CAPITOLO 9
Dream a dream, and what you see will be
Aprì gli occhi.
La luce glieli fece pizzicare pesantemente, si mise a stropicciarli.
Doveva essersi appisolato.
….
Intorno a lui sentì una sensazione strana, di torpore, non sapeva spiegarla
bene, ma comprese che si stava trovando in un sogno.
Sì, gli capitava spesso di sognare e di esserne perfettamente consapevole.
Era questo il bello dei sogni.
Ed anche l’amaro.
Perchè viveva la sua fantasia, sapendo però che era destinata a finire, da un
momento all’altro, con uno schiocco delle dita.
Si guardò intorno.
Tutto era bianco.
Indefinito.
Era dentro ad una stanza vuota e bianca, di cui non vedeva né le pareti, né il
soffitto sopra di sé.
C’era solo quel grande bianco che lo avvolgeva tenuemente.
“Georg…”, lo chiamò una voce dietro a lui.
La riconobbe, non ci fu bisogno che si voltasse per sapere che apparteneva a
Mondenkind.
Solo allora il posto in cui si trovava prese forma.
Apparvero le pareti: stondate, come se la stanza fosse stata circolare,
continuavano intorno a loro curvilinee, per unirsi poi qualche metro sopra le
loro teste. Decorazioni su di esse, linee sinuose che partivano dalla base del
pavimento ed arrivavano fino in cima.
Camminava su una grandissima lastra di marmo bianco: quel pavimento che vedeva
sotto i suoi piedi non aveva un’imperfezione, una macchia.
Un grande letto, o forse un divano. Anch’esso bianco, tondo, ripieno di cuscini
e di coperte bianche che scendevano morbide e toccavano terra.
Su di essi lo aspettava Mondenkind.
“Ciao…”, le disse Georg, “Che piacere vederti sveglia...”
Lei sorrise, con le dita che andarono a coprire una parte di quella smorfia
gioiosa. Abbassò impercettibilmente la testa, come imbarazzata da quel gesto di
poco rispetto. Dileguò gli occhi felici altrove, prima di ripristinare la sua
serietà.
“Mondenkind…”, le fece, ma lei lo interruppe con un cenno di mano.
“Non più.”, disse lei, scuotento lievemente la testa.
Georg ammutolì ma poi, in un lampo di ricordi, comprese.
“Sì... è vero!”, disse Georg, “Nel gioco che abbiamo fatto ti ho dato il nome
di Mitternacht. Ti piace?”, le domandò.
L'assurdità dei sogni: essere in una fantasia
e tenersi sempre attaccati alla realtà.
“A te piace?”, domandò lei a sua volta, senza rispondere.
“Beh... è il titolo di una canzone ed è tanto strano quanto Mondenkind. Quindi
è perfetto!”, scherzò Georg.
Mondenkind, o meglio, Mitternacht non rispose. Né sorrise. Non parlò nemmeno:
stava semplicemente seduta sul suo letto, con le gambe piegate di lato sulla
comoda rivestitura e coperte dalla lunga veste bianca. Un alone impercettibile
contornava la sua figura, rendendola quasi evanescente, simbolica.
Si stupì di come la sua immaginazione potesse averla trasformata da bibliotecaria
bruttina a regale figura a lui sconosciuta.
Sì, la Mitternacht
del suo sogno sembrava veramente una regina. E quella doveva essere la sua
camera privata. Chissà per quale assurdo motivo si stava trovando in quel
sogno. Chissà a quale immagine nascosta nel suo inconscio aveva attinto la sua
mente...
Poi, per uno strano processo mentale che non era riuscito a
controllare, avanzò un'ipotesi.
“E quindi, in questo mio sogno,”, disse Georg, rendendosi conto della
situazione in cui si stava trovando, “tu saresti l’Imperatrice Bambina… e io
magari sono Atreiu. E adesso sono qui da te perchè ho trovato il Bastian di
turno che sta per salvarti!”
Gli venne da ridere e lo fece molto volentieri. Ripensandoci, non stava
poi tanto male con la divisa di quel personaggio...
Mitternacht scosse la testa.
“Tu sei Georg.”, disse lei, sorridendo, “E questo non è un sogno.”
Ah sì certamente, sbottò dentro di sè Georg.
Sarebbe stato come chiedere ad un pazzo se pensasse di esserlo veramente. Era
ovvio che quello rispondeva di no, che non era matto.
“E allora che cos’è?”, fece Georg, continuando nell'ilarità del momento.
Mitternacht poggiò i piedi sul pavimento freddo, si alzò e gli venne incontro.
La sua veste, lunga fino a terra, era così bianca che pareva splendere di luce
propria. Era larga e la copriva interamente, fermata con una fascia intorno
alla sua esile vita. Un passo dopo l’altro, le punta delle piccole
dita spuntavano dall'ampia gonna. I lunghi capelli neri, conosciuti
sempre in una treccia, stavano liberi, lievemente mossi lungo la schiena. Un
paio di ciocche invece le ammorbidivano le spalle fino al petto, mentre un fine
nastro bianco le contornava la fronte.
Gli occhi, chiari come non mai, sembravano di vetro.
“Grazie per avermi dato un nuovo nome, prima che fosse stato troppo tardi.”, disse
Mitternacht.
La sua voce suonava limpida e cristallina, non c’era l’ombra della timidezza
che l’aveva contraddistinta quando l’aveva conosciuta.
Gli tornò a mente quando aveva immaginato suo nonno rincorrerlo con il giornale
arrotolato e gli venne da sorridere ancora. Ma nessuna smorfia divertente
trasparì sul suo volto: era totalmente frastornato dall'aura potente di
Mitternacht. Poco più bassa di lui, lo sovrastava con la potenza che la sua
esile figura sembrava emanare.
In quel momento, si sentì proprio come l'Atreiu che aveva citato con ilarità
pochi attimi prima: sconfitto dinanzi a lei, non era riuscito a portarle il
Figlio d'Uomo che doveva darle un nuovo nome, aveva fallito la Grande Ricerca. Si
sentiva... inutile. E provava un terribile senso di sconforto.
Che sogno…
“Beh… prego...”, disse Georg, ammutolendo.
“Per la prima volta ho davvero pensato che sarebbe svanito... Tutto..”,
disse Mitternacht.
La sua voce riflettè una profonda tristezza che colpì molto Georg.
Da una parte, sapeva di essersi addormentato sulla sedia vicino al letto di
Mondenkind.
Dall'altra gli pareva quasi che quell'immaginazione fosse troppo vivida per
essere, appunto, un'immaginazione. L'empatia non era una caratteristica del suo
carattere, anzi... ma era come se una sottile linea collegasse invisibilmente
il suo cuore a quello di Mondenkind. Ed adesso che lei era triste, anche lui lo
era.
“Perchè dici così?”, domandò, impaurito nel sapere la risposta.
In fondo, la conosceva bene.
“Le altre volte bastava che qualcuno leggesse il libro. Ed al
momento giusto, tutti avevano saputo darmi un nome.”, disse Mitternacht, con la
delusione dipinta sul suo volto.
Da pallido e senza vita, era di nuovo roseo. Di porcellana. Gli occhi così
cristallini sembravano quasi finti, come quelli di una bambola.
“Come ho fatto io in ospedale?”, si azzardò a dire Georg, con ironia.
Meglio mantenere il contatto con la realtà.
Lei gli sorrise.
“Sì, proprio come hai fatto tu, Georg… Ma non mi sono mai dovuta esporre così
tanto per attirare la tua attenzione.”
Attenzione?
“La mia attenzione?!?”, sbottò il ragazzo, con aria perplessa.
Mitternacht annuì mestamente.
“Sì… è stato difficile... Tu non volevi starmi a sentire.”
Georg la guardò stupito.
“Beh… io….”, borbottò, sforzandosi di comprenderla.
“Rubasti il libro, come doveva succedere.", disse Mitternacht,
"Iniziasti a leggerlo, ti appassionasti… ma poi lo riportasti nella
libreria…", si preoccupò, "Fortunatamente tornasti a riprenderlo, ma
comunque non capivi…”
Aveva ripercorso in un istante gli avvenimenti strani che lo avevano coinvolto.
“Non è stato facile lasciare il mio posto per stare vicino a te. Stavolta la Grande Ricerca del
Figlio dell'Uomo che doveva darmi un nome nuovo non è stata compiuta da Atreiu.
Stavolta Atreiu ha veramente fallito il suo compito... ed ho dovuto portarlo
avanti io stessa, lasciando Fantàsia.”, disse poi.
Posto? Quale suo posto?
“Un momento!”, esclamò Georg, mettendo le mani in avanti, come per fermarla sul
serio, “Se ho capito bene… e questo sogno non può essere più assurdo di così…
tu, Mitternacht... sei... l'Imperatrice di Fantàsia?", era pazzesco,
"E hai lasciato il tuo posto per stare accanto a me?!?", sbuffò
divertito, "Dio mio… devo smetterla di mangiarmi la pancetta a colazione!
Fanno male ai miei pisolini!”
Rise con forza.
Di sogni strani ne aveva fatti… ma quello li batteva tutti!
Lei lo guardò.
Seria, risentita. Offesa.
Ma poco di tutto questo trasparì sulla sua faccia.
La sua figura, benché all’apparenza fosse piccola e fragile, trasmetteva un
fortissimo senso di autorità e di importanza, ma soprattutto di regalità. Georg
poteva vederlo, poteva sentire tutto questo. Lo notava nei suoi sguardi, nelle
sue parole, nei suoi gesti e nel suo muoversi.
Quel sogno era terribilmente reale.
Era un viaggio mentale veramente sopraffino.
“Ho dovuto farlo. Tu non mi volevi ascoltare ed io avevo bisogno del tuo
aiuto.”, disse Mitternacht, con voce profondamente solenne.
Non voleva darle spago. Avrebbe sentito solo assurdità fin troppo
insopportabili anche per un sogno.
Ma era mosso da una curiosità irrefrenabile.
Era sempre diviso tra due Georg: uno estremamente realista, consapevole
del momento di sonno che stava vivendo. L'altro, invece, si attaccava alle
parole di Mitternacht e pendeva dalle sue labbra. Voleva saperne di più a tutti
i costi.
Una sintesi portò Georg a continuare quella conversazione onirica, cercando
però di rimanere il più distaccato possibile.
“Va bene… e perchè proprio del mio aiuto?”, disse, arrendendosi.
“Perchè tu eri l’unico che avrebbe potuto farlo. Avevi bisogno di me così come
io di te.", gli disse, sorridendogli, "Ti ho osservato per tanto
tempo, Georg. Ti ho visto perdere la speranza. Ti ho visto commettere errori,
sono sempre stata con te.”
“Con me? Ma se io non ti ho mai visto!”, protestò lui, che adesso voleva
davvero liberarsi di questo incubo.
Basta, era troppo.
“Ero con te quando hai preso il libro. Ero con te quando hai iniziato a
leggerlo. Ero con te quando ti arrabbiavi. Sono stata con te sempre.”, disse
Mitternacht, “Tu sai perchè sono dovuta venire in questo mondo. Tu lo sai.”
Georg si toccò la testa, come se quel gesto potesse aiutarlo a capire.
E perchè doveva saperlo?
“Dovrei saperlo davvero?”, fece.
“Sì… lo hai letto tu stesso nel libro…”, disse Mitternacht, abbozzando un
sorriso, “Ogni minuto che passava, per colpa del fiume di menzogne che usciva
da Fantàsia e si riversava sul mondo degli uomini, i nostri mondi si
allontanavano sempre di più… e con questo anche la possibilità che tu mi
aiutassi. Ho contravvenuto a delle regole immemorabili per venire qua, non
volevo che i nostri due universi venissero distrutti per sempre. E mi sono
sottoposta a rischi inimmaginabili. Ma alla fine ne è valsa la pena.”
Era inutile dire quanto tutto quello era suonato incredibile alle orecchie di
Georg.
“Perché… perchè avresti scelto proprio me… non leggo, non mi piacciono le cose
fantastiche!”, disse il ragazzo.
“Ho scelto te perchè sei speciale, Georg. Perchè tu hai la fiducia.”,
gli rispose Mitternacht, “Forse pensi di averla persa, ma è ancora dentro di
te.”
“Fiducia in cosa?”, fece lui, “Mitternacht, spiegati meglio!”
“Hai fiducia in ciò che sei. In ciò che vuoi essere e in quello che sarai. Ma
stavi vivendo in un mondo mangiato dal Nulla. Qua, dove vivo io, le mie terre
stavano scomparendo. Da voi, nel mondo umano, stavano mancando i sentimenti, le
emozioni, rimpiazzate da bugie e da menzogne. Eppure tu, così come tantissime
altre persone, in fondo al tuo cuore non demordevi, hai sempre sperato in
qualcosa di meglio per te... E per il tuo gruppo...", disse
Mitternacht, intensificando voce e sguardo, "Ed io avevo bisogno di
qualcuno come te.”
No... non lui...
“Perchè non gli altri? Magari un bambino come Bastian!”, fece Georg, “Con
qualcuno così sarebbe stato più facile!”
“Ma sei stato tu a volere entrare nella libreria…”, disse Mitternacht,
sorridendo con semplicità.
Georg guardò intorno a sé, cercando un appiglio a cui aggrapparsi. Una folla di
domande, di punti interrogativi, aveva saturato la sua mente. Non sapeva più
quale di queste porre in un senso minimamente logico. Tirò fuori la prima
esclamazione che gli salì in bocca.
“Tu... Tu sei una persona reale! Mi hai toccato, ho sentito il calore
della tua mano! Sei vera! E tuo nonno! Anche lui è vero, è vivo!”
“Mio nonno? Il signor Metternich?”, fece Mitternacht.
“Sì, proprio lui!”, confermò Georg, con sicurezza.
“Io non ho genitori.", disse Mitternacht, "E questo tu, in fondo, lo
sai... Tu sai che io esistevo anche prima di Fantàsia stessa. Lo hai letto
nel libro... E se non ho genitori, non ho nemmeno dei nonni.”
Georg rimase allibito.
“Non è vero, l’ho visto con i miei occhi! Tu e lui siete di carne ed ossa, non
siete immaginari!”, dichiarò Georg, parlando così velocemente da confondersi
per un pazzo, "Nella realtà tu sei Mondenkind e sei in un lettino
d’ospedale, in attesa che ti curino… e ti ho dato un nuovo nome solo per
scherzo, perché avevo la canzone di LaFee in testa!"
La faccia di Mitternacht si fece lievemente dubbiosa. Ma era come
se fosse aspettata da sempre quella reazione di totale incredulità.
Non si scompose e tornò a parlare.
“Quando entrasti nella libreria… e vedesti la poltrona voltata…", disse
lei, "Pensasti subito ad un vecchietto, grassoccio, con la pipa ed anche
un po’ antipatico. Non è vero? Poi la poltrona si voltò... Ed ecco il signor
Metternich. Tu volevi che il signor Metternich avesse quell’aspetto", e si
preparò con un sospiro, "E tu hai creato la libreria… un pezzo alla
volta…”
Georg non capiva, non comprendeva niente di tutto quello che Mitternacht
diceva. Gli ci vollero diversi secondi prima di potersi raccapezzare di nuovo.
Era totalmente frastornato.
“Un momento…", realizzò poi, "Come fai a sapere che io ho veramente
immaginato un libraio del genere prima di vedermelo apparire davanti… tu non
puoi leggermi nella mente!"
Mondenkind gli sorrise.
“Il mondo di Fantàsia si costruisce di sogni, desideri e di
volontà. Tu volevi un libraio fatto in quel mondo e lo hai avuto. Io te l’ho
dato. Sogna un sogno, e quello che vedrai diventerà realtà. Per venire
qua ho dovuto creare un varco, un pezzo di Fantàsia in cui poter stare. E, come
ti ho appena detto, Fantàsia vive delle voste fantasie. La libreria era un
piccolo frammento del mio mondo dentro al vostro e tu, grazie alla tua
immaginazione, lo hai formato, gli hai dato vita. Non posso entrare nella
vostra vita umana se non siete voi a volerlo. Questa è la legge fondamentale
che regola i nostri rapporti.”
“Ma tutto questo non ha senso!”, sbottò Georg, portandosi le mani tra i capelli.
“La libreria… il libraio… sono fatti come vuoi tu , Georg. Li hai inventati tu.
Noi siamo del mondo di Fantàsia e prendiamo la forma che voi umani volete farci
avere.”, gli ripetè nuovamente Mitternacht.
“Ma la libreria è vera! Esiste veramente!”, protestò Georg, con forza.
Mitternacht scosse la testa.
“Se vuoi che esista, essa esisterà. Tu volevi un riparo per fuggire da quelle
ragazze che ti stavano inseguendo. E io volevo che qualcuno come te venisse ad
aiutarmi, ma non potevo farlo da sola, avevo bisogno che tu lo volessi.
Io ho fatto la libreria, tu ci sei voluto entrare dentro per salvarti…. E così
hai salvato anche me. La mia volontà non si concretizza finchè essa non
coincide con la vostra.”
Mio dio, quel sogno stava sfidando le leggi dei Freud.
Sentì il cuore impazzirgli nel petto. Lo sentiva rimbombare
nelle orecchie, nel cervello. Le vene gli pulsavano nelle mani, diventate
improvvisamente calde.
“Mitternacht…”, disse Georg, “Devo essere sincero… io voglio svegliarmi.”
“Lo vuoi veramente?”, fece lei.
La risposta tardò ad arrivare.
Georg non sapeva cosa fare, né cosa dire. Aveva ancora tantissime domande che
sbattevano nella sua mente.
Cercò di appellarsi al poco di razionalità che sapeva di avere ancora in
sè.
“Se voi di Fantàsia siete fatti come noi vogliamo…”, disse poi, “Allora anche
tu sei come io voglio che tu sia… Io ti vedo come ti voglio vedere. Il tuo
aspetto, quello vero, è del tutto diverso… ”
Mitternacht scosse la testa.
“Questa sono io.”, disse.
“Ma nel libro i capelli dell’Infanta Imperatrice sono talmente biondi da
sembrare bianchi… e poi è una bambina… e tu sei una ragazza.”, le fece notare
Georg.
“In passato mi hanno descritto come un drago. Come un mostro. Una sirena, un
falco, una stella. Persino come una dea. Ma io ho sempre avuto questo aspetto.
Io esisto così.”, disse Mitternacht.
“In passato?”, chiese Georg, sempre più in difficoltà.
“Il libro è soltanto uno dei mille modi per entrare in contatto con
voi.”, gli spiegò Mitternacht, “Prima di quello ce ne sono stati altri,
centinaia di altre storie come quella. E tutte avevano la stessa funzione.
Catturarvi per aiutarci. Le parole sono il mezzo che abbiamo per stregarvi, se
così si può dire. Scritte o parlate, sono magiche. Una parola, presa da
sola, non ha tutto questo potere. Ma un insieme continuo ed ordinato di lettere,
parole, frasi, capoversi e capitoli può fare questo. E molto altro.”
Georg ascoltava tutto quello che usciva delicatamente dalla bocca di
Mitternacht.
E comprese.
Lei, con quelle parole, lo stava stregando.
Gli stava facendo credere che ora, come in passato, Fantàsia era stata salvata
più volte da persone come lui, che le avevano dato un nome nuovo.
Gli stava facendo credere che la libreria non era mai esistita prima del
momento in cui lui, inconsciamente, aveva voluto che comparisse davanti ai suoi
occhi, per entrarci dentro e sfuggire dalle fans che lo inseguivano, e che era
stato lui a particolareggiarla, con la sua fantasia.
Gli stava facendo credere che il signor Metternich, suo nonno, era come lo
vedeva perché lui, prima di veder voltare la poltrona, se lo era immaginato in
quel modo. Vecchio, piccolo e burbero.
Gli stava facendo credere che lei, Mitternacht, prima conosciuta come
Mondenkind, era l’Imperatrice Bambina ed era venuta nel suo mondo reale
per riuscire ad avvicinarlo e fargli dire il nuovo nome che l’avrebbe
salvata, perché altrimenti lui non ci sarebbe riuscito.
Gli stava facendo credere che lui, Georg Moritz Hagen Listing, era stato da lei
stessa scelto perché aveva la fiducia, come lei l’aveva chiamata, perché
aveva la speranza…
Doveva svegliarsi…
“Ma che bella storia!”, esclamò Georg, “Veramente! Non ho mai fatto un sogno
così reale e ben dettagliato. Se mi svegliassi e mi ricordassi di tutto questo,
potrei dedicarmi alla scrittura invece che alla musica!”
Mitternacht tornò ad offendersi per le sue parole e si incupì.
“Scusami… no volevo farti arrabbiare…”, disse Georg, vedendola corrucciarsi.
Ma ci si poteva sentire in colpa per aver offeso qualcuno in un sogno?
“Adesso vuoi ancora andartene?”, gli chiese Mitternacht.
Ancora Georg esitò nel darle una risposta.
Mitternacht, vedendolo indeciso, gli si avvicinò ancora di più.
Gli prese le mani.
Georg sentì ancora il calore pervaderlo, dalle mani fino al cuore.
Era un caldo profondo, indescrivibile, vero, come quello che aveva percepito
quando lei l’aveva toccato, qualche giorno prima, nella libreria.
Era un caldo che riempiva tutti i vuoti.
Era un caldo cosciente di esserlo.
Un caldo che… stregava.
“Hai dato un nuovo barlume di speranza ai nostri due mondi.”, disse
Mitternacht, “Te ne sarò infinitamente grata.”
Gli sorrise ancora, come aveva fatto tantissime altre volte, in
quell’immaginazione. Poi alzò gli occhi, verso la cupola di quello strano posto
e la indicò, con la punta del suo dito.
Georg seguì titubante la direzione del suo sguardo e vide come un piccolo buco
aprirsi sulla sommità del soffitto. Le pareti, silenziose come non mai, si
mossero. L’apertura prese ad allargarsi e le mura intorno a loro si
abbassarono, come i petali di un fiore che stava sbocciando, in primavera.
Il bianco candore che aveva illuminato la sua vista lasciò lo spazio alla
notte. Non vide altro che stelle sopra la sua testa, grandi, incredibilmente
luminose, ed un plenilunio lucente. Poi abbassò lo sguardo e intorno a loro
apparvero, nella penombra lunare, montagne innevate, deserti roventi, pianure
desolate e colline ondeggianti.
“Wow…”, fu l’unica parola che uscì dalla sua bocca.
“E’ tempo per te di svegliarti, adesso.”, disse Mitternacht.
“Ma dove siamo…”, fece Georg, estasiato dalla vista di tutti quei punti
luccicanti nel cielo, tanti finissimi diamanti gialli.
“Secondo te?”, chiese retoricamente Mitternacht.
“La Torre D’Avorio
per caso?”, cercò di indovinare, ma non ricevette alcuna risposta, né di
assenso, né di diniego.
“Ricordati Georg.”, disse poi Mitternacht, “Fa ciò che vuoi.”
“Ok…”, disse lui, sorridendo vagamente.
I contorni di Mitternacht diventarono sempre più labili e inconsistenti, finchè
sparì completamente dalla sua vista. Così accadde anche al posto in cui si
trovava e anche a…
“Signore… signore si svegli!”, disse qualcuno, che nel frattempo lo stava
scuotendo per le spalle.
Georg alzò il viso e, con qualche difficoltà, aprì gli occhi impastati.
“Signore, l’orario delle visite è terminato, deve lasciare la stanza.”, lo
informò di nuovo l’infermiera.
“Ah…”, disse lui, quando ebbe recuperato le sue facoltà mentali.
Realizzò di essere nella camera di Mitternacht… di Mondenkind.
Era ancora distesa sul letto, davanti ai suoi occhi. Sempre nella medesima
posizione. Controllò il suo respiro, si accertò che stesse bene. Le toccò la
fronte, come se volesse sapere se aveva la febbre. Almeno quello sarebbe stato
il segno che dentro di lei quella strana e sconosciuta malattia si stava
agitando, invece di rimanersene nascosta.
E si ricordò del sogno appena fatto…
Un insieme di circostanze fortuite avevano portato a farlo vivere quel viaggio
onirico senza precendenti. Mondenkind che stava male, il libro sul comodino…
tutte quelle analogie e così via.
Nel mentre che concretizzava il suo stato, l’infermiera lo esortò ancora a
lasciare la stanza e Georg, con educazione, salutò Mondenkind con un gesto di
mano ed un sorriso. Con il libro tra le mani, si riavviò verso casa.
***
Concluse la
lettura in pochissime ore.
Appena tornato a casa, prese il libro e lo bevve, letteralmente. Una lettera
dietro l’altra, una parola dietro l’altra, una pagina dopo l’altra. Arrivò alla
conclusione.
Ma il libro non sembrò dissetarlo, affatto.
Bastian, con al collo Auryn, ridette vita a Fantàsia attraverso i suoi desideri
ma, paradossalmente, si perse dentro di essa, insieme ai frammenti della sua
memoria. Quello che lui creava, attraverso la propria volontà, diventava vero,
nel presente e nel passato di Fantàsia… In altre parole, quando lui desiderava
una cosa, essa esisteva e sarebbe sempre esistita, anche nel passato stesso
della cosa.
Concetto difficile da capire per Georg, ma non potè fare a meno di collegare
questo difficile concetto con quello che gli aveva detto Mondenkind nel sogno…
Lui aveva voluto un posto in cui nascondersi per liberarsi dalle fans che lo
inseguivano? Ed esso era esistito.
Era spuntata fuori la libreria.
‘Sogna un sogno e questo diventerà realtà…’, aveva detto Mondekind.
Un’altra cosa lo aveva colpito abbastanza…
Negli ultimi paragrafi del libro, quando Bastian ritornava dal signor
Koreander, scopriva che anche il vecchio libraio aveva conosciuto, a suo tempo,
l’Imperatrice Bambina e le aveva dato nuovo nome. E Koreander gli spiegò anche,
come aveva fatto Mondenkind, che c’erano tantissimi altri libri che avevano il
potere di portare il lettore nel mondo di Fantàsia… Dipendeva solo da chi li
leggeva, perchè non in tutte le mani essi diventavano magici.
L’ultima importante riflessione. Forse la più fondamentale.
In un prologo immaginario, Georg si ricordò alcune cose che aveva studiato alle
scuole superiori per la materia psicologia. I sogni spesso andavano a scavare
nei meandri dei ricordi e quindi tutto quello che ci si immaginava, durante la
notte, era qualcosa che era rimasto impresso nella mente, ma
accantonato. Quindi, per essere coerenti, quello strano sogno/incubo
doveva aver fatto riferimento a dei ricordi dimenticati, a dei concetti
che doveva aver trovato nel libro ma di cui non rammentava.
Eppure, Georg si era fermato a metà lettura. E tutto quello che era uscito
dalla bocca di Mondenkind era impresso nelle pagine da lui ancora inesplorate
prima di quel sogno... e che solo ora aveva letto.
Non aveva potuto quindi sapere quelle cose.
Il sogno era il suo, lo aveva partorito la sua mente. Se non aveva letto quei
capitoli, e sapendo anche che non aveva tutta la fantasia per inventarsi cose
del genere, come poteva Mondenkind, o Mitternacht, avergliele raccontate per
filo e per segno?
Era tutto così complicato ed indecifrabile, tanto da farlo pentire di non
essere diventato psicologo come avrebbe voluto da piccolo…
Ma era stato solo un sogno.
E tale doveva rimanere, per quanto razionalmente assurdo.
Il cellulare squillò, riportandolo alla realtà. Era David.
“Senti Georg…”, gli fece, dopo che ebbe risposto, “Ho bisogno che domani
veniate in studio… tanto per metterlo in chiaro.”
Già.
Metterlo in chiaro.
Scrivere nero su bianco che erano finiti.
Arrivederci e grazie.
“Va bene.”, disse, sospirando le parole, “A che ora?”
“Le undici?”, suggerì l’altro.
“Perfetto.”
E riattaccò.
***
“Hey, Georg…”,
lo prese alla sprovvista David, “Sei malato di Parkinson?”
Era arrivato con circa una mezzora di anticipo all’appuntamento stabilito e
stava aspettando che tutti gli altri arrivassero.
Seduto in sala relax, rimuginava su tantissime cose… e su nessuna di queste.
Basta pensare, basta riflettere, si era detto un attimo prima che David
lo interrompesse, esaudendo il suo desiderio.
“No…”, disse lui, interrompendo il tic alla gamba, “Sono solo un po’… nervoso.”
“Sì… lo siamo tutti.”, disse David, sedendosi di fronte a lui con aria stanca,
a braccia conserte.
“Mi dispiace per quell’intervista…”, disse Georg, sentendosi totalmente
mortificato.
Se c’era stata una possibilità di salvezza per il gruppo, era stata totalmente infranta
dalla sua ingenuità.
“Scusa la finezza ma… Helen te lo ha messo mezzo metro nel culo!”, sbottò
David, in uno sprazzo di triste ironia.
“Sì… hai proprio ragione, David… ma almeno tu mi credi, gli altri tre non ne
vogliono saperne.”, fece Georg, affondando nella comodità del sofà.
David annuì mestamente.
“Non ci rimane altro che aspettarli.”, disse poi.
L’attesa durò solo una decina di minuti. Gustav e di Kaulitz arrivarono quasi
contemporaneamente.
Le bocche totalmente inespressive dei gemelli, con gli occhi tappati dai loro
occhiali da sole, sommate alla completa piattezza della faccia di Gustav,
fecero temere a Georg il peggio. Cioè una nuova litigata.
Erano lì per guardarsi negli occhi e dire: È finita?
Perché girarci intorno facendo le facce incazzate?
Lunghi momenti muti seguirono l’entrata dei tre e continuarono per tutto il
tempo in cui si sedettero di fronte oppure accanto a lui.
Georg si rischiarì la voce con l’intenzione di parlare, di scusarsi ancora, ma
poi ritrasse le sue intenzioni. Meglio lasciar parlare loro, anche se non
sembravano intenzionati a farlo.
“Ragazzi, ho convocato una conferenza stampa per l’una, nella sala conferenze
dell’Hilton.”, disse David, esortando l’inizio di una conversazione.
“Mh, bene.”, disse Bill, stuzzicando l’occhio destro sotto il suo occhiale.
“Comunque… insomma, prima di arrivare là… formalizziamo la cosa tra di noi.”,
disse David.
Georg non volle ammetterlo, ma David aveva la voce lievissimamente rotta. Solo
una lieve increspatura, quando aveva detto ‘la cosa tra di noi’.
“Sì, mi sembra giusto.”, disse Gustav, con aria apparentemente rilassata.
“E’ finita?”, chiese retoricamente Tom.
Cinque paia di occhi che si muovevano, in cerca del fatidico segno di
approvazione sulle facce altrui.
Ma né un sì orale né uno scritto sulle espressioni del viso risuonò tra quelle
quattro mura.
Bill si alzò e, incrociando le braccia, uscì dalla sala relax.
Georg si toccò stancamente le tempie. Aveva un mal di testa pazzesco.
Tom sospirò e dopo un frettoloso ‘scusateci’, raggiunse il fratello.
“Ehm… allora ci vediamo all’Hilton all’una?”, domandò Georg.
Dopo aver ricevuto un cenno di testa positivo da David, lasciò lo studio.
Scansò l’accettazione,
sapeva dove si trovava Mondenkind, non se lo era certo dimenticato in una
notte. Incrociò il dottore che aveva conosciuto il giorno precedente e lo
salutò con un salve e con un sorriso, ricambiato gentilmente dall’uomo.
Era l’ora delle visite, i corridoi erano solcati non solo dai passi dei
dipendenti della struttura sanitaria, ma anche da quelli dei parenti, con i
loro fiori, i loro pupazzetti ed i cioccolatini a portata di mano.
Eccola, la stanza di Mondenkind era quella di fronte a lui.
Bussò, attese che qualcuno rispondesse, poi ne aprì uno spiraglio. Intravide il
letto.
Vuoto.
Vuoto…
Aveva sbagliato camera.
Si guardò intorno. Era sicuro che la camera fosse la dodici ed infatti sulla
porta troneggiava quel numero.
Magari Mondenkind era stata trasferita... forse le sue condizioni si erano
aggravate…
Fermò il primo infermiere che si trovò sotto tiro.
“Mi scusi?”, gli domandò, “La ragazza che stava in questa stanza… dove si trova
adesso?”
L’infermiere riflettè un attimo.
“Chiedo al dottore.”, disse e si congedò con un sorriso.
L’ansia stava salendo dentro Georg.
E se fosse peggiorata?
E se la stessero operando?
E se fosse… fosse…
“E’ proprio sicuro che cercasse il paziente della dodici?”, gli fece uno dei
dottori del reparto, avvicinatosi a lui dopo la segnalazione dell’infermiere.
“Beh… sì, a meno che non abbia sbagliato stanza. La paziente comunque si chiama
Mondenkind…”
“Cognome?”
Cercò di ricordarselo, ma non ci riuscì.
Io non ho genitori… rimbombò quel frammento di sogno nelle sue orecchie,
scacciato immediatamente.
“Non me lo ricordo.”, disse Georg rammaricato.
“Beh… che io sappia nessuna Mondekind senza cognome è stata in questo reparto.
Nemmeno per una notte sola.”, disse il dottore, facendo spallucce.
“Ma come?!”, esclamò Georg, “E’ stata ricoverata qui proprio ieri, era in coma,
non si sapeva che cosa aveva di preciso…”
“Guardi che questo è il reparto geriatrico.”, disse il dottore, “Non la
rianimazione. Provi a vedere se la trova lì, è al decimo piano.”
“No, dottore, sono sicuro che si trovasse in questo piano, alla stanza
dodici.”, ripetè Georg, con fermezza.
“Senta, non so cosa dirle. Vada giù in accettazione e chieda a loro.
Sicuramente le banconiste lo sanno meglio di me.”, disse l’uomo, lasciandolo ai
suoi dubbi per tornare a camminare lungo il reparto.
Come un razzo, Georg si precipitò al bancone.
“Proviamo a cercare questa Mondenkind…”, disse la ragazza svogliata
all’accettazione, mettendosi la penna in bocca. Digitò il nome, attese qualche
attimo il caricamento della pagina, “Niente. Nessuna Mondenkind è mai stata curata
in questo ospedale.”
“Riprovi! Non può essere!”, tentò ancora Georg.
La ragazza lo fissò asetticamente, poi premette di nuovo un pulsante nella sua
tastiera.
“Com’è che Georg Listing desidera tanto vedere questa Mondenkind?”, chiese poi
lei, appoggiando i gomiti sul legno della sua scrivania, con fare ammiccante.
“E’ una mia amica…”, la seccò lui.
La ragazza lanciò una nuova occhiata allo schermo.
“Niente.”, disse poi, “Ancora nessuna tipa dal nome strano in questa clinica.”
Lasciò la banconista prima ancora che potesse finire il suo discorso.
Pazzia.
Quella era tutta una pazzia.
O Mondenkind gli aveva dato un nome falso… E perchè mai avrebbe dovuto farlo?
Era stata trasferita in un altro ospedale? Ma allora perchè non risultava nei
registri dell’accettazione?
Perchè una ragazza in coma era sparita nel nulla, volatilizzata?
Si era lamentato dell’incomprensibilità del sogno che aveva fatto, ma quello
che stava vivendo era addirittura surreale. Fino al giorno precedente
Mondenkind era stesa su quel lettino, ora non c’era più e nessuno pareva si
fosse accorto del suo passaggio. Poteva una persona passare inosservata in quel
modo?
In quel momento l’unica spiegazione plausibile era che Mondenkind non era il
vero nome di quella ragazza. Ma perchè? Perchè aveva dovuto mentirgli? Per
quale motivo?
Salì frettolosamente in macchina, doveva andare alla libreria.
Infranse diversi limiti di velocità, un paio di volte passò con il semaforo che
da giallo era appena diventato rosso.
Parcheggiò in divieto di sosta. Correndo come un matto, ripercorse i vicoli
conosciuti finchè si ritrovò in quello giusto, in quello della libreria.
Prese un profondo respiro e fece un passo dopo l’altro.
Si avvicinava sempre di più alla metà del vicolo.
Ma ad ogni movimento, la constatazione di quello che pulsava nella sua testa lo
rendeva incredulo. Era impossibile.
Toccò il muro nel preciso punto in cui, fino al giorno prima, c’era stata la
porta della libreria.
Adesso, invece, c’erano solo mattoni, impilati sfalzatamente uno sopra l’altro,
e circondati di collante calcestruzzo.
Un muro.
Nient’altro.
Non c’era nulla.
Doveva aver sbagliato vicolo. Era ovvio.
Tornò indietro, verso la macchina, sicuramente nella corsa aveva confuso le
strade fitte. Con tremolante calma, ripercorse il labirinto.
Di nuovo, il muro.
Solo rossi mattoni e alcune finestre ai piani superiori.
Pazzo.
Era totalmente pazzo.
Faccio il salto nel buio
sperando che nelle vostre menti ci siano pochissimi dubbi sul viaggio all'LSD
di Georg...
Beh, ad ogni modo vi ripeto
la solita cosa: se non capite, chiedete, sarò felice di rispondere!
Questo è il penultimo
capitolo, il prossimo porterà quiandi la dicitura FINE. Lascio i ringraziamenti
alla prossima volta, sperando che nessuno dei vostri cervelli si stia
accartocciando nell'incomprensione!
Alla prossima,
RubyChubb
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