si avviò
verso la stazione da dove era
arrivata poco prima.
Aveva
ragione
Genzo: le sorprese fanno schifo e sono sempre una pessima idea.
Si
voltò
un’ultima volta verso la casa, le lacrime che le pizzicavano
gli occhi, le voci
divertite dei due combattenti che sembravano trapassarle la testa e il
cuore.
Aveva
voglia
di sbattere la testa contro il muro.
Invece,
andò a
sbattere in un maglione.
“Ehi,
guarda
dove vai!”
La
voce del
ragazzo, altissimo e robusto contro cui era andata a sbattere le
suonò
estremamente familiare. Quando alzò la testa, si
ritrovò davanti un volto noto:
una versione più giovane di Wakashimazu-sama, con gli occhi
dolci della madre e
l’espressione scocciata di Ken.
“Kyo”
balbettò
Yasu. Il fratello maggiore di Ken, noto alle cronache per essere molto
più
espansivo del fratello, ma assai più scarso a karate.
“Ci
conosciamo?”
“No,
sì, cioè
io… Wakabayashi Yasu” concluse con un inchino,
provvidenziale per nascondere
l’imbarazzo che le imporporò le guance.
“Ci siamo presentati qualche mese fa,
anche se un po’ di fretta”.
“Ma
certo!
Scusa se non ti ho riconosciuta subito, sono un disastro come
fisionomista” ridacchiò,
poi riprese, con un sorriso di trionfo sul viso: “Ah! La
fidanzatina di Ken!
Capiti a proposito…” si sfregò le mani
con aria soddisfatta, poi proseguì:
“Sei venuta a vedere l’esame del
nostro giovane campione? Ti eri persa? La casa è proprio
quella lì... vieni con
me, ci prenderemo una piccola rivincita” concluse facendo
l’occhiolino,
passandole un braccio attorno alle spalle e trascinandola con
sé.
Yasu
rimase
interdetta, impossibilitata a replicare di fronte a quel fiume di
parole, senza
peraltro aver capito bene cosa intendesse il ragazzo. Ma, volente o
nolente, si
ritrovò dentro casa Wakashimazu.
La
signora la
accolse col solito entusiasmo della mamma che da sempre vuole una
figlia
femmina: inondandola di domande, attenzioni e cose buone da mangiare.
Ancora
una
volta, Yasu si trovò incapace di reagire:
l’educazione le imponeva di
rispondere, ringraziare e accettare e, comunque, la signora era
talmente
solerte, che non avresti avuto cuore di fare diversamente.
“Dopo
l’esame
faremo un buffet... anzi,magari mi darai una mano, visto che Akiko
è
impegnata... ma ora mangia qualcosa e riposati, cara, sarai stanca per
il
viaggio. Dopo andiamo a vedere l’esame.”
Yasu
annuì e
s’infilò in bocca un paio di onigiri.
Poco
dopo, la
signora tornò con degli zori
con
decorazioni in verde e gli appositi tabi
bianchi da mettere sotto, porgendo il tutto a Yasu. “Ecco, li
avevo presi per
te, ti piacciono?”
“Molto”
sorrise la ragazza. “Mi spiace solo che magari non ho
l’abbigliamento adatto…”
disse, contemplando i jeans e la maglietta e si maledisse per non aver
pensato
a portare il furisode che Ken le
aveva comprato mesi prima.
“Mi
sono
permessa di prenderti anche questo” continuò la
donna, tirando fuori anche un
kimono con decori verdi intonati alle infradito.
“Grazie,
ma
non…” Yasu era decisamente imbarazzata.
“Non
è bello
come il furisode, è solo
un komon,
ma, d’altronde, è giusto una festicciola in
casa.Vallo a indossare, cara, ti ho
preso la stessa misura dell’altro, dovrebbe andarti
bene…”
Yasu
tornò di
lì a poco, dopo aver indossato l’abito alla
bell’e meglio, ma la signora parve
soddisfatta. Glielo drappeggiò addosso, quindi le dette in
mano un vassoio e la
guidò verso una stanzetta sul retro del dojo, arredata con
un grande tavolo e
alcuni tavolini apparecchiati. Da un lato erano già pronti
piatti, bicchieri e
bacchette.
Sistemarono
alcuni
vassoi coperti e dei termos col tè. Quindi, finalmente,
andarono in palestra.
L’esame,
ma a
Yasu venne in mente la parola “cerimonia”, era
già iniziato. La ragazza notò
che tutti gli allievi indossavano il karategi, ma anche il resto degli
astanti
era vestito in modo tradizionale. Ringraziò mentalmente la
mamma di Ken che,
con la sua solita delicatezza, le aveva evitato di sentirsi fuori posto.
Dietro un tavolo sedevano
tre signori compunti
e autorevoli, che osservavano gli allievi esibirsi.
Individuò subito Ken, in
piedi, all’altro lato della palestra: era serio e
concentrato, si girava
nervosamente le mani, lo sguardo fisso di fronte a sé.
Eppure sorrise quando la
ragazza vista in giardino gli passò accanto. E le
appoggiò una mano sulla
spalla. Yasu sentì come se un iceberg le scivolasse dentro
lo stomaco.
Venne
il turno
del portiere.
Ancora
una
volta Yasu si perse ammirando il modo in cui si muoveva:
l’agilità e la
precisione con cui le gambe scattavano, sia che dovessero raggiungere
il
pallone in campo, l’avversario
sul
tatami, oppure un punto ben preciso noto solo a lui quando si allenava
da solo.
L’eleganza che sprigionava da ogni gesto. Il modo in cui le
mani fendevano l’aria, poi,
le riportavano alla mente la sensazione di quelle dita forti sul suo
corpo...
arrossì pensando che, per quanto poco si intendesse di
karate, i movimenti di
Ken le sembravano sempre perfetti e sottilmente erotici... specie
quando
l’unica donna del suo mondo era lei, pensò con un
fremito.
Le
parve di
capire che mentre era persa in quei pensieri,
l’esame fosse finito e che tutto
fosse andato bene. Ken aveva finito, ansante, aveva fatto un inchino ai
tre
maestri, i quali avevano annuito e mormorato qualcosa. Poi tutti
avevano
applaudito. La signora Wakashimazu aveva battuto con grazia e
controllato
entusiasmo i palmi insieme, gli occhi trapunti sul
figlio prediletto.
Intanto
il
padre aveva salutato Ken con un cenno appena visibile, ma con uno
sguardo che
trasudava orgoglio anche a metri di distanza. Quindi Kyo aveva passato
un
braccio attorno alle spalle del fratello, traendolo verso di
sé per spettinarlo
con l’altra mano. Infine gli aveva sussurrato qualcosa e
aveva indicato nella
direzione di Yasu.
Ken
aveva
alzato la testa e si era letteralmente fiondato verso di lei.
“Hai
visto?” Le
aveva chiesto, emozionato e ansante, non appena l’aveva
raggiunta.
“Sì,
anche
se...” smozzicò Yasu.
“Non
ci credo
che sei venuta, mi hai reso felicissimo! E vestita in questo modo sei
così bella!” proseguì,
chiaramente su di giri, stringendosela contro il petto. Attraverso il karategi sottile e aperto sul petto, Yasu
sentì i suoi pettorali tonici, caldi e appena umidi. Si
perse in
quell’abbraccio che sapeva di lui, ma durò
pochissimo. “Oh, tocca ad Akiko!”
esclamò, scostandola.
Un
nuovo
brivido percorse il corpo di Yasu... tutti la conoscevano lì
e sembrava normale
che fosse in confidenza con chiunque. Ma chi era?
Ken
rivolse la
sua attenzione al tatami, osservando, col fiato sospeso, la prova della
ragazza.
Tutto
si
svolse più o meno come per Ken, solo che gli esaminatori
erano cambiati e le
mosse che la ragazza compiva, erano diverse da quelle eseguite poco
prima dal
portiere, ricordavano piuttosto, realizzò Yasu con una
smorfia, lo spettacolo
visto in giardino. Quando tutti applaudirono,
intuì che anche Akiko era passata.
Dopo
i saluti
composti ai maestri, compreso Wakashimazu-sama, la ragazza corse verso
di loro
e si gettò con slancio al collo di Kyo. Poi raggiunse Ken,
saltandogli praticamente
in braccio. Yasu abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro
inferiore.
“Grazie,
grazie, grazie, Ke-chan!” esclamò piena di
entusiasmo, stampandogli un bacio
sulla guancia.
“Un
po’ di
contegno” la sgridò bonariamente Ken, imbarazzato.
“Andiamo
ragazzi”
li incitò la signora Wakashimazu, “non ci sono
altri allievi, andiamo a
controllare che il rinfresco sia perfetto, per i sensei...”
Akiko
seguì la
signora, Ken appoggiò una mano sulla schiena di Yasu
sospingendola verso la
stanza sul retro. “Che bella sorpresa mi hai fatto”
le sussurrò di nuovo
all’orecchio, il fiato caldo e i lunghi capelli
che le sfiorarono il collo.
Di
lì a poco
anche Kyo li raggiunse, seguito dagli altri allievi ed esaminandi e dai
loro
accompagnatori. Quindi fecero il loro ingresso i sensei e
Wakashimazu-sama.
Una
sonora
pacca sulla schiena da parte di Kyo suggerì a Yasu, con un
istante di ritardo
rispetto a tutti gli altri astanti, di chinarsi, tossendo appena per la
botta.
“Adesso
puoi
anche tirarti su.” Le suggerì di lì a
poco lo stesso Kyo.
“Grazie”
mormorò Yasu, riconoscente.
“Ti
va del
succo di frutta? Se ben ricordo non ti piace molto il
tè…” proseguì il maggiore
dei fratelli Wakashimazu.
“Volentieri”
rispose la ragazza, seguendolo al banco dei rinfreschi, un
po’ stupita di tutte
quelle attenzioni. Kyo versò del succo e le porse il
bicchiere, cingendole la
spalla con un braccio.
“Piaciuta
la
pantomima?” chiese, storcendo la bocca.
“Affascinante...
anche se non ho capito un gran che...” ammise Yasu con un
sorrisetto imbarazzato,
rigida come un baccalà per quell’abbraccio. Con la
coda dell’occhio vide che
Ken parlava allegramente coi genitori e i sensei, una mano
poggiata sulla
spalla di Akiko.
“Capirci
qualcosa non rende la cosa più divertente”
proseguì Kyo a mezza voce, sempre
con la stessa smorfia. “Anzi, direi che dopo un tot perde
decisamente ogni
fascino... almeno per me...” Fece una breve pausa.
“Ken, per dire, ha sempre
quello sguardo trasognato, anche quando non è lui a
gareggiare.”
“Ama
molto il
karate.”
“E
non solo.”
“In
che
senso?” chiese Yasu, mentre il cuore le perdeva un battito.
“L’ultimo
che
hai visto praticato da Akiko era judo…”
spiegò, come se parlasse a un bambino
di tre anni.
“Ecco!
Mi pareva
facesse qualcosa di diverso!” esclamò
l’altra.
Kyo
scoppiò a
ridere. Dovette mettersi una mano di fronte alla bocca
perché tutti si erano
voltati verso di lui. “Finalmente qualcuno che ne capisce
meno di me…”
sghignazzò.
Yasu
aggrottò
le sopracciglia, vagamente risentita. “Lieta di essere
d’aiuto” sibilò.
“Scusami,
non
volevo offenderti... comunque sì, Akiko pratica il judo e,
se tutto va bene,
terrà dei corsi nei locali del nostro dojo...
papà ha voluto che fosse
esaminata da alcuni maestri suoi amici, prima di darle il
permesso” disse, con
aria fintamente pomposa come a sottolineare quanto ritenesse esagerata
la
pretesa del padre. “Akiko ha già insegnato in
diverse scuole prestigiose, farle
fare un esame è quasi oltraggioso”
rintuzzò.
“A
vederla non
sembrerebbe una ferita nell’orgoglio”
ribatté Yasu, un po’ acida.
“Ha
grande
rispetto di mio padre e anche di mio fratello, per non parlare di mia
madre...
insomma l’unico che tratta a pesci in faccia sono
io!” rise.
“Come
si sono
conosciuti?”
“Chi?”
“Lei
e Ken”.
“Uh,
l’abbiamo
conosciuta anni fa, quando anche io mi allenavo regolarmente. Prima di
dedicarsi al judo, Akiko ha praticato anche il karate. Ovviamente sia
lei che
Ken mi battevano sistematicamente...” sospirò,
senza perdere tuttavia il
sorriso. “A pensarci bene” riprese, dopo una breve
riflessione, “poi tutti abbiamo
preso strade diverse... Akiko il judo, io lo studio e Ken il
calcio...” fece
un’altra pausa, poi riattaccò, come preso dai suoi
pensieri. “La scelta di mio
fratello di giocare a calcio mi sorprese all’epoca e continua
a farlo...
chissà, forse ha bisogno di provare altro... anche solo per
convincersi su
quale sia la scelta giusta.”
“E
tu credi
che sia il karate?”
Kyo
ritrasse
il braccio e versò del succo anche per sé.
“Alla fine sì. Credo che in fondo lo
voglia, questo dojo.”
“E
tu? Non sei
tu il primogenito?”
Il
ragazzo
scrollò le spalle possenti. “Io non sono
adatto.” C’era una certa sofferenza
nelle sue parole. Per quanto nessuno glielo avesse mai fatto pesare,
era
evidente che Ken era molto più bravo nel karate. E che era
la gioia dei suoi
genitori. “Mi occupo dell’amministrazione. Quello
mi viene bene... E poi c’è
sempre Akiko. Si prenderanno buona cura del dojo, insieme.”
Yasu
si
appoggiò al tavolo e respirò a fondo, tentando di
afferrare il significato di
quelle parole. Davvero Ken pensava di abbandonare il calcio?
Perché non le
aveva detto niente? Che quei giorni al dojo gli avessero fatto cambiare
idea? E
questo cosa significava? Sarebbe rimasto al Toho? E fra loro cosa
sarebbe
successo? Ma soprattutto... che ruolo aveva quella Akiko in tutto
ciò?
“Stai
bene?”
le chiese Kyo. Probabilmente era impallidita.
“Sì,
sì… tutto
bene. Sarà un calo di zuccheri, meglio se mangio
qualcosa…”
“Vado
a
prender- Ah! Vedo che qualcuno previene i tuoi
desideri…”
Ken
si avvicinò
loro con un piatto colmo di roba.
“Stai
morendo
di fame e ti vergogni ad avvicinarti al buffet, dico bene?”
“Già”
mentì
Yasu. Anche se aveva lo stomaco chiuso, afferrò una cosa a
caso dal piatto e se
la ficcò in bocca.
“Usciamo
un
poco in giardino?” le sussurrò, prendendole la
mano.
Yasu
annuì appena,
convinta che Ken avrebbe confermato quanto detto da Kyo.
“Te
l’ho detto
che sei bellissima vestita così?”
Attaccò, una volta che furono lontani dalla
folla.
“Devi
ringraziare tua madre, mi ha comprato lei tutto”.
“Il
verde ti
sta bene” proseguì il portiere, sedendosi su uno
dei sassi che delimitavano il
piccolo, classico laghetto in cui si muovevano pigre delle enormi carpe
koi. Posò il piatto su un
altro sasso, e
invitò Yasu a sedersi. E lei lo fece, ma rimase in silenzio,
lo sguardo fisso
sui pesci che si muovevano lenti. Prese dal piatto qualche chicco di
riso e lo
gettò nell’acqua, sorridendo appena nel vedere le
carpe salire in superficie
spalancando la bocca.
“Sei
connessa,
Wakabayashi?” gli chiese Ken un po’ scocciato. Lo
era di sicuro, se la chiamava
per cognome.
“Mmm?
Sì, sì” rispose
Yasu, pescando a caso nel piatto e mangiando, ostentando soddisfazione.
“Non
mi
travolgere con il tuo entusiasmo” bofonchiò il
portiere, cupo. Aspettò un
attimo la reazione della ragazza guardandola di sottecchi. Quindi
sbottò,
allargando le braccia e sbattendo rumorosamente i palmi sulle cosce.
“Se questa
è la tua reazione, potevi restartene a scuola.
Credevo… ah, lascia perdere.
Tanto nessuno capisce quanto questa cosa conti per
me…”
“Più
del
calcio, vero?” sibilò lei, contraendo i pugni, gli
occhi fissi sul laghetto.
“Che
cavolo
dici?”
“Tuo
fratello…”
“Che
c’entra
Kyo? Cos’altro ha combinato, oltre a fare il cascamorto con
te?”
“LUI
ha fatto
il cascamorto con ME?”
“Tsk,
a volte
sei così ingenua… Il succo di frutta che ti piace
tanto, il braccio attorno
alle spalle, le chiacchiere fitte fitte…”
“E
tu con
Akiko, allora? Tutto quel rotolarsi a terra facendovi il
solletico…” sputò,
guardandolo con odio.
“Io
e Akiko?
Ci siamo allenati insieme e… no, aspetta, te l’ha
detto Kyo?”
“No,
vi ho
visti…”
“Quando?
E…
soprattutto come?”
“Stamattina…
io… ecco… mi sono arrampicata su
quell’albero” spiegò indicandolo al di
là della
siepe. “E poi Kyo mi ha detto quella cosa e io non sono
stupida…”
“Cosa
ti ha
detto Kyo?”
“Che
tu e lei gestirete
insieme il dojo” singhiozzò.
“Io
lo
ammazzo!” ringhiò Ken, portandosi una mano al
volto.
“Io
credevo”
continuò Yasu singhiozzando, “che nel tuo futuro
ci fossimo io e il calcio… ma
forse mi sono illusa.”
“Piccola,
ma
che cosa stai dicendo? Forse in questi giorni mi sono concentrato un
po’ troppo
sul karate, è una disciplina che amo e che fa parte di me,
lo sai. Ma nel mio
futuro tu ci sei di sicuro e anche il calcio, pure se ultimamente ho
trascurato
un po’ entrambi. Non nego che, probabilmente, prima o poi,
vorrò prendere le
redini del dojo, ma non credo che mio padre
cederà il posto, ancora per qualche
anno… E io ho tutto il tempo di
diventare il portiere migliore del Giappone…” si
pavoneggiò, facendole l’occhiolino.
“A proposito, appena questa gente se n’è
andata, che ne dici di fare due tiri e
poi un po’ di...” le soffiò in un
orecchio.
“Davvero?”
chiese lei a mezza voce, sentendosi improvvisamente leggera.
“Ma allora tu e
Akiko…”
Ken
sbuffò. “Credo
che ci sia un particolare su di lei che ti sfugge… forse
perché non si vede
dall’albero del parco di fronte…” la
canzonò “Vedi piccola, il fatto
è-”
“Eccovi
qua!”
esclamò una voce da lontano. I due si voltarono e videro
arrivare Akiko che si
trascinava dietro Kyo, tenendolo per mano. La ragazza si
avvicinò a Yasu, arrossata
in viso per la corsa e sorridente.
“Questi
due
cafoni non ci hanno nemmeno presentate… Yamazaki
Akiko” si dichiarò, facendo un
inchino. “Ma immagino tu sappia come sono gli
Wakashimazu…”
“Abbastanza”
balbettò Yasu un po’ confusa.
“Ken
mi ha
parlato molto di te” proseguì con entusiasmo.
“E credo che andremo molto
d’accordo… Possiamo uscire tutti insieme qualche
volta…”
Yasu
la guardò
perplessa: “Noi?”
“Sì,
certo! Io
e Kyo, tu e Ken…” spiegò indicandoli a
turno.
La
mascella di
Yasu cadde rimanendo penzoloni. “Tu e…”
disse indicando alternativamente la
ragazza e Kyo, mentre Ken rideva a crepapelle.
Tutti
i
tasselli andarono a posto nella mente di Yasu: la
“rivincita” di cui aveva
parlato Kyo, Akiko titolare del dojo… ovvio! In quanto
fidanzata e poi magari
moglie di Kyo…
“Che
stupida!”
esclamò Yasu.
“È
solo
un’idea…” disse Akiko, mortificata.
“Scusa!”
si
affrettò a correggersi Yasu, prendendo l’altra
ragazza per le spalle. “Non
parlavo di te, parlavo… lascia perdere! Mi piacerebbe molto
uscire tutti insieme…
e studiare un piano per difendersi da questi due”
sospirò, indicando i fratelli
Wakashimazu.
“Certo!”
sorrise lei, rincuorata, “in fondo, in un certo
senso… per me potresti essere
quasi una sorella!”
Perché
no?
pensò Yasu: infondo con tre fratelli e quattro coinquilini
tutti maschi...
Sorrise: “È quello che ho sempre
desiderato!”
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Un
doveroso ringraziamento, va alla betina Rel... è stata dura
ma ce l'abbiamo fatta... e l'accenno a Nat te lo sei meritato lol
Se volete qualche chiarimento sui *kimoni* ecco qua http://it.wikipedia.org/wiki/Kimono
Per chi conosce il mio Kyo di "Le cose che amo", nonostante il nome,
questo è un personaggio diverso, più alto e
più gioviale XD
Grazie, grazie, grazie
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