Il sogno
Il bambino era uno scintillio
intenso, e piangeva.
All’altezza
del petto, Obi-Wan Kenobi sentiva una strana
trepidazione, una via di mezzo tra la gioia ed il timore.
Aggrottò
la fronte, incerto, e si chiese se avrebbe dovuto
fare qualcosa.
La
Forza – nitida e vicina come non l’aveva mai
sentita – lo accarezzò gentilmente, sussurrandogli
la sua risposta. No.
Il
ragazzino trasalì, sorpreso ed esitante, ma alla fine
capì.
Quello
che sentiva non era un pianto di dolore o di paura.
Era
un pianto di vita.
Il
primo pianto, quello che riempie d’aria i polmoni e
annuncia un nuovo ingresso nel mondo.
Obi-Wan
Kenobi si domandò perché un ingresso nel
mondo dovesse essere così vibrante, e perché il
bambino fosse così… abbacinante.
Come
se la Forza trascendesse la carne.
Fu
in quel momento, pressappoco, che la sentì parlare. La
donna… no, la madre.
La
ascoltò ridere e piangere insieme, e controllare sia il
riso che il pianto per sussurrare amorevolmente qualche parola.
Il
bambino si calmò, e Obi-Wan Kenobi mosse un passo verso
di lui, rapito.
La
voce della madre gli ricordava qualcosa.
Forse
anche lui, nel giorno della sua nascita, era stato consolato da
parole così soavi?
Non
riusciva nemmeno a distinguerne il significato, ma il loro suono
era dolce e leggero, quasi facesse parte…
Obi-Wan
Kenobi si arrestò.
…di
un sogno.
Un
sogno?
Sogno?
Obi-Wan
si svegliò di soprassalto, rizzandosi a sedere.
Aveva
il respiro affannoso, e il cuore gli martellava
all’impazzata tra le costole.
Le
dita del ragazzino trovarono la fine della treccia che pendeva sulla
sua spalla destra, la torsero… e la sua mano andò
a premere contro la fronte accaldata.
Per
lo meno, i suoi capelli erano così corti che il sudore
si sarebbe asciugato subito… solo il codino che aveva dietro
la nuca sembrava un po’ madido.
Deglutendo
a vuoto, il ragazzino si guardò attorno.
Si
trovava in una stanza semibuia, arredata unicamente da due letti e
da una cassettiera finemente intagliata.
Ciò
che lo tranquillizzò, però, non
furono né le lenzuola né il profumo del legno,
bensì la vista dell’uomo che dormiva nel giaciglio
accanto al suo.
Sforzando
i propri occhi, Obi-Wan ne osservò i lineamenti
leonini, i capelli lisci e la corta barba, trovando conforto in quel
volto che – persino nel sonno – comunicava forza e
serenità.
Quando
il suo cuore tornò a battere ad un ritmo ragionevole,
il ragazzino chiuse gli occhi, lasciando che i ricordi di
ciò che era successo negli ultimi giorni lo colmassero.
Ma
certo.
Lui
e il suo Maestro erano stati inviati in missione.
Un
semplice negoziato, nulla di ché… se Obi-Wan
non si fosse vergognato del suono infantile di una simile asserzione,
l’avrebbe definito noioso.
Trasalì
lievemente, e spinse di lato le coperte.
Noio…
diplomatica
o meno, la missione era stata completata
con successo.
Con
tanto successo che il Duca al quale avevano portato aiuto aveva
insistito affinché si fermassero per la notte.
Obi-Wan
sperava solo che la colazione dell’indomani sarebbe
stata diversa dalla cena della sera precedente. Sulla mancanza di
cottura poteva chiudere un occhio, ma… ecco…
avrebbe preferito che il suo cibo non si muovesse.
Forse
era stato quel pasto a causargli gli incubi.
Obi-Wan
sbatté le palpebre. Non era sicuro che avrebbe
definito sogno ciò che aveva visto, ma incubo? Era davvero
la parola giusta?
No,
la parola giusta era un’altra: visione. Anche se era
stata diversa da qualsiasi visione lui avesse mai avuto.
Accigliandosi
appena, il ragazzino scese dal letto.
Il
pavimento di legno ebbe il pregio di non ghiacciargli i piedi nudi,
ma in compenso – mentre il ragazzino camminava cautamente
verso la portafinestra in fondo alla stanza –
minacciò più volte di cigolare e scricchiolare.
Cercando
di fare meno rumore possibile, Obi-Wan uscì in
balcone.
Era
un balconcino stretto, ma il luogo ideale per rinfrescarsi le idee.
Obi-Wan
respirò a pieni polmoni l’aria pulita
della notte, andando ad appoggiarsi al parapetto di legno intarsiato.
Frastornato
dalle sensazioni che il sogno gli aveva lasciato,
lasciò che i suoi occhi esplorassero
l’oscurità.
Davanti
a lui, si estendevano campi su campi coltivati.
A
quel paesaggio così piatto, il ragazzino
preferì senza indugio il velluto bluastro del cielo,
punteggiato di stelle.
Una
parte della sua testa – quella meno incline a pensare al
sogno – si domandò che fine avessero fatto tutte
le foreste.
Storse
le labbra. “Domanda stupida” si disse.
“Le avranno usate per costruire questo palazzo, dalla prima
all’ultima… Forse qualcuno dovrebbe metterli al
corrente dell’esistenza del duracciaio”.
La
sua mente tornò al bambino, a quel batuffolo di luce. Gli
era sembrato così bello, di una bellezza quasi straziante,
ma allo stesso tempo…
Cercando
di scrollarsi di dosso i rimasugli del sonno, frugò
con lo sguardo tra i minuscoli diamanti sopra di lui, provando ad
individuare la direzione di Coruscant.
«Qualcosa
non va, Obi-Wan?»
Il
ragazzino sussultò e si girò di scatto, le
mani ancora sul parapetto.
Qui-Gon
Jinn – così alto da essersi dovuto chinare
per uscire in balcone – ricambiò il suo sguardo.
Una
vampata d’imbarazzo salì alle guance di
Obi-Wan. «Scusa, Maestro, non intendevo svegliarti»
disse precipitosamente il ragazzino.
«Io…»
«Padawan»
lo interruppe l’uomo, ma non
senza gentilezza. «Puoi rispondere alla mia
domanda?»
Obi-Wan
si morse il labbro. «Sì,
Maestro».
A
quel punto, tuttavia, esitò. Se il sogno era davvero una
visione, lui era un po’ titubante all’idea di
confessarlo al suo mentore, che lo invitava sempre a concentrarsi sul
qui e sull’adesso. D’altro canto, non
c’era persona all’universo di cui il ragazzino si
fidasse di più.
«Io…
ho fatto un sogno, Maestro».
Qui-Gon
non batté ciglio. «Che genere di
sogno?»
Lentamente,
Obi-Wan si staccò dal parapetto, così
da girarsi completamente verso l’uomo. «Penso che
fosse… una visione».
«Vuoi
parlarmene?»
Obi-Wan
sbatté le palpebre. «Be’,
c’era… un bambino. Che piangeva. Non si era
spaventato o fatto male, stava solo… nascendo».
Qui-Gon
non disse nulla, invitandolo a proseguire con un cenno del
mento.
Un
po’ più sicuro, Obi-Wan continuò:
«Mentre piangeva, io mi sentivo strano. Non solo
perché non sapevo cosa fare, ma anche per i
miei…» Inghiottì, prima di tirare fuori
la parola. «…sentimenti».
Qui-Gon
notò lo sforzo, ma non se ne stupì.
Obi-Wan
aveva soltanto quindici anni, eppure pretendeva da se stesso il
controllo di un apprendista ben più vecchio ed esperto.
Preso
dall’ansia di essere il Padawan perfetto, tentava di
celare qualsiasi debolezza… e anche qualsiasi cosa che
potesse essere ritenuta tale.
Talvolta,
Qui-Gon avrebbe voluto dirgli che Obi-Wan Kenobi –
con tanto di pregi e difetti – valeva mille volte un Padawan
perfetto.
Siccome
il ragazzino continuava a tacere, l’uomo prese
parola. «Che cosa provavi?» domandò,
osservandolo intensamente.
Obi-Wan
deglutì. «Io… È
strano, Maestro. Da una parte, era… era come se avessi
aspettato quel bambino da tanto tempo». Abbassò lo
sguardo, sforzandosi di ricordare. «Era come se lui fosse
il… il dono più grande che potessi ricevere.
Dall’altra parte… mi faceva paura».
Quell’ammissione
fu poco più di un sussurro.
Obi-Wan
si morse il labbro, poi alzò gli occhi, e Qui-Gon
sbatté le palpebre.
Quell’Obi-Wan
sembrava così giovane e vulnerabile,
avvolto nei propri abiti chiari contro il buio della notte, ma il suo
sguardo… il suo sguardo era greve e tormentato, e lo faceva
sembrare in qualche modo più vecchio.
Come
se avesse visto tutto, dell’universo, incluso
ciò che non poteva ancora capire.
Sembrava
più vecchio, tenace… e spaventato.
Con
un passo, Qui-Gon annullò la distanza tra loro. Mettendo
le mani sulle spalle del ragazzino, si abbassò appena per
incrociare il suo sguardo.
«Ricordi
cosa ti ho detto delle visioni, Obi-Wan?»
Il
ragazzino inspirò. «Di non pensarci
troppo» rispose. «Di non lasciare che mi
condizionino. Se è volere della Forza che si realizzino, si
realizzeranno, che io cerchi di ostacolarle o meno».
Verificato
– senza meravigliarsene troppo – che
Obi-Wan ricordava quel suo discorso quasi parola per parola, Qui-Gon
annuì. «Molto bene».
Il
ragazzino si mosse appena. «Però,
Maestro…» cominciò, per poi bloccarsi
subito.
Qui-Gon
aggrottò la fronte. «Cosa?»
«Questa
visione era… strana». Obi-Wan
esitò, cercando le parole più adatte per
spiegarsi. «Sembrava che fosse creata dalla Forza Vivente,
non da quella Unificante. Io credo che quel bambino sia nato
oggi».
Qui-Gon
tacque, stringendo appena le spalle di Obi-Wan.
Di
consueto, la Forza Vivente comunicava emozioni,
avvertimenti… non visioni.
Quel
fatto reclamava una riflessione, ma l’uomo
lasciò da parte quei pensieri, concentrandosi sul compito
davanti a lui: tranquillizzare il suo allievo.
«Se
questo è vero, Obi-Wan, e la tua visione si
è già avverata, dovresti preoccuparti ancora
meno».
«Ma
il…» Obi-Wan deglutì.
«Il bambino. È come se la sua esistenza avesse
cambiato tutto, ma il presente non dovrebbe influenzare così
tanto il futuro. Una nascita non dovrebbe essere così
rumorosa».
Il
suo sguardo cadde, e lui si ritrovò a fissare gli stivali
del suo mentore.
“Una
luce simile dovrebbe essere bella, non
accecante”.
Sentendo
quel pensiero al pari delle parole del ragazzino, Qui-Gon mise
una mano sotto il mento di Obi-Wan. «Padawan,
guardami».
Due
riluttanti occhi grigio-azzurri si alzarono su di lui.
«Il
presente condiziona sempre
il futuro. Ed il futuro
è sempre incerto».
Obi-Wan
parve rilassarsi appena, ma sembrava ci fosse un pensiero che
lo turbava. «È solo che… Il
bambino» disse, quasi addolorato.
«Perché qualcosa di così bello dovrebbe
portare tanta sofferenza?»
Qui-Gon
lo guardò, mantenendo un’espressione
calma. «Che genere di sofferenza?»
Il
ragazzino si strinse nelle spalle. «Non… non ne
sono sicuro, Maestro» ammise. «Una grande
sofferenza.
Non ne ho mai sentita una simile».
Ci
fu un istante di silenzio.
Qui-Gon
sfiorò la mente di Obi-Wan. Non riuscì a
percepire nemmeno un brandello del dolore di cui parlava il
ragazzino, ma avvertì quanto l’apprendista ne era
turbato.
«Di
fronte a quella sofferenza» riprese infine Obi-Wan,
in tono piatto, «ho pensato… ho pensato che avrei
dovuto rinunciare al dono… Anche se sembrava terribile, fare
una cosa simile… Anche se sembrava un prezzo
ingiusto».
Qui-Gon
guardò l’espressione del ragazzino, e fu
tentato di allungare una mano, di passargli le dita sulla fronte per
cancellare le rughe dalla pelle morbida.
«Sai
cosa credo, Obi-Wan?» chiese invece,
quietamente. «Che chi riceve un dono debba accettarlo, non
rinunciare alla felicità per la preoccupazione di un domani
che potrebbe non arrivare».
Obi-Wan
alzò gli occhi su di lui, esitante.
«La
felicità del presente non dovrebbe essere
schiacciata dal dolore del futuro. Il presente è reale, il
futuro è intangibile».
«Ma
il futuro diventa il presente, Maestro»
obiettò il ragazzino. «Alla fine».
Qui-Gon
quasi sorrise. «Non tutti i futuri,
però».
Obi-Wan
distolse lo sguardo, pensieroso. Parve ponderare a lungo le
parole del suo Maestro, e l’uomo attese senza impazienza,
concedendogli tutto il tempo che gli serviva.
Alla
fine, fu come se un gran peso fosse stato tolto dalle spalle di
Obi-Wan – e Qui-Gon temette il giorno in cui su quel
ragazzino sarebbero stati posti dei macigni che lui non avrebbe potuto
alleggerire.
Lentamente,
Obi-Wan gli sorrise, con una malizia che l’uomo
riconobbe immediatamente. «Ma Maestro, mi hai suggerito di
accettare doni?» chiese, quasi petulante. «Non va
contro le regole dei Jedi sul possesso?»
Qui-Gon
cercò di indirizzargli un’occhiata severa
invece di lasciarsi scappare un sorriso, ma il brillio negli occhi di
Obi-Wan lo informò che aveva fallito miseramente.
«Credo
sia ora che tu torni a dormire, Padawan»
dichiarò, assumendo un tono ammonitore. «O
domattina non mi premurerò di chiedere che il tuo cibo sia
morto, prima di essere servito».
L’orrore
passò sul viso di Obi-Wan.
Non
appena Qui-Gon si fece da parte e gli fece cenno di passare, il
ragazzino si affrettò ad entrare nella stanza.
Intimamente
divertito dal risultato ottenuto, Qui-Gon lo
seguì.
Obi-Wan
si era seduto sul letto, ed aveva già infilato le
gambe sotto le coperte.
L’uomo
lo osservò. «Ne deduco che la
cena non ti è piaciuta».
Il
ragazzino parve un po’ contrariato dal commento, e Qui-Gon
fu tentato di dirgli che era stato proprio lui – con le sue
eterne battutacce – ad inspirargli un simile senso
dell’umorismo.
Invece
scosse la testa ed affermò: «La colazione
di domani non si muoverà, Obi-Wan. Oppure, ancora meglio,
potrebbe essere costituita da cereali».
Obi-Wan
lo guardò con aria riconoscente. «Grazie,
Maestro».
Qui-Gon
sorrise appena. «Ah, Obi-Wan?»
«Sì,
Maestro?»
L’uomo
incrociò con fermezza il suo sguardo.
«Non preoccuparti per quella visione».
Obi-Wan
abbozzò un sorriso. «Sì,
Maestro. Ci proverò».
«Ci
proverai?» replicò Qui-Gon,
inarcando un sopracciglio. «Sai cosa direbbe il Maestro Yoda,
vero?»
«Certo
che lo so» rispose il ragazzino.
«Ma tu non sei il Maestro Yoda».
L’uomo
annuì. «Per tua fortuna. Ed ora
farai meglio a metterti a dormire».
Il
ragazzino si sdraiò, tirandosi le coperte sin sotto il
mento. Rimase fermo, lo sguardo puntato verso il soffitto, e Qui-Gon
percepì la sua malinconia.
Andò
a sedersi silenziosamente sul proprio materasso.
«Buonanotte, Obi-Wan» augurò, usando un
alito di Forza per chetare la mente dell’apprendista.
«Buonanotte,
Maestro» rispose Obi-Wan, trattenendo
uno sbadiglio e girandosi su un fianco.
Sembrava
già più tranquillo.
Il
suo sguardo trovò quello dell’uomo, ma dopo
qualche istante le sue palpebre iniziarono a calare ed il suo respiro
rallentò.
Nel
giro di poco tempo, il ragazzino scivolò in un sonno
profondo.
Siccome
la treccia da Padawan gli ricadeva sul viso, Qui-Gon si
alzò dal proprio letto e si avvicinò per
scostargliela dalla faccia.
Obi-Wan
non si mosse, e l’uomo lasciò che la sua
mano indugiasse davanti alle labbra dischiuse del suo apprendista.
Il
respiro di Obi-Wan, caldo e regolare, gli sfiorò la pelle.
Qui-Gon
osservò in silenzio quel volto familiare. Con gli
occhi chiusi e la guancia affondata contro il cuscino, Obi-Wan sembrava
poco più di un bambino.
Come
se gran parte dei suoi quindici anni fossero stati dispersi dalla
notte.
Il
Maestro Jedi rimase in piedi accanto al suo letto, vegliando in
silenzio su di lui.
Pensò
al sogno che aveva avuto il ragazzino, e la
preoccupazione offuscò i suoi occhi penetranti.
“Oh,
Forza, ti prego… Dagli la
felicità, dagli qualsiasi dono tu voglia. Ma non il dolore
di cui parlava. La vita di un Jedi è sempre difficoltosa,
non aggiungere altri ostacoli sul suo cammino”.
Quella
notte, le preghiere di Qui-Gon Jinn rimasero inascoltate.
A
pianeti e pianeti di distanza, Anakin Skywalker dormiva profondamente.
Teneva
un pugnetto accanto alla bocca, soddisfatto dalla poppata che
gli aveva riempito il pancino.
E
forse, chissà, sognava un ragazzino dai capelli rossicci e
gli occhi chiari.
Note:
Questa one-shot risale a giugno… Mi auguro soltanto di non
aver fatto male a riesumarla dalla mia cartella…
Spero vi sia piaciuta, insomma.
(P. S. Vuol dire che la mia pignoleria è giunta a livelli
tossici, se soffro per il fatto che al nome di Qui-Gon, nella lista dei
personaggi, manca il cognome e una lettera maiuscola?)
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