children of bodom fanfiction4
Carry me away from my pain
Valta.
"Life is flesh on bone
convulsing above the ground."
-the begotten
Janika si svegliò avvolta dalle coperte e appoggiata al
petto di
Janne. Si guardò intorno, era in camera sua, nulla sembrava
cambiato più di tanto nelle ultime settimane. La libreria
stracolma delle opere dei più famosi autori europei e
sranieri
troneggiava sempre di fianco alla scrivania di betulla su cui erano
sparpagliati gli ultimi resoconti e i vari documenti; i quadri e le
foto incorniciate di quando era adolescente stavano sempre appese alle
pareti come per ricordarle che un tempo, forse troppo lontano, anche
lei era stata felice. Eppure lei si sentiva cambiata. Sicuramente dal
punto di vista fisico: il suo viso risultava più scarno ed
emaciato, le labbra avevano un colore più spento e due
perenni
occhiaie le circondavano gli occhi opachi, inoltre era dimagrita
visibilmente; ora le costole le si intravedevano sotto qualsiasi
maglietta appena aderente e le clavicole sporgevano imperativamente
dalla scollatura ma, nonostante tutto, continuava ad avere quel fascino
da angelo indifeso che aveva stregato ben due ragazzi nel giro di poco
tempo. Cercò di liberarsi dalla presa del tastierista e, non
riuscendoci, dopo pochi tentativi si arrese. Restò qualche
secondo a fissare il volto del ragazzo che dormiva beato,
iniziò
ad accarezzargli dolcemente i lunghi capelli e si mise a pensare.
Dopotutto, cosa le rimaneva se non la consolazione nel rimpianto? Nel
rimorso, probabilmente, e nell'odio cieco.
Alexi l'aveva tradita, di
questo ne era sicura. Certamente non si era portato a casa una ragazza
per giocarci a poker, eppure si sentiva in colpa. Sapeva che alla fine
tutto quanto era successo a causa sua. Ma ormai era tardi. Piangere sul
latte versato non l'avrebbe sicuramente aiutata a risolvere la
situazione. Per la prima volta dopo molto tempo aveva deciso di
smetterla di autocommiserarsi e di iniziare a pensare che c'era un
mondo al di fuori di lei e del suo ego. Si liberò dalla
presa
del tastierista senza provocare troppi danni al suo sonno e si
alzò in piedi; era vestita, esattamente come il giorno prima
quando era uscita dal processo, urtò con il piede la
bottiglia
di birra vuota sul pavimento e si chiese come, mezza ubriaca e con il
ragazzo che amava, fosse riuscita a tenersi i vestiti addosso. Comunque
non se ne preoccupò troppo pensando all'immagine di Janne
che la
appoggiava dolcemente fra le coperte e a lei che ci si avvinghiava
immaginando di trovarsi in chissà quale luogo.
Scese in fretta le scale e si guardò intorno per qualche
secondo. L'aveva fatto una volta, questa non sarebbe stata molto
diversa. Ripensò alla piacevole sensazione provata in fondo
allo
stomaco, come se avesse vinto una gara o come quando, da bambina,
riusciva a imporsi sugli altri coetanei. Potere. Ma non potere comune,
quello che poteva avere il proprietario di un'azienda o la regina
d'Inghilterra. Un potere più grande. Un potere che nessuno
le
aveva conferito, se l'era preso da sola. Con le sue mani. E con quelle
stesse mani si era sentita Dio. Ma chi è Dio? Alla fine se
l'Onnipotente non ha il Potere di fermare una ragazza con un coltello o
un uomo violento, perché viene definito così?
Janika
sorrise pensando a quella strana figura: un vecchio con la barba
bianca. Un vecchio che ha creato dei mostri sul quale ha perso il
controllo. Quindi l'Uomo è riuscito a superare Dio.
Perciò basta
un oggetto per diventare come lui, per interrompere il suo progetto
divino. E Janika faceva parte di quel club sempre più
numeroso
di persone speciali che avevano ottenuto la magnificenza. Il potere di
Dio deriva dall'elevazione umana della sua figura, senza gli Uomini lui
non ne avrebbe. Quello della giovane e di tutte le persone come lei,
derivava da una presa di posizione. Una decisione, se questa fosse
giusta o sbagliata a nessuno importava. Janika era il nuovo Dio.
Si diresse in cucina e aprì il cassetto della credenza;
questa
volta si sarebbe organizzata, non avrebbe lasciato nulla al caso.
Dopotutto si sarebbe ritrovata in minoranza, due contro uno. Ma,
conoscendo Alexi, la ragazza che si era portato a casa doveva essere
una giovane spaurita e presa da chissà quale fondo di
un'insignificante birreria. Forse lei non sarebbe stato un grande
problema, ma lui sì. La prima volta aveva ucciso un uomo che
odiava, perché l'aveva maltrattata moltissime volte, mentre
ora
si ritrovava a fronteggiare i suoi sentimenti. Ma quelli non le
importavano. In realtà quello che temeva, e che sapeva si
sarebbe verficato, era la fine dei Children of Bodom. Alexi Laiho non
era solo un uomo. Lui era un icona, un simbolo, qualcuno che non poteva
semplicemente morire. Eppure lei aveva questo potere, lei poteva
decretare la fine di un idolo a cui si erano ispirati un sacco di
adolescenti. Era lì, stringeva un coltello da macellaio
nella
mano destra e si sentiva potente. Provava di nuovo quella sensazione e
assaporava il gusto della morte.
Ma c'era qualcuno fra lei e tutto il suo potere. Janne. Stava in piedi
sull'ingresso della stanza e fissava impaurito la giovane. Non sapeva
esattamente se le sue paure fossero reali ma, ne era certo, stava per
uccidere ancora. Ma chi? Lui? No. molto più probabilmente
Alexi
e la ragazza con cui l'aveva tradita. Perchè? L'omicidio non
era
sicuramente l'unica soluzione a questo tipo di problemi. Uccidere Trgve
era stato davvero un gesto di difesa, un modo per evitare una nuova
persecuzione, ma pur sempre un gesto estremo.
Il tastierista si avvicinò lentamente a lei e
sussurò piano:
- Ja..Janika, cosa stai facendo..?-
La giovane sussultò e il suo cuore iniziò a
battere
all'impazzata. Non ci aveva pensato. Lui l'avebbe fermata, se non
fisicamente almeno psicologicamente, perché Alexi era il suo
migliore amico e, pur avendo il potere di farlo, non avrebbe mai
separato Janne e l'unica persona a cui teneva davvero.
Cercò di sorridere piano riponendo il coltello dove l'aveva
trovato. Sentiva le lacrime rigarle il viso, si voltò verso
il
ragazzo e lo fissò negli occhi, scrutandogli l'anima. Scosse
la
testa come per scacciare tutti i suoi pensieri e rispose:
- Nulla. Ero solo qui ... tu dormivi e non volevo svegliarti-
Janne ebbe l'impulso di abbracciarla e non riuscì a
trattenersi,
la strinse con tutta la forza che aveva accarezzandole la schiena,
cercando di calmare i singhiozzi che diventavano sempre più
forti. In realtà nessuno dei due capiva davvero
cosa
stesse succedendo, semplicemente come moltissime altre volte erano
abbracciati. Janika sentiva il cuore batterle forte e delle tremende
fitte al petto e quell'orribile sensazione allo stomaco, si sentiva
tradita e insultata; ma sopratutto sapeva che non avrebbe potuto fare
nulla per porre rimedio alla situazione. Per Alexi quella ragazza non
doveva significare nulla ma, dopotutto, la facilità con cui
l'aveva tradita era la dimostrazione che nemmeno Janika significava
molto.
Janne dopo averla calmata le sussurrò piano all'orecchio:
- Tranquilla ... Alexi è fatto così, agisce prima
di
pensare. E non pensava che ti avrebbe ferita. Lo sai, vedrai che si
sistemerà tutto. Si sentirà in colpa,
telefonerà e
ti chiederà scusa. -
La voce calda e rassicurante del ragazzo riuscì a convincere
Janika che si strinse più saldamente a lui ringraziandolo
piano:
- Kiitos, Janne-
L'altro sorrise piano e rispose a bassa voce:
- Ole hyvä ...Sai che sono qui per te, non ho intenzione di
abbandonarti. Io ... io non posso farlo. Lo so che sembra stupido, noi
in realtà ci conosciamo davvero da poco ma, sei tutto. Non
potrei
lasciarti sola, mai. E' strano, ma sento il bisogno di proteggerti. -
Janika pensò che dopotutto non aveva tutti i torti, non era
riuscito ad allontanarsi da lei nemmeno quando avrebbe dovuto. E ora
erano lì. Abbracciati. Come eternamente uniti in quella
stretta.
Il campanello trillò distoglendoli dai loro pensieri, i due
si
guardarono scambiandosi un'occhiata complice. Janne aveva ragione. Si
diressero insieme verso la porta e il giovane la aprì.
Esattamente come si aspettavano, Alexi era in piedi davanti a loro. Gli
occhi arrossati e il viso stanco, sembrava stremato, come se fosse
appena tornato da una gita di un mese nel deserto. L'amico gli sorrise
e gli fece cenno di entrare. Lo sguardo di Alexi si illuminò
quando vide la giovane seduta sul divano qualche metro più
in
là, guardando verso di lui a braccia conserte. Si sedette
sulla
poltrona lì di fianco e cercò invano di sostenere
il suo
sguardo. Era arrabbiato, si era ritrovato fuori dall'ospedale da solo.
Ma poco dopo, una volta tornato a casa, si era ricordato del processo e
del fatto che Janika doveva aver avuto qualche impegno irrevocabile. Si
sentiva un verme. Aveva tradito la ragazza che amava e sbattuto fuori
casa una che nemmeno conosceva dopo essersela portata a letto. Era
imperdonabile. Eppure ora era lì, a testa bassa. Per la
prima
volta dopo tantissimo tempo era di nuovo a testa bassa. Aveva pensato
che il successo e l'essere diventato Wildchild non l'avrebbero mai
più ridotto così. Eppure lei aveva questo potere.
Lei
poteva farlo tornare bambino e fargli implorare pietà. Alexi
aveva inesorabilmente bisogno di Janika.
Stava cercando le parole, ma l'altra lo precedette:
- Apprezzo il solo fatto che tu sia qui. Una telefonata mi avrebbe
fatta decisamente incazzare. -
Il vocalist alzò lo sguardo e incontrò di nuovo i
suoi
occhi di ghiaccio. Sapeva esattamente cosa avrebbe dovuto dire eppure
quella parola era bloccata nell'esofago e sembrava non voler uscire,
come se quella parola avesse potuto uccidere la sua
virilità. Ma
trovò il coraggio di sputarla fuori:
- Anteeksi Janika. Io.. non so cosa mi fosse preso. Probabilmente mi
vorrai lasciare e posso capirlo. Ma, ti prego, permettimi di poterti
restare vicino. Almeno come amico, ma ti prego ... Ti sto chiedendo
scusa, ti prego, perdonami. -
La ragazza si alzò e si sedette di fianco a lui, sul
bracciolo della poltrona e gli accarezzò i capelli:
- Penso che dovremmo parlarne. Non voglio allontanarmi da te del tutto,
penso solo che avremmo bisogno di un momento di pausa. -
Alexi annuì. E tornò a fissarla, stavolta
riuscì a guardarla negli occhi e le sorrise piano. Non era
una totale vittoria, avrebbe voluto essere perdonato del tutto, ma
capiva che quella ragazza, la Sua ragazza, aveva bisogno di tutto meno
che di un'altra ferita al cuore. La amava, in realtà l'aveva
sempre fatto, ma in un modo quasi perverso e malato. Era un amore
possessivo, qualcosa che cresceva da dentro e che portava a vadere
Janika solo al suo fianco. Ma, dopotutto, era sempre stato l'unico
modello di amore conosceva. Tutte le ragazze che si era portato a
letto, persino Kimberly, erano state semplicemente un'avventura e nulla
di più. Con Janika era diverso. Ogni secondo passato con lei
lo rendeva felice e non gli importava di sembrare uno stupido
adolescente quando la prendeva in braccio in mezzo alla folla e le
baciava le morbide labbra rosee, era semplicemente tutto quello che un
ragazzo potesse desiderare. Ma, in realtà, nel
profondo del suo cuore sapeva. Sapeva esattamente perché
bramava in modo così ossessivo Janika: non era poi
così difficile capirlo. Janika non era sua. Non gli era mai
davvero appartenuta, il cuore della giovane era sempre stato nelle mani
di Janne e non nelle sue. Quindi ora si ritrovava innamorata di una
ragazza che amava il suo migliore amico e, quasi sicuramente, il suo
migliore amico ricambiava.
"Bella merda" si limitò a pensare Alexi prima di alzarsi e
andare in cucina a prendere una Heineken in frigorifero.
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Ommioddio. Questo capitolo
è davvero finito? O_O più che non trovare
ispirazione per scrivere il problema è che ci ho messo un
mese a scriverlo. xD E' già Luglio e io contavo di scrivere
molto di più.
Anyway, questo è quanto :) Grazie di nuovo a tutti per la
vostra paz... attenzione nel seguire il mio delirio programmato.
Al prossimo capitolo
PersephoneNebel_
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