NOVE.
-
See,
I’m true, my songs are where my heart is, I’m like
glue, I stick
to other artists, I’m not you, now that would be disastrous;
let me
sing and do my thing and move to greener pastures, see, I’m
real, I
do it all, it’s all me, I’m not fake,
don’t ever call me lazy.
I won’t stay put, give me the chance to be free, suffolk
sadly
seems to sort of suffocate me...‘Cause you need me, man, I
don’t
need you, you need me, man, I don’t need you, you need me,
man, I
DON'T NEED YOU AT ALL!!!! - strillò
Taylor, torturando la sua povera chitarra come una pazza infervorata,
e facendomi scoppiare in una risata assurda. La
sua cover di You need
me, I don’t need you
era veramente qualcosa di esilarante. La suonava con pathos,
quasi non avesse aspettato altro per tutta la vita, e cercava anche
di imitare qualche mossa da rapper mentre tentava, invano, di non
intrigarsi con le parole. La scritta “T-Swizzle
il ritorno”
lampeggiava nella mia testa dal momento in cui aveva deciso di
abbandonare il suo amato telefilm – che tra l’altro
era anche la
causa della mia presenza in camera sua – per fare qualcosa
di più adatto a gente del suo rango,
come lo aveva definito lei nel mezzo del suo delirio da sbronza. E ci
tengo a precisare che aveva perso il controllo dopo aver bevuto due
bottiglie di birra soltanto, e devo dire che in quello stato era la
cosa più esilarante del mondo. Andava avanti da un'ora a
fare cover
delle mie canzoni, imitando - o almeno provandoci - la mia voce.
Stavo ridendo come un cretino ma era davvero troppo, troppo buffa.
All’inizio mi guardò confusa, come se fossi io
l’ubriaco perso
che faceva versi idioti, ma dopo appena due secondi cominciò
a
ridere convulsamente anche lei. Le sue pupille erano dilatate, come
se invece di bersi un paio di birre si fosse appena fatta di cocaina.
Ed era stramaledettamente bella anche così. Struccata,
spettinata ed
ubriaca, rimaneva la donna più bella del mondo.
“Eddy
Eddy Eddy … anche quando è così senti
“vibrazioni strane”?
C’è un problema amico, mi sa che sei cotto. Ma
giusto un po’
eh.” commentò
sarcastica Coscienza dentro la mia testa. Strano a dirsi, ma questa
volta la sua presenza non mi turbò affatto, tanto che mi
sentivo in
vena di fare conversazione.
“Ma
tu dov'eri andata?”
le chiesi; era dallo show che non la sentivo. Non è che
magari stava
progettando di trasferirsi in un’altra testa?
“Hey,
mica vivo per te, sai?”
mi rispose permalosa. E io che credevo di essere il suo passatempo
preferito. “Comunque,
Taylor così è davvero carina. Sembra un cucciolo,
sai quelli che
pisciano ovunque quando sono contenti?”
Beh,
la metafora non era un granché, però Taylor era davvero
carina in questo
stato. Mi veniva voglia di abbracciarla fino a soffocarla.
“O
di ficcarle la lingua in gola fino a soffocarla. Non guardarmi male,
io parlo solo in base a quello che tu mi fai vedere. E smettila di
evocare certe immagini! È imbarazzante.”
“Ho
una coscienza che si immagina le cose, grandioso”,
fu questo il mio unico pensiero davanti a quel commento assurdo; il
sospetto di soffrire di qualche strana forma di disturbo della
personalità o robe simili si fece sempre più
largo nella mia mente
e per questo decisi di troncare di netto quella conversazione
solitaria, temendo di scoprire cose non proprio carine se avessi
continuato di quel passo. Ignorando quindi quella vocetta nella mia
testa, seguii il mio istinto e la abbracciai, chitarra inclusa. Lei
rise.
-
Sai, non avrei mai pensato che ubriacarsi con te fosse così
divertente - le mormorai vicino all’orecchio, mentre lei
continuava
a sussultare per le risate.
-
Ma io sono divertente
- esclamò, mettendo il broncio, come una bambina che vuole
una nuova
bambola che la mamma non vuole comprarle.
-
Ma certo che lo sei, – le risposi con il miglior tono
da mamma che riuscii a
cavare fuori – solo che così lo sei molto di
più -. E poi la
stritolai maggiormente, dandole un bacio affettuoso sui capelli.
“Uh,
ma guarda! Eddy Rosso si è svegliato dal letargo. Anche se,
tesoro,
hai un po' sbagliato mira: la bocca è più in
basso”
osservò la mia amichetta immaginaria, concludendo la
performance con
tanto di occhiolino. Forse prima le avevo dato troppo spazio. Era
meglio evitare di intavolare una nuova discussione, così
continuai
ad abbracciare la mia amica che, per tutta risposta, si
aggrappò di
nuovo alle corde della sua chitarra cimentandosi in
un’interessante
versione di You Belong
With Me.
-
IF YOU COULD SEE THAT I'M THE ONE WHO UNDERSTANDS YOU –
cantava con talmente tanta foga che temetti svegliasse tutto quanto
l’albergo. Le
feci cenno di abbassare un po’ la voce ma, tra le mie risate
e il
suo cervello fuso dall’alcool, non doveva essere sembrata una
mossa
molto credibile; infatti continuò a sbraiatare - BEEN
HERE ALL ALONG SO WHY CAN'T YOU SEEEEEEE?
–
E
qui ci fu addirittura un rimbalzo giù dal letto, con tanto
di
scivolata sul pavimento - YOU
BELONG WITH MEEEE! –
cantò con la testa rivolta all’indietro, gli occhi
chiusi come a
cercare concentrazione. Strimpellò le corde come se si
stesse
esibendo in un concerto rock.
Ok,
era andata, giusto un pochino.
Mi
immaginai come sarebbe apparsa una performance del genere sul grande
palco in cui si era esibita stasera; sicuramente avrebbe ottenuto un
successo enorme. Stavo per chiederle di fare un remake di quello
stacchetto al prossimo award show, quando quel pensiero me ne fece
balzare subito in mente un altro, ovvero il suo strano scambio di
sguardi con Selena, e la conclusione della sua esibizione …
quel “I
gotta have you”.
Sicuramente era un modo per dimostrarmi che a me teneva, e quindi
devo averti
nel senso che ho
bisogno di te, mio caro, carissimo, tenerissimo migliore amico
… ma c’era qualcosa che non mi convinceva.
Probabilmente mi ero
fatto condizionare da quella strana risatina che era fuoriuscita
dalla bocca di Selena nel momento stesso in cui la mia migliore amica
mi fissava, ma avevo percepito anch’io qualcosa di strano, di
nuovo. E così, d’istinto, decisi di chiarirmi un
po’ le idee.
Dato
che non c’era nessun altro modo per farla stare zitta,
scivolai giù
dal letto e le tappai la bocca con una mano. Lei fece un urletto
–
come se già non ne avesse fatti abbastanza - e poi mi morse.
-
Ahi! – scattai ridendo – Taylor, ma che fai?
– per tutta
risposta lei si buttò con la testa sopra le mie ginocchia,
visto che
stava sempre suonando praticamente sdraiata per terra, e
spalancò i
suoi occhioni blu dritti nei miei. Per poco non mi prese un colpo,
sembrava strafatta. E menomale che le birre in quel frigobar erano
solo quattro!
-YOU'RE
ON THE PHONE WITH YOUR GIRLFRIEND SHÈS UPSEEET! Daaai,
Eddy, canta con me! Dai dai dai! - mi implorò, sbattendo le
lunghe
ciglia e mettendo il broncio. Non potei fare a meno di ridacchiare
sotto i baffi, in queste condizioni non avrebbe potuto mentire su
nulla.
-
Dopo - le promisi, mettendole l'indice sulle labbra per zittirla, o
almeno sperando che
potesse farlo - prima rispondi alle mie domande. Ho visto che ti
dicevi qualcosa con Selena, stasera. Posso sapere di cosa si tratta?
– lei bloccò la sua esibizione di chitarra e
sbarrò gli occhi,
dopo di che si mise allegramente a ridacchiare sulle mie ginocchia.
Non so perché mi interessasse tanto. Forse il fatto era che
mi era
sembrato... che parlassero di me, ecco. E questa cosa mi piaceva e
non mi piaceva allo stesso tempo.
Dopo
un po’ si rimise in posizione normale, sedendosi, stranamente
senza
oscillare, e si mise ad osservare la visuale della città che
si
aveva dalla finestra del balcone, aperta. Ci fu uno strano silenzio,
che durò per pochi secondi, poi rispondendomi riprese a
ridere.
-No,
no no! Non ci provare Eddy Rosso! – sentenziò
muovendo il dito in
segno di diniego proprio davanti al mio naso, anche se non so come ci
riuscisse visto che mi dava le spalle - Sono cose da ragazze.
La
situazione, messa così, cominciava a preoccuparmi,
così mi buttai
sull’ironia.
-
Anche io sono una ragazza, non lo sapevi? – dissi fingendo
una voce
femminile e ruotandola verso di me; lei aveva ancora gli occhioni
spalancati di qualche minuto prima.
-
Questo non ti rende necessariamente degna
di avere accesso alla risposta, Eduarda.
– mi rispose lei trasformandosi per un momento in una
perfetta
insegnante
modalità
interrogazione. Io,
però, non avevo intenzione di rimanere nel dubbio su tutto
il resto,
così passai alla seconda domanda.
- E
quel tuo strano comportamento durante 22?
Quello me lo puoi spiegare? – le domadai; lei a quel punto mi
guardò perplessa, poi scoppiò a ridere. Nel giro
di poco si ributtò
sul letto e cominciò ad agitare le gambe come se le avessi
raccontato la barzelletta più divertente del mondo.
Arrivò
addirittura a mettersi le mani sulla pancia! Ma era davvero una
domanda così stupida? Mi voltai, nel tentativo di renderla
meno
idiota e di darle una spiegazione, quando lei, inaspettatamente,
riuscì a formulare una risposta.
-
Ma quanto sarai cretino Ed! Davvero non l’hai capito? -
sbottò,
tra una risata e l'altra. Io decisi di andare sul sincero, ovvero
triplicare la mia figura di merda, tanto domani sarebbe stata troppo
intontita dalla sbornia per ricordaserlo... giusto?
-
Sinceramente? No. Cioè, mi sono fatto un'idea, ma ovviamente
sarà
sbagliata. - arrancai. Involontariamente mi misi a fissarla in
maniera strana, come se volessi a tutti costi che la risposta fosse
la stessa che mi ero immaginato, ma che non avevo nemmeno il coraggio
di pensare per intero.
“Non
pensare di sfuggirmi stupidone, tanto io so tutto lo stesso.”
cinguettò
Coscienza.
Interrotto così bruscamente nel mio momento di panico mi
venne
voglia di strozzare quella vocina, poi mi ricordai che non esisteva.
“DORMI.”
le intimai. E lei sparì.
La
bionda intanto continuava a non rispondere, anzi! Si mise a ridere
anche più forte, se possibile, tanto che il letto si mise a
cigolare, poi all’improvviso si calmò. E
lì mi fece veramente
paura.
-
Ed – sbottò, facendomi prendere un colpo.
-
Taylor - le dissi. Io ero ancora in ginocchio sul pavimento, poco
distante dal punto in cui qualche minuto prima era lei. Mi sembrava
di essere ancora più imbecille messo lì
così, dunque mi alzai e mi
sdraiai sul letto vicino a quella povera sciroccata della mia
migliore amica. Non so con quale audacia, e molto serio in volto, mi
voltai in modo da poterla guardare in faccia e la abbracciai. Lei,
per tutta risposta, si fece piccola piccola tra le mie braccia e si
appoggiò al mio petto, sorridendo. Rimanemmo così
per un po’,
quasi che il suo scatto di prima fosse stato un fischio per dire
abbracciami, brutto
stronzo. La chitarra
era ancora appesa al suo collo, quindi praticamente la abbracciavo
insieme a quell’ammasso di ossicini che era la sua
proprietaria.
Era piacevole quella sensazione, mi dava un che di familiare.
La
stavo ancora tenendo tra le braccia quando, sottraendosi dalla mia
stretta in modo da potermi guardare in faccia, e sfilandosi lo
strumento dal collo per posarlo a terra, si mise seduta sul letto e
mi invitò a fare lo stesso, strattonandomi. Poi riprese il
discorso
che aveva lasciato in sospeso in precedenza.
-
Sono contenta che tu sia qui con me, stasera - mormorò,
sorridendo
dolce. I capelli le cadevano in faccia e aveva la frangetta sparata
da tutte le parti. Dovetti resistere all'impulso di sistemargliela.
Sembrava quasi tornata lucida … quasi, quegli occhioni
sornioni
infatti tradivano una sbronza nel pieno del suo circolo. Ridacchiai
per quell’affettuosità così semplice e
chiara.
-
Anche io sono contento di essere qui con te - le risposi, sincero.
Lei mi guardò come se fossi un completo idiota, e non ne
compresi il
motivo in quel momento: quello sguardo sembrava scavarmi dentro.
Anche in quello stato sapeva mettermi in soggezione peggio di
qualsiasi altra cosa. Tanto per ribadire che ero un completo
imbecille, mi diede un buffetto sulla spalla. Poi, passandosi una
mano tra i capelli che avevano ormai perso la piega,
continuò a
parlare.
-
No, non hai capito – disse - Sono DAVVERO
CONTENTA che TU
sia qui con me. Che tu
ci sia. Che ci sia tu e non qualcun altro. Non so se mi sono
spiegata.
Io
rimasi di sasso, ma ci pensò Coscienza a farmi riprendere.
“Sì
che si è spiegata! Deficiente!”
urlò “Metti in
attivo quei due neuroni che hai, su!”
In
tutto il tempo che abitava nella mia testa non l’avevo mai
sentita
sbraitare così. Ero forse diventato il peggior cretino del
mondo in
una sera? Non sapendo che strada intraprendere, ancora una volta
optai per la sincerità.
-
Non molto - borbottai. Poi l’istinto prese il sopravvento e
allungai la mano per spostarle qualche ciuffo dietro l'orecchio. Lei
sorrise e arrossì.
- È
che... - esitò.
La
mia mano ancora indugiava tra i suoi capelli. Il mio sguardo serio di
prima non era mutato di una virgola. Volevo sapere se avevo ragione.
Ne
avevo bisogno.
Dovevo
sapere se stavo per rovinare tutto o no. Senza pensarci tanto, la
feci scorrere fino al suo collo, accarezzandole lo zigomo con le
dita. Lei rabbrividì, e si avvicinò un po' a me.
“Lei
ti è accanto, se ne sta seduta lì, non sa cosa
dire maaaaa i suoi
occhi ti parlano, e tu lo sai che vorresti darle un bacio; e allora
bacialaaaaaaaaa!”
gridò Coscienza, cantando la canzone dalla Sirenetta.
Certo che aveva un tempismo perfetto. Ma chissà
perchè, riuscii ad
ignorarla meglio del solito. Con uno scatto, avvicinai Taylor a me,
tanto che la feci sussultare e sospirare. Appoggiai la fronte alla
sua e chiusi gli occhi. Sapevo che lei aveva fatto lo stesso. Il
pensiero “stai
per baciare la tua migliore amica, idiota” lampeggiò
nella mia testa, ma anche questa riuscii ad ignorarla benissimo.
Allungai anche l'altra mano e le accarezzai una guancia, facendola
sussultare di nuovo, e poi feci scivolare anche quella lungo il suo
collo. Lei sospirò di nuovo. Sapeva di alcool.
-
Ed... - mi chiamò, preoccupata.
-
Shh, Tay. Va tutto bene - la tranquillizzai. Va
tutto bene. Più che bene.
“Dai
Ed! Fai diventare realtà quell’immaginetta di
prim…”. La
zittii senza troppe manovre, rilegandola negli scompartimenti
più
profondi del mio cervello.
Mi
chinai appena e le baciai la guancia, con una delicatezza che non
sapevo nemmeno di avere. Ma con Taylor mi veniva naturale, era come
una bambola di porcellana. Fragile, e bellissima.
-
Ed, io... - provò di nuovo lei, ma io la zittii di nuovo,
baciandole
l'altra guancia con la stessa tenerezza. Stavo giocando con lei. Mi
piaceva sentirla sussultare ad ogni tocco.
-Devi
rispondermi, lo sai. – le dissi sussurrando, avevo paura che
a
dirlo troppo forte si rompesse qualcosa tanta era la
fragilità di
quell’istante. Adesso non aveva scampo e, in ogni caso, non
sembrava voler sfuggire. Si era avvicinata anche lei,
instintivamente.
Finalmente,
mi avvicinai alle sue labbra, che erano appena dischiuse. Ora che
c'ero così vicino, mi rendevo conto di quanto le avessi
agognate.
Volevo baciarla. Lo volevo davvero, ma davvero tanto...
-
UNA STELLA CADENTE! - strillò all'improvviso, facendomi
venire un
infarto. Mi allontanai da lei con uno scatto, e lei ne
approfittò
per sfuggire. Mentre io ero ancora disteso sul letto, paonazzo e in
preda ad una crisi isterica, lei si era già precipitata
fuori, sul
balcone della stanza, che dava un'ottima veduta di Las Vegas, ed
indicava il cielo saltellando.
-
Ed! Ed! Guarda! La vedi? – strillò, rivolgendo gli
occhi al cielo.
L'unica
cosa che vedevo era la figura di merda che avevo appena fatto, in
replay costante nella mia testa. Scesi dal letto con cautela; mi
sentivo le gambe molli, e contrassegnai questa come la risposta alla
mia domanda. La scritta “IDIOTA”
tornò a troneggiare nella mia mente.
Piano
piano la raggiunsi e guardai il punto che mi stava indicando. Io non
vedevo un bel niente, in realtà, ma questo non la
placò.
-
Hai espresso un desiderio? Si fa così, con le stelle
cadenti! - mi
informò tornando in modalità professoressa, come
se già non lo
sapessi.
-
Tay, non vedo un bel niente, giusto per informazione - chiarii. Il
mio tono era acidità pura, ma era comprensibile. Il suo modo
di
interrompere quello che stava succedendo era stato uno dei peggiori
che potesse trovare. Però era una chiara e lampante
risposta, questo
c’era da ammetterlo. Lei mi guardò avvilita, per
poi rispondermi a
tono con un “Guastafeste”, e si appoggiò
alla ringhiera.
La
situazione stava diventando imbarazzante, e all’improvviso mi
accorsi che praticamente non avevo più niente da dirle.
Decisi di
tornarmene in camera a smaltire la tremarella che minacciava di
incombere al più presto ma non feci però in tempo
a dirle che me ne
stavo andando che lei si voltò di scatto e mi si
buttò al collo,
stringendomi forte. La sentivo tremare. C’era sentore di
allarme
nell’aria, la cosa non mi piaceva affatto.
-
Non vuoi sapere che cos’ho desiderato? – mi fece
esultante, ma
aveva un qualcosa di strano quella voce, e mi ricordava fin troppo
bene quella di quando mi era scoppiata a piangere tra le braccia,
qualche giorno prima. Decisi di non dirle niente di diretto, questa
volta. Mi limitai così ad alleggerire l’atmosfera.
-
Se me lo dici non si avvera, lo sai no? – le risposi
rispondendo
all’abbraccio e cercando di sistemarle i capelli, lisciandoli
dolcemente. Poi lei crollò. Così, senza che io le
avessi domandato
niente, il che mi fece venire in mente che magari lei avebbe voluto
sincerità in quel momento, e io non gliel’avevo
data. I suoi occhi
erano pieni di lacrime e finirono per cedere proprio sulle mie
spalle.
“Oh,
no. Non di nuovo.”
Deglutii. Ancora una volta mi sentivo in colpa.
-
Taylor...
-
No Ed, tranquillo, va tutto bene. - disse. Si stropicciò gli
occhi e
si allontanò da me, scostandomi non solo in senso fisico.
Chiuse
nuovamente la sua mente, in modo che non potessi entrarci, e mi
scansò per tornare in camera.
-
No non va bene, stai piangendo - feci, rientrando subito dopo di lei.
Si era fermata nel mezzo della stanza, e si era stretta con le
braccia, come se avesse freddo.
-
Ed. Ti ho detto che va tutto bene. Ora passa. - sbottò,
acida,
dandomi le spalle. Non ci avrei creduto nemmeno tra un milione di
anni, perciò la afferrai per un braccio e la feci voltare.
Le
lacrime adesso le avevano inondato le guance, e stava singhiozzando.
Tremava ancora. Io la fissai cercando di capirci qualcosa, ma non
capii niente. Scostava lo sguardo, non voleva che le leggessi negli
occhi la verità. - Cosa c'è che non va? Mi
sembravi felice, prima -
mormorai, accarezzandole i capelli per poi abbracciarla - Insomma,
hai fatto incetta di premi, e adesso stiamo passando una bella
serata... – A parte
la mia figura di prima sul letto.
-
Lo so, lo so - singhiozzò al mio orecchio. - È
che... forse ho
esagerato, stasera.
La
allontanai, in modo che potesse vedere il mio sguardo interrogativo.
-
Con tutte quelle provocazioni. La maglietta, il discorso di
ringraziamento, come ho sviato la domanda sul Milestone
Award... - borbottò.
Quest'ultima non la sapevo, quindi le riproposi lo stesso sguardo.
Lei scosse la testa. - Niente, mi hanno chiesto cosa ne pensavo del
fatto che Justin avesse vinto al posto mio, ed ho chiesto se potevano
fare un'altra domanda. Ma non è questo il punto - fece,
appoggiando
la testa sulla mia spalla - Ho cercato di dimostrare che non mi
importa. Che non mi importa dei commenti, dei tweet minacciosi, degli
insulti. Ma non è vero, Ed, non è vero. Mi
importa cosa pensa la
gente di me. E mi fa male, cavolo. Mi fa tanto male.
-
Ti hanno minacciata di nuovo? - chiesi, sorpreso. Non potevo
crederci, pensavo che la cosa stesse passando, piano piano. Lei non
rispose subito, ma abbassò lo sguardo. Sembrava volersi
rituffare
tra le mie braccia, ma volevo vederla in viso, quindi non glielo
permisi.
-
Ho trovato dei commenti abbastanza acidi sul mio comportamento di
stasera. – Dio, avrei voluto strozzarla adesso.
Perché continuava
a guardare quelle cose? Nel frattempo, però, aveva smesso di
tremare.
-
Dovresti lasciar perdere le menzioni di Twitter. – dissi
dando voce
al mio pensiero.
-
Lo so, Ed, lo so – ripeté per l'ennesima volta. -
Ma ci sono anche
persone che mi amano, là fuori, e non posso semplicemente
ignorarle.
-
Ma le minacce sorpassano i tweet dei tuoi fans, giusto?
Annuì.
Avevo
voglia di scuoterla come un paio di maracas e farla tornare in
sé.
-
Tu non meriti questo, Taylor! - le dissi, forse con più
enfasi di
quella che dovevo metterci perché lei mi
allontanò con uno scatto …
e nel frattempo aveva ripreso a tremare e a singhiozzare.
- E
chi lo dice?! - mi gridò addosso, acida - Chi lo dice, eh
Ed? Magari
hanno ragione. Anzi, hanno
ragione, e basta. –
poi si voltò e fece per avventarsi contro le bottiglie di
birra,
vuote, adagiate sulla scrivania; probabilmente le avrebbe lanciate
contro il muro o roba del genere, se non l'avessi fermata,
bloccandola da dietro e facendola voltare. Questa volta non
contrastai l’impulso e la scossi, tenendo le mani ben salde
sulle
sue spalle.
-
Non le pensare nemmeno queste cose! Non farlo! – le sbottai,
forse
con un tono più rude del dovuto; per tutta risposta lei
piantò i
suoi pugni sul mio petto, nel tentativo di allontanarmi.
-
Stammi lontano, Ed! Tu non puoi capire! –
singhiozzò mentre
tentava di scansarmi, ma io la tenevo molto, molto stretta. - Tu sei
mio amico! E adesso tra noi va tutto bene, no? Tu mi vuoi bene e mi
proteggi dagli insulti, ma cosa succederà se un giorno
litigheremo,
eh, Ed? Ci hai mai pensato? – strillò, ormai
furibonda. Si agitava
per allonarmi ma io non la lasciavo. La strinsi ancora di
più e in
quel momento lasciò cadere la sua testa sulla mia spalla;
pensai che
si stesse calmando, ma non era così - Cosa
succederà se scriverò
una canzone su di te? – riprese a voce più bassa,
ma piena di
paura. – Mi odierai anche tu, come già fanno
tutti. – e fu in
quel momento che mi tornò in mente la scena di quella sera,
quando
aveva concluso la canzone guardandomi fissa. Aveva detto “I
gotta have you”. E
allora capii che avevo ragione.
La
allontanai da me per piantarle gli occhi addosso, come avevo fatto
prima, sul letto, deciso a farle capire che lei mi aveva
già. E che
non avevo intenzione di andare da nessuna parte.
-
Perché dici tutto questo? – le chiesi affranto -
Taylor, ti puoi
convincere del fatto che non succederà mai? Mi faceva male
vedere
che lei aveva così tanta paura di perdermi. Eppure mi
sembrava di
averle dimostrato quanto tenevo a lei. - Io non riuscirei mai ad
odiarti, nemmeno tra milioni di anni, nemmeno se scrivessi una
canzone su di me. – le dissi, convinto; lei mi
guardò, gli occhi
azzurri pieni di lacrime che non riusciva a trattenere.
-
Non lo puoi sapere, Ed. – sibilò piena di paura ,
di rabbia e di
risentimento. - Non lo puoi semplicemente sapere. Anche con i miei ex
era così. Andava tutto bene, poi mi hanno lasciata, o
comunque è
finita, ho scritto una canzone, e mi odiano. Mi detestano
più di
ogni altra cosa al mondo. E tu … - non riuscì a
finire la frase
perché le parlai sopra, sbottando. Come poteva paragonarmi a
loro?
-
Io non sono un tuo ex,
Taylor! – esplosi
guardandola negli occhi, ma nemmeno quello sembrò calmarla,
o
convincerla … i suoi occhi, infatti, si piantarono sul
pavimento,
per niente decisi a guardarmi in faccia.
Preso
dalla disperazione, e sperando che almeno questo riuscisse a
convincerla, le sollevai il mento con una mano, costringendola a
fissarmi. Poi mi allontanai un po', arrotolando
la manica del maglione per farle vedere il tatuaggio che mi ero
fatto, quello con il nome del suo album. - Ricordi questo? –
le
dissi - L'ho fatto per farti capire che non ti abbandonerò.
– la
mia voce adesso aveva una sfumatura strana, quasi di delusione. - Non
sono uno dei tuoi fottuti ex, Taylor! Sono il tuo migliore amico.
Sono Ed. E non sono come loro, io ti voglio bene veramente!
Lei
mi fissò il braccio, gli occhi spenti e rossi di pianto. Le
lacrime
scorrevano sulle sue guance senza sosta. Non ce l’avevo fatta
neanche stavolta. Mi avvicinai di nuovo a lei, con cautela, per paura
che mi respingesse di nuovo, cercando almeno di calmarla.
-
Scusa - singhiozzò. - Scusa. È che è
così difficile. Certi giorni
mi sembra che mi cada tutto addosso. Mi sembra che tutto questo non
ne sia valso per nulla la pena. È come se tutti volessero
giocarsi a
dadi la mia vita … mi sento vittima di qualcosa
più grande di me.
E non riesco a reagire come vorrei Ed … non ci riesco. Sto
diventando come in The
Lucky One.
Purtroppo,
riuscivo a capirla. Era facile vedere il mondo dello spettacolo come
un paradiso quando non ne facevi parte. E lei era nel business da
più
tempo di me, e aveva dovuto sopportare più batoste di me. E
spesso
le persone si dimenticavano che era umana. Una superstar,
sì, ma pur
sempre umana.
La
conoscevo da un anno e nel giro di pochi mesi l'avevo vista piangere
tre volte. Sempre perché il suo stesso mondo, che prima
l'aveva
portata all'apice, le pesava addosso come un macigno. Ma doveva
convincersi del fatto che non era tutto così nero. E io
dovevo
riuscire a farglielo capire, feci così un ultimo tentativo.
La parte
finale della sua esibizione continuava a ripetersi nella mia testa
all’infinito, come un cortometraggio in replay.
I
gotta have you.
Mi
aveva fatto capire che aveva bisogno di me, ed io ero l'unico che
poteva dimostrarle che si stava sbagliando.
-
Taylor ti prego, guardami negli occhi, e convinciti delle mie parole.
Per davvero, questa volta – le mormorai, prendendola per le
spalle;
non sarebbe scappata, non questa volta.
Lei
puntò i suoi occhi blu nei miei, mentre altre lacrime le
scivolavano
giù. - Tu. Tu sei una persona stupenda. Sei talentuosa, sei
dolce,
sei gentile, fin troppo a volte. Sei divertente, sei svampita, sei
determinata. Io ti conosco Tay, so chi sei veramente. E sei tutte
queste cose, e molto di più. Non lasciare che persone che
non sanno
chi sei ti buttino giù, perché quelle che ti
amano, ti conoscono.
Sei vittima del tuo stesso mondo, è vero, lo siamo tutti. Ma
ti
prego, non dire più quelle cose. Non meriti questo. E sei
bella,
Taylor. Sei bellissima, sei radiosa, sei semplicemente … la
donna
più bella che io abbia mai visto.
Detto
questo, una coltre di silenzio riempì la stanza, ci
ricoprì
completamente e ci lasciò senza fiato. Gliel'avevo detto, le
avevo
detto quello che pensavo di lei. E adesso mi sentivo schiacciare
dalle mie stesse parole, come se avessi dovuto rimangiarmele, mentre
lei mi fissava spalancando gli occhi. Tra l'effetto dell'alcool e il
pianto, erano diventati enormi, e mi sentivo sovrastare da quello
sguardo blu, blu come il cielo fuori. Ma il fatto era che non avrei
voluto rimangiarmi niente di quello che avevo detto, volevo farlo da
tanto, tantissimo tempo.
Lei
mi fissava, cercando di assimilare il tutto. Ma io non mi mossi di
lì. Allungai una mano per asciugarle le lacrime, che avevano
filamente smesso di scendere e poi azzardai una carezza al suo
zigomo. Di nuovo, lei si fece tesa e sembrò pietrificarsi
davanti al
mio sguardo.
Ma
questa volta non sarebbe scappata.
Nessuna
stella cadente, crisi di pianto o stupida voce nella mia testa me lo
avrebbe impedito.
Perciò,
non esitai. Feci scivolare il mio braccio intorno al suo fianco,
accarezzando la stoffa della sua maglietta, e poi la strinsi, in modo
da avvicinarla con uno scatto deciso. Lei sembrò irrigidirsi
ancora
di più, ma non si spostò, e questo mi
incoraggiò ad andare avanti.
Appoggiai la mano sul suo collo e avvicinai di nuovo la sua fronte
alla mia, come avevo fatto prima.
Eravamo
esattamente allo stesso punto in cui lei era sguisciata via, prima,
attratta da una fantomatica stella cadente.
I
miei occhi la inchiodavano, così come le mie braccia. E non
sarebbe
fuggita via stavolta.
Stava
per dirmi qualcosa per fermarmi, ma io fui più rapido e la
baciai.
Non esitai, non feci giochetti; l'avrei resa solo più
nervosa e
sarebbe scappata di nuovo. Così, d’impeto e
d’impulso. Senza
lasciare spazio a inutili ragionamenti. Posai le labbra sulle sue e
la baciai come se fosse l'ultima cosa che facevo su quella terra.
Le
sue labbra erano proprio come le avevo sempre immaginate - tra cui
anche quella volta a Disney World, quando lei aveva cominciato a
scrivere la mia nuova canzone -, morbide e carnose. E, strano a
dirsi, sapevano di pesche. Già, anche loro. Mi resi conto di
volerlo
fare da tanto, troppo tempo, e mi pentii di aver esitato
così a
lungo perché, ne stava valendo veramente la pena.
Non mi ero
nemmeno accorto della resistenza che stava facendo per cercare di
staccarsi, seppur debolmente, come se non ci credesse nemmeno lei.
Aveva le mani sulle mie braccia, strette intorno ai suoi fianchi, e
sembrava che volesse separarsi dal mio abbraccio. Allora cominciai a
temere di aver fatto la cosa sbagliata. Forse non era questo che
voleva. Stavo quasi per allontanarmi, pronto a morire nella mia
vergogna, quando mi accorsi di aver scambiato per resistenza quella
che resistenza non era. Contro ogni mio pensiero, Taylor
cercò di
avvicinarsi ancora di più a me, invitandomi a stringerla
maggiormente. Quando lo feci, la sentii sorridere contro le mie
labbra e le sue braccia stringersi intorno al mio collo, come avevano
fatto tante volte prima d'ora, eppure in modo diverso, con dolcezza e
con un po' di esitazione. E questa fu la risposta definitiva alla mia
domanda.
Sì,
lo voleva anche lei.
Non
ero mai stato così felice.
Ci
separammo dopo qualche istante, continuando a tenerci stretti e senza
alcuna intenzione di mollarci. Ci guardammo negli occhi e per me fu
come se la vedessi per la prima volta. Mi sembrò una specie
di
angelo. E, cavolo.
L'avevo baciata. Avevo baciato la mia migliore amica. Ed era stato
incredibile.
In
quel momento, lei scoppiò a ridere, e io la seguii.
Tutta
l'ansia, tutta la tensione che si era creata tra noi negli ultimi
mesi, sembrava così ridicola adesso. Era stato
così semplice, alla
fine.
-
Non ci posso credere che mi hai baciata. Finalmente. -
mormorò,
appoggiando la testa sulla mia spalla. L'aveva già fatto
tante
volte, ma adesso sembrava diverso. Più nostro.
-
Hey, guarda, che anche tu possiedi il libero arbitrio –
scherzai,
per poi intonare un semplice semplice “I
gotta have youuu”. Non
avevo la potenza per farlo tutto pieno di fronzoli come lei, ma il
messaggio arrivò chiaro e tondo lo stesso.
Sobbalzò davanti a
quell’atto di audacia, probabilmente non se lo aspettava, ma
non si
lasciò turbare. Alzò di scatto la testa e mi
baciò di nuovo.
In
quel momento fu come se non ci fossero mai state bottiglie di birra o
crisi di pianto.
Sembrava
lucidissima.
E,
Dio, era fantastica.
Mi
diede un bacio a stampo.
Poi
un altro.
Poi
un altro ancora.
Finché
non mi intontì con quei baci.
Sentirla
così vicina, così mia,
mi fece venire i
brividi lungo la schiena. Sapevo come sarebbe finita, la tensione
stava montando, più forte di prima, e diversa.
Dovevo
smettere di ragionare di testa, non mi serviva a niente. E lei
…
lei lo stava praticamente urlando. Stava rispondendo anche questa
volta. Ed era come se fossimo tornati i soliti Ed e Taylor; ci
capivamo senza bisogno di parole.
D'istinto
le sollevai la maglietta. Lei sorrise di nuovo, senza smettere di
baciarmi, ed alzò le braccia, in modo che la potessi sfilare.
Mi
staccai un secondo per guardarla. Era così dannatamente
bella che mi
toglieva il fiato.
Lei
non disse niente, piantò solo i suoi occhi nei miei. Lo
voleva anche
lei, forse anche più di me. Così mi avvicinai di
nuovo alle sue
labbra e la baciai con trasporto, come se non aspettassi altro da una
vita intera … che poi effettivamente era vero. Dio se era
vero.
Lei,
tremando leggermente, pose le sue mani sul mio maglione per
togliermelo, e io l’aiutai.
Buttai
l'indumento in un angolo.
Poi
mi piegai e la presi in braccio e indugiai per un solo, flebile
secondo.
Fu
la voce di Coscienza a togliermi ogni remora: “Ed,
buttati.” diceva
amichevole. Ed io mi buttai.
La
adagiai sul letto con delicatezza, strisciai sopra di lei e
ricominciai a baciarla, e fu come se non lo avessi mai fatto prima.
Tutto con lei sapeva di prima
volta, anche se non lo
era affatto.
Avevo
baciato prima di lei.
Avevo
fatto l’amore prima di lei.
Ma
non c’era niente che si fosse potuto paragonare a questo.
E
io non volevo altro se non lei, il suo corpo, e tutto quello che
stava succedendo in quel momento.
Angolo Autrici
Buongiorno
cari lettori! Sì, lo sappiamo che ci siete, anche se non
recensite (sfaticati!). Per questo eccovi il nono capitolo (NOOOONOOOO)
che sarà sicuramente uno dei miei preferiti di sempre.
La cosa che mi
piace, oltre al fatto CHE CAUSA UN'ESPLOSIONE DI FEELINGS DI
PROPRORZIONI IMMANI, è che è un perfetto mix di
me e Arianna. C'è un po' di suo e un po' di mio, e vi giuro
che non sarebbe stato lo stesso se non fosse stato così. E'
bello scrivere insieme a lei, perchè siamo una bella
squadra. Quando io non ho idee ne ha lei e viceversa, ed ognuna
migliora i difetti dell'altra. Sono fortunata ad averla nella mia vita.
Ma non voglio
tediarvi oltre con tante smancerie. Spero che il capitolo vi sia
piaciuto - SE NON E' COSI' VI UCCIDO PERCHE', OMG, SWEERAN FEELINGS.
Al prossimo
capitolo!
L.
P.S. L'immagine in
cima l'ho fatta io, vi piace? La canzone è Arms, di Christina Perri,
una canzone stupenda a mio parere <3 BUON FANGIRLING :3
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