Capitolo 4
“I have to try
To
break free
From
the thoughts in my mind
[…]
Have
to fight
'Cause
I know in the end it's worthwhile
That
the pain that I feel slowly fades away
It
will be all right “
[
Pale- Within Temptation]
- Sono così
belli.
Era stato meno di un
sussurro il suo, un pensiero espresso inconsciamente ad alta
voce, senza che realmente lo avesse voluto, ma c’era stato
così tanto incanto in quell’esclamazione da
convincere Loki a ricercare la stessa malia che Astrid pareva sempre
trovare ad ogni loro visita su quel pianeta.
Una bellezza che
però il dio non aveva mai avuto modo di cogliere, incapace
di definire incantevole una natura che l’uomo stava
uccidendo, o di poter captare il sottile fascino del quale la sua
compagna sembrava essere vittima, nel guardare tutte quelle creature.
Esseri umani.
Non c’era
forma di vita più abbietta di quella, persino suo padre
Odino, dall’alto della sua onniscienza, non aveva mai perduto
occasione di biasimarli.
Perché
erano creature da compatire, per le quali provare pietà,
commiserazione, ma non apprezzamento.
Di apprezzabile in
loro, in fondo, non vi era nulla.
Nessuna particolare
capacità che li rendesse migliori di altri, o più
avvenenti, scaltri, temibili, nulla per il quale valesse la pena
perdersi in considerazioni.
Erano banali, molto,
intrisi di una noiosa mediocrità che in lui
generava disprezzo, più che rapimento, una profonda
avversione verso ciò che l’uomo chiamava
“normale”ma che Astrid pareva trovare
così affascinante, bello, e incantevole.
Un apprezzamento che
lui non poteva e non riusciva a condividere.
Perché, che
c’era di così esaltante nell’essere
normali?
Quale profonda
bellezza c’era in quelle donne tanto identiche tra loro da
dar noia a guardarle?
Chi, tra
tutti quegli umani, poteva ritenersi fortunato ad essere
così privo di abilità?
Nessuna magia da
sfoggiare, nessuna capacità da reclutare, nulla che li
rendesse interessanti, o quantomeno utili, il motivo per il quale,
l’idea di essere divenuto loro protettore glieli aveva resi
ancor più detestabili.
Era stato in fondo
compito del padre degli dei, quello di difendere, non il suo, e non
qualcosa per la quale non provasse altro che sdegno e irritazione, non
un pianeta del quale non gli importava il destino, se la distruzione o
la vita.
Eppure, lo era
diventato, anche se di malavoglia, per desiderio di quella
creatura che persino in quell’involucro di noiosa
normalità pareva risplendere più di tutte,
risaltare, più di tutte.
Forse, gli umani che
sorpassavano nel percorrere il marciapiede si soffermavano a guardarla
per curiosità, o per i lineamenti graziosi e gentili, ma era
qualcosa di ben più nascosto, di ben più intimo
ad attrarli verso di lei.
Luce.
La vedeva scivolare
morbida in quelle pupille così curiose e affascinate,
bagliori perlacei che lasciavano col fiato sospeso per ciò
che lei emanava.
Potenza, e chiunque
era stato attratto dal potere, almeno una volta, lo era stato persino
lui, tanto ossessionato dalla volontà di divenire
invincibile, di divenire tanto forte da poter mostrare ad Odino di
essere meritevole del suo affetto, delle sue attenzioni, di quegli
sguardi che Thor catalizzava su di sè fin da
bambino.
Un bisogno di apparire
migliore di suo fratello, più grande di qualsiasi altro
essere vivente verso il quale il padre degli dei avrebbe potuto volgere
lo sguardo, ma quando lo aveva guardato, quando finalmente Odino si era
deciso a distogliere la sua attenzione da Thor, quello che lui aveva
ricevuto era stato solo biasimo.
Una desolazione che
aveva sbriciolato il suo amor proprio e allentato la presa su quella
mano che aveva tentato di salvarlo dalla caduta.
Ma Loki non aveva mai
smesso di cadere, perché nessuno era mai riuscito ad
afferrarlo in tempo ogni qual volta la terra gli era franata sotto i
piedi, una dolorosa discesa che però qualcosa era riuscito a
fermare, e attutire, un terreno che per quanto forte
l’avessero colpito, per quanto gli altri avessero provato a
sbriciolarlo, non avrebbe mai mostrato crepe o fessure.
La terra promessa che
Loki, dopo tanto vagare, era riuscito a trovare in lei.
- Lo hai sentito?
Astrid potè
seguire il sussulto sorpreso con il quale Loki reagì alla
sua voce, una reazione per la quale si trovò a scoccargli
un’occhiata preoccupata prima di tornare a cercare con lo
sguardo la fonte di quel suono.
- Ehi! Cosa
state facendo lì fermi ? – li richiamò
Tony Stark nel venire avvisato dalla moglie dall’assenza di
Astrid alle loro spalle.
- Ehi!
- Non lo senti?
- Cosa dovrei sentire?
– si innervosì a chiederle, agitato
dall’apprensione con la quale la vedeva guardarsi attorno.
- Ehi! Mi avete
sentito? Cosa-
- Astrid!
Il richiamo secco con
il quale Loki la chiamò la convinse a gettare
un’occhiata ansiosa alle proprie spalle, ma quando la folla
la inghiottì non potè che aumentare
l’andatura e concentrarsi per riuscire ad isolare quel suono
e trovarne la fonte.
Sorpassò un
paio di umani dall’aria eccentrica mentre il rumore di
clacson tornava a rendere quella breve scia sonora ancora
più debole, ma quando fu sul punto di svoltare
l’angolo percepì la vibrazione farsi
più acuta e vistosa alla sua sinistra.
Un passante la
colpì rudemente alla spalla nel sorpassarla in tutta fretta,
ma riuscì comunque a riprendere l’equilibrio
reggendosi ad un lampione e riprendendo la sua corsa affannata.
La voce preoccupata di
papà Bruce si levò alta tra la folla, ma Astrid
era troppo occupata a cercare con lo sguardo una figura piccola e sola
per poter prestare attenzione alla sua famiglia.
Perché lo
aveva sentito di nuovo, e non nei suoi incubi, non nella sua
testa, ma lì, a poco metri da lei, un pianto che
le aveva strappato il cuore dal petto.
Il disperato lamento
con il quale una piccola umana rimaneva ritta sul marciapiede opposto
al suo, stretta su se stessa senza essere aiutata da chi, nel captare
il piagnucolio, la guardava dispiaciuto prima di riprendere a camminare
e preferire non far nulla.
Ma quando finalmente
la raggiunse, quando finalmente si fermò, Astrid non pote
che scivolare sulle ginocchia e riprendere fiato mentre
aspettava che la bambina si accorgesse di lei.
Era minuta, con un
grazioso abito a fiori e una bambola stretta tra le braccine paffutelle
con le quali si puliva ad intervalli regolari gli occhi dalle lacrime,
occhi che vide sgranarsi sorpresi una volta vistala così
vicina.
- Ciao.
La piccola
umana si stupì un po’ al suono
della sua voce, e sembrò titubare sulla
possibilità di rivolgere la parola o fare finta di niente,
imbronciando le labbra ed intensificando la presa sulla bambola.
- Ti sei persa?
– le chiese gentile, sorridendole con calore per risultare
amichevole – sei con qualcuno?
- La mia mamma mi ha
detto di non parlare con gli sconosciuti – si
lasciò sfuggire la piccola, stringendosi su se
stessa nel tentativo di sembrare un po’ più alta e
un po’ più coraggiosa, ma la ragazza che le era
inginocchiata davanti era carina, e aveva un sorriso a labbra chiuse
che le piaceva, perché era come quello della sua bambola.
- La tua mamma ti ha
insegnato bene.
Le sfuggì
un sorriso nel sentire il complimento rivolto al genitore, ed Astrid
non potè che intenerirsi.
- Se vuoi, ora
noi ci presentiamo, così non sarò
più un estraneo e potrò aiutarti a
ritrovare la tua mamma, va bene?
Era un fare un
po’ ingenuo il suo, un gioco per rendere l’umana un
po’ meno spaventata e lei un po’ meno ansiosa.
- Va bene.
- Allora comincio io.
Il mio nome è Astrid.
- Il mio nome
è Eleonora, e significa cresciuta nella luce – ci
tenne a puntualizzare la bambina, calcando le ultime tre parole per
specificare l’importanza nel nome scelto da sua madre.
Una precisazione che
la fece ridere sofficemente prima di prenderla tra le braccia e
scandagliare i passanti in cerca della madre della piccola.
- Anche il mio nome ha
un bel significato come il tuo sai? – le bisbigliò
cospiratoria in un orecchio, reggendola tra le braccia con
naturalezza, come se non avesse fatto altro nella vita.
- E qual’
è? - le chiese Eleonora, affascinata, prima di
alzare lo sguardo sopra la sua spalla e accucciarsi contro il suo collo
nel vedere un’ombra nera incombere minacciosa su di loro.
- Significa amata
dagli dei.
- Astrid!
Il movimento
brusco alle sue spalle e l’improvviso irrigidimento
dell’umana la portarono ad indurire lo sguardo e
allungare una mano per allontanare chi l’aveva
appena afferrata per un gomito, ma quando mise a fuoco il
viso trasfigurato di Loki si calmò, rilassando la postura e
fissando con tranquillità la corsa trafelata con la quale
sua madre, e i due uomini a lei appresso la raggiunsero.
- Cosa –
cosa ti è preso? – la riprese severo Tony nel
piegarsi sulle ginocchia e fare segno di dargli tempo per continuare la
sua ramanzina, ma Bruce che di certo aveva una tempra ben
più allenata dello scienziato si trovò ad
avanzare di un passo con aria inquisitoria.
- Non è
modo di comportarsi così all’improvviso
– la rimproverò severo – mi hai fatto
preoccupare.
- Scusa
papà.
- Ehi, anche io mi
sono preoccupato sai – saltò su l’uomo
di metallo nel sentirsi escluso – e a me? A me non chiedi
scusa?
- Scusa
papà.
- Tu hai due
papà?
Fu il tintinnio acuto
di quella voce infantile ad attirare finalmente l’attenzione
dei due uomini e di Pepper che, nel vedere la bambina stretta tra le
braccia della figlia non potè che sentire una morsa allo
stomaco per l’apprensione.
- Astrid? Cosa-
- Lei è
Eleonora – si affrettò a spiegare imbarazzata,
toccando la mano che Loki aveva allungato sulla sua spalla e che ora
sentiva un po’ più dura contro la pelle
– si è persa.
Il silenzio attonito
che seguì la sua confessione la mise a disagio, ma era in
realtà lo sguardo silenzioso del compagno a darle una strana
sensazione di vuoto allo stomaco, una staticità che si
decise a interrompere, stiracchiando un sorriso e rafforzando
la presa attorno all’umana.
- Io- io
l’ho sentita piangere.
- Da così
lontano? – si stupì Tony, colpito al fianco da una
gomitata con la quale Pepper lo invitò al silenzio prima di
alzare uno sguardo comprensivo su Astrid che ora pareva così
disorientata su come agire, su cosa dire.
Perché
udire il pianto di un bambino tra il chiasso assordante di New York non
era normale, neanche per un dio, neanche per un essere soprannaturale
come lei, eppure, sua figlia aveva sviluppato una specie di sesto
senso per ciò che riguardava i bambini.
E che fossero i loro
primi vagiti, o un pianto scoppiato per capriccio, lei
l’avrebbe individuato e da questo sarebbe stata attratta
inconsapevolmente, per un istinto materno che, non potendo essere usato
per se stessa, si predisponeva all’utilizzo degli altri.
Come
l’aiutare una piccola bambina sperduta nel cuore della
città, di notte, senza che qualcuno potesse far caso al suo
pianto, se non Astrid.
- E come si chiama la
tua mamma, tesoro?
Eleonora si strinse un
po’ di più ad Astrid, scatenando un sorriso
caloroso in lei ed un irrigidimento doloroso in Loki che
abbandonò la presa sulla spalla della compagna,
indietreggiando di un passo, come a mettere maggior distanza tra loro.
Un particolare che
Astrid colse ma non si permise di esprimere assieme all’aria
ferita che nascose dietro un sorriso, accarezzando la bambina e
guardando sua madre in cerca di qualcosa al quale rivolgere la propria
attenzione per non crollare.
- La mia mamma si
chiama-
- Eleonora!
L’urlo li
fece voltare tutti verso due figure sottili accostate al muro di una
pasticceria, un uomo dall’incarnato pallido e una graziosa
donna dalla alta coda di cavallo che aveva appena gridato il nome della
bambina e che videro correre loro in contro con le braccia tese in
avanti.
- Mamma! –
strillò la bambina nel riconoscerla, tendendo a sua volta le
braccia verso la donna che, una volta raggiuntala, la attirò
a sé, fissando in apprensione la giovane dall’aria
gentile che da lontano aveva visto stringere la figlia.
- Chi siete?
- Io sono Pepper, e
lei è mia figlia Astrid – spiegò Pepper
velocemente, allacciando un braccio attorno alle spalle di Astrid che
per un momento, aveva visto tremare – abbiamo trovato vostra
figlia a piangere da sola, e ci siamo fermate per vedere se servisse
aiuto.
- Oh –
esclamò imbarazza la donna, arrossendo e sorridendo con
nervosismo ad entrambe – vi chiedo scusa allora per la mia
reazione, io-
- Non si preoccupi
– tentò di tranquillizzarla Astrid, sorridendo
gentile all’umana per tentare di far rallentare il pulsare
isterico di quel cuore che sentiva battere fin da lì, una
reazione per la quale si sentì in colpa.
Perché,
quale madre non sarebbe andata in una crisi di panico nel vedere il
proprio figlio tra le braccia di un estraneo?
Nessuno, una
constatazione che le offuscò lo sguardo di un rammarico per
il quale Pepper non potè che stringere aspramente le labbra.
- Allora è
meglio incamminarci, abbiamo un appuntamento.
- Oh, certo, e ancora
grazie per aver aiutato mia figlia – tentò di
rimediare la donna, abbassando lo sguardo nel sentire Eleonora
dimenarsi nella sua presa per poter avere la libertà di
movimento.
E quando Astrid vide
la manina paffuta della bambina trattenerla per la maglia non
potè che sussultare debolmente e osservare la
bambola che la piccola le stava tendendo con sguardo serio.
- È per me?
– sussurrò incredula, rialzando uno sguardo lucido
sulla bambina che vide annuire, allungando ancora la mano.
Aveva le dita che le
tremavano, e persino la voce, se mai avesse provato a parlare, sarebbe
andata in pezzi, perciò si limitò a sorriderle, e
per un attimo, un solo attimo, i suoi occhi parvero illuminarsi come se
la via lattea avesse voluto illuminare la via ad una creatura sperduta
per indirizzarlo verso la via di casa.
Un fenomeno per il
quale l’umana si trovò a fissarla per una manciata
di secondi con meraviglia prima di tornare in sé e
congedarsi con l’ennesimo ringraziamento.
- Mi ha regalato la
sua bambola – ripetè a se stessa con voce
trasognata, accarezzando con l’indice il viso morbido della
bambola di pezza – mi ha regalato la sua bambola.
- È stato
un gesto carino il suo, non trovi ?
Astrid
annuì con foga alla constatazione della madre, alzando un
sorriso sereno che le si sbriciolò in viso quando
incrociò lo sguardo di Loki.
Uno sguardo
distante, muto, un silenzio per il quale si trovò
a rabbrividire internamente prima di distogliere lo sguardo e mordersi
il labbro inferiore con indecisione nel compiere il primo passo.
Quando Loki la vide
passargli accanto senza rivolgergli più uno sguardo
indurì il viso e la piega delle labbra che tese aspramente,
artigliando l’interno della giacca di pelle con una tale
forza da farne udire lo strappo anche agli altri umani che di quella
scena non ne capirono il motivo, ma Pepper lo intuì.
Perché era
una donna, e quel malessere che portava sua figlia a trincerarsi dietro
un silenzio imposto era il senso di colpa, un torto che Astrid credeva
di aver fatto a Loki, ai suoi genitori, a chi le voleva bene,
perché nata imperfetta e incapace di dargli quello che
chiunque, persino il più debole degli esseri viventi sarebbe
stata capace di donargli.
Una prole, un erede.
E il freddo distacco
con il quale il dio degli inganni tentava di manifestare il proprio
disinteresse verso quella nascita neanche voluta, la noncuranza nei
suoi gesti e nelle sue reazioni volte a renderla consapevole di un
desiderio che lui non voleva e per il quale non la accusava, non la
consolava, come Loki pensava avrebbe fatto, ma l’avrebbe
ferita.
Perché, per
quanto verità vi fosse in quell’inesistente
desiderio di un erede, per quanto tentasse di convincerla che credersi
causa di un suo malessere immaginario fosse sciocco, ciò non
avrebbe cambiato la menomazione della quale Astrid si sentiva vittima.
Una mutilazione che le
avrebbe ricordato sempre che, per quanto normale avesse desiderato
d’essere, per quanto umana si fosse convinta di poter
diventare, vi era un limite, al quale dover sottostare.
Il limite di chi, di
soffrire e sacrificare una parte di sé
per tutto quel potere illimitato ma sofferto, non avrebbe mai smesso.
°°°
Susan Storm era una
donna pratica, che dello stacanovismo del suo futuro marito aveva
saputo farne il callo, ma odiava non essere considerata, e in
particolar modo, odiava non ricevere una risposta alle sue domande.
Perciò,
quando, nel tentativo di avvisare nuovamente Reed
dell’arrivo di ospiti non ne ebbe alcuna reazione, non
potè che richiuderlo dentro un campo di forza e sperare che
si accorgesse della mancanza di ossigeno che prima o poi lo avrebbe
convinto a scollare gli occhi dallo schermo del suo dannato computer.
Una privazione della
quale lo scienziato si accorse, annaspando incredulo per
l’espressione infastidita con la quale Susan lo stava
fissando.
- Scommetto un giro di
jack daniel’s che stavolta ci rimane secco –
esordì l’Uomo torcia, stravaccato bellamente sulla
sua poltrona reclinabile.
- Io credo che se lo
meriti.
- Grazie Ben.
- Di nulla tesoro.
- Allora? Hai capito
cosa sto cercando di dirti da più di un’ora?
L’espressione
rammaricata di Reed rischiò di farla scoppiare in una crisi
isterica, ma Johnny odiava quando la sorella cominciava a lamentarsi
della noncuranza del suo fidanzato storico, perciò si
decise, almeno per una volta, di rendersi utile per il bene della
famiglia.
- Ciò che
la mia adorabile ed isterica sorella sta cercando di dirti –
e lì gli sfuggì un verso gutturale nel patire una
pressione invisibile sullo stomaco, come se qualcuno lo avesse colpito
– qualcuno sta venendo a farci visita.
- Esatto –
continuò per lui Susan, schiudendo la bella bocca per
continuare il discorso, ma si trovò invece a liberare il
marito dalla morsa nell’udire il rumore di passi nel
corridoio.
Passi numerosi e
diversificati per categoria, ma bastò poco a tutti loro, e
in particolar modo a Johnny, per riconoscere l’affascinante
uomo dalla barba curata e dallo sguardo scaltro con il quale
perlustrò la sala circolare, fermandosi sull’uomo
magro e dall’aspetto emaciato che ricambiava
l’occhiata con un po’ di sorpresa.
- Tony Stark!
– saltò su Johnny nel riconoscere il
multimilionario che della sua sorpresa parve esserne lusingato prima di
accennare con il capo un cenno di saluto e lasciare il passaggio libero
all’arrivo delle altre figure.
Bruce Barner
salutò garbatamente la padrona di casa, provvedendo a non
attirare su di sé un’attenzione della quale
avrebbe odiato ogni stilla, ma ricordò a se stesso le
raccomandazioni di Maria sul suo poter apparire un sociopatico con quel
suo continuo estraniarsi dalla realtà.
Un isolamento dietro
al quale persino Astrid si trincerò nell’entrare
accompagna da Pepper e dalla figura muta di Loki, due passi indietro a
lei, sempre, due passi dietro di lei.
Era diventata la
loro distanza di sicurezza, lo aveva appreso con gli anni, lo
spazio che il dio le avrebbe concesso per lasciarla ai suoi pensieri,
un suo modo per sapersi tanto vicino da poterla portare via
in caso di pericolo e tanto lontano da poterle garantire
l’intimità della quale avrebbe potuto aver
bisogno.
Una solitudine che lui
non sarebbe stato capace di concederle se non attraverso quel misero
stralcio d’aria che li divideva, ma era un mondo quello che
il dio vide scivolare dolcemente verso l’ampia vetrata della
stanza.
Un universo pulsante
vita e luce, la stessa luce che Astrid faticava a tenere incanalata
dentro di sé tanta era la necessità di liberarsi
di quell’involucro che aveva voluto con tutto se stessa.
Ma non si poteva
cambiare ciò che si era, e fingersi qualcun altro non aveva
portato loro altro che dolore.
Dolore per chi, nato
nel ghiaccio e nel buio, aveva bramato e pregato disperatamente di
poter ricevere una stilla di calore.
Dolore per chi,
consapevole della propria inettitudine, non riusciva a farsene una
ragione.
Quando Tony Stark
prese posto al centro della stanza, non di lato, non di dietro, ma al
centro, Pepper informò se stessa della
possibilità di smetterla di concedergli la sua attenzione
per interessarsi di un uomo che, per quanti anni fossero passati, per
quante parole sua figlia avesse rivolto in sua difesa, lei non sarebbe
mai riuscita a capire.
Perchè Loki
era semplicemente troppo.
Troppo da analizzare,
troppo da cercare, troppo da mettere insieme.
E se ci si arrogava la
capacità di riassumere la personalità caotica e
selvaggia del dio come un’ovvia conseguenza del suo cuore
nero, allora si commetteva un peccato di superbia.
Perché
c’era molto più che un cuore nero sotto un petto
che molti avrebbero creduto muto, molto, molto altro.
Non solo orrore, non
solo odio e disgusto, ma un profondo e disperato bisogno di
attenzione, e non un’attenzione generale, ma specifica,
convergente in quello che Loki avrebbe nominato come il baricentro del
suo mondo.
Il centro di
gravità che finalmente gli avrebbe impedito di
venire gettato via e allontanato da ciò che, una volta
toccato, avrebbe visto morire sotto le proprie dita, un punto di
congiuntura tra lui e quella realtà che lo aveva vomitato
assieme all’orrore di non aver voluto mai
un’esistenza come la sua.
Ma un centro,
comunque, ciò che sarebbe dovuto essere il suo
perché e il come, ciò che un giorno, forse, gli
avrebbe spiegato il perché di tutto quel dolore, di quella
disperazione e solitudine che seminava attorno a sé ma per
la quale, in verità, non poteva far nulla, perché timido.
Di sicuro Tony avrebbe
riso di lei e di quei pensieri, ma Loki, per quanto pericoloso e
meschino si fosse mostrato, era una creatura insicura che non sembrava
riuscire a credere in nulla, neanche in se stesso.
Un'insicurezza
mostrata dal modo in cui, nella sua posizione rigida e severa, pareva
tendere in avanti per proiettarsi su una sagoma più minuta e
fragile, ma infinitamente più forte di quanto lui sarebbe
mai potuto essere.
Perché
Astrid era forte.
Lo era la sua anima, e
quel cuore che aveva saputo amare ciò che non poteva essere
amato, e voluto, ciò che nessuno avrebbe mai potuto
desiderare per sé ma che lei aveva amato fin da subito.
Un amore del quale
nessuno di loro avrebbero potuto mai capire la profondità,
ma solo ipotizzarla, abbozzarla dalla morbosa ossessione di lui verso
qualcosa per il quale era stato disposto a sacrificare ogni cosa, un
mondo, un unvierso, se stesso, tutto.
E non c’era nulla di malato, di cattivo, nel loro
amore, nulla per il quale ergersi a giudice e giustiziere per
condannare ciò che ora appariva così chiaro, ai
suoi occhi.
Anime gemelle.
Lo erano loro due.
La metà di
un’unica entità che senza l’altro non
avrebbe potuto vivere, né sopravvivere.
Un pensiero romantico
forse, ma un pensiero del quale Pepper ricevette la conferma nel notare
il movimento tenue e morbido con il quale Astrid aveva allungato le
dita per ancorarsi a quelle di Loki, quasi avesse captato il bisogno di
sentirla, di sentirsi, di sentire entrambi.
Un’empatia
che ora portava sua figlia a sorridere al riflesso suo e del dio che
parve ripulirsi dal grigiore che poco primo pareva averlo fatto
sbiadire nella cornice, tanto da diventare una sagoma indistinta, e poi
una macchia, solo una macchia, prima di tornare ad avere un corpo, un
viso, e un tenero e delicato senso di sollievo.
- Non credo che ci
siamo capiti.
Il tono affilato con
il quale Tony Stark si ritrovò a rivolgersi al dottor Reed e
al suo piccolo gruppo di supereroi costrinse tutti a reagire
nervosamente nel captare la tensione che ora tendeva il viso dello
scienziato e quello del dottore a lui di fronte, non meno inquieto.
- Io credo invece che
siate voi a non capire, signor Stark – cominciò il
dottore con voce solenne e rigida – sono stato io il primo a
individuare Silver Surfer, perciò –
- Chi? – lo
interruppe stralunato l’uomo, protendendosi in avanti con
sguardo confuso mentre una lieve smorfia andava a contrarre il viso
dello scienziato.
- Silver Surfer,
l’alieno – si trovò a specificare Reed,
sentendo il viso andare in fiamme nel sapere che la reazione del
multimiliardario non sarebbe stata diverso da quella con cui i suoi
compagni avevano reagito al soprannome dato alla creatura.
- Sa,
quell’alieno è color argento e bè, sta
– sta su una tavola da surfer, quindi – ma la
risata profonda dell’uomo gli portò via persino il
filo di voce con cui si era ridotto a dar spiegazione del
perché di quel nomignolo orribile, un soprannome per il
quale persino Pepper, benchè meno rumorosa del marito, si
trovò a ridere sotto i baffi.
- Vedi? – lo
riprese Tony una volta riuscito a quietare la risata convulsa
partitagli dal fondo dello stomaco - questo, amico mio,
è il motivo per cui sono io, quello ad aver ragione, e non
perché il fatto che io sia sempre nel giusto sia una legge
universale – divagò egocentrico, tirando un
sorriso un po’ più pungente e meno scherzoso
- ma perché ci sono tre buoni motivi per cui tu e
la tua famiglia vi limiterete a farci da supporto.
Uno,
perché in realtà non siete stati voi i
primi ad averlo visto, ma mia figlia – ci tenne a
puntualizzare, sforzandosi di non rivolgere un sorriso affettuoso ad
Astrid, impossibilitata però a non sorridergli di rimando,
sebbene in ombra, per non attirare l’attenzione.
- Due, noi siamo stati
autorizzati dal governo a rompere le cose, in più
siamo gli Avengers, il che dovrebbe già bastarvi –
- Ma anche noi
– provò a intervenire Jonhnny, subito zittito
dall’occhiata affilata che l’uomo
d’acciaio gli lanciò di sbieco, tornando a
guardare il dottore per alzare il medio e seguitare nella sua
elencazione.
- E come terzo e
ultimo punto, ricordate la nube di raggi cosmici che vi ha
dato i vostri “piccoli superpoteri”? – e
Tony ci tenne particolarmente a imitare le virgolette per ridicolizzare
ciò di cui andavano fieri, poteri che sì li
rendevano diversi, ma non potenti come il caso avrebbe richiesto.
Ben si
stizzì a quel suo modo di fare, ma Susan riuscì a
placarlo con uno sguardo serio che riportò sullo scienziato
con durezza, rafforzando la presa sulla spalla del marito che pareva
altrettanto innervosito, prima di intervenire a sua volta.
- Certo che la
ricordiamo, ma questo cosa-
- C’entra
mia cara – la zittì mordace, incrociando le dita
sotto il mento – perché noi tutti eravamo dentro
quella nube cosmica, e per un certo senso, siamo stati noi a causarla.
Come credete sia possibile per me vantare una tale avvenenza alla mia
età – se ne uscì alla fine, adducendo
al viso pulito e maturo, ma per nulla segnato
dall’età, come invece sarebbe dovuto essere.
Una
particolarità della quale però solo Pepper, Bruce
e Tony parevano aver giovato, e non per qualche strana invenzione dei
due scienziati, ma per un meccanismo molto più complicato di
quello.
- Voi- voi eravate
lì dentro? Ma non è possibile! Sareste dovuti
morire – saltò su Reed, facendo sobbalzare a sua
volta Susan e Ben, appena scattato in piedi assieme a Bruce che si era
avvicinato di un passo come reazione.
- Si, ma qualcuno ci
ha aiutato a scappare prima di poterlo essere – riprese
Barner, invitando il colosso di roccia a tornare a sedere mentre con
l’occhio controllava che Astrid stesse bene,
perché quelle non erano ricordi che sua figlia amasse
riportare alla mente.
La vide infatti
irrigidirsi un poco prima di distogliere lo sguardo e stringere in modo
impercettibile le palpebre, come per frenare il dolore che sarebbe
colato giù a fiotti dalle sua guance se si fosse permessa di
cedere.
Perché
Semjace era sì con lei, ma il non toccarla, il non poterla
abbracciare e sentire contro era ben peggiore dell’averla
davvero perduta, e uno spirito lo si poteva vedere, persino seguire, ma
non toccare, mai, toccare.
- E credete davvero
che noi accetteremo solo di farvi da spalla ? - se ne
uscì Johnny Storm con tono caustico, drizzando la schiena e
tendendo i muscoli delle braccia alla cui vista Bruce fece scattare la
mascella.
- Noi siamo
i Fantastici Quattro – e l’uomo di fiamma non
potè che manifestare un eccessivo adonismo in quella sua
constatazione – noi siamo degli eroi.
- Questo lo dubito
fortemente – borbottò Tony ad alta voce per
rimarcare la propria avversione al riguardo, un’esclamazione
per la quale Johnny si trovò a scattare in piedi e allargare
le braccia verso Pepper e le due figure che fino a quel momento,
nessuno, se non Tony e Bruce, non avevano perso di vista un istante.
- Mentre voi lo siete?
– lo riprese mordace – lei è un eroe?
– e nell’indicare la moglie del multimiliardario
Tony si trovò a serrare la mascella e incupire lo sguardo.
- Io abbasserei quel
braccio se fossi in te, e mi rivolgerei alla mia signora con un
po’ più gentilezza.
- Johnny –
provò a rimproverarlo Susan nel cogliere la tensione nella
voce dell’uomo di metallo e nel dottore che poco lontano
cominciava ad agitarsi nervosamente.
- Cosa Susan?
– aggredì la sorella – non capisci che
ci ritengono delle nullità? Noi, mentre loro possono contare
solo su un boss dell’alta finanza in gonnella e –
si interruppe per mettere a fuoco l’uomo alto e
dall’incarnato pallido che affiancava una figura
più minuta e graziosa sulla quale si soffermò,
schiudendo un sorriso languido alla cui vista Loki si
irrigidì.
- Bè, tu
credo sia l’unica che si possa salvare qui, dolcezza.
Astrid
reagì aspramente al tono carico di sottintesi
dell’umano, pensieri che lei non apprezzava e che nessuno
della sua famiglia, in verità, sembrò prendere
bene.
Persino sua madre non
potè che tendere la schiena e incrociare le braccia al petto
prima di consigliargli di non rendersi più ridicolo di
quanto stesse facendo, un commento per il quale Johnny parve risentirsi
ulteriormente.
- Non sono
io quello che si sta rendendo ridicolo – le rispose
l’uomo piccato, tornando a fissare le due figure e in
particolare l’uomo dal profilo aguzzo che non aveva mai
smesso di guardarli duramente fin dall’inizio – e
tu non credere che non mi sia accorto del modo in cui ci stai guardando
amico.
- Johnny ha ragione
– brontolò Ben dal fondo della stanza, alzando uno
sguardo freddo su quello incattivito che lo straniero non si
premurò di mascherare – quello lì non
ha fatto altro che rivolgermi uno sguardo che non mi piace.
- Visto Reed ?
– chiamò il cognato – Visto? Persino Ben
se ne è accorto! Perciò, perché non
buttiamo questi buffoni fuori a calci e –
- Chiedete scusa.
Quando
l’attenzione si catalizzò su di lei
Astrid non sembrò innervosirsi, né curarsi
dell’espressione attonita con la quale l’umano
dalle cattive maniere prese a guardarla, come a capire di aver sentito
davvero la sua voce.
Ma lei era vera, lo
era la sua voce e il comando che tornò a ripetere nel non
ricevere quanto richiesto.
- Chiedete scusa.
Susan
rabbrividì leggermente nel cogliere la nota autoritaria, una
lieve ma profonda fermezza che ora pareva renderla incapace di chiedere
il perché, un bisogno del quale suo fratello si
disfò con molto meno pazienza di quella che lei avrebbe
adottato.
- E a chi dovremmo
chiedere scusa dolcezza? – chiese l’uomo di fiamma,
sboccato.
- Ai miei genitori
– e Astrid indicò con la piccola mano sua madre e
i suoi due padri – per la maleducazione con la quale vi siete
rivolti a loro.
- Che paroloni per una
cosina così piccola come te.
- Johnny dannazione!
– scattò su Reed nel non riuscire più a
sopportare la boria del ragazzo, perché si stavano
comportando come idioti, e soprattutto, si stavano davvero dimostrando
inospitali in casa sua, non di quello stupido di Johnny, ma sua.
- E anche a mio marito.
Vi fu un silenzio
attonito dopo la sua seconda richiesta, ma Astrid non scostò
la mano dal braccio di Loki neanche quando l’umano, dopo aver
guardato entrambi per un po', scoppiò a ridere loro in
faccia.
- Johnny!
- Ma l’hai
sentita? – si difese lui nell’udire il rimprovero
in sincrono della sorella e di Reed – marito? – si
battè il petto un paio di volte, singhiozzando una risata
che tentò di contenere nel tornare a guardarli, ma quando
tornò a rivolgere loro la sua attenzione, potè
sentire l’aria e il riso strozzarsi in gola assieme al cuore
nel petto.
-Johnny?
Ma Johnny non rispose.
Non alla sorella, non
al richiamo confuso di Ben, non a Reed, a nessuno, e non
perché volesse mostrarsi ancora piccato per il mancato
appoggio della sua famiglia, ma perché, semplicemente, non
sembrava trovare più la voce.
In verità
non riusciva a trovare nulla, neanche la forza di distogliere lo
sguardo da quegli occhi cangianti che per un attimo, un solo attimo,
vide tingersi di verde, un profondo e acceso verde cristallizzato in
una pupilla che vide restringersi fino a sembrare quella di un rettile.
Lunga, sottile, e
fissa su di lui che non riusciva a muoversi, per quanto tentasse, e
l’impossibilità di riuscire persino a sbattere le
palpebre gli causò uno spasmo dello stomaco che gli si
accartocciò assieme ai polmoni quando vide il viso
dell’uomo scollarsi, come se qualcuno, aiutandosi con un
picchetto, gli stesse scrostando la pelle per vedere cosa ci fosse
sotto.
E ad ogni strato di
pelle asportata, dopo ogni pezzo d’epidermide graffiata,
l’orrore di vedere scaglie di un acceso verde acido comporre
come un mosaico il viso dell’uomo lo fece annaspare per la
disperazione di non riuscire a chiudere gli occhi per privarsi di
quell’orrore.
E provò ad
urlare il nome della sorella, di Ben, ma aveva le labbra sigillate, e
tutto ciò che poteva fare era guardare terrorizzato le
pupille oblique della creatura pulsare divertite della sua paura.
Sembrava persino
annusarla, ricercarla nell’aria e inalarla in quelle narici
sottili e incassate nel viso come fori senza spessore, e lui
puzzava di paura, ne rilasciava ogni stilla di sudore che gli imperlava
la fronte, ne sfuggiva via un po’ ogniqualvolta un pezzo di
pelle cadeva via assieme al suo coraggio e alla sua baldanza.
Perché non
ce ne era più da nessuna parte, e non ce ne fu neanche
quanto vide le labbra, ora una sottile linea bianca e liscia, curvarsi
in un sogghigno che mostrò il luccichio sinistro di una
dentatura aguzza, canini che Johnny potè sentire
premere contro la propria giugulare mano a mano che il sorriso si
allargava e la paura lo rendeva simile ad un manichino.
Un manichino del quale
avrebbe udito presto lo strappo quando
percepì il lieve sibilare di quella cosa prima di
vederlo scagliarsi su di lui e affondare con rabbia la sua
dentatura nel-
- Johnny!
Lo sguardo allucinato
con il quale suo fratello la guardò nel torcere
dolorosamente il collo mise Susan a disagio – tutto bene?
- Io-
- Ti stiamo chiamando
da più di dieci minuti – lo rimproverò
Ben che ora, sorprendentemente, non era più sulla poltrona,
ma al suo fianco, assieme a sua sorella e a Reed che lo fissava
crucciato.
- Ti senti poco bene?
Forse lo scontro con Silver Surfer deve aver alterato anche il tuo
sistema immunitario.
- Lo credi davvero?
– domandò la donna invisibile con orrore,
ritrovandosi a far altalenare lo sguardo ansioso dal viso crucciato del
marito a quello pallido e sudato del fratello.
- Io credo che sia
solo stanco.
Loki tese un sorriso
nel sentire su di sé gli occhi dei presenti, ma era su uno
in particolare che la sua attenzione era catalizzata, sulle pupille
nere cerchiate d’azzurro che vide tremare dal terrore
nell’incrociare le sue, nere e umane, ma non meno
agghiaccianti di ciò che aveva mostrato all’umano.
Un' illusione, un
avvertimento a non osare altro, non contro di lui, non contro la
compagna che di fianco gli stringeva il braccio.
- Come hai detto?
– sussurrò Susan con un groppo in gola, sottomessa
da una voce che nella sua testa pareva zittire ogni cosa se non quel
suono, come la melodia di un flauto magico che, se l’avesse
voluto, l’avrebbe guidato verso un precipizio senza che lei
avesse opposto resistenza.
Una sensazione che Ben
e Reed condividevano, asserviti a qualcosa che non capivano, non
vedevano, ma che impediva loro di rispondere all’uomo dal
sorriso affilato.
- Credo che
Johnny – e su quel nome Loki sembrò sputare le
maledizioni più orribili – abbia solo bisogno di
riposare, non è così?
- Io-
tentennò l’uomo di fiamma per un attimo,
sobbalzando nel risentire la morsa dolorosa alla giugulare,
lì doveva aveva sentito i denti affondare e dove
portò una mano per coprirsi – io credo di si.
- Quindi siamo
d’accordo sulla vostra azione di supporto dottor Reed?
- Io- io credo di
sì.
Il sorriso che Loki
rivolse loro sembrò cristallizzare le loro espressioni nella
smorfia confusa e spaventata con la quale il dio li lasciò,
dando le spalle e incamminandosi fuori dalla sala assieme agli
Avengers che di quella piccola opera teatrale avevano riconosciuto il
compositore.
Il solo che potesse
giocare con la mente umana e dilettarsi con il cuore che Loki avrebbe
potuto strizzare rozzamente tra le mani se ne avesse avuto desiderio,
ma ora non ne aveva, perché annoiato e placato dal tocco
delicato di quel piccolo palmo sul suo braccio.
Un braccio che sapeva
uccidere, un braccio che, se Astrid non fosse stata al suo fianco,
avrebbe affondato nel petto dell’umano per strappargli il
cuore e vederlo annaspare, petto contro petto, prima di strappargli a
morsi quel suo sorriso osceno e cavargli gli occhi che su di lei
avevano osato illanguidirsi in sua presenza.
°°°
- Ecco a lei.
Pepper sorrise gentile
all’uomo quando questo le tese due batuffoli di zucchero
filato prima di voltarsi a cercare con lo sguardo sua figlia
e ammorbidire la linea degli occhi nel trovarla
ferma in mezzo al via vai di gente.
Nessuno si soffermava
a guardarla per più di qualche secondo, giusto il tempo di
ipotizzare il perché del suo viso rivolto al
cielo, prima di riprendere a camminare, ma quando Pepper la
raggiunse non potè che alzare lo sguardo a sua
volta e allungarle lo zucchero filato.
Solo allora, nel
sentire il breve contatto caldo sulla propria mano Astrid
parve tornare in sé, distogliendo l’attenzione dal
cielo limpido per guardare di fronte a sé dove
incontrò sua madre e la sua espressione comprensiva.
- Andrà
bene tesoro – tentò di rincuorarla la donna,
invitandola ad assaggiare il dolce prima di prenderla sotto
braccio e portarla verso una giostra con cavalli e carrozze a forma di
zucca.
Pagò per un
giro, e sebbene le occhiate stupite delle madri lì accanto
la fecero sorridere un po’, guidò sua figlia ai
due cavalli che trainavano la carrozza, issando se stessa e aiutando
Astrid a salire in groppa al cavallo.
Cavalli minuscoli, non
adatti certo a sorreggere il peso di due donne adulte come
loro, ma quando la giostra cominciò a muoversi
Pepper seppe di aver fatto la cosa giusta quando vide il sorriso timido
con il quale sua figlia ancorò le mani alle briglie di
pezza, osservando divertita come il proprio cavallo andasse su e
giù prima di essere colte entrambe da un lampo di luce che
portò la donna a roteare gli occhi nel riconoscere la
scheggia rossa appena schizzata dal tetto di un furgone dei gelati.
Quando Tony Stark
toccò terra non si curò del grugnito con il quale
Hulk accolse il suo ritorno, né si premurò di
mascherare l’aria estatica con la quale contemplava la
fotografia appena scattata per essere poi inserita nel suo album di
famiglia.
Un nuovo grugnito da
parte del colosso verde lo avvertì però
della contrarietà del dottore, ma Tony fece
orecchie da mercante, decidendosi con aria annoiata di concedere la sua
attenzione ai “Fantastici Quattro” che di
fantastico, a suo parere avevano solo il nome, oltre a delle tutine
davvero ridicole.
- Bene, ora che siamo
tutti qui – e Reed non potè perdere
l’occasione di lanciare un’occhiata severa al
multimiliardario – possiamo prendere posizione ai posti-
- E lui?
L’uomo di
gomma si costrinse a continuare di spiegare il piano, ma quando Johnny
tornò a lamentare il proprio disagio non potè che
sospirare e seguire il braccio del ragazzo puntato sul giovane
appoggiato alla ringhiera di ferro del piccolo ponte sul quale avevano
deciso di ritrovarsi.
- Lui cosa?
- Perché
è qui? Non è mica un Avengers, non è
vero ? – si impuntò l’uomo fiamma con
acredine, rabbrividendo un poco nel sentire lo sguardo tetro
dell’uomo puntarsi aspramente sulla sua schiena.
- Bè,
diciamo che lo è per parentela – spiegò
Tony a tentoni.
- Per parentela?
– si stupì a chiedere Susan.
- Si. Per parentela,
ereditarietà, linea di sangue, chiamatela come vi pare, ma
lui comunque resta – e il discorso poteva considerarsi chiuso
se Johnny non avesse serbato tanto timore per lui e la sua aria
affamata, memore ancora degli incubi che lo avevano assalito la notte
scorsa e che ora lo rendevano ancora più irritabile.
- Ma ci
sarà solo d’intralcio!
- Invece ci
sarà di aiuto, più di quanto immagini, credimi
– si lasciò sfuggire Iron Man con un po’
di stizza, rivolgendo al “cognato” uno sguardo
avvelenato prima di rilasciare un lungo e profondo respiro –
diceva dottor Reed?
- Stavo dicendo che
ora sarà meglio prendere i posto prestabiliti. Hulk e Susan
pattuglieranno il lato est del parco, Johnny e Ben andranno a
ovest, mentre io, Iron Man e Jean Cloud andremo a sud del
parco divertimenti.
Jean Cloud.
Loki non
potè non stringere i denti nel sapere con esattezza chi gli
avesse dato quel nome, una vendetta infantile per la quale Tony si
trovò a sghignazzare.
- Ora bisogna solo
aspettare mezz’oretta e –
- Sta arrivando.
- Come?
- Sta arrivando
– ripetè Loki, tornando ritto con le spalle rigide
e gli occhi puntati verso il cielo terso.
- Che vuol dire sta
arrivando? Il mio dispositivo dice che non arriverà prima di
mezz’ora – lo contraddisse Reed, sicuro dei propri
calcoli.
- Se lui dice che sta
arrivando, allora sta arrivando – si trovò a
ringhiare Tony mentre l’aria pareva farsi
più fredda, il cielo farsi più scuro, e la terra
cominciava a tremare leggermente.
Una scossa di
magnitudo ridotta, ma sufficiente ad attirare lo sguardo dei giostrai,
dei bambini e dei loro genitori verso le nuvole appena condensatesi in
un unico punto, un vortice di nebbie scure al centro del quale sembrava
si stesse raggrumare una luce incandescente, dai riflessi perlacei che
Pepper vide tingersi di rosso prima di guardare Astrid e strattonarla a
sé per abbracciarla e urlare per l’orrore che ne
seguì.
Il boato che si
levò zittì le strilla isteriche e terrorizzate di
chi si trovò a strisciare verso i propri cari con un' ombra
incombente a gravare sulle loro teste, l’immensa onda
d’acqua che i fantastici quattro fissarono con angoscia prima
che Susan Strorm alzasse un campo di forza che le costò fin
da subito un gemito di sofferenza.
- Johnny!
– gli gridò contro Reed nel vedere un rivolo di
sangue scivolare giù dalle labbra della moglie –
cerca di far evaporare l’acqua!
L’uomo
fiamma annuì meccanicamente, volando lungo la barriera per
essere intercettato da Silver Surfer ancor prima di poter anche solo
osare un gesto, un capitombolo che lo rigettò nelle
profondità del lago mentre l’alieno tornava a
riprendere quota per puntare gli umani urlanti e l’immensa
ruota paronimica.
- Come-
- Da qui in poi ci
pensiamo noi dottore.
- Hulk spacca
– proruppe il mostro verde nell’accostare
l’uomo di metallo e ricercare con lo sguardo la scheggia
d’argento sulla quale era pronto ad affondare i denti.
-
Lì! – lo avvertì Tony
nell’intercettare la scia di onde gamma
dell’alieno, ma non fu l’amico verde, né
tanto meno la Cosa a poter prendere la rincorsa per gettarsi al di
là della barriera e saltare in groppa all’alieno.
Fu una figura sottile
ed elegante quella che Susan Storm vide passarle di fianco,
l’uomo dal sorriso sottile che vide incattivirsi mano a mano
che la figura avanzava verso il precipizio.
- Aspetta!
- Dove diavolo pensi
di andare? Così ti farai ammazzare! –
latrò la Cosa nel vederlo accennare un passo nel vuoto,
tendendo un braccio per afferrarlo, ma ciò che le
sue dita di roccia strinsero non fu una giacca di pelle, ma un mantello
verde dalle rifiniture dorate, e familiare, orribilmente familiare come
l’elmo dalle corna oblunghe che i supereroi videro
scintillare del sorriso macabro di chi il mondo aveva sempre temuto
,che mai avrebbe smesso.
- Tu-
Il ghigno
causò uno spasmo isterico alla parte deforme del viso, un
zampillare di lineamenti bruciati e cicatrici mai del tutto guarite che
resero l’unica pupilla buona l’unica cosa umana su
quel viso repulsivo.
- Oh sì, io.
Quando lo videro
volare feroce contro l’alieno Reed Richard parve non trovare
parole, né la volontà di chiedere
perché.
Perché
stesse succedendo tutto quello.
Perché il
dio degli inganni non li avesse uccisi.
Perché,
semplicemente, stesse andando tutto così male.
Quesiti ai quali non
riuscì e potè dare una risposta, non con sua
moglie a pochi passi da lui, accartocciata su se stessa, bianca in
volto e con le labbra sporche del sangue che oramai pareva uscire a
fiotti persino dalla bocca.
- Lascia andare.
Susan Storm
patì lo schianto dell’alieno sulla sua barriera
con un rantolo sommesso, strizzando gli occhi per mettere a fuoco lo
scintillio scarlatto della creatura che la accostava, l’uomo
d’acciaio che le aveva chiesto di lasciare.
- Lascia la presa ho
detto – tornò a ripeterle Tony mentre, con Hulk
sparito oramai oltre la foschia, sentiva le mani bruciare per il
bisogno di prendere a pugni qualcosa.
- Lascia andare quella
maledetta barriera.
- Sei impazzito per
caso? Non le vedi tutte quelle persone? Verranno uccisi se lascio
andare – gli strillò contro, attirando
l’attenzione del marito che anche da lontano
riuscì a sorreggerla allungando uno dei suoi arti.
- Fa come ti ho detto.
- Non ci penso neanche.
- Cosa diavolo sta
succedendo?
- Sta succedendo che
la tua isterica moglie non fa come le si dice – lo
informò Iron Man, stufo di fare da balia a quella
squilibrata – fa come ti ho detto, lascia.
- Non posso.
- Certo che non
può – la spalleggiò Reed sebbene la
visione di Susan sofferente lo ferisse – come puoi chiederle
una cosa simile? Fra quelle persone c’è tua
moglie! Non ti importa di lei?
- Mia moglie in
questo momento è più al sicuro che in un botte di
ferro, perciò convinci tua
moglie a fare come ti dico e aiutami a catturare quello squilibrato o
giuro che vi butto giù da questo ponte!
Ricevere
l’ordine di lasciare che mille o forse più persone
morissero per causa loro era assurdo, ma se era Iron Man, Avengers ed
eroe mondiale a chiederlo, allora qualcosa di giusto doveva esserci, e
Susan pregò di essere nel giusto, pregò
disperatamente prima di lanciare un urlo di dolore e alzare uno sguardo
sofferente sull’acqua prima di lasciare che suo marito la
portasse via di lì.
I primi ad essere
inghiottiti furono i furgoni che costeggiavano il parco di
divertimenti, poi i chioschi, dilungandosi in un immenso ventaglio
d’acqua gelata dalla quale, per quanto veloce avessero corso,
nessuno avrebbe potuto salvarsi.
E i fantastici Quattro
assistettero attoniti a quella scena raccapricciante, mentre le urla
della gente facevano sanguinare loro le orecchie e gli scontri tra gli
Avengers e Silver Surfer rendevano tutto più caotico.
Ma quando
l’acqua sommerse ogni cosa, persino le urla, Susan non
potè che nascondere il viso nel petto dell’uomo e
piangere la propria amarezza prima di sentire un ansito incredulo
contro il petto.
- Cosa diavolo-
- è quello
?– finì per lui Johnny, sospeso a
mezz’aria con gli occhi strabuzzati e il fiato stretto in
gola per lo shock.
Perché
c’era qualcosa, lì, in mezzo alla folla gettata a
terra, e c’era l’acqua sospesa sulle loro teste,
una tonnellata d’acqua ghiacciata che rimaneva ritta e
sospesa come una placca di ghiaccio temperato, ma acqua, in
verità.
L’acqua che
Susan aveva strenuamente tentato di bloccare, l’acqua che
videro evaporare sopra le teste di chi non guardava loro, non il vapore
che ora li attorniava, ma davanti a loro.
- Non è lui.
- Cosa tesoro ? - si
riscosse Pepper nel captare il sussurro di sua figlia.
- Non è lui
ad emettere quel potere simile al mio – ripetè
Astrid, stringendo gli occhi per ricercare la figura di suo padre e
quella di Loki nella foschia – è la tavola, non
l’alieno, ad avere il mio potere.
- Oh – si
lasciò sfuggire la donna, realmente incapace di dire altro,
perché quello non era certamente una delle opzioni messe in
contro, neanche una delle più terribili, e di risultanti
catastrofiche ne avevano tenuto conto.
Ma se davvero quella
creatura non era il vero possessore di quel potere, se davvero quella
cosa che Hulk, Tony, e persino Loki riusciva a stento ad imbrigliare,
era solo un emissario, allora la speranza non sarebbe servita a molto,
quella volta, non contro quello.
- Andrà
bene.
- Come?
- Andrà
bene. Ci sono io – e forse, se non fosse stata Astrid, se non
fosse stata sua figlia, se non fosse stato il Tesseract a pronunciare
quel giuramento, ma un semplice eroe, un semplice umano, un semplice
dio, Pepper non avrebbe potuto non temere per sé e la sua
famiglia.
Ma non era un comune
eroe quello che le persone attorno a loro fissavano in silenzio e con
le lacrime di gratitudine a bordar loro gli occhi, non era un dio
impietosito dalla loro vulnerabilità, ma era Astrid.
Astrid
l’umana.
Astrid la moglie di un
dio.
Astrid e basta.
Quando James Rhodes
diede ai suoi uomini l’ordine di attaccare si
ritrovò a coprirsi gli occhi con un braccio e sterzare il
manubrio dell’aereo per evitare di andare a collidere contro
qualcosa, un gesto che i militari dietro di lui imitarono prima di
sbattere le palpebre e provare a vedere cosa avesse generato quel lampo
di luce accecante, una luce che molti di loro, impiegarono pochi minuti
a riconoscere.
Perché la
morte non si dimenticava, né chi da questa ti risparmiava, e
lei, quella creatura di luce incandescente immobile nel cielo con la
mano stretta attorno alla gola del loro obiettivo era difficile, da
dimenticare.
- Signore? Tutto bene?
– lo richiamò il centro operativo.
Il soldato si
accostò la ricetrasmittente alle labbra per fare rapporto, e
forse, un tempo, dopo essere stato informato del pericolo, dopo aver
visto quanto davvero fossero deboli contro l’universo,
avrebbe optato per una risposta neutra.
Avrebbe potuto, se non
avessero avuto lei.
- Tutto bene, sono
arrivati i rinforzi.
- Quali rinforzi
signore? Qui alla base non è stato ordinato nessun invio di
rinforzi.
James non
potè che scucire un sorriso e allentare il colletto della
divisa prima di umettarsi le labbra e lasciarsi scappare una risata
profonda e sollevata.
- Diciamo che questo,
è un rinforzo non richiesto, ma ben accetto. Lo è
sempre.
Continua…
Ed ecco che per farmi perdonare il ritardo anticipo l'aggiornamernto di
questa settimana, ringrazio ancora chi legge la storia e viene a dare
un'occhiata, al prossimo aggiornamento,
Gold Eyes
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