Capitolo
10:
Non
mi piacciono gli addii, meglio i nuovi inizi; 2013/2023
11
giugno 2013
“Matt...”
La voce di Brian raggiunse le spalle del ragazzo metre una mano gli
si posava sulla spalla. “Anche se stavo per commetterlo, non
credo
di poter sopportare un altro errore. Non lo stesso.”
Il
primo uomo smise di camminare, ma non aveva nessuna intenzione di
voltarsi.
Faceva
male sentire quelle parole, era una vita che le aspettava, eppure gli
stavano suonando totalmente sbagliate; aveva paura che non fosse
Brian a parlare, che si fosse lasciato sopraffare dal senso di colpa
che lo aveva perseguitato per tutti quegli anni.
I
respiri di entrambi erano affannosi anche se non avevano corso, tutto
questo perché i loro cuori avevano iniziato a pompare
più sangue
possibile tanto da far girare la testa.
“Guardami.”
“Brian
sei sicuro di quello che hai appena detto? Ti aspetti che io
abbandoni mia moglie quando tu te ne sei sbattuto per tutto questo
tempo? Lei c'era, sempre, mentre la tua assenza è stato il
macigno
più pesante da sostenere sulle spalle.”
L'altro
avrebbe voluto rispondere qualcosa, qualsiasi cosa, ma i suoi
pensieri sembravano l'uno più stupido dell'altro e
così rimase
imbambolato aguardare Matt che si faceva a poco a poco più
arrabbiato e deluso.
“Ero
riuscito a comporre quella canzone.”
proseguì. “Volevo
farti una sorpresa.”
“Composi
una canzone al piano, una volta.” disse Matt disteso sul
letto di
Brian, il quale era al suo fianco. Sentiva la spalla dell'altro
sfiorare la sua mentre con una mano gli accarezzava le dita
affusolate. Il moro aspettava che andasse avanti, d'altronde era
abitudine del suo ragazzo iniziare un discorso apparentemente
insensato che poi si sarebbe rivelato essere sempre molto profondo.
“Poi però si stava facendo tardi e dovevo correre
al molo da te,
quindi me la sono dimenticata. Stavo cantando la canzone del secolo e
me la sono e puf, sparita. Sono proprio un coglione.”
Matt
rise sempre di più e anche se Brian da quella posizione non
riusciva
a vederle, era sicuro che due fossette gli stessero contornando le
labbra carnose.
“Sì,
sei un coglione.” rispose, per poi girarsi su un fianco e
allungare
un braccio per cingere i fianchi del suo uomo. “Ma se tu non
fossi
un totale disastro, io non apparirei così
brillante.”
Gli
scoccò un bacio a fior di labbra e Matt storse il naso senza
però
rispondere alla provocazione.
“I
give my heart to you.” canticchiò. “I
give my heart, 'cause
nothing can compare in this world to you... È
l'unica frase che ricordo, Bri.”
“Voltati
e cantala Matt, per favore.”
Brian
allungò un braccio per prendergli la mano e lo costrinse a
girarsi;
anche se avevano fatto l'amore
da poco fu piacevolmente sorpreso di riconoscere la forma del palmo e
delle dita, anche se le dimensioni erano diverse da come le
ricordava.
“Hai
rovinato tutto, idiota.”
Matt
tentò di mollare la presa, ma Brian glielo impedì.
“Sono
qui adesso.”
“Pensi
davvero di poter fare come vuoi, Haner?”
“Voglio
tornare nella tua vita, voglio stringerti forte e vederti sorridere.
Ah sì, voglio anche ascoltare le tue inutili
paranoie.”
Sorrisero
entrambi, anche se Matt più debolmente.
“Ci
vorrà molto tempo e pazienza, prima che tu possa
riconquistare la
mia fiducia.”
“Mi
basta poterti guardare negli occhi e sapere che un giorno le cose
andranno meglio.”
18
agosto 2023, pontile di Huntington Beach
Il
molo di Huntington Beach era illuminato dal riverbero cristallino
dell'oceano e, nei pressi della gelateria, una bambina era intenta a
stringere le mani dei suoi papà nonostante il caldo e il
sudore.
“Cioccolato
e fragola, vero Melody?” chiese Matt abbassando lo sguardo
verso la
testa bionda della figlia.
“Certo
papà.” rispose, per poi sbuffare sonoramente.
“Che
hai?” domandò Brian.
“Ho
caldo e sono stanca di aspettare.”
I
due genitori si rivolsero vicendevolmente uno sguardo eloquente che
sembrava voler dire: ha ripreso tutto da te.
“Va
a sederti a quella panchina laggiù.”
continuò. “Aspettaci là.”
“Guarda
che è la tua copia sputata, Haner.” disse Matt non
appena la
piccola Melody lasciò la sua mano e quella di Brian.
“Ok a parte i
capelli biondi, lo ammetto.” aggiunse poi, dopo aver ricevuto
un'occhiataccia.
Anche
se non avevano minimamente accennatto al passato, entrambi
percepivano una sensazione piuttosto strana stando in fila proprio
lì
dove si erano conosciuti. Erano passati ventiquattro anni e ora la
situazione era completamente cambiata, si era ribaltata, per la
precisione, ma era bello vedere come i loro sguardi erano ancora
complici nonostante tutto quel tempo.
Matt
era solito fare pensieri sulla vecchiaia, sugli attimi che durante la
vita vengono persi, eppure questa volta era Brian a notare, in un
misto di felicità e malinconia, quante ne fossero passate e
quanto
tutto sembrava esser durato il tempo di una stagione. Gli bastava
però volgere un'occhiata veloce a sua figlia, per scacciare
via la
tristezza; toccava alla sua piccola prendere in mano la vita adesso,
doveva cavalcarle lei quelle onde che per molti anni aveva manovrato
lui stesso, facendo un errore dopo l'altro.
“Brian
vieni, tocca a noi.” disse Matt stringendogli la mano, come
per
farlo tornare alla realtà. “Stai bene?”
“Sì
sì, alla grande tranquillo.”
L'altro
non replicò, si limitò a prendere i gelati con un
gran sorriso
sulle labbra.
“Posso
sedermi?”
“Sì,
certo.”
Melody
alzò lo sguardo dalle onde dell'oceano che quel pomeriggio
erano
placide, parevano formare uno specchio, per poi sorridere al bambino
che si stava sedendo al suo fianco. Aveva i capelli biondi come i
suoi, ma la carnagione era sicuramente più scura.
“Mi
chiamo Sam, e tu?”
“Melody.”
rispose prontamente. “E ho due papà!”
“Forte!”
replicò il bambino. “Almeno non ti costringono a
mangiare le
verdure!”
“A
dire il vero papà Matt sì, non posso mai
lasciarle nel piatto.”
commentò amaramente, per poi bloccarsi quando vide i suoi
genitori
avvicinarsi.
“Ecco
il tuo gelato, tesoro.” disse Brian, porgendoglielo.
“E questo
bambino?”
“Tesoro.”
Matt gli aveva già posato una mano sulla spalla, leggermente
allarmato. Non era la prima volta che il suo compagno si mettesse a
fare il gelosone con la loro piccola.
“Sono
Sam.” rispose il bambino, facendosi improvvisamente timido.
“Io
mi chiamo Brian, piacere di conoscerti.”
Cercò
di infondere gentilezza con le sue ultime parole, o avrebbe dovuto
sorbirsi una ramanzina senza precedenti una volta tornati a casa.
“Papà
appena finisco di mangiare posso giocare con Sam?”
“M-Ma
certo tesoro, mi raccomando però fai sempre in modo che noi
possiamo
vederti, ok?”
La
bambina annuì e quando, dopo il gelato, si alzarono entrambe
le
pesti, furono Matt e Brian a prendere i loro posti; si sfioravano
teneramente le dita mentre i loro sguardi erano puntati verso
l'orizzonte.
“Ho
come l'impressione di sapere come andrà a finire.”
commentò Matt
guardando Melody e Sam giocare.
Ridacchiarono
insieme intrecciando le dita l'uno in quelle dell'altro, tremavano
ancora come foglie nonostante tutti quegli anni. La fase
adolescenziale era passata da un pezzo, non passavano più
intere
giornate a sbaciucchiarsi inebriati dai loro stessi ormoni, ma un
abbraccio o anche un semplice contatto avevano ancora il potere di
farli sciogliere come ghiaccioli al sole.
“Lo
spero davvero per loro, spero anche però che sotto questo
punto di
vista nostra figlia sia come te.”
“Con
un esempio come noi, non potrà mai commettere quel genere di
errori.
Smettila però di rimproverarti, capito? Abbiamo costruito
una
famiglia adesso ed è questo che conta più di
tutto.”
Brian
correva verso la panchina del molo con gli occhi umidi, non aveva
nessuna intenzione di scoppiare a piangere davanti a Matt, ma proprio
non ce la faceva a resistere. Aveva una reputazione da difendere e
non poteva distruggerla così, in cinque minuti.
“Che
hai?” chiese l'amico, allarmato, non appena notò
che Brian non
stava bene.
“S-Sei
la mia famiglia, la mia famiglia.” mugolò
soltanto, per poi
abbracciarlo forte. L'altro non disse niente, sapeva che i signori
Haner avevano divorziato e voleva solo fare l'impossibile per far
sorridere quel testone che aveva tra le braccia.
“Forse
per una volta hai ragione.” disse Brian, prima di appoggiare
la
testa sulla spalla di Matt.
I
bambini del molo di Huntington Beach erano cresciuti, ne avevano
passate tante, ma nonostante tutto erano ancora lì, insieme,
si tenevano la mano promettendosi amore eterno, esattamente come quel
lontano 25 luglio 1989, quando un ragazzino incuriosito chiese ad un
altro con i capelli e gli occhi scuri se andava tutto bene.
Adesso
andava bene, da quando c'era Matt Brian non aveva più smesso
di
sorridere.
“I'll
never feel alone again with you by my side.
You're
the one, and in you I confide.
And
we have gone through good and bad times.
But
your unconditional love was always on my mind.
You've
been there from the start for me.
And
your loves always been true as can be.”
Nonostante
ci abbia messo poco più di due anni per scrivere questo
capitolo, ce
l'ho fatta e ne sono davvero felice, sono legatissima a questa storia
e mi piangeva il cuore a vederla incompleta. Sin dall'inizio il
finale doveva essere di tutt'altro tipo e io ero completamente
bloccata, non sapevo da dove iniziare e a questo punto mi viene da
pensare che non riuscivo a scriverlo perché in
realtà l'epilogo di
questa fanfiction doveva essere tutt'altro.
Ah,
preciso che la canzone alla fine del testo è Warmness On The
Soul
dei Sevenfold, anche se penso l'abbiate riconosciuta tutti.
Anche
se moltissime delle persone che seguivano questa storia ora non sono
più neanche attive su questo sito, io le ringrazio dal
profondo del
cuore perché mi hanno sempre sostenuta ed aiutata ad andare
avanti;
ringrazio anche chi, che magari durante la pubblicazione non
conosceva EFP, si è imbattuto in questo racconto ed
è stato
costretto a leggerselo dall'inizio -chiedo scusa- arrivando fin qui.
Un
ringraziamento speciale va però a Schecter
che man mano mi sta costringendo a dare una fine a tutte le mie
storie incomplete.
Alla
prossima avventura guys, un bacio enorme!
Dominil.
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