Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: berlinene    11/07/2013    5 recensioni
Una raccolta di shot che hanno come protagonisti i Toho Boys e la “mia” Toho Girl Yasu Wakabayashi. Una serie di storielline ad ambientazione scolastica (e dintorni) che non hanno nessunissima pretesa, se non quella di strapparvi qualche sorriso e regalarvi un po’ di sano fluff - che non guasta mai... insomma per far tornare tutti al liceo... suvvia, alzi la mano chi non ha desiderato, almeno una volta, sedersi fra i banchi dell'Istituto Toho...
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ed eccoci a una nuova sfolgorante TS! Yeeee!

Stavolta siamo verso Settembre-Ottobre del secondo anno...

Vi avverto, ci sono un po' tanti pg originali ma non manca qualche siparietto dei nostri T-Boyz.

Buona lettura.



*******

Quasi una sorella

 
“Salve a tutti!” trillò Yasu, rincasando. Una rapida occhiata al divano e alla cucina e si rese subito conto che mancava qualcuno.
“Dov’è Ken?”
“Ha le sue cose...” ridacchiò Sorimachi. Sawada gli assestò una gomitata e lo rimproverò: “Smettila! Ha detto-”
“Mugugnato” precisò Kazuki.
“SMETTILA! Ha detto che aveva mal di testa e voleva restare da solo in camera sua” continuò poi, rivolto a Yasu. “Credo abbia discusso di nuovo con suo padre.” Aggiunse a mezza voce.
“Per la storia dell’esame?”
“Già” indugiò Sawada. “Se ho ben capito gli rimprovera di non allenarsi abbastanza...”
Yasu sospirò. Nonostante tutti i buoni propositi, il signor Wakashimazu continuava a interferire nella vita del figlio: ma d’altronde era stato lo stesso Ken a promettere di non abbandonare del tutto il karate... e ora che c’era in ballo quella storia dell’esame, il papà non gli avrebbe dato pace. Magari se avesse preso anche quel cavolo di “terzo dan” o quello che era, per un po’ il padre lo avrebbe lasciato stare.
E come sempre Ken somatizzava: non era la prima volta che si chiudeva in camera sua al buio, senza cena, pregandoli di non disturbarlo e di fare meno rumore possibile.
Le altre volte, Yasu si era limitata ad attenersi alle istruzioni.
Ma adesso?
Sì, insomma, ora era la sua ragazza, ora, ormai da qualche mese, stavano insieme. Poteva entrare nella stanza? Doveva vedere come stava?
“Beh?” la richiamò Kojiro affacciandosi dalla cucina con un bicchiere di coca in mano, “ti sei imbambolata?”
Doveva essere rimasta ferma nel corridoio per un po’.
“Sì...” balbettò, “appoggio lo zaino in camera e arrivo”.
“Chiedigli se è sicuro di non voler niente, del tè o che so io.” Borbottò il cannoniere.
Yasu si bloccò di nuovo. Hyuga dava per scontato che sarebbe andata da Ken. Allora doveva? Poteva? Dio, che casino. Avrebbe voluto che esistesse un manuale d’ istruzioni su come  fare la ragazza di qualcuno.
Appoggiò la borsa in camera, mise la tuta che portava in casa e si diresse verso la stanza di Ken. Di fronte alla porta si “imbambolò” di nuovo, come avrebbe detto il capitano.
Al diavolo, al massimo se non voleva vedere nessuno, le avrebbe detto di andarsene.
Dischiuse con cautela la porta, chiamandolo piano.
“Ya-chan sei tu?” la sua voce era flebile e roca, poco più di un sussurro, come se parlare gli costasse fatica.
“Sì, amore, come stai?”
“Non molto bene.”
Nella penombra lo vide alzare una mano e la ragazza si avvicinò al letto per prenderla fra le sue. “Vuoi qualcosa da mangiare o da bere?” Mormorò.
“No, non mi va. Voglio cercare di dormire, poi mi passa, non vi preoccupate.”
“Capisco, se vuoi riposare, me ne vado.”
“No!” Lo pronunciò a voce più alta del dovuto e trasalì, come se gli avesse fatto male.
“Shhh” disse lei carezzandogli i capelli e il viso, dove indugiò, sentendolo premere la guancia contro il proprio palmo. “Ti va di parlare?”
“No, voglio solo stare in silenzio...”
 “Se vuoi resto, ma sai che non so starmene zitta.” Gli sussurrò, in tono allegro.
“Sì, ma resta lo stesso... la tua voce, non so mi fa... bene” le rivelò, stringendo la mano che ancora toccava la sua e portandosela alle labbra per sfiorarla con un bacio.
Yasu sorrise e si sedette in terra vicino al letto, poggiò la testa contro il fianco di Ken continuando a tenergli la mano. Visto che, a quanto pareva, non gli andava di parlare di suo padre e dell’esame, cominciò a raccontargli sottovoce la sua giornata.
 A un certo punto sentì le palpebre farsi pesanti e che stava perdendo il filo del discorso, quando si rese conto che Ken si era addormentato. Allora piegò la testa di e lasciò che il sonno l’avesse vinta anche su di lei.
 
Si svegliò quando la mano, che stringeva ancora, si mosse, poi udì il portiere cambiare posizione. Sentì i suoi capelli sfiorarle il volto e poi le labbra che premevano sulla sua guancia. “Piccolina, ma hai dormito qui? Dai, vieni sopra.”
Yasu si tirò su e s’infilo sotto le coperte, dove Ken le aveva fatto spazio.
“Stai meglio?” gli chiese, una volta che si fu accomodata.
“Molto meglio, grazie.”
Si chinò su di lei, facendo aderire il proprio corpo al suo, e la baciò a lungo sulle labbra e poi sulle guance, e sul collo.
Yasu mugolò soddisfatta, abbracciandolo e ricambiando quelle coccole con entusiasmo.
“Ieri sera Takeshi mi ha detto-” cominciò a dire, ma fu interrotta da uno strano rumore.“È il mio stomaco” spiegò, imbarazzata. “Ieri sera non ho cenato”.
Ken la guardò sorridente. “Nemmeno io e, se vuoi saperlo, muoio di fame. Spuntino delle...” si allungò per guardare la sveglia. “Due?”
 
“Ora sto davvero  bene” disse Ken, fregandosi le mani, guardando le tazze colme di latte caldo e il barattolo della nutella. Yasu era seduta sulle sue ginocchia, che spalmava fette biscottate a getto continuo.
“Fai ‘aaa’...” fece, porgendogliene una perché la mordesse, infilandosi poi in bocca il pezzo rimasto.
“Cosa volevi dirmi prima, hai rammentato Takeshi -”
Ma anche stavolta furono interrotti: in quel momento, infatti, il portoncino d’ingresso si aprì facendoli sussultare. Kojiro, con un pallone sotto braccio, entrò, cercando di non fare rumore.
Quando alzò la testa sobbalzò a sua volta alla vista dei due, perché proprio non si aspettava di trovare qualcuno ancora in piedi. Sentendosi scoperto, da cannoniere di razza, rispose con l’attacco: “E voi che ci fate qui?”
I due, sentendosi altrettanto colti in flagrante, balbettarono all’unisono una risposta, solo che uno disse “Cena” e l’altra “Colazione”.
“E tu invece?” rinviò abilmente Yasu. “Passeggiata al chiaro di luna col tuo migliore amico?” chiese. E scoppiarono tutti e tre a ridere, come sempre, di fronte alle citazioni di Tsubasa.
“Dai siediti con noi, Hyuga” intervenne Ken, mentre Yasu andava a prendere un’altra tazza, la riempiva di latte e la porgeva al nuovo arrivato.
Kojiro la ringraziò, ma preferì prendere della coca dal frigo. Poi si rivolse a Ken: “Sono contento di vedere che stai bene.”
Ken annuì, deglutendo in fretta per rispondere, ma l’altro proseguì con un risolino. “Una guarigione lampo, di solito hai la faccia da zombie fino al mattino dopo...”
Il portiere sorrise imbarazzato, mentre Yasu sceglieva una fetta biscottata particolarmente carica di nutella, e la porgeva a Kojiro, tenendogliela di fronte alle labbra. “Non sai cosa non può fare, un po’ di dolcezza” sussurrò.
Kojiro guardò la fetta arricciando il naso, quindi la strappò dalla mano della ragazza ficcandosela in bocca. Poi ne arraffò altre due già pronte e le mangiò di gusto. “Avevo fame” spiegò con un’alzata di spalle, di fronte allo sguardo divertito degli altri due.
Si sistemò sulla sedia, mangiando le fette che Yasu continuava a spalmare.
D’un tratto si bloccò e li guardò: “Non ho interrotto qualcosa, vero?”
I due scossero la testa all’unisono, ridacchiando. Il capitano ancora non sembrava aver ben realizzato “cosa” fossero loro due. Ma infondo era meglio così.
“Bene” fece Hyuga alzandosi e stiracchiandosi. “Andate pure a letto, sistemo io...”. Si diresse verso il lavello e aprì l’acqua.
Yasu, a sua volta, scese dalle ginocchia di Ken e allungò la schiena. “Sì, ora ci vuole un letto” disse, sbadigliando.
“Che ne dici del mio?” le sussurrò Ken contro l’orecchio, abbracciandola. “Abbiamo un discorso in sospeso...”
“Ma non ti faceva male la testa?” lo canzonò.
“Passato completamente”
“Ma va?” rise. “Mi sa che è meglio se andiamo a letto, ognuno nel proprio” precisò mentre le mani di Ken la cercavano. “Volevo chiederti di tuo padre, ma ne parliamo domani...yawn!” sbadigliò di nuovo.
“Mio padre” sbuffò, lasciando cadere le braccia. “Se volevi smontarmi, hai trovato il modo...”
“Wakashimazu” La voce del capitano li fece scattare entrambi sull’attenti, come sempre. “Mi è sembrato di capire che hai bisogno di alcune ore da dedicare al karate. Ne ho parlato con Nat-san”. 
“Capitano, non...”
“Non abbiamo partite per un po’, quindi se ti alleni a karate, ti autorizziamo a saltare l’allenamento in palestra e ad arrivare un poco dopo l’inizio degli allenamenti. Se qualche volta hai bisogno di saltare proprio, puoi accordarti col portiere delle medie o con Wakabayashi... nel senso di lei” sbuffò, indicando Yasu.
“Grazie capitano, ma non...”
“Ken” disse, asciugandosi una mano insaponata ai pantaloni per poggiarla sulla spalla dell’amico. “Ho bisogno che tu sia sereno, e so che non lo sarai finché non avrai saldato questo... debito d’onore con tuo padre. E so anche che sei bravo e che in fondo ti piace. Non sprecare neanche questo tuo talento. E poi... che portiere del karate sei se non mi diventi almeno terzo dan?”
“Grazie, capitano” ripeté Ken, abbracciandolo. A Yasu venne da sorridere, sentendo la commozione nella sua voce.
“Sì, sì... ti voglio bene anche io, Wakashimazu” bofonchiò Kojiro, divincolandosi. “Ma andiamo tutti a letto, che è tardi”.
“Peccato non avere una macchina fotografica! Eravate così... kawaii!!!” disse Yasu, facendo la vocetta stridula e congiungendo le mani. “Con una foto così, ci potevo fare dei bei soldi...”
“Eh beh, ti avrebbero fatto comodo...” l’apostrofò Ken, allungandole una pacca sul sedere.
Yasu rise e scappò via, seguita dal portiere che la agguantò sulla soglia della camera. “Allora... Buonanotte?” le chiese, sperando di farle cambiare idea circa il letto in cui dormire.
“Buonanotte.” Rispose lei con un sorriso di dolce rimprovero e un bacio leggero. Quindi si diresse verso la propria stanza.
 
****
 
Quando la sera successiva Yasu trillò “Salve a tutti!”, si guardò intorno e chiese: “Dov’è Ken?”, un senso di deja-vu aleggiò nella casa.
Fa le sue cose...”ridacchiò Sormachi, con una piccola variazione sul tema, ma ottenendo la solita gomitata da Sawada.
“Non avrà di nuovo mal di testa?” si preoccupò la ragazza.
“No!” rispose Kazuki con un ghigno. “Sta meditando...”
“Meditando?” chiese Yasu, strabuzzando gli occhi.
“Sììì!” Proseguì l’attaccante, “sai tipo: OOOOMMMM”. E così dicendo, si arruffò i capelli, lasciando cadere un ciuffo sugli occhi, incrociò le gambe, le mani aperte poggiate sulle ginocchia, indice e pollice congiunti, occhi chiusi. “Tu, donna, partorirai con dolore...” salmodiò.
“Kazuki, finiscila” sbuffò Takeshi.
“Tu, invece, ti sfarai di pugnetteeeee” proseguì, cantilenando.
Yasu ridendo, con le lacrime agli occhi, si avviò verso la sua stanza.
 
 
Ken sospirò, sfiduciato. Si era illuso di poter meditare almeno in camera, ma si era arreso all’evidenza che era impossibile.
Per primo era rientrato il capitano: come sempre si era scolato un po’ di coca cola (lasciando, per regola, il solito odioso goccio infondo alla bottiglia che se ti viene voglia di berne un po’ anche tu, lungi dal soddisfarti, ti fa solo incazzare), aveva emesso un rutto da tirannosaurus rex, infine era andato in camera e aveva acceso lo stereo. A dire il vero, aveva regolato il volume piuttosto basso, probabilmente proprio per rispetto nei suoi confronti, ma le pareti di cartapesta dell’appartamento non aiutavano. E per quanto il death metal non gli dispiacesse, non era l’ideale per favorire il rilassamento e la concentrazione.
Poco dopo erano arrivati, praticamente insieme, Sawada e Sorimachi: se il primo aveva quella vocina sottile e discreta, l’altro non poteva esimersi dall’urlare. E sentire solo metà del dialogo che si svolgeva al di là dell’altra parete di cartapesta è quasi più frustrante che sentirlo per intero.
Almeno così aveva pensato, finché non era arrivata anche Yasu. Voleva bene alla sua ragazza, davvero, forse anche qualcosa di più, ma, veramente, darle un nome che significa “pace” era proprio uno scherzo crudele. E poi la sua voce gli faceva l’effetto di quella dell’allenatore in campo, che per quanto casino ci sia, riesci a sentirla al di sopra di tutte, come una radio sintonizzata su una certa frequenza… e se per la maggior parte del tempo la trovava una cosa romantica e lo faceva star bene, come la sera prima, a volte era una gran seccatura, specie quando il tono delle conversazioni era tipo:
 
“SORIMACHI!!! PASSI CHE TU NON ABBIA UNA MIRA INVIDIABILE, MA IN BASE A QUALE FILOSOFIA O RADICATO CREDO RELIGIOSO NON TIRI MAI LO SCIACQUONE?”
“Se è gialla resta a galla, se è marrone tiri lo sciacquone!”
“SORIMACHI FAI SCHIFO!”
Oppure:
“SORIMACHIIIIII!!!!!! NON TI SARAI SBAFATO LA TORTINA CHE ERA IN FRIGO?????”
“Sì, era buonissima… insolitamente dolce per chiamarsi Yasu, come diceva il foglietto attaccato sopra…”
 
E così via. Se non avesse avuto l’esame da lì a pochi giorni, avrebbe trovato i siparietti piuttosto divertenti ma, in quella situazione, non facevano che aumentare il suo nervosismo.
Per non parlare delle visite alla sua stanza.
Non ci entrava praticamente mai nessuno, eppure in quei giorni sembrava che tutti avessero qualcosa da prendere\lasciare\sapere in camera sua… Kojiro doveva restituire dei vestiti che aveva preso per sbaglio, Sorimachi cercava un libro, Takeshi voleva essere aiutato con un tema di letteratura.
Infine, Yasu era entrata senza bussare e, dopo una riflessione di sì e no trenta secondi, prima gli aveva praticamente riso in faccia  e poi si era seduta sul letto vicino a lui…
 
Forte del fatto che la sera prima Ken aveva tanto voluto la sua compagnia, Yasu, messa la solita tuta, non aveva esitato un attimo a entrare in camera del portiere per salutarlo. Si era fermata sulla porta un po’ sorpresa nel vederlo davvero nella posa assunta da Sorimachi e non riuscì a impedirsi di scoppiare a ridere sguaiatamente, ripensando alla spassosissima e quanto mai fedele imitazione. Vedendo che Ken rimaneva immobile, a parte aver dischiuso appena gli occhi, Yasu gli si avvicinò, ma pur impegnandosi per non fare rumore, urtò un paio di cose. Infine, andò a sedersi in fondo al letto, perpendicolarmente rispetto a Ken e si mise a fissarne il profilo immobile.
Ken le lanciò un paio di sguardi in obliquo da sotto le palpebre socchiuse.
Inspirò profondamente e, mettendocela tutta per non sbottare, soffiò: “Yasu sei… inquietante, finiscila di fissarmi così, mi deconcentri!”
Lei sbatté gli occhi un paio di volte, confusa e un po’ offesa: “Vuoi dire che ti do fastidio?”
“Sì.” Rispose, brusco, alzandosi dal letto e poi aggiunse, come ad attenuare il concetto, “un po’…”. Si pentiva di quelle parole già mentre le pronunciava, perché vedere gli occhi color caramello di Yasu velarsi di tristezza era una cosa che non sopportava… Ma era esasperato! Suo padre che gli faceva pressioni, i suoi amici che non capivano le sue esigenze…
“Va… va bene” mormorò la ragazza, confusa. Si alzò dal letto quasi barcollando e si diresse in camera sua.
“Fanculo” sibilò Ken, sferrando un calcio all’armadio.
 
“Sei proprio deciso?” chiese ancora Hyuga.
“Sì, è meglio così, mio padre ha già avvisato la scuola e hanno detto che basta mi tenga in pari con i compiti a casa. In fondo, fra una settimana torno… poi mi metterò un po’ sotto. ci penso io qui” aggiunse, accennando alla tavola apparecchiata per la colazione. “Tanto mio padre viene a prendermi fra un’oretta, voi andate a lezione”.
Yasu osservò Hyuga, Sawada e Sorimachi lasciare la stanza.
“Scusa per ieri sera” dissero praticamente all’unisono, non appena furono soli. Sorrisero.
“Quindi vai a casa per un po’…”
“Sì, niente di personale, lo sai. Mi mancherai ma… ho bisogno di più…”
“…concentrazione. La preparazione di un esame del genere richiede un’intensa preparazione fisica ma anche psicologica…” disse Yasu. Sembrava un discorso imparato a mente, come quando recitava una poesia che dovevano mandare a memoria. E quelle non erano parole sue sembrava più un discorso da…
“Hai parlato a tuo fratello di ieri sera?” Intuì. Per lo più gli stava vagamente sulle palle pensare che Wakabayashi sapesse praticamente tutto della sua vita, ma doveva ammettere che in certi casi si rivelava… illuminante. Nessuno come lui era in grado di far entrare un concetto nella testa della sorella.
“Sì” ridacchiò lei. “Scusa… la sera prima mi avevi voluta vicina anche se stavi male e ho pensato…”
“Piccola mia…” la chiamò, abbracciandola. “Mi mancherà tutto di te… persino, anzi, soprattutto la tua voce…”
“Ti chiamo e poi…” s’interruppe. “E poi tornerai presto!”
Si baciarono, poi lei uscì di corsa, diretta a lezione, in ritardo come sempre.
****
 
Ken sarebbe impazzito di gioia, se lo sentiva. Si chiedeva addirittura se non sarebbe stato meglio farsi vedere solo dopo l’esame: conoscendolo, non voleva farlo emozionare.
Intanto, però, a essere emozionata era lei: il cuore le rimbalzava nel petto come una trottola impazzita.
Non era la prima volta che andava a casa Wakashimazu, e aveva avvertito la mamma di Ken del suo arrivo, pregandola però di non dire niente al figlio… era stata lei a fornirle l’orario esatto dell’esame, che si sarebbe tenuto da lì a qualche ora, nel pomeriggio.
Quando fu a pochi metri dalla casa sentì, distintamente, la risata di Ken. Di rado rideva così, ma lo faceva in un modo che per Yasu era inconfondibile.
Il suo ragazzo che rideva, a cuor leggero, a poche ore da un importante esame di karate? Dopo che per giorni era stato intrattabile e nervoso, quasi ostile, persino con lei?
Intravedeva la testa di Ken oltre la siepe che circondava il giardino della casa e del dojo. Sembrava stesse combattendo, allenandosi con qualcuno. Qualcuno ben più basso di lui, che Yasu non riusciva a scorgere.
Si guardò intorno e, con un sorriso sghembo, individuò il suo punto d’osservazione. Rapida, si arrampicò su un albero del parco vicino e guardò oltre la recinzione.
Osservò Ken lottare contro qualcuno di piccolo e minuto, lasciandosi atterrare e ridendo. Ora, lei di karate non ne capiva un gran che, ma era quasi certa che non contemplasse mosse del genere, per non parlare del rotolarsi per terra ridendo e facendo il solletico all’avversario. Yasu strinse gli occhi per vedere meglio e dovette tenersi forte al ramo su cui si era appollaiata, quando si rese conto che, in realtà, si trattava di un’avversaria. Una ragazza si stava divertendo un sacco col suo fidanzato, mettendogli le mani dappertutto, aggrovigliata a lui in modo strano. E quello rideva, tranquillo, sereno, allegro… come non lo era praticamente mai.
Tremando, Yasu scese con estrema cautela dall’albero e si avviò verso la stazione da dove era arrivata poco prima.
Aveva ragione Genzo: le sorprese fanno schifo e sono sempre una pessima idea.
Si voltò un’ultima volta verso la casa, le lacrime che le pizzicavano gli occhi, le voci divertite dei due combattenti che sembravano trapassarle la testa e il cuore.
Aveva voglia di sbattere la testa contro il muro.
Invece, andò a sbattere in un maglione.
“Ehi, guarda dove vai!”
La voce del ragazzo, altissimo e robusto contro cui era andata a sbattere le suonò estremamente familiare. Quando alzò la testa, si ritrovò davanti un volto noto: una versione più giovane di Wakashimazu-sama, con gli occhi dolci della madre e l’espressione scocciata di Ken.
“Kyo” balbettò Yasu. Il fratello maggiore di Ken, noto alle cronache per essere molto più espansivo del fratello, ma assai più scarso a karate.
“Ci conosciamo?”
“No, sì, cioè io… Wakabayashi Yasu” concluse con un inchino, provvidenziale per nascondere l’imbarazzo che le imporporò le guance. “Ci siamo presentati qualche mese fa, anche se un po’ di fretta”.
“Ma certo! Scusa se non ti ho riconosciuta subito, sono un disastro come fisionomista” ridacchiò, poi riprese, con un sorriso di trionfo sul viso: “Ah! La fidanzatina di Ken! Capiti a proposito…” si sfregò le mani con aria soddisfatta, poi  proseguì: “Sei venuta a vedere l’esame del nostro giovane campione? Ti eri persa? La casa è proprio quella lì... vieni con me, ci prenderemo una piccola rivincita” concluse facendo l’occhiolino, passandole un braccio attorno alle spalle e trascinandola con sé.
Yasu rimase interdetta, impossibilitata a replicare di fronte a quel fiume di parole, senza peraltro aver capito bene cosa intendesse il ragazzo. Ma, volente o nolente, si ritrovò dentro casa Wakashimazu.
La signora la accolse col solito entusiasmo della mamma che da sempre vuole una figlia femmina: inondandola di domande, attenzioni e cose buone da mangiare.
Ancora una volta, Yasu si trovò incapace di reagire: l’educazione le imponeva di rispondere, ringraziare e accettare e, comunque, la signora era talmente solerte, che non avresti avuto cuore di fare diversamente.
“Dopo l’esame faremo un buffet... anzi,magari mi darai una mano, visto che Akiko è impegnata... ma ora mangia qualcosa e riposati, cara, sarai stanca per il viaggio. Dopo andiamo a vedere l’esame.”
Yasu annuì e s’infilò in bocca un paio di onigiri.
Poco dopo, la signora tornò con degli zori con decorazioni in verde e gli appositi tabi bianchi da mettere sotto, porgendo il tutto a Yasu. “Ecco, li avevo presi per te, ti piacciono?”
“Molto” sorrise la ragazza. “Mi spiace solo che magari non ho l’abbigliamento adatto…” disse, contemplando i jeans e la maglietta e si maledisse per non aver pensato a portare il furisode che Ken le aveva comprato mesi prima.
“Mi sono permessa di prenderti anche questo” continuò la donna, tirando fuori anche un kimono con decori verdi intonati alle infradito.
“Grazie, ma non…” Yasu era decisamente imbarazzata.
“Non è bello come il furisode, è solo un komon[1], ma, d’altronde, è giusto una festicciola in casa.Vallo a indossare, cara, ti ho preso la stessa misura dell’altro, dovrebbe andarti bene…”
Yasu tornò di lì a poco, dopo aver indossato l’abito alla bell’e meglio, ma la signora parve soddisfatta. Glielo drappeggiò addosso, quindi le dette in mano un vassoio e la guidò verso una stanzetta sul retro del dojo, arredata con un grande tavolo e alcuni tavolini apparecchiati. Da un lato erano già pronti piatti, bicchieri e bacchette.
Sistemarono alcuni vassoi coperti e dei termos col tè. Quindi, finalmente, andarono in palestra.
 
L’esame, ma a Yasu venne in mente la parola “cerimonia”, era già iniziato. La ragazza notò che tutti gli allievi indossavano il karategi, ma anche il resto degli astanti era vestito in modo tradizionale. Ringraziò mentalmente la mamma di Ken che, con la sua solita delicatezza, le aveva evitato di sentirsi fuori posto.
 Dietro un tavolo sedevano tre signori compunti e autorevoli, che osservavano gli allievi esibirsi. Individuò subito Ken, in piedi, all’altro lato della palestra: era serio e concentrato, si girava nervosamente le mani, lo sguardo fisso di fronte a sé. Eppure sorrise quando la ragazza vista in giardino gli passò accanto. E le appoggiò una mano sulla spalla. Yasu sentì come se un iceberg le scivolasse dentro lo stomaco.
Venne il turno del portiere.
Ancora una volta Yasu si perse ammirando il modo in cui si muoveva: l’agilità e la precisione con cui le gambe scattavano, sia che dovessero raggiungere il pallone in campo,  l’avversario sul tatami, oppure un punto ben preciso noto solo a lui quando si allenava da solo. L’eleganza che sprigionava da ogni gesto. Il modo in cui le mani fendevano l’aria, poi, le riportavano alla mente la sensazione di quelle dita forti sul suo corpo... arrossì pensando che, per quanto poco si intendesse di karate, i movimenti di Ken le sembravano sempre perfetti e sottilmente erotici... specie quando l’unica donna del suo mondo era lei, pensò con un fremito.
Le parve di capire che mentre era persa in quei pensieri, l’esame fosse finito e che tutto fosse andato bene. Ken aveva finito, ansante, aveva fatto un inchino ai tre maestri, i quali avevano annuito e mormorato qualcosa. Poi tutti avevano applaudito. La signora Wakashimazu aveva battuto con grazia e controllato entusiasmo i palmi insieme, gli occhi trapunti sul  figlio prediletto.
Intanto il padre aveva salutato Ken con un cenno appena visibile, ma con uno sguardo che trasudava orgoglio anche a metri di distanza. Quindi Kyo aveva passato un braccio attorno alle spalle del fratello, traendolo verso di sé per spettinarlo con l’altra mano. Infine gli aveva sussurrato qualcosa e aveva indicato nella direzione di Yasu.
Ken aveva alzato la testa e si era letteralmente fiondato verso di lei.
“Hai visto?” Le aveva chiesto, emozionato e ansante, non appena l’aveva raggiunta.
“Sì, anche se...” smozzicò Yasu.
“Non ci credo che sei venuta, mi hai reso felicissimo! E vestita in questo modo sei così bella!” proseguì, chiaramente su di giri, stringendosela contro il petto. Attraverso il karategi sottile e aperto sul petto, Yasu sentì i suoi pettorali tonici, caldi e appena umidi. Si perse in quell’abbraccio che sapeva di lui, ma durò pochissimo. “Oh, tocca ad Akiko!” esclamò, scostandola.
Un nuovo brivido percorse il corpo di Yasu... tutti la conoscevano lì e sembrava normale che fosse in confidenza con chiunque. Ma chi era?
Ken rivolse la sua attenzione al tatami, osservando, col fiato sospeso, la prova della ragazza.
Tutto si svolse più o meno come per Ken, solo che gli esaminatori erano cambiati e le mosse che la ragazza compiva, erano diverse da quelle eseguite poco prima dal portiere, ricordavano piuttosto, realizzò Yasu con una smorfia, lo spettacolo visto in giardino. Quando tutti applaudirono,  intuì che anche Akiko era passata.
Dopo i saluti composti ai maestri, compreso Wakashimazu-sama, la ragazza corse verso di loro e si gettò con slancio al collo di Kyo. Poi raggiunse Ken, saltandogli praticamente in braccio. Yasu abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore.
“Grazie, grazie, grazie, Ke-chan!” esclamò piena di entusiasmo, stampandogli un bacio sulla guancia.
“Un po’ di contegno” la sgridò bonariamente Ken, imbarazzato.
“Andiamo ragazzi” li incitò la signora Wakashimazu, “non ci sono altri allievi, andiamo a controllare che il rinfresco sia perfetto, per i sensei...”
Akiko seguì la signora, Ken appoggiò una mano sulla schiena di Yasu sospingendola verso la stanza sul retro. “Che bella sorpresa mi hai fatto” le sussurrò di nuovo all’orecchio, il fiato caldo e i lunghi capelli  che le sfiorarono il collo.
Di lì a poco anche Kyo li raggiunse, seguito dagli altri allievi ed esaminandi e dai loro accompagnatori. Quindi fecero il loro ingresso i sensei e Wakashimazu-sama.
Una sonora pacca sulla schiena da parte di Kyo suggerì a Yasu, con un istante di ritardo rispetto a tutti gli altri astanti, di chinarsi, tossendo appena per la botta.
“Adesso puoi anche tirarti su.” Le suggerì di lì a poco lo stesso Kyo.
“Grazie” mormorò Yasu, riconoscente.
“Ti va del succo di frutta? Se ben ricordo non ti piace molto il tè…” proseguì il maggiore dei fratelli Wakashimazu.
“Volentieri” rispose la ragazza, seguendolo al banco dei rinfreschi, un po’ stupita di tutte quelle attenzioni. Kyo versò del succo e le porse il bicchiere, cingendole la spalla con un braccio.
“Piaciuta la pantomima?” chiese, storcendo la bocca.
“Affascinante... anche se non ho capito un gran che...” ammise Yasu con un sorrisetto imbarazzato, rigida come un baccalà per quell’abbraccio. Con la coda dell’occhio vide che Ken parlava allegramente coi genitori e i sensei, una mano poggiata sulla spalla di Akiko.
“Capirci qualcosa non rende la cosa più divertente” proseguì Kyo a mezza voce, sempre con la stessa smorfia. “Anzi, direi che dopo un tot perde decisamente ogni fascino... almeno per me...” Fece una breve pausa. “Ken, per dire, ha sempre quello sguardo trasognato, anche quando non è lui a gareggiare.”
“Ama molto il karate.”
“E non solo.”
“In che senso?” chiese Yasu, mentre il cuore le perdeva un battito.
“L’ultimo che hai visto praticato da Akiko era judo…” spiegò, come se parlasse a un bambino di tre anni.
“Ecco! Mi pareva facesse qualcosa di diverso!” esclamò l’altra.
Kyo scoppiò a ridere. Dovette mettersi una mano di fronte alla bocca perché tutti si erano voltati verso di lui. “Finalmente qualcuno che ne capisce meno di me…” sghignazzò.
Yasu aggrottò le sopracciglia, vagamente risentita. “Lieta di essere d’aiuto” sibilò.
“Scusami, non volevo offenderti... comunque sì, Akiko pratica il judo e, se tutto va bene, terrà dei corsi nei locali del nostro dojo... papà ha voluto che fosse esaminata da alcuni maestri suoi amici, prima di darle il permesso” disse, con aria fintamente pomposa come a sottolineare quanto ritenesse esagerata la pretesa del padre. “Akiko ha già insegnato in diverse scuole prestigiose, farle fare un esame è quasi oltraggioso” rintuzzò.
“A vederla non sembrerebbe una ferita nell’orgoglio” ribatté Yasu, un po’ acida.
“Ha grande rispetto di mio padre e anche di mio fratello, per non parlare di mia madre... insomma l’unico che tratta a pesci in faccia sono io!” rise.
“Come si sono conosciuti?”
“Chi?”
“Lei e Ken”.
“Uh, l’abbiamo conosciuta anni fa, quando anche io mi allenavo regolarmente. Prima di dedicarsi al judo, Akiko ha praticato anche il karate. Ovviamente sia lei che Ken mi battevano sistematicamente...” sospirò, senza perdere tuttavia il sorriso. “A pensarci bene” riprese, dopo una breve riflessione, “poi tutti abbiamo preso strade diverse... Akiko il judo, io lo studio e Ken il calcio...” fece un’altra pausa, poi riattaccò, come preso dai suoi pensieri. “La scelta di mio fratello di giocare a calcio mi sorprese all’epoca e continua a farlo... chissà, forse ha bisogno di provare altro... anche solo per convincersi su quale sia la scelta giusta.”
“E tu credi che sia il karate?”
Kyo ritrasse il braccio e versò del succo anche per sé. “Alla fine sì. Credo che in fondo lo voglia, questo dojo.”
“E tu? Non sei tu il primogenito?”
Il ragazzo scrollò le spalle possenti. “Io non sono adatto.” C’era una certa sofferenza nelle sue parole. Per quanto nessuno glielo avesse mai fatto pesare, era evidente che Ken era molto più bravo nel karate. E che era la gioia dei suoi genitori. “Mi occupo dell’amministrazione. Quello mi viene bene... E poi c’è sempre Akiko. Si prenderanno buona cura del dojo, insieme.”
Yasu si appoggiò al tavolo e respirò a fondo, tentando di afferrare il significato di quelle parole. Davvero Ken pensava di abbandonare il calcio? Perché non le aveva detto niente? Che quei giorni al dojo gli avessero fatto cambiare idea? E questo cosa significava? Sarebbe rimasto al Toho? E fra loro cosa sarebbe successo? Ma soprattutto... che ruolo aveva quella Akiko in tutto ciò?
“Stai bene?” le chiese Kyo. Probabilmente era impallidita.
“Sì, sì… tutto bene. Sarà un calo di zuccheri, meglio se mangio qualcosa…”
“Vado a prender- Ah! Vedo che qualcuno previene i tuoi desideri…”
Ken si avvicinò loro con un piatto colmo di roba.
“Stai morendo di fame e ti vergogni ad avvicinarti al buffet, dico bene?”
“Già” mentì Yasu. Anche se aveva lo stomaco chiuso, afferrò una cosa a caso dal piatto e se la ficcò in bocca.
“Usciamo un poco in giardino?” le sussurrò, prendendole la mano.
Yasu annuì appena, convinta che Ken avrebbe confermato quanto detto da Kyo.
“Te l’ho detto che sei bellissima vestita così?” Attaccò, una volta che furono lontani dalla folla.
“Devi ringraziare tua madre, mi ha comprato lei tutto”.
“Il verde ti sta bene” proseguì il portiere, sedendosi su uno dei sassi che delimitavano il piccolo, classico laghetto in cui si muovevano pigre delle enormi carpe koi. Posò il piatto su un altro sasso, e invitò Yasu a sedersi. E lei lo fece, ma rimase in silenzio, lo sguardo fisso sui pesci che si muovevano lenti. Prese dal piatto qualche chicco di riso e lo gettò nell’acqua, sorridendo appena nel vedere le carpe salire in superficie spalancando la bocca.
“Sei connessa, Wakabayashi?” gli chiese Ken un po’ scocciato. Lo era di sicuro, se la chiamava per cognome.
“Mmm? Sì, sì” rispose Yasu, pescando a caso nel piatto e mangiando, ostentando soddisfazione.
“Non mi travolgere con il tuo entusiasmo” bofonchiò il portiere, cupo. Aspettò un attimo la reazione della ragazza guardandola di sottecchi. Quindi sbottò, allargando le braccia e sbattendo rumorosamente i palmi sulle cosce. “Se questa è la tua reazione, potevi restartene a scuola. Credevo… ah, lascia perdere. Tanto nessuno capisce quanto questa cosa conti per me…”
“Più del calcio, vero?” sibilò lei, contraendo i pugni, gli occhi fissi sul laghetto.
“Che cavolo dici?”
“Tuo fratello…”
“Che c’entra Kyo? Cos’altro ha combinato, oltre a fare il cascamorto con te?”
“LUI ha fatto il cascamorto con ME?”
“Tsk, a volte sei così ingenua… Il succo di frutta che ti piace tanto, il braccio attorno alle spalle, le chiacchiere fitte fitte…”
“E tu con Akiko, allora? Tutto quel rotolarsi a terra facendovi il solletico…” sputò, guardandolo con odio.
“Io e Akiko? Ci siamo allenati insieme e… no, aspetta, te l’ha detto Kyo?”
“No, vi ho visti…”
“Quando? E… soprattutto come?”
“Stamattina… io… ecco… mi sono arrampicata su quell’albero” spiegò indicandolo al di là della siepe. “E poi Kyo mi ha detto quella cosa e io non sono stupida…”
“Cosa ti ha detto Kyo?”
“Che tu e lei gestirete insieme il dojo” singhiozzò.
“Io lo ammazzo!” ringhiò Ken, portandosi una mano al volto.
“Io credevo” continuò Yasu singhiozzando, “che nel tuo futuro ci fossimo io e il calcio… ma forse mi sono illusa.”
“Piccola, ma che cosa stai dicendo? Forse in questi giorni mi sono concentrato un po’ troppo sul karate, è una disciplina che amo e che fa parte di me, lo sai. Ma nel mio futuro tu ci sei di sicuro e anche il calcio, pure se ultimamente ho trascurato un po’ entrambi. Non nego che, probabilmente, prima o poi, vorrò prendere le redini del dojo, ma non credo che mio padre  cederà il posto, ancora per qualche anno… E io ho tutto il tempo di diventare il portiere migliore del Giappone…” si pavoneggiò, facendole l’occhiolino. “A proposito, appena questa gente se n’è andata, che ne dici di fare due tiri e poi un po’ di...” le soffiò in un orecchio.
“Davvero?” chiese lei a mezza voce, sentendosi improvvisamente leggera. “Ma allora tu e Akiko…”
Ken sbuffò. “Credo che ci sia un particolare su di lei che ti sfugge… forse perché non si vede dall’albero del parco di fronte…” la canzonò “Vedi piccola, il fatto è-”
“Eccovi qua!” esclamò una voce da lontano. I due si voltarono e videro arrivare Akiko che si trascinava dietro Kyo, tenendolo per mano. La ragazza si avvicinò a Yasu, arrossata in viso per la corsa e sorridente.
“Questi due cafoni non ci hanno nemmeno presentate… Yamazaki Akiko” si dichiarò, facendo un inchino. “Ma immagino tu sappia come sono gli Wakashimazu…”
“Abbastanza” balbettò Yasu un po’ confusa.
“Ken mi ha parlato molto di te” proseguì con entusiasmo. “E credo che andremo molto d’accordo… Possiamo uscire tutti insieme qualche volta…”
Yasu la guardò perplessa: “Noi?”
“Sì, certo! Io e Kyo, tu e Ken…” spiegò indicandoli a turno.
La mascella di Yasu cadde rimanendo penzoloni. “Tu e…” disse indicando alternativamente la ragazza e Kyo, mentre Ken rideva a crepapelle.
Tutti i tasselli andarono a posto nella mente di Yasu: la “rivincita” di cui aveva parlato Kyo, Akiko titolare del dojo… ovvio! In quanto fidanzata e poi magari moglie di Kyo…
“Che stupida!” esclamò Yasu.
“È solo un’idea…” disse Akiko, mortificata.
“Scusa!” si affrettò a correggersi Yasu, prendendo l’altra ragazza per le spalle. “Non parlavo di te, parlavo… lascia perdere! Mi piacerebbe molto uscire tutti insieme… e studiare un piano per difendersi da questi due” sospirò, indicando i fratelli Wakashimazu.
“Certo!” sorrise lei, rincuorata, “in fondo, in un certo senso… per me potresti essere quasi una sorella!”
Perché no? pensò Yasu: infondo con tre fratelli e quattro coinquilini tutti maschi... Sorrise: “È quello che ho sempre desiderato!”



**********

Un doveroso ringraziamento, va alla betina Rel... è stata dura ma ce l'abbiamo fatta... e l'accenno a Nat te lo sei meritato lol

Se volete qualche chiarimento sui *kimoni* ecco qua
http://it.wikipedia.org/wiki/Kimono

Per chi conosce il mio Kyo di "Le cose che amo", nonostante il nome, questo è un personaggio diverso, più alto e più gioviale XD

Grazie, grazie, grazie




 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: berlinene