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Autore: Hagne    25/07/2013    1 recensioni
Tratto dal primo capitolo:
"I fantasmi del passato erano mostri difficili da addomesticare, creature d’ombra che mal tolleravano le catene alle quali venivano costrette, ed i suoi, di fantasmi, non avrebbero potuto essere imbrigliati neanche se avesse avuto le catene più spesse, pesanti e dure con le quali vincolarli"
[ Seguito di " A Demon's Fate"]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything '
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Capitolo 4
“I have to try
To break free
From the thoughts in my mind
[…]
Have to fight
'Cause I know in the end it's worthwhile
That the pain that I feel slowly fades away
It will be all right “
[ Pale- Within Temptation]





- Sono così belli.
Era stato meno di un sussurro il suo, un pensiero espresso inconsciamente  ad alta voce, senza che realmente lo avesse voluto, ma c’era stato così tanto incanto in quell’esclamazione da convincere Loki a ricercare la stessa malia che Astrid pareva sempre trovare ad ogni loro visita su quel pianeta.
Una bellezza che però il dio non aveva mai avuto modo di cogliere, incapace di definire incantevole una natura che l’uomo stava uccidendo, o di poter captare il sottile fascino del quale la sua compagna sembrava essere vittima, nel guardare tutte quelle creature.
Esseri umani.
Non c’era forma di vita più abbietta di quella, persino suo padre Odino, dall’alto della sua onniscienza, non aveva mai perduto occasione di biasimarli.
Perché erano creature da compatire, per le quali provare pietà, commiserazione, ma non apprezzamento.
Di apprezzabile in loro, in fondo, non vi era nulla.
Nessuna particolare capacità che li rendesse migliori di altri, o più avvenenti, scaltri, temibili, nulla per il quale valesse la pena perdersi in considerazioni.
Erano banali, molto, intrisi di una  noiosa mediocrità che in lui generava disprezzo, più che rapimento, una profonda avversione verso ciò che l’uomo chiamava “normale”ma che Astrid pareva trovare così affascinante, bello, e incantevole.
Un apprezzamento che lui non poteva e non riusciva a condividere.
Perché, che c’era di così esaltante nell’essere normali?
Quale profonda bellezza c’era in quelle donne tanto identiche tra loro da dar noia a guardarle?
 Chi, tra tutti quegli umani, poteva ritenersi fortunato ad essere così privo di abilità?
Nessuna magia da sfoggiare, nessuna capacità da reclutare, nulla che li rendesse interessanti, o quantomeno utili, il motivo per il quale, l’idea di essere divenuto loro protettore glieli aveva resi ancor più detestabili.
Era stato in fondo compito del padre degli dei, quello di difendere, non il suo, e non qualcosa per la quale non provasse altro che sdegno e irritazione, non un pianeta del quale non gli importava il destino, se la distruzione o la vita.
Eppure, lo era diventato, anche se di malavoglia, per desiderio di quella creatura che persino in quell’involucro di noiosa normalità pareva risplendere più di tutte, risaltare, più di tutte.
Forse, gli umani che sorpassavano nel percorrere il marciapiede si soffermavano a guardarla per curiosità, o per i lineamenti graziosi e gentili, ma era qualcosa di ben più nascosto, di ben più intimo ad attrarli verso di lei.
Luce.
La vedeva scivolare morbida in quelle pupille così curiose e affascinate, bagliori perlacei che lasciavano col fiato sospeso per ciò che lei emanava.
Potenza, e chiunque era stato attratto dal potere, almeno una volta, lo era stato persino lui, tanto ossessionato dalla volontà di divenire invincibile, di divenire tanto forte da poter mostrare ad Odino di essere meritevole del suo affetto, delle sue attenzioni, di quegli sguardi che Thor catalizzava su di sè  fin da bambino.
Un bisogno di apparire migliore di suo fratello, più grande di qualsiasi altro essere vivente verso il quale il padre degli dei avrebbe potuto volgere lo sguardo, ma quando lo aveva guardato, quando finalmente Odino si era deciso a distogliere la sua attenzione da Thor, quello che lui aveva ricevuto era stato solo biasimo.
Una desolazione che aveva sbriciolato il suo amor proprio e allentato la presa su quella mano che aveva tentato di salvarlo dalla caduta.
Ma Loki non aveva mai smesso di cadere, perché nessuno era mai riuscito ad afferrarlo in tempo ogni qual volta la terra gli era franata sotto i piedi, una dolorosa discesa che però qualcosa era riuscito a fermare, e attutire, un terreno che per quanto forte l’avessero colpito, per quanto gli altri avessero provato a sbriciolarlo, non avrebbe mai mostrato crepe o fessure.
La terra promessa che Loki, dopo tanto vagare,  era riuscito a trovare in lei.
- Lo hai sentito?
Astrid potè seguire il sussulto sorpreso con il quale Loki reagì alla sua voce, una reazione per la quale si trovò a scoccargli un’occhiata preoccupata prima di tornare a cercare con lo sguardo la fonte di quel suono.
- Ehi!  Cosa state facendo lì fermi ? – li richiamò Tony Stark nel venire avvisato dalla moglie dall’assenza di Astrid alle loro spalle.
- Ehi!
- Non lo senti?
- Cosa dovrei sentire? – si innervosì a chiederle, agitato dall’apprensione con la quale la vedeva guardarsi attorno.
- Ehi! Mi avete sentito? Cosa-
- Astrid!
Il richiamo secco con il quale Loki la chiamò la convinse a gettare un’occhiata ansiosa alle proprie spalle, ma quando la folla la inghiottì non potè che  aumentare l’andatura e concentrarsi per riuscire ad isolare quel suono e trovarne la fonte.
Sorpassò un paio di umani dall’aria eccentrica mentre il rumore di clacson tornava a rendere quella breve scia sonora ancora più debole, ma quando fu sul punto di svoltare l’angolo percepì la vibrazione farsi più acuta e vistosa alla sua sinistra.
Un passante la colpì rudemente alla spalla nel sorpassarla in tutta fretta, ma riuscì comunque a riprendere l’equilibrio reggendosi ad un lampione e riprendendo la sua corsa affannata.
La voce preoccupata di papà Bruce si levò alta tra la folla, ma Astrid era troppo occupata a cercare con lo sguardo una figura piccola e sola per poter prestare attenzione alla sua famiglia.
Perché lo aveva sentito di nuovo, e non nei suoi incubi, non nella sua testa,  ma lì, a poco metri da lei, un pianto che le aveva strappato il cuore dal petto.
Il disperato lamento con il quale una piccola umana rimaneva ritta sul marciapiede opposto al suo, stretta su se stessa senza essere aiutata da chi, nel captare il piagnucolio, la guardava dispiaciuto prima di riprendere a camminare e preferire non far nulla.
Ma quando finalmente la raggiunse, quando finalmente si fermò, Astrid non pote che scivolare sulle ginocchia e riprendere fiato  mentre aspettava che la bambina si accorgesse di lei.
Era minuta, con un grazioso abito a fiori e una bambola stretta tra le braccine paffutelle con le quali si puliva ad intervalli regolari gli occhi dalle lacrime, occhi che vide sgranarsi sorpresi una volta vistala così vicina.
- Ciao.
La piccola umana  si stupì un po’ al suono della  sua voce, e sembrò titubare sulla possibilità di rivolgere la parola o fare finta di niente, imbronciando le labbra ed intensificando la presa sulla bambola.
- Ti sei persa? – le chiese gentile, sorridendole con calore per risultare amichevole  – sei con qualcuno?
- La mia mamma mi ha detto di non parlare con gli sconosciuti – si lasciò  sfuggire la piccola, stringendosi su se stessa nel tentativo di sembrare un po’ più alta e un po’ più coraggiosa, ma la ragazza che le era inginocchiata davanti era carina, e aveva un sorriso a labbra chiuse che le piaceva, perché era come quello della sua bambola.
- La tua mamma ti ha insegnato bene.
Le sfuggì un sorriso nel sentire il complimento rivolto al genitore, ed Astrid non potè che intenerirsi.
- Se vuoi, ora noi  ci presentiamo, così non sarò più un estraneo e  potrò aiutarti a ritrovare la tua mamma, va bene?
Era un fare un po’ ingenuo il suo, un gioco per rendere l’umana un po’ meno spaventata e lei un po’ meno ansiosa.
- Va bene.
- Allora comincio io. Il mio nome è Astrid.
- Il mio nome è Eleonora, e significa cresciuta nella luce – ci tenne a puntualizzare la bambina, calcando le ultime tre parole per specificare l’importanza nel nome scelto da sua madre.
Una precisazione che la fece ridere sofficemente prima di prenderla tra le braccia e scandagliare i passanti in cerca della madre della piccola.
- Anche il mio nome ha un bel significato come il tuo sai? – le bisbigliò cospiratoria in un orecchio, reggendola  tra le braccia con naturalezza, come se non avesse fatto altro nella vita.
- E qual’ è?  - le chiese Eleonora, affascinata, prima di alzare lo sguardo sopra la sua spalla e accucciarsi contro il suo collo nel vedere un’ombra nera incombere minacciosa su di loro.
- Significa amata dagli dei.
- Astrid!
Il movimento  brusco alle sue spalle e l’improvviso irrigidimento dell’umana la portarono  ad indurire lo sguardo e allungare una mano per allontanare chi l’aveva appena  afferrata per un gomito, ma quando mise a fuoco il viso trasfigurato di Loki si calmò, rilassando la postura e fissando con tranquillità la corsa trafelata con la quale sua madre, e i due uomini a lei appresso la raggiunsero.
- Cosa – cosa ti è preso? – la riprese severo Tony nel piegarsi sulle ginocchia e fare segno di dargli tempo per continuare la sua ramanzina, ma Bruce che di certo aveva una tempra ben più allenata dello scienziato si trovò ad avanzare di un passo con aria inquisitoria.
- Non è modo di comportarsi così all’improvviso – la rimproverò severo – mi hai fatto preoccupare.
- Scusa papà.
- Ehi, anche io mi sono preoccupato sai – saltò su l’uomo di metallo nel sentirsi escluso – e a me? A me non chiedi scusa?
- Scusa papà.
- Tu hai due papà?
Fu il tintinnio acuto di quella voce infantile ad attirare finalmente l’attenzione dei due uomini e di Pepper che, nel vedere la bambina stretta tra le braccia della figlia non potè che sentire una morsa allo stomaco per l’apprensione.
- Astrid? Cosa-
- Lei è Eleonora – si affrettò a spiegare imbarazzata, toccando la mano che Loki aveva allungato sulla sua spalla e che ora sentiva un po’ più dura contro la pelle – si è persa.
Il silenzio attonito che seguì la sua confessione la mise a disagio, ma era in realtà lo sguardo silenzioso del compagno a darle una strana sensazione di vuoto allo stomaco, una staticità che si decise a interrompere,  stiracchiando un sorriso e rafforzando la presa attorno all’umana.
- Io- io l’ho sentita piangere.
- Da così lontano? – si stupì Tony, colpito al fianco da una gomitata con la quale Pepper lo invitò al silenzio prima di alzare uno sguardo comprensivo su Astrid che ora pareva così disorientata su come agire, su cosa dire.
Perché udire il pianto di un bambino tra il chiasso assordante di New York non era normale, neanche per un dio, neanche per un essere soprannaturale come lei, eppure, sua figlia aveva sviluppato una specie di sesto senso  per ciò che riguardava i bambini.
E che fossero i loro primi vagiti, o un pianto scoppiato per capriccio, lei l’avrebbe individuato e da questo sarebbe stata attratta inconsapevolmente, per un istinto materno che, non potendo essere usato per se stessa, si predisponeva all’utilizzo degli altri.
Come l’aiutare una piccola bambina sperduta nel cuore della città, di notte, senza che qualcuno potesse far caso al suo pianto, se non Astrid.
- E come si chiama la tua mamma, tesoro?
Eleonora si strinse un po’ di più ad Astrid, scatenando un sorriso caloroso in lei ed un irrigidimento doloroso in Loki che abbandonò la presa sulla spalla della compagna, indietreggiando di un passo, come a mettere maggior distanza tra loro.
Un particolare che Astrid colse ma non si permise di esprimere assieme all’aria ferita che nascose dietro un sorriso, accarezzando la bambina e guardando sua madre in cerca di qualcosa al quale rivolgere la propria attenzione per non crollare.
- La mia mamma si chiama-
- Eleonora!
L’urlo li fece voltare tutti verso due figure sottili accostate al muro di una pasticceria, un uomo dall’incarnato pallido e una graziosa donna dalla alta coda di cavallo che aveva appena gridato il nome della bambina e che videro correre loro in contro con le braccia tese in avanti.
- Mamma! – strillò la bambina nel riconoscerla, tendendo a sua volta le braccia verso la donna che, una volta raggiuntala, la attirò a sé, fissando in apprensione la giovane dall’aria gentile che da lontano aveva visto stringere la figlia.
- Chi siete?
- Io sono Pepper, e lei è mia figlia Astrid – spiegò Pepper velocemente, allacciando un braccio attorno alle spalle di Astrid che per un momento, aveva visto tremare – abbiamo trovato vostra figlia a piangere da sola, e ci siamo fermate per vedere se servisse aiuto.
- Oh – esclamò imbarazza la donna, arrossendo e sorridendo con nervosismo ad entrambe – vi chiedo scusa allora per la mia reazione, io-
- Non si preoccupi – tentò di tranquillizzarla Astrid, sorridendo gentile all’umana per tentare di far rallentare il pulsare isterico di quel cuore che sentiva battere fin da lì, una reazione per la quale si sentì in colpa.
Perché, quale madre non sarebbe andata in una crisi di panico nel vedere il proprio figlio tra le braccia di un estraneo?
Nessuno, una constatazione che le offuscò lo sguardo di un rammarico per il quale Pepper non potè che stringere aspramente le labbra.
- Allora è meglio incamminarci, abbiamo un appuntamento.
- Oh, certo, e ancora grazie per aver aiutato mia figlia – tentò di rimediare la donna, abbassando lo sguardo nel sentire Eleonora dimenarsi nella sua presa per poter avere la libertà di movimento.
E quando Astrid vide la manina paffuta della bambina trattenerla per la  maglia non potè che sussultare debolmente e osservare la bambola che la piccola le stava tendendo con sguardo serio.
- È per me? – sussurrò incredula, rialzando uno sguardo lucido sulla bambina che vide annuire, allungando ancora la mano.
Aveva le dita che le tremavano, e persino la voce, se mai avesse provato a parlare, sarebbe andata in pezzi, perciò si limitò a sorriderle, e per un attimo, un solo attimo, i suoi occhi parvero illuminarsi come se la via lattea avesse voluto illuminare la via ad una creatura sperduta per indirizzarlo verso la via di casa.
Un fenomeno per il quale l’umana si trovò a fissarla per una manciata di secondi con meraviglia prima di tornare in sé e congedarsi con l’ennesimo ringraziamento.
- Mi ha regalato la sua bambola – ripetè a se stessa con voce trasognata, accarezzando con l’indice il viso morbido della bambola di pezza – mi ha regalato la sua bambola.
- È stato un gesto carino il suo, non trovi ?
Astrid annuì con foga alla constatazione della madre, alzando un sorriso sereno che le si sbriciolò in viso quando incrociò lo sguardo di Loki.
Uno sguardo distante,  muto, un silenzio per il quale si trovò a rabbrividire internamente prima di distogliere lo sguardo e mordersi il labbro inferiore con indecisione nel compiere il primo passo.
Quando Loki la vide passargli accanto senza rivolgergli più uno sguardo indurì il viso e la piega delle labbra che tese aspramente, artigliando l’interno della giacca di pelle con una tale forza da farne udire lo strappo anche agli altri umani che di quella scena non ne capirono il motivo, ma Pepper lo intuì.
Perché era una donna, e quel malessere che portava sua figlia a trincerarsi dietro un silenzio imposto era il senso di colpa, un torto che Astrid credeva di aver fatto a Loki, ai suoi genitori, a chi le voleva bene, perché nata imperfetta e incapace di dargli quello che chiunque, persino il più debole degli esseri viventi sarebbe stata capace di donargli.
Una prole, un erede.
E il freddo distacco con il quale il dio degli inganni tentava di manifestare il proprio disinteresse verso quella nascita neanche voluta, la noncuranza nei suoi gesti e nelle sue reazioni volte a renderla consapevole di un desiderio che lui non voleva e per il quale non la accusava, non la consolava, come Loki pensava avrebbe fatto, ma l’avrebbe ferita.
Perché, per quanto verità vi fosse in quell’inesistente desiderio di un erede, per quanto tentasse di convincerla che credersi causa di un suo malessere immaginario fosse sciocco, ciò non avrebbe cambiato la menomazione della quale Astrid si sentiva vittima.
Una mutilazione che le avrebbe ricordato sempre che, per quanto normale avesse desiderato d’essere, per quanto umana si fosse convinta di poter diventare, vi era un limite, al quale dover sottostare.
Il limite di chi, di soffrire e  sacrificare una parte di sé  per tutto quel potere illimitato ma sofferto, non avrebbe mai smesso.



°°°




Susan Storm era una donna pratica, che dello stacanovismo del suo futuro marito aveva saputo farne il callo, ma odiava non essere considerata, e in particolar modo, odiava non ricevere una risposta alle sue domande.
Perciò, quando, nel  tentativo di avvisare nuovamente  Reed dell’arrivo di ospiti non ne ebbe alcuna reazione, non potè che richiuderlo dentro un campo di forza e sperare che si accorgesse della mancanza di ossigeno che prima o poi lo avrebbe convinto a scollare gli occhi dallo schermo del suo dannato computer.
Una privazione della quale lo scienziato si accorse, annaspando incredulo per l’espressione infastidita con la quale Susan lo stava fissando.
- Scommetto un giro di jack daniel’s che stavolta ci rimane secco – esordì l’Uomo torcia, stravaccato bellamente sulla sua poltrona reclinabile.
- Io credo che se lo meriti.
- Grazie Ben.
- Di nulla tesoro.
- Allora? Hai capito cosa sto cercando di dirti da più di un’ora?
L’espressione rammaricata di Reed rischiò di farla scoppiare in una crisi isterica, ma Johnny odiava quando la sorella cominciava a lamentarsi della noncuranza del suo fidanzato storico, perciò si decise, almeno per una volta, di rendersi utile per il bene della famiglia.
- Ciò che la mia adorabile ed isterica sorella sta cercando di dirti – e lì gli sfuggì un verso gutturale nel patire una pressione invisibile sullo stomaco, come se qualcuno lo avesse colpito – qualcuno sta venendo a farci visita.
- Esatto – continuò per lui Susan, schiudendo la bella bocca per continuare il discorso, ma si trovò invece a liberare il marito dalla morsa nell’udire il rumore di passi nel corridoio.
Passi numerosi e diversificati per categoria, ma bastò poco a tutti loro, e in particolar modo a Johnny, per riconoscere l’affascinante uomo dalla barba curata e dallo sguardo scaltro con il quale perlustrò la sala circolare, fermandosi sull’uomo magro e dall’aspetto emaciato che ricambiava l’occhiata con un po’ di sorpresa.
- Tony Stark! – saltò su Johnny nel riconoscere il multimilionario che della sua sorpresa parve esserne lusingato prima di accennare con il capo un cenno di saluto e lasciare il passaggio libero all’arrivo delle altre figure.
Bruce Barner salutò garbatamente la padrona di casa, provvedendo a non attirare su di sé un’attenzione della quale avrebbe odiato ogni stilla, ma ricordò a se stesso le raccomandazioni di Maria sul suo poter apparire un sociopatico con quel suo continuo estraniarsi dalla realtà.
Un isolamento dietro al quale persino Astrid si trincerò nell’entrare accompagna da Pepper e dalla figura muta di Loki, due passi indietro a lei, sempre, due passi dietro di lei.
Era diventata la loro  distanza di sicurezza, lo aveva appreso con gli anni, lo spazio che il dio le avrebbe concesso per lasciarla ai suoi pensieri, un suo modo per sapersi tanto vicino da  poterla portare via in caso di pericolo e tanto lontano da poterle garantire l’intimità della quale avrebbe potuto aver bisogno.
Una solitudine che lui non sarebbe stato capace di concederle se non attraverso quel misero stralcio d’aria che li divideva, ma era un mondo quello che il dio vide scivolare dolcemente verso l’ampia vetrata della stanza.
Un universo pulsante vita e luce, la stessa luce che Astrid faticava a tenere incanalata dentro di sé tanta era la necessità di liberarsi di quell’involucro che aveva voluto con tutto se stessa.
Ma non si poteva cambiare ciò che si era, e fingersi qualcun altro non aveva portato loro altro che dolore.
Dolore per chi, nato nel ghiaccio e nel buio, aveva bramato e pregato disperatamente di poter ricevere una stilla di calore.
Dolore per chi, consapevole della propria inettitudine, non riusciva a farsene una ragione.
Quando Tony Stark prese posto al centro della stanza, non di lato, non di dietro, ma al centro,  Pepper informò se stessa della possibilità di smetterla di concedergli la sua attenzione per interessarsi di un uomo che, per quanti anni fossero passati, per quante parole sua figlia avesse rivolto in sua difesa, lei non sarebbe mai riuscita a capire.
Perchè Loki era semplicemente troppo.
Troppo da analizzare, troppo da cercare, troppo da mettere insieme.
E se ci si arrogava la capacità di riassumere la personalità caotica e selvaggia del dio come un’ovvia conseguenza del suo cuore nero, allora si commetteva un peccato di superbia.
Perché c’era molto più che un cuore nero sotto un petto che molti avrebbero creduto muto, molto, molto altro.
Non solo orrore, non solo odio e disgusto, ma un profondo  e disperato bisogno di attenzione, e non un’attenzione generale, ma specifica, convergente in quello che Loki avrebbe nominato come il baricentro del suo mondo.
Il centro di gravità che finalmente gli avrebbe impedito  di venire gettato via e allontanato da ciò che, una volta toccato, avrebbe visto morire sotto le proprie dita, un punto di congiuntura tra lui e quella realtà che lo aveva vomitato assieme all’orrore di non aver voluto mai un’esistenza come la sua.
Ma un centro, comunque, ciò che sarebbe dovuto essere il suo perché e il come, ciò che un giorno, forse, gli avrebbe spiegato il perché di tutto quel dolore, di quella disperazione e solitudine che seminava attorno a sé ma per la quale, in verità, non poteva far nulla, perché timido.
Di sicuro Tony avrebbe riso di lei e di quei pensieri, ma Loki, per quanto pericoloso e meschino si fosse mostrato, era una creatura insicura che non sembrava riuscire a credere in nulla, neanche in se stesso.
Un'insicurezza mostrata dal modo in cui, nella sua posizione rigida e severa, pareva tendere in avanti per proiettarsi su una sagoma più minuta e fragile, ma infinitamente più forte di quanto lui sarebbe mai potuto essere.
Perché Astrid era forte.
Lo era la sua anima, e quel cuore che aveva saputo amare ciò che non poteva essere amato, e voluto, ciò che nessuno avrebbe mai potuto desiderare per sé ma che lei aveva amato fin da subito.
Un amore del quale nessuno di loro avrebbero potuto mai capire la profondità, ma solo ipotizzarla, abbozzarla dalla morbosa ossessione di lui verso qualcosa per il quale era stato disposto a sacrificare ogni cosa, un mondo, un unvierso, se stesso, tutto.
E non c’era nulla di malato, di cattivo, nel loro amore, nulla per il quale ergersi a giudice e giustiziere per condannare ciò che ora appariva così chiaro, ai suoi occhi.

Anime gemelle.
Lo erano loro due.
La metà di un’unica entità che senza l’altro non avrebbe potuto vivere, né sopravvivere.
Un pensiero romantico forse, ma un pensiero del quale Pepper ricevette la conferma nel notare il movimento tenue e morbido con il quale Astrid aveva allungato le dita per ancorarsi a quelle di Loki, quasi avesse captato il bisogno di sentirla, di sentirsi, di sentire entrambi.
Un’empatia che ora portava sua figlia a sorridere al riflesso suo e del dio che parve ripulirsi dal grigiore che poco primo pareva averlo fatto sbiadire nella cornice, tanto da diventare una sagoma indistinta, e poi una macchia, solo una macchia, prima di tornare ad avere un corpo, un viso, e un tenero e delicato senso di sollievo.
- Non credo che ci siamo capiti.
Il tono affilato con il quale Tony Stark si ritrovò a rivolgersi al dottor Reed e al suo piccolo gruppo di supereroi costrinse tutti a reagire nervosamente nel captare la tensione che ora tendeva il viso dello scienziato e quello del dottore a lui di fronte, non meno inquieto.
- Io credo invece che siate voi a non capire, signor Stark – cominciò il dottore con voce solenne e rigida – sono stato io il primo a individuare Silver Surfer, perciò  –
- Chi? – lo interruppe stralunato l’uomo, protendendosi in avanti con sguardo confuso mentre una lieve smorfia andava a contrarre il viso dello scienziato.
- Silver Surfer, l’alieno – si trovò a specificare Reed, sentendo il viso andare in fiamme nel sapere che la reazione del multimiliardario non sarebbe stata diverso da quella con cui i suoi compagni avevano reagito al soprannome dato alla creatura.
- Sa, quell’alieno è color argento e bè, sta – sta su una tavola da surfer, quindi – ma la risata profonda dell’uomo gli portò via persino il filo di voce con cui si era ridotto a dar spiegazione del perché di quel nomignolo orribile, un soprannome per il quale persino Pepper, benchè meno rumorosa del marito, si trovò a ridere sotto i baffi.
- Vedi? – lo riprese Tony una volta riuscito a quietare la risata convulsa partitagli dal fondo dello stomaco -  questo, amico mio, è il motivo per cui sono io, quello ad aver ragione, e non perché il fatto che io sia sempre nel giusto sia una legge universale – divagò egocentrico, tirando un sorriso un po’ più pungente e meno scherzoso -  ma perché ci sono tre buoni motivi per cui tu e la tua famiglia vi limiterete a farci da supporto.
Uno, perché  in realtà non siete stati voi i primi ad averlo visto, ma mia figlia – ci tenne a puntualizzare, sforzandosi di non rivolgere un sorriso affettuoso ad Astrid, impossibilitata però a non sorridergli di rimando, sebbene in ombra, per non attirare l’attenzione.
- Due, noi siamo stati autorizzati dal governo a rompere le cose, in più  siamo gli Avengers, il che dovrebbe già bastarvi –
- Ma anche noi – provò a intervenire Jonhnny, subito zittito dall’occhiata affilata che l’uomo d’acciaio gli lanciò di sbieco, tornando a guardare il dottore per alzare il medio e seguitare nella sua elencazione.
- E come terzo e ultimo punto, ricordate  la nube di raggi cosmici che vi ha dato i vostri “piccoli superpoteri”? – e Tony ci tenne particolarmente a imitare le virgolette per ridicolizzare ciò di cui andavano fieri, poteri che sì li rendevano diversi, ma non potenti come il caso avrebbe richiesto.
Ben si stizzì a quel suo modo di fare, ma Susan riuscì a placarlo con uno sguardo serio che riportò sullo scienziato con durezza, rafforzando la presa sulla spalla del marito che pareva altrettanto innervosito, prima di intervenire a sua volta.
- Certo che la ricordiamo, ma questo cosa-
- C’entra mia cara – la zittì mordace, incrociando le dita sotto il mento – perché noi tutti eravamo dentro quella nube cosmica, e per un certo senso, siamo stati noi a causarla. Come credete sia possibile per me vantare una tale avvenenza alla mia età – se ne uscì alla fine, adducendo al viso pulito e maturo, ma per nulla segnato dall’età, come invece sarebbe dovuto essere.
Una particolarità della quale però solo Pepper, Bruce e Tony parevano aver giovato, e non per qualche strana invenzione dei due scienziati, ma per un meccanismo molto più complicato di quello.
- Voi- voi eravate lì dentro? Ma non è possibile! Sareste dovuti morire – saltò su Reed, facendo sobbalzare a sua volta Susan e Ben, appena scattato in piedi assieme a Bruce che si era avvicinato di un passo come reazione.
- Si, ma qualcuno ci ha aiutato a scappare prima di poterlo essere – riprese Barner, invitando il colosso di roccia a tornare a sedere mentre con l’occhio controllava che Astrid stesse bene, perché quelle non erano ricordi che sua figlia amasse riportare alla mente.
La vide infatti irrigidirsi un poco prima di distogliere lo sguardo e stringere in modo impercettibile le palpebre, come per frenare il dolore che sarebbe colato giù a fiotti dalle sua guance se si fosse permessa di cedere.
Perché Semjace era sì con lei, ma il non toccarla, il non poterla abbracciare e sentire contro era ben peggiore dell’averla davvero perduta, e uno spirito lo si poteva vedere, persino seguire, ma non toccare, mai, toccare.
- E credete davvero che noi accetteremo solo di farvi da spalla  ? - se ne uscì Johnny Storm con tono caustico, drizzando la schiena e tendendo i muscoli delle braccia alla cui vista Bruce fece scattare la mascella.
 - Noi siamo i Fantastici Quattro – e l’uomo di fiamma non potè che manifestare un eccessivo adonismo in quella sua constatazione – noi siamo degli eroi.
- Questo lo dubito fortemente – borbottò Tony ad alta voce per rimarcare la propria avversione al riguardo, un’esclamazione per la quale Johnny si trovò a scattare in piedi e allargare le braccia verso Pepper e le due figure che fino a quel momento, nessuno, se non Tony e Bruce, non avevano perso di vista un istante.
- Mentre voi lo siete? – lo riprese mordace – lei è un eroe? – e nell’indicare la moglie del multimiliardario Tony si trovò a serrare la mascella e incupire lo sguardo.
- Io abbasserei quel braccio se fossi in te, e mi rivolgerei alla mia signora con un po’ più gentilezza.
- Johnny – provò a rimproverarlo Susan nel cogliere la tensione nella voce dell’uomo di metallo e nel dottore che poco lontano cominciava ad agitarsi nervosamente.
- Cosa Susan? – aggredì la sorella – non capisci che ci ritengono delle nullità? Noi, mentre loro possono contare solo su un boss dell’alta finanza in gonnella e – si interruppe per mettere a fuoco l’uomo alto e dall’incarnato pallido che affiancava una figura più minuta e graziosa sulla quale si soffermò, schiudendo un sorriso languido alla cui vista Loki si irrigidì.
- Bè, tu credo sia l’unica che si possa salvare qui, dolcezza.
Astrid reagì aspramente al tono carico di sottintesi dell’umano, pensieri che lei non apprezzava e che nessuno della sua famiglia, in verità, sembrò prendere bene.
Persino sua madre non potè che tendere la schiena e incrociare le braccia al petto prima di consigliargli di non rendersi più ridicolo di quanto stesse facendo, un commento per il quale Johnny parve risentirsi ulteriormente.
- Non sono io quello che si sta rendendo ridicolo – le rispose l’uomo piccato, tornando a fissare le due figure e in particolare l’uomo dal profilo aguzzo che non aveva mai smesso di guardarli duramente fin dall’inizio – e tu non credere che non mi sia accorto del modo in cui ci stai guardando amico.
- Johnny ha ragione – brontolò Ben dal fondo della stanza, alzando uno sguardo freddo su quello incattivito che lo straniero non si premurò di mascherare – quello lì non ha fatto altro che rivolgermi uno sguardo che non mi piace.
- Visto Reed ? – chiamò il cognato – Visto? Persino Ben se ne è accorto! Perciò, perché non buttiamo questi buffoni fuori a calci e –
- Chiedete scusa.
Quando l’attenzione si catalizzò  su di lei Astrid non sembrò innervosirsi, né curarsi dell’espressione attonita con la quale l’umano dalle cattive maniere prese a guardarla, come a capire di aver sentito davvero la sua voce.
Ma lei era vera, lo era la sua voce e il comando che tornò a ripetere nel non ricevere quanto richiesto.
- Chiedete scusa.
Susan rabbrividì leggermente nel cogliere la nota autoritaria, una lieve ma profonda fermezza che ora pareva renderla incapace di chiedere il perché, un bisogno del quale suo fratello si disfò con molto meno pazienza di quella che lei avrebbe adottato.
- E a chi dovremmo chiedere scusa dolcezza? – chiese l’uomo di fiamma, sboccato.
- Ai miei genitori – e Astrid indicò con la piccola mano sua madre e i suoi due padri – per la maleducazione con la quale vi siete rivolti a loro.
- Che paroloni per una cosina così piccola come te.
- Johnny dannazione! – scattò su Reed nel non riuscire più a sopportare la boria del ragazzo, perché si stavano comportando come idioti, e soprattutto, si stavano davvero dimostrando inospitali in casa sua, non di quello stupido di Johnny, ma sua.
- E anche a mio marito.
Vi fu un silenzio attonito dopo la sua seconda richiesta, ma Astrid non scostò la mano dal braccio di Loki neanche quando l’umano, dopo aver guardato entrambi per un po', scoppiò a ridere loro in faccia.
- Johnny!
- Ma l’hai sentita? – si difese lui nell’udire il rimprovero in sincrono della sorella e di Reed – marito? – si battè il petto un paio di volte, singhiozzando una risata che tentò di contenere nel tornare a guardarli, ma quando tornò a rivolgere loro la sua attenzione, potè sentire l’aria e il riso strozzarsi in gola assieme al cuore nel petto.
-Johnny?
Ma Johnny non rispose.
Non alla sorella, non al richiamo confuso di Ben, non a Reed, a nessuno, e non perché volesse mostrarsi ancora piccato per il mancato appoggio della sua famiglia, ma perché, semplicemente, non sembrava trovare più la voce.
In verità non riusciva a trovare nulla, neanche la forza di distogliere lo sguardo da quegli occhi cangianti che per un attimo, un solo attimo, vide tingersi di verde, un profondo e acceso verde cristallizzato in una pupilla che vide restringersi fino a sembrare quella di un rettile.
Lunga, sottile, e fissa su di lui che non riusciva a muoversi, per quanto tentasse, e l’impossibilità di riuscire persino a sbattere le palpebre gli causò uno spasmo dello stomaco che gli si accartocciò assieme ai polmoni quando vide il viso dell’uomo scollarsi, come se qualcuno, aiutandosi con un picchetto, gli stesse scrostando la pelle per vedere cosa ci fosse sotto.
E ad ogni strato di pelle asportata, dopo ogni pezzo d’epidermide graffiata, l’orrore di vedere scaglie di un acceso verde acido comporre come un mosaico il viso dell’uomo lo fece annaspare per la disperazione di non riuscire a chiudere gli occhi per privarsi di quell’orrore.
E provò ad urlare il nome della sorella, di Ben, ma aveva le labbra sigillate, e tutto ciò che poteva fare era guardare terrorizzato le pupille oblique della creatura pulsare divertite della sua paura.
Sembrava persino annusarla, ricercarla nell’aria e inalarla in quelle narici sottili e incassate nel viso come fori senza spessore, e  lui puzzava di paura, ne rilasciava ogni stilla di sudore che gli imperlava la fronte, ne sfuggiva via un po’ ogniqualvolta un pezzo di pelle cadeva via assieme al suo coraggio e alla sua baldanza.
Perché non ce ne era più da nessuna parte, e non ce ne fu neanche quanto vide le labbra, ora una sottile linea bianca e liscia, curvarsi in un sogghigno che mostrò il luccichio sinistro di una dentatura  aguzza, canini che Johnny potè sentire premere contro la propria giugulare mano a mano che il sorriso si allargava e la paura lo rendeva simile ad un manichino.
Un manichino del quale avrebbe udito presto  lo strappo quando percepì  il lieve sibilare di quella cosa prima di  vederlo scagliarsi su di lui e affondare con rabbia la sua dentatura nel-
- Johnny!
Lo sguardo allucinato con il quale suo fratello la guardò nel torcere dolorosamente il collo mise Susan a disagio – tutto bene?
- Io-
- Ti stiamo chiamando da più di dieci minuti – lo rimproverò Ben che ora, sorprendentemente, non era più sulla poltrona, ma al suo fianco, assieme a sua sorella e a Reed che lo fissava crucciato.
- Ti senti poco bene? Forse lo scontro con Silver Surfer deve aver alterato anche il tuo sistema immunitario.
- Lo credi davvero? – domandò la donna invisibile con orrore, ritrovandosi a far altalenare lo sguardo ansioso dal viso crucciato del marito a quello pallido e sudato del fratello.
- Io credo che sia solo stanco.
Loki tese un sorriso nel sentire su di sé gli occhi dei presenti, ma era su uno in particolare che la sua attenzione era catalizzata, sulle pupille nere cerchiate d’azzurro che vide tremare dal terrore nell’incrociare le sue, nere e umane, ma non meno agghiaccianti di ciò che aveva mostrato all’umano.
Un' illusione, un avvertimento a non osare altro, non contro di lui, non contro la compagna che di fianco gli stringeva il braccio.
- Come hai detto? – sussurrò Susan con un groppo in gola, sottomessa da una voce che nella sua testa pareva zittire ogni cosa se non quel suono, come la melodia di un flauto magico che, se l’avesse voluto, l’avrebbe guidato verso un precipizio senza che lei avesse opposto resistenza.
Una sensazione che Ben e Reed condividevano, asserviti a qualcosa che non capivano, non vedevano, ma che impediva loro di rispondere all’uomo dal sorriso affilato.
- Credo che  Johnny – e su quel nome Loki sembrò sputare le maledizioni più orribili – abbia solo bisogno di riposare, non è così?
- Io- tentennò l’uomo di fiamma per un attimo, sobbalzando nel risentire la morsa dolorosa alla giugulare, lì doveva aveva sentito i denti affondare e dove portò una mano per coprirsi – io credo di si.
- Quindi siamo d’accordo sulla vostra azione di supporto dottor Reed?
- Io- io credo di sì.
Il sorriso che Loki rivolse loro sembrò cristallizzare le loro espressioni nella smorfia confusa e spaventata con la quale il dio li lasciò, dando le spalle e incamminandosi fuori dalla sala assieme agli Avengers che di quella piccola opera teatrale avevano riconosciuto il compositore.
Il solo che potesse giocare con la mente umana e dilettarsi con il cuore che Loki avrebbe potuto strizzare rozzamente tra le mani se ne avesse avuto desiderio, ma ora non ne aveva, perché annoiato e placato dal tocco delicato di quel piccolo palmo sul suo braccio.
Un braccio che sapeva uccidere, un braccio che, se Astrid non fosse stata al suo fianco, avrebbe affondato nel petto dell’umano per strappargli il cuore e vederlo annaspare, petto contro petto, prima di strappargli a morsi quel suo sorriso osceno e cavargli gli occhi che su di lei avevano osato illanguidirsi in sua presenza.

 





°°°




- Ecco a lei.
Pepper sorrise gentile all’uomo quando questo le tese due batuffoli di zucchero filato  prima di voltarsi a cercare con lo sguardo sua figlia e ammorbidire la linea degli occhi nel  trovarla  ferma in mezzo al via vai di gente.
Nessuno si soffermava a guardarla per più di qualche secondo, giusto il tempo di ipotizzare il perché  del suo viso rivolto al cielo, prima di riprendere a camminare, ma quando  Pepper la raggiunse  non potè che alzare lo sguardo a sua volta e allungarle lo zucchero filato.
Solo allora, nel sentire il breve contatto caldo sulla propria mano  Astrid parve tornare in sé, distogliendo l’attenzione dal cielo limpido per guardare di fronte a sé dove incontrò sua madre e la sua espressione comprensiva.
- Andrà bene tesoro – tentò di rincuorarla la donna, invitandola ad assaggiare il dolce prima di  prenderla sotto braccio e portarla verso una giostra con cavalli e carrozze a forma di zucca.
Pagò per un giro, e sebbene le occhiate stupite delle madri lì accanto la fecero sorridere un po’, guidò sua figlia ai due cavalli che trainavano la carrozza, issando se stessa e aiutando Astrid a salire in groppa al cavallo.
Cavalli minuscoli, non adatti certo a sorreggere il peso di  due donne adulte come loro, ma quando la giostra cominciò a  muoversi Pepper seppe di aver fatto la cosa giusta quando vide il sorriso timido con il quale sua figlia ancorò le mani alle briglie di pezza, osservando divertita come il proprio cavallo andasse su e giù prima di essere colte entrambe da un lampo di luce che portò la donna a roteare gli occhi nel riconoscere la scheggia rossa appena schizzata dal tetto di un furgone dei gelati.
Quando Tony Stark toccò terra non si curò del grugnito con il quale Hulk accolse il suo ritorno, né si premurò di mascherare l’aria estatica con la quale contemplava la fotografia appena scattata per essere poi inserita nel suo album di famiglia.
Un nuovo grugnito da parte del colosso verde lo avvertì però  della contrarietà  del dottore, ma Tony fece orecchie da mercante, decidendosi con aria annoiata di concedere la sua attenzione ai “Fantastici Quattro” che di fantastico, a suo parere avevano solo il nome, oltre a delle tutine davvero ridicole.
- Bene, ora che siamo tutti qui – e Reed non potè perdere l’occasione di lanciare un’occhiata severa al multimiliardario – possiamo prendere posizione ai posti-
- E lui?
L’uomo di gomma si costrinse a continuare di spiegare il piano, ma quando Johnny tornò a lamentare il proprio disagio non potè che sospirare e seguire il braccio del ragazzo puntato sul giovane appoggiato alla ringhiera di ferro del piccolo ponte sul quale avevano deciso di ritrovarsi.
- Lui cosa?
- Perché è qui? Non è mica un Avengers, non è vero ? – si impuntò l’uomo fiamma con acredine, rabbrividendo un poco nel sentire lo sguardo tetro dell’uomo puntarsi aspramente sulla sua schiena.
- Bè, diciamo che lo è per parentela – spiegò Tony a tentoni.
- Per parentela? – si stupì a chiedere Susan.
- Si. Per parentela, ereditarietà, linea di sangue, chiamatela come vi pare, ma lui comunque resta – e il discorso poteva considerarsi chiuso se Johnny non avesse serbato tanto timore per lui e la sua aria affamata, memore ancora degli incubi che lo avevano assalito la notte scorsa e che ora lo rendevano ancora più irritabile.
- Ma ci sarà solo d’intralcio!
- Invece ci sarà di aiuto, più di quanto immagini, credimi – si lasciò sfuggire Iron Man con un po’ di stizza, rivolgendo al “cognato” uno sguardo avvelenato prima di rilasciare un lungo e profondo respiro – diceva dottor Reed?
- Stavo dicendo che ora sarà meglio prendere i posto prestabiliti. Hulk e Susan pattuglieranno il lato est del parco, Johnny e  Ben andranno a ovest, mentre io, Iron Man e  Jean Cloud andremo a sud del parco divertimenti.
Jean Cloud.
Loki non potè non stringere i denti nel sapere con esattezza chi gli avesse dato quel nome, una vendetta infantile per la quale Tony si trovò a sghignazzare.
- Ora bisogna solo aspettare mezz’oretta e –
- Sta arrivando.
- Come?
- Sta arrivando – ripetè Loki, tornando ritto con le spalle rigide e gli occhi puntati verso il cielo terso.
- Che vuol dire sta arrivando? Il mio dispositivo dice che non arriverà prima di mezz’ora – lo contraddisse Reed, sicuro dei propri calcoli.
- Se lui dice che sta arrivando, allora sta arrivando – si trovò a ringhiare Tony mentre  l’aria pareva  farsi più fredda, il cielo farsi più scuro, e la terra cominciava  a tremare leggermente.
Una scossa di magnitudo ridotta, ma sufficiente ad attirare lo sguardo dei giostrai, dei bambini e dei loro genitori verso le nuvole appena condensatesi in un unico punto, un vortice di nebbie scure al centro del quale sembrava si stesse raggrumare una luce incandescente, dai riflessi perlacei che Pepper vide tingersi di rosso prima di guardare Astrid e strattonarla a sé per abbracciarla e urlare per l’orrore che ne seguì.
Il boato che si levò zittì le strilla isteriche e terrorizzate di chi si trovò a strisciare verso i propri cari con un' ombra incombente a gravare sulle loro teste, l’immensa onda d’acqua che i fantastici quattro fissarono con angoscia prima che Susan Strorm alzasse un campo di forza che le costò fin da subito un gemito di sofferenza.
-  Johnny! – gli gridò contro Reed nel vedere un rivolo di sangue scivolare giù dalle labbra della moglie – cerca di far evaporare l’acqua!
L’uomo fiamma annuì meccanicamente, volando lungo la barriera per essere intercettato da Silver Surfer ancor prima di poter anche solo osare un gesto, un capitombolo che lo rigettò nelle profondità del lago mentre l’alieno tornava a riprendere quota per puntare gli umani urlanti e l’immensa ruota paronimica.
- Come-
- Da qui in poi ci pensiamo noi dottore.
- Hulk spacca – proruppe il mostro verde nell’accostare l’uomo di metallo e ricercare con lo sguardo la scheggia d’argento sulla quale era pronto ad affondare i denti.
-  Lì! – lo avvertì Tony nell’intercettare la scia di onde gamma dell’alieno, ma non fu l’amico verde, né tanto meno la Cosa a poter prendere la rincorsa per gettarsi al di là della barriera e saltare in groppa all’alieno.
Fu una figura sottile ed elegante quella che Susan Storm vide passarle di fianco, l’uomo dal sorriso sottile che vide incattivirsi mano a mano che la figura avanzava verso il precipizio.
- Aspetta!
- Dove diavolo pensi di andare? Così ti farai ammazzare! – latrò la Cosa nel vederlo accennare un passo nel vuoto, tendendo un braccio  per afferrarlo, ma ciò che le sue dita di roccia strinsero non fu una giacca di pelle, ma un mantello verde dalle rifiniture dorate, e familiare, orribilmente familiare come l’elmo dalle corna oblunghe che i supereroi videro scintillare del sorriso macabro di chi il mondo aveva sempre temuto ,che mai avrebbe smesso.
- Tu-
Il ghigno causò uno spasmo isterico alla parte deforme del viso, un zampillare di lineamenti bruciati e cicatrici mai del tutto guarite che resero l’unica pupilla buona l’unica cosa umana su quel viso repulsivo.
- Oh sì, io.
Quando lo videro volare feroce contro l’alieno Reed Richard parve non trovare parole, né la volontà di chiedere perché.
Perché stesse succedendo tutto quello.
Perché il dio degli inganni non li avesse uccisi.
Perché, semplicemente, stesse andando tutto così male.
Quesiti ai quali non riuscì e potè dare una risposta, non con sua moglie a pochi passi da lui, accartocciata su se stessa, bianca in volto e con le labbra sporche del sangue che oramai pareva uscire a fiotti persino dalla bocca.
- Lascia andare.
Susan Storm patì lo schianto dell’alieno sulla sua barriera con un rantolo sommesso, strizzando gli occhi per mettere a fuoco lo scintillio scarlatto della creatura che la accostava, l’uomo d’acciaio che le aveva chiesto di lasciare.
- Lascia la presa ho detto – tornò a ripeterle Tony mentre, con Hulk sparito oramai oltre la foschia, sentiva le mani bruciare per il bisogno di prendere  a pugni qualcosa.
- Lascia andare quella maledetta barriera.
- Sei impazzito per caso? Non le vedi tutte quelle persone? Verranno uccisi se lascio andare – gli strillò contro, attirando l’attenzione del marito che anche da lontano riuscì a sorreggerla allungando uno dei suoi arti.
- Fa come ti ho detto.
- Non ci penso neanche.
- Cosa diavolo sta succedendo?
- Sta succedendo che la tua isterica moglie non fa come le si dice – lo informò Iron Man, stufo di fare da balia a quella squilibrata – fa come ti ho detto, lascia.
- Non posso.
- Certo che non può – la spalleggiò Reed sebbene la visione di Susan sofferente lo ferisse – come puoi chiederle una cosa simile? Fra quelle persone c’è tua moglie! Non ti importa di lei?
- Mia moglie in questo momento è più al sicuro che in un botte di ferro, perciò convinci tua moglie a fare come ti dico e aiutami a catturare quello squilibrato o giuro che vi butto giù da questo ponte!
Ricevere l’ordine di lasciare che mille o forse più persone morissero per causa loro era assurdo, ma se era Iron Man, Avengers ed eroe mondiale a chiederlo, allora qualcosa di giusto doveva esserci, e Susan pregò di essere nel giusto, pregò disperatamente prima di lanciare un urlo di dolore e alzare uno sguardo sofferente sull’acqua prima di lasciare che suo marito la portasse via di lì.
I primi ad essere inghiottiti furono i furgoni che costeggiavano il parco di divertimenti, poi i chioschi, dilungandosi in un immenso ventaglio d’acqua gelata dalla quale, per quanto veloce avessero corso, nessuno avrebbe potuto salvarsi.
E i fantastici Quattro assistettero attoniti a quella scena raccapricciante, mentre le urla della gente facevano sanguinare loro le orecchie e gli scontri tra gli Avengers e Silver Surfer rendevano tutto più caotico.
Ma quando l’acqua sommerse ogni cosa, persino le urla, Susan non potè che nascondere il viso nel petto dell’uomo e piangere la propria amarezza prima di sentire un ansito incredulo contro il petto.
- Cosa diavolo-
- è quello ?– finì per lui Johnny, sospeso a mezz’aria con gli occhi strabuzzati e il fiato stretto in gola per lo shock.
Perché c’era qualcosa, lì, in mezzo alla folla gettata a terra, e c’era l’acqua sospesa sulle loro teste, una tonnellata d’acqua ghiacciata che rimaneva ritta e sospesa come una placca di ghiaccio temperato, ma acqua, in verità.
L’acqua che Susan aveva strenuamente tentato di bloccare, l’acqua che videro evaporare sopra le teste di chi non guardava loro, non il vapore che ora li attorniava, ma davanti a loro.
- Non è lui.
- Cosa tesoro ? - si riscosse Pepper nel captare il sussurro di sua figlia.
- Non è lui ad emettere quel potere simile al mio – ripetè Astrid, stringendo gli occhi per ricercare la figura di suo padre e quella di Loki nella foschia – è la tavola, non l’alieno, ad avere il mio potere.
- Oh – si lasciò sfuggire la donna, realmente incapace di dire altro, perché quello non era certamente una delle opzioni messe in contro, neanche una delle più terribili, e di risultanti catastrofiche ne avevano tenuto conto.
Ma se davvero quella creatura non era il vero possessore di quel potere, se davvero quella cosa che Hulk, Tony, e persino Loki riusciva a stento ad imbrigliare, era solo un emissario, allora la speranza non sarebbe servita a molto, quella volta, non contro quello.
- Andrà bene.
- Come?
- Andrà bene. Ci sono io – e forse, se non fosse stata Astrid, se non fosse stata sua figlia, se non fosse stato il Tesseract a pronunciare quel giuramento, ma un semplice eroe, un semplice umano, un semplice dio, Pepper non avrebbe potuto non temere per sé e la sua famiglia.
Ma non era un comune eroe quello che le persone attorno a loro fissavano in silenzio e con le lacrime di gratitudine a bordar loro gli occhi, non era un dio impietosito dalla loro vulnerabilità, ma era Astrid.
Astrid l’umana.
Astrid la moglie di un dio.
Astrid e basta.
Quando James Rhodes diede ai suoi uomini l’ordine di attaccare si ritrovò a coprirsi gli occhi con un braccio e sterzare il manubrio dell’aereo per evitare di andare a collidere contro qualcosa, un gesto che i militari dietro di lui imitarono prima di sbattere le palpebre e provare a vedere cosa avesse generato quel lampo di luce accecante, una luce che molti di loro, impiegarono pochi minuti a riconoscere.
Perché la morte non si dimenticava, né chi da questa ti risparmiava, e lei, quella creatura di luce incandescente immobile nel cielo con la mano stretta attorno alla gola del loro obiettivo era difficile, da dimenticare.
- Signore? Tutto bene? – lo richiamò il centro operativo.
Il soldato si accostò la ricetrasmittente alle labbra per fare rapporto, e forse, un tempo, dopo essere stato informato del pericolo, dopo aver visto quanto davvero fossero deboli contro l’universo, avrebbe optato per una risposta neutra.
Avrebbe potuto, se non avessero avuto lei.
- Tutto bene, sono arrivati i rinforzi.
- Quali rinforzi signore? Qui alla base non è stato ordinato nessun invio di rinforzi.
James non potè che scucire un sorriso e allentare il colletto della divisa prima di umettarsi le labbra e lasciarsi scappare una risata profonda e sollevata.
- Diciamo che questo, è un rinforzo non richiesto, ma ben accetto. Lo è sempre.



Continua…

 

Ed ecco che per farmi perdonare il ritardo anticipo l'aggiornamernto di questa settimana, ringrazio ancora chi legge la storia e viene a dare un'occhiata, al prossimo aggiornamento,
Gold Eyes
  
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