Note
iniziali: questa
storia viene dopo questa.
E questa.
Perché complicarsi la vita è il mio credo.
A Rossella,
che avrà
diciotto anni
anche quando ne avremo
ottanta
e giocheremo a bridge in
veranda.
CAMBIARE TESTA
Vanity
radunò gli attrezzi che le erano rimasti, cercando di capire
dove fosse finito il maledetto diffusore a ioni attivi, quello che
invece di rovinare i capelli li ristrutturava. L’aveva usato
non meno di due giorni prima, e la sua casa non era grande…
anche se magari il problema stava proprio in quello. Era come
le borse piccole, non ci si trovava mai niente.
Effie
Trinket stava per arrivare. Taglio e colore. Capelli assolutamente
disastrosi, non puoi capire cara, qui altro che rivoluzioni, ci
vogliono i miracoli. Effie Trinket.
Girava voce
che Effie Trinket fosse stata una ribelle. Che fosse stata nelle
prigioni di Capitol City. Che fosse gravemente depressa. E invece le
aveva telefonato, non meno di due giorni prima, per farsi i capelli.
Ora, Vanity
non aveva più un negozio. Al posto del suo negozio
c’era una specie di cratere, e ancora nemmeno
l’ombra di cantieri. Era stata una delle zone più
colpite dall’attacco dei ribelli, che adesso avevano vinto e
quindi non erano più ribelli ma nuovo
governo,
e lei si era trovata senza lavoro e senza che nessuno potesse fare
nulla per lei. Aveva girato tutti gli uffici, trovandosi davanti a un
caos indescrivibile e a risposte che andavano da un cortese
“signora, mi spiace ma non possiamo farci nulla, sa, il
governo sta varando un progetto di ridistribuzione dei capitali dal
quale i cittadini di Capitol sono esclusi” a un
“puttana di Capitol, non hai ancora finito di succhiare il
sangue alla gente dei distretti?”.
Vanity non
aveva mai succhiato il sangue a nessuno. Si diceva che ci fosse gente
che lo facesse, soprattutto quando erano andati così di moda
i vampiri, ma lei non era tra questi. Lei era solo una parrucchiera.
Dopo la
rivoluzione aveva visto come avevano vissuto realmente per decenni gli
abitanti dei distretti, come la propaganda del vecchio governo
nascondeva situazioni terribili, e le era dispiaciuto, aveva anche
pensato che fosse normale ribellarsi, a un certo punto. Ma lei era solo
una parrucchiera. È vero, aveva molto più di una
qualunque di quelle povere famiglie, escluse magari quelle dei
vincitori degli Hunger Games, ma non aveva nulla a che fare con i
politici, gli attori, gli industriali milionari di Capitol. Viveva del
suo lavoro, che aveva alti e bassi, ogni tanto si permetteva di levarsi
qualche sfizio, a volte faceva qualche sacrificio. Era in quella fascia
media troppo ricca per fare la rivoluzione e troppo povera per avere
ricchezze nascoste da parte. Era tra quel genere di persone che perdono
sempre.
Trovò
il maledetto diffusore e lo mise nel carrellino degli attrezzi. Aveva
ricavato un minuscolo salone da parrucchiera usando il bagno e lo
studio, e cercava di andare avanti come poteva. Una volta da lei
andavano le star e le soubrette; si ricordò di quella volta
che Veronica Martell e Clara Whyte l’avevano pagata pur di
scoprire i torbidi segreti della Trinket. Ora Clara Whyte era una dei
ribelli, di Veronica Martell non si sapeva bene che ne era stato, e
Effie Trinket…
Suonò
il campanello. Le fece anche il solito, vecchio, stupido Diln-dlon! quando
entrò. Puntuale al minuto, come al solito.
Vanity
rimase stupefatta.
Non sapeva
bene cosa aspettarsi; una donna magari sfregiata, o con le occhiaie
viola, o scheletrica, o chissà. Invece Effie Trinket era
semplicemente un po’stropicciata, come quando togli una
camicia dalla lavatrice e basta stirarla per farla tornare perfetta.
Nella
fattispecie, risultò che Effie, alla quale nella supposta
prigione potevano aver tolto tante cose ma di sicuro non la voce,
voleva sistemare i capelli e schiarirli un po’, -Ma niente di
eccessivo, sai, gli eccessi a quanto pare sono passati di moda, solo
qualche piccolo colpo di sole, per accendere il viso-. Vanity
pensò che non aveva bisogno di accendere il viso. Effie
Trinket aveva quell’espressione che hanno le donne quando gli
è successo qualcosa di bello e loro ce l’hanno
ancora in mente, come una luce che è dentro i pensieri e
illumina il viso da dietro.
La fece
accomodare nel suo salone improvvisato, scrutandole le ciocche con aria
pensierosa. Nutrire, ravvivare, tagliare almeno di cinque centimetri.
Capelli che hanno sofferto. Capelli caduti, e capelli nuovi,
più corti, che stavano crescendo, qualcuno troppo chiaro per
essere biondo.
Le
applicò il colore, ciocca per ciocca. A Vanity piaceva il
suo lavoro. Non aveva lavorato per far soffrire gli abitanti dei
distretti, non guardava nemmeno troppo volentieri gli Hunger Games,
avrebbe pettinato tutti senza distinzione di provenienza. Le piaceva il
suo lavoro e ci arrivava a fine mese, tutto qui, e ora sembrava che
questo fosse un crimine imperdonabile. Mentre il colore stava in posa
andò a fare il caffè e ne offrì una
tazza ad Effie, che lo bevve continuando a parlare ininterrottamente.
Alla
domanda: –E il tuo negozio? Mi è dispiaciuto
tanto, tanto, tanto sapere che non l’hai
più…-, Vanity fece quello che non avrebbe mai
pensato di fare. Iniziò a raccontare, a briglia sciolta,
come non aveva fatto con nessuno se non con Costel, quando proprio non
ce la faceva più a stare zitta.
-Una cosa
terribile… stavo lavorando, pensa che avevo il salone pieno,
e gli allarmi hanno cominciato a suonare. Sono uscita di corsa, mi
ricordo che ho preso il cappotto di una cliente perché il
mio non c’era più… fuori
c’era la povera Talia, hai presente, quella che aveva il
negozio di sex toys di fronte al mio, che poverina, aveva i tacchi e
non riusciva a correre, e sapessi come ho ringraziato che col mio
lavoro devo indossare per forza scarpe comode! Lei le sue se le
è dovute togliere, era a piedi nudi sulla neve, e dietro
hanno cominciato a lanciare bombe. Allora l’ho presa per mano
e me la sono tirata dietro, ma ci è caduta una bomba vicino
e sai, io sono stata scagliata via e mi sono incrinata una costola, ma
lei… Effie, sapessi, lei si è completamente
carbonizzata, mi hanno detto che può succedere e che sono
stata fortunatissima perché ero al limite
dell’esplosione, ma sapessi quante volte me la sogno di
notte, la povera Talia che… Effie, tesoro?
Effie si era
irrigidita e guardava nello specchio senza vedersi, gli occhi sgranati,
come un gatto paralizzato davanti ai fari di un’automobile.
Quando si accorse che nessuno parlava, tentò un sorriso.
-Vanity,
tesoro, ma perché dobbiamo parlare di queste cose tanto
orribili? Penso che sia molto molto meglio dimenticarle e andare
avanti, non credi anche tu?
Vanity fece
una risata amara. –La fai facile, tu…
Si
pentì immediatamente. Se solo la metà delle voci
che giravano su Effie Trinket erano vere, doveva avere anche lei la sua
buona dose di incubi, la notte.
-Scusami.
Siamo tutti un po’nervosi in questo periodo. Il mio negozio
non esiste più e onestamente non so bene neanche come
andrò avanti, se continua così.
Effie la
scrutò dallo specchio mentre Vanity le faceva appoggiare la
testa sul lavandino, per lavarle i capelli. Aveva le sopracciglia
leggermente aggrottate in un’espressione risoluta.
-Sai cosa ti
dico, Vanity? Che farò di tutto per tornare a lavorare, e
avrò bisogno di una brava parrucchiera. E tu sei
l’unica che conosce bene i miei capelli, e quindi
avrò assolutamente bisogno di te. Per quanto mi riguarda,
sai, finalmente sono di nuovo tanto tanto piena di
positività: riavrò il mio lavoro, anche a costo
di accamparmi a casa di Plutarch Heavensbee!
Vanity rise.
–Plutarch Heavensbee? Se è vero quanto si dice su
di lui, dovevo farti ancora più bionda di così!
Effie rise
anche lei, una risatina che sembrava un trillo, qualcosa di molto
sciocco e prerivoluzionario; quel tipo di risatine di cui Vanity non si
sarebbe mai aspettata di sentire la mancanza.
-Non essere
così frivola, Vanity! Sai, basta sorridere, essere positivi
e guardare avanti, e allora sono le cose che vengono a bussarti alla
porta! Sai tenere un segreto?
Lei
annuì. Era una parrucchiera; aveva sempre pensato che
più riservati di lei ci fossero solo i gigolò,
fino a quando Finnick Odair non aveva rilasciato
quell’intervista shock, e allora si era sentita in diritto di
concedersi il podio senza rimorsi.
-È
passato a trovarmi Haymitch, un paio di sere fa… sai,
Haymitch Abernathy, quello del distretto dodici?
Vanity
annuì. Siccome non sapeva se commentare “quello
ubriacone” o “quello che ho sempre pensato che tra
voi ci fosse un’imbarazzante tensione sessuale
irrisolta”, decise di stare zitta.
-Ecco.
È stato tanto, tanto, tanto caro e mi ha fatto capire una
cosa: che anche se tutto ci sembra così diverso, e abbiamo
passato momenti terribili, possiamo ancora essere felici…
Sai, è che bisogna cambiare testa. Noi prima facevamo delle
cose tanto tanto brutte, e non ce ne rendevamo conto, ma ora non le
faremo più, nei distretti staranno meglio e noi ci
riprenderemo. E sarà un mondo meraviglioso!
Vanity
riuscì a rivolgerle solo un sorriso forzato, e
ringraziò che il phon non favorisse la ripresa della
conversazione. Le asciugò i capelli in una piega
impeccabile, dei riccioli sbarazzini finto spettinati che la rendevano
assolutamente adorabile.
Stupida
Effie. Sciocca ragazza nemmeno più tanto ragazza alla quale
bastava una scopata (perché lei e il tizio ubriacone del
distretto dodici avevano scopato, Vanity ci avrebbe scommesso anche la
casa) per vedere il mondo in rosa. Eppure la sciocca Effie era
lì, con i capelli più biondi e il sorriso e tanta
voglia di ricominciare, mentre lei si piangeva addosso e per paura di
come sarebbe potuta andare a finire non iniziava neanche.
Effie la
svampita aveva ragione, bisognava cambiare testa, volenti o nolenti.
Bisognava fare i conti con un mondo completamente diverso. Vanity
pensò che forse in fondo non era male. Che, in fondo, tutti
avrebbero cambiato testa, da Capitol ai distretti, in un modo o
nell’altro.
E allora
Vanity sorrise. Perché una buona parrucchiera lo sa
perfettamente: quando si cambia testa, si ha sempre bisogno di una
nuova pettinatura.
Note: Non
so bene cosa pensare di questa storia. È la prima che scrivo
dopo tanto tempo e mi sento arrugginita e piena di tetano, ma
è il compleanno di Jo Lupo, quindi ho oliato gli ingranaggi
e ho cercato di mettermi in moto. Penso di aver fatto parecchio gas di
scarico, ma che ci volete fare.
Vanity
è sua, di Jo
Lupo,
e compare qui.
L’ho usata senza il suo permesso, e spero che le faccia
piacere.
Veronica
Martell (hehehe sono pessima) e Clara White compaiono qui.
La
storia in cui Effie e Haymitch trombano (Vanity aveva visto giusto,
è parrucchiera di Capitol e ha l’occhio allenato)
è questa.
Capitol
City, c’è poco da fare, eccessi a parte mi ricorda
il nostro mondo. Insomma, anche noi sappiamo che in Africa muoiono di
fame ma andiamo avanti con la nostra vita e il nostro lavoro; mi piace
mettermi nei panni di gente comune come Vanity. Effie invece la adoro
punto e basta.
Che
a Plutarch piacciano le bionde non è scritto da nessuna
parte se non nella mia testa; bionde, alte e giovani.
Detto
questo, grazie a chiunque abbia letto, si sia divertito, si sia subito
la mia ruggine e in generale sia passato da qui.
E
auguri Ros! Augurissimi!
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