Punto
di vista
futuro.
Andava
tutto bene.
La
sveglia era suonata quando avrebbe dovuto farlo, il clima era fresco
– adorava il fresco, il freddo, il ghiaccio, e tutto
ciò che si dissociava dal caldo e dallo svestirsi.
Si era
vestita e preparata e aveva chiuso la borsa a tracolla con i libri,
senza particolari intoppi. La colazione no, non la faceva mai, anche se
da sempre la sgridavano perché dicevano che era importante
per cominciare la giornata.
Aveva sempre quel peso allo stomaco che la fame la faceva passare.
Era pronta per uscire ed andare a prendere
l'autobus.
Però, la lametta nel cassetto che le
arrivò agli occhi quando prese il pettine per sistemarsi
ancora – per l'ennesima volta – i capelli,
catturò la sua attenzione.
Non aveva tempo.
Poi avrebbe
sporcato gli abiti che si era appena messa per andare in
università.
Che poi, a seguire le
lezioni, ci voleva andare?
Forse non era quella la domanda.
Forse la riposta stava nel quesito, ma
lei, a continuare gli studi, aveva da sempre voluto farlo?
Continuava
ad osservare l'oggetto, il quale scavava un bivio di sensazioni che si
espandeva dentro di se, confondendola.
Sapeva che farsi male non era
giusto, che ne era dipendente, che era da malati.
Che nessuno avrebbe
dovuto mai, per nessun motivo, saperlo.
Non l'avrebbero capita.
Ma non
poteva farne a meno, non poteva lasciar li perché, in quel
modo, riusciva a scaricare tutto ciò che a voce non riusciva
a fare, tutto ciò che la faceva stare male, che era per lei
insopportabile.
Gli errori.
Le colpe.
Le parole sbagliate.
I
fallimenti.
La rabbia.
Era diventata, quella lametta, come qualcuno con
cui sfogarsi in modo silenzioso e che non poteva, in nessun modo, dirti
qualcosa.
C'era lei, solo lei.
C'erano le lame e c'erano le incisioni
lasciate sulla pelle.
C'era il sangue che uscendo era come se
l'alleggerisse un po'.
Momentaneamente.
“Ehi,
oggi
non c'eri in università, come mai? Stasera gli altri
volevano uscire, rispondi se vuoi venire.”
“Un
malessere passeggero. Ci sono, dimmi ora e dove.”
“Solito posto, solita ora. Sicura di non volerti
riposare?”
“Sto bene. A dopo.”
Il
cellulare.
Era stato quel maledetto aggeggio ad averla svegliata,
squillando e vibrando alla recezione del messaggio, nel bel mezzo del
pomeriggio.
Perché non l'aveva spento? Ah già,
perché da spento la sveglia non suonava.
Che fregatura.
Alla
fine non era più uscita per andare a seguire le lezioni, ma
si era rifugiata in camera, nel letto.
Si era sottratta al giorno prima
che fosse troppo tardi, era rientrata a letto conscia di star
escludendo, in quel modo, tutto il mondo che altrimenti l'avrebbe
circondata come sempre, se fosse uscita. La luce, la gente, le parole,
i mezzi, il rumore...
Tante cose, troppe cose.
Si alzò e
decise di farsi una doccia, per rilassarsi ed uscire dallo stato do
torpore in cui era caduta, ed iniziare così a decidere cosa
mettersi per la sera e tirarsi avanti con i tempi.
L'acqua.
Ecco si,
l'acqua era un'altra cosa che faceva scivolare via di poco i problemi.
Le goccioline cadevano sulla pelle e cadevano verso il basso, ed era
come se nel loro percorso potessero trascinarsi dietro ogni
più piccolo pensiero, ogni dolore, ogni fastidio.
Purificazione.
E si sentiva un po' più leggera e lucida, e forse un po'
meno in colpa per quello che si faceva,
dopo la doccia, e sicura di se stessa e determinata, come l'acqua
avesse lavato via tutto ciò che di più sbagliato
e stonato trovava mentre scivolava leggera a terra segnando la pelle di
disegni invisibili.
Guardò l'ora e sorrise mesta, senza
entusiasmo, circondando un polso con la mano e passando il pollice su
segni, a sfiorare le cicatrici.
Le avevano chiesto cosa si fosse fatta,
una volta, e da quel momento aveva cambiato zona: d'estate non andavano
bene le braccia, rimanevano troppo scoperte.
Zone più
coperte anche durante la bella stagione invece erano meno sospettabili.
E andava tutto bene,
perché lei riusciva a far stare in
equilibrio tutta quella massa informe che era la sua vita e l'accumulo
di pensieri che scoppiava nella testa premendo per uscire.
Si
dilettò in casa, in attesa dell'ora per iniziare a
prepararsi: pulì il bagno, si fece un the caldo, lesse un
po' e ascoltò la musica senza prestarci però
troppa attenzione.
All'ora in cui sarebbero passati a prenderla, come
sempre, era pronta e stava chiudendo la porta di casa.
Sul volto un
sorriso.
Tutto andava bene.
E
sapeva che sarebbero
andati in un locale, il solito locare: avrebbe bevuto qualcosa,
chiacchierato e scherzato, ridendo in compagnia e ascoltando gli altri
parlare.
Poi magari sarebbero andati a ballare – e lei
sarebbe stata in disparte sui divanetti perché no, ballare
non la entusiasmava, però le faceva piacere andare in
discoteca con gli amici
– e sarebbero stati a parlare da
qualche parte fino a notte fonda, perché era sabato e ci si
divertiva.
E si sarebbe dimenticata delle cicatrici che si era fatta e
della testa che scoppiava senza esplodere davvero e in modo definitivo.
Si sarebbe divertita sentendosi leggera per un po' e assieme ai suoi
amici.
Completamente sola in
mezzo a un gruppo di persone.
Ma andava
tutto bene.
Quando sarebbe rientrata si sarebbe tolta i tacchi con un
sospiro di sollievo e avrebbe posato malamente la borsa sul tavolino
nell'ingresso, e avrebbe sciolto i capelli che aveva raccolto
– perché si li raccoglieva a coda,
perché le avevano detto che le dava un aria più
matura e avrebbe potuto far vedere gli orecchini che aveva –.
Si sarebbe sistemata per andare a letto e si sarebbe probabilmente
addormentata quasi subito ripensando alla serata e al significato che
aveva avuto per lei.
E intanto avrebbe ripassato mentalmente cosa
avrebbe dovuto fare il giorno dopo, soprattutto riguardo gli studi e
gli esami che avrebbe dovuto presto dare.
Stava
andando tutto
bene.
E non avrebbe fatto caso alla lametta lasciata sul mobiletto, per
quell'arco di tempo.
E sperava che prima o poi l'arco di tempo si
sarebbe allungato sempre di più.
Raggiunse la macchina e
aprì la portiera del passeggero.
-Ciao!-
Sarebbe andato
tutto bene.
Fine
della
raccolta, una fine volutamente così, né in bene
né in male assoluti.
L'autolesionismo non mi è
nuovo come argomento, questo per dire che non lo descrivo con
leggerezza, ma volutamente come un fenomeno che riquadra e fa parte
della vita della protagonista. Tale protagonista, spera di avere e
trovare un giorno quel "motivo" per farne a meno.
Io spero vi sia piaciuta, questa e le
altre storie. Vi ringrazio per la lettura e di essere arrivati fino a
qui. Ringrazio per le recensioni, i preferiti e grazie per aver letto
queste parole.
I nuovi pareri sono sempre ben accetti.
Love you all.
Dhi. <3
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