Capitolo 6
“His soul was
tortured by love and by pain
He
surely would flee but the oath made him stay
He's
torn between his honor and the true love of his life
He
prayed for both but was denied “
[…]
“Was
it worth the ones we loved and had to leave behind
So
many years have past toward a noble land of lies
Will
all our sins be justified?”
(
Within Temptation – Hand of Sorrow)
I morti non erano
creature da
strappare alle braccia scheletriche dell’oblio, ma quelle
stesse
braccia Loki le aveva squarciate non appena l’ombra
silenziosa vomitata dalla terra putrida aveva provato a ghermirgli un
piede.
Maciullò
tra le mani il
cranio di un non-morto appena decapitato, sorridendo
biecamente
per la paura che le pupille lucide e pallide delle creature attorno a
lui riflettevano sul terreno fangoso, mentre la pioggia battente
fischiava nelle orecchie il brontolio inquieto del suo
stomaco.
- Non è
permesso a nessuno
di calpestare queste terre, figlio di Laufiel, neanche a voi
–
gorgogliò il più possente di loro,
l’anima perduta
di quello che un tempo era stato il più efferato degli
assassini
ma che ora scontava la propria colpa nell’oltretomba,
lì
dove né uomo, né dio, era ben accetto.
Ma le porte di Hel
erano state
forzate, e ciò che l’esterno aveva
rigettato
lì dentro era una creatura meno viva di quanto avessero
pensato.
Perché non
c’era
nulla, ad accendere quella pupilla dilatata, nulla se non follia e fame
di sangue, di morte, un’urgenza che Loki aveva
appagato
tappezzando gran parte del terreno circostante di cadaveri in
putrefazione.
- Devo vedere la
vostra regina.
Un grido isterico si
levò
dalla folla di cadaveri, improvvisamente appiattitisi contro il terreno
in posizione animale nell’udire la richiesta del dio degli
inganni, un ordine per il quale persino l’assassino si
trovò a rabbrividire profondamente.
- La regina non
può essere disturbata da un vivo.
La risata che gli
ruggì in
petto li fece trasalire per la nota malsana e stridente che gli
risalì la gola, aggrappandosi alle labbra che videro
curvarsi in
un sogghigno ben più temibile di quello isterico della loro
Regina.
- Ma io non vi stavo
chiedendo il permesso – li avvisò asciutto
– la mia era solo una semplice constatazione.
- Di qui non si passa!
–
gridò allora un’ombra piccola e
ingobbita, dalla
barba incolta e dagli occhi incavati – ci è stato
dato
ordine di non lasciar passare nessuno, e nessuno lasc – il
risucchio isterico della terra accolse la punta dello scettro affondato
nel cranio piantato a terra, e quando il non- morto provò a
dimenarsi si ritrovò sgozzato dalla mano che dio
aveva
calato su di lui, tranciandogli la carotide di netto prima di
accostare al fianco una porzione del mantello per ripulire lo scettro
dallo schizzo di sangue marcio.
- Presumo ancora che
non vogliate
lasciarmi passare, dico bene? – li riprese divertito,
calciando
il cranio e alzando su di loro l’unico occhio buono con un
sorriso storpiato in una smorfia invasata.
Un singulto di paura
sfuggì
a tutti loro, ma fu l’assassino, in vero, a piantare la
propria
lancia nel terreno e alzare la mascella forte mentre alcuni dei suoi
compagni tentavano di trovare rifugio sotto terra, scavando fosse dalle
quali speravano di non essere strappati.
Ma quando lo videro
inclinare il
capo di lato e schiudere un sorriso di labbra arricciate, la puzza
della loro paura appestò l’aria umida rendendo
persino la
pioggia acida e gravida del loro terrore.
- Tanto, alla fine,
siete tutti destinati ad inginocchiarvi di fronte a me.
°°°
Quando il corpo venne
rigettato
malamente sul pavimento scarno una testa grigia si alzò dal
braccio magro e puntellato di morsi abbandonato sul bracciolo mentre le
porte uggiolavano per la forza con la quale erano state schiantate
contro le pareti.
Un viso pallido e
incavato fece in
seguito capolino dal fondo dell’immensa costruzione
diroccata,
lineamenti ruvidi senza pelle ad addolcire
l’ossatura tanto
visibile da poterne contare i segmenti, ma furono gli occhi, orbite
cave svuotate da ogni senso di moralità e giustizia a
sorridere
isteriche nel vuoto, volando oltre il corpo malandato per puntarsi
sulla figura immobile sulla soglia della sua dimora.
- Loki.
Una smorfia disgustata
tagliò il viso del dio non appena il trillo irritante di
quella
voce gli perforò il cranio, una voce che non era
cambiata
negli anni, ma che era rimasta ugualmente raccapricciante e ugualmente
irritante, anche se da bambino, di quella creatura ne era sempre stato
intimorito.
Nel vederla saltare in
piedi sulle
gambe sottili e appuntite come chiodi Loki ricordò a se
stesso
che nonostante l’aspetto gracile e inquietante di quella
piccola
cosa, c’era una vera bestia, a dimorare in lei, una
crudele
fiera verso la quale persino il Padre degli dei aveva serbato una certa
apprensione.
E non solo
perché quella
creatura fosse sua sorella, ma perché c’era
qualcosa di
malsano in quel viso emaciato, una fame che non sarebbe mai stata
saziata per quanto avesse mangiato e bevuto, una voracità
mai
appagata che aveva finito col farla impazzire.
Una risata isterica le
scosse il
corpo secco come se fosse preda di convulsioni, ma era semplicemente il
suo fisico ad essere tanto magro da non poter reggere neanche le
vibrazioni del suo stesso riso, un tintinnio sinistro che
seguì
il ‘crack del braccio che il non-morto si vide
strappar via
quando la creatura gli concesse la sua attenzione.
- Zenas, mio stupido e
piccolo
Zenas – canticchiò la dea, afferrando i capelli
della
creatura con rabbia, sputandogli in faccia la propria irritazione
– neanche come cane da guardia vali qualcosa.
- Mi dispiace.
- Ti dispiace?
– gli
gridò contro, spillando saliva e azzannando l’aria
con i
denti affilati e cuneiformi – ti dispiace? Vuoi che ti
strappi
anche l’altro braccio?
- No, mia signora.
- Supplicami.
Il silenzio protratto
del mostro
parve indispettirla, perché c’era ancora orgoglio,
in quel
lurido assassino, una furia omicida che Hell aveva sempre apprezzato,
come la prestanza fisica di quella carne che rimaneva
comunque
possente, anche se oramai tumefatta, eppure era proprio quella
scintilla di ribellione ad indisporla.
Il motivo per cui
più di
tutti lui fosse torturato e lasciato a marciare nei campi dimenticati
per diventare preda degli ingordi, sempre affamati di nuova carne
putrefatta.
- Vi supplico
– e il
non-morto fu costretto a mordersi l’interno del labbro per
sputare quelle parole – vi prego di perdonarmi mia signora.
La mano si
addolcì
lievemente, ma tornò a scattare in artiglio come era solita
tenerle, perché la poca pelle presente sul suo corpo non le
permetteva di fletterle in modo da farle sembrare quanto meno umane.
- Allora Loki? Cosa ti
porta nel
mio bel regno? Hai finalmente deciso di arruolarti nelle mie legioni?
– gli chiese civettuola, sventolando ciglia che parevano
più ragnatele rinsecchite che altro.
- Sai come ucciderlo?
Nel mentre che Zenas
riusciva a
raggiungere l’angolo buio nel quale la dea aveva lanciato il
suo
braccio Hell era tornata a sedersi sul proprio trono d’ossa,
con
il mento abbandonato mollemente sulla mano chiusa in pugno.
- Se non sei
venuto per arruolarti, allora qualunque cosa tu abbia da dire non mi
interessa.
Gli sfuggì
un verso
gutturale nel vedere il gesto annoiato con il quale la dea aveva
indicato l’uscita, ma Loki rimase ritto e gelido.
- Tu sai come
ucciderlo vero?
- Non so di chi tu
stia parlando – replicò Hell, palesemente annoiata
dalla conversazione.
- Invece sì
–
sibilò incattivito – ti ho sentito parlare di lui
da
bambino, tu e mio padre ne parlavate sempre.
Un guizzo isterico del
viso della
dea lo convinse di essere nel giusto, che Hell ricordava e aveva capito
a cosa si stesse riferendo, ma per qualche ragione sembrava voler
dirottare il discorso.
- Allora? Tu sai come
ucciderlo? – insistette – sai come-
- Non può
essere ucciso.
- Cosa?
Il salto con il quale
Hell scese
dal trono fu felino, calcolato, e osceno, perché ondeggiava
più che camminare, e il modo in cui lo guardava fece
stringere a
Loki la presa sul suo scettro.
-
Non.può.essere.ucciso
– cantilenò sadica, soffiando una nuvola di aria
rarefatta
e tanto malsana da sbriciolare la base della colonna contro
la
quale si era poggiata con le braccia intrecciate dietro la schiena.
- Che significa che
non può essere ucciso?
- Perché
credi sia servito
l’aiuto di tutti e nove i sovrani Loki? – lo
riprese
aggressiva, indurendo il viso congestionato dalla rabbia
–
siamo dovuti intervenire tutti, tutti per evitare che quell’abominio potesse
divorarci tutti.
E sai cosa abbiamo fatto?
Negò con un
cenno distratto
del capo, perché risponderle a voce avrebbe potuto darle
l’alibi giusto per cambiare discorso.
- Abbiamo dovuto
imprigionarlo,
Loki, relegarlo nelle profondità dell’universo.
Galactus,
quel lurido piccolo bastardo! - e il suo nome lo
urlò fino
a privarsi dell’aria che incanalò per un secondo
grido
frustrato.
- Lui non
faceva altro che mangiare e mangiare anche sapendosi sazio,
ed ora, ora è libero, e tutto per colpa tua.
- Mia?
- Si tua! Tua e di
quell’altro abominio!
Lo schizzo di sangue
imbrattò la parete di polvere come un vaso di vernice
gettato a
caso, ma la ferita che tagliava a metà la gola
della dea
era stata intenzionale, e calibrata, di una precisione millimetrica che
impedì alla creatura di ritrovare la voce prima di
riassorbire
lo squarcio e sputare altro sangue raggrumato in gola.
- Non osare parlare di
lei –
la minacciò il dio con asprezza, alzando lo
scettro e
puntandoglielo alla gola, pronto a tranciarle la testa di
netto
– non permetto a nessuno di parlare così di lei.
Hell tossì
ancora, coprendo
la bocca con la mano che sfregò contro il proprio abito
sgualcito per tornare a ridere isterica.
- Non posso credere
che davvero tu ti
sia invaghito di quella cosa
- e agitò la mano per mostrare il proprio disgusto al
riguardo
- pensavo che fossero solo voci di corridoio, ma a quanto
pare
persino a te l’amore ti ha reso stupido.
- Bada a come parli.
- Altrimenti?
– lo
stuzzicò, balzando indietro di qualche metro nel cogliere
l’agitare frenetico del suo scettro – mi ucciderai
come hai
fatto con mio fratello? Il padre che ti amato fino a morirne? Allora
Loki? Potresti uccidermi tanto orribilmente solo per aver parlato male
di lei?
- Ho ucciso per molto
meno –
ringhiò incattivito, seguendo i movimenti scoordinati con i
quali la vide muoversi a destra e sinistra, come a prender tempo.
- Lo so, ho sentito
dello sterminio dei Creatori, e tutto per quella piccola
nullità!
Un altro schizzo di
sangue, e un
braccio volato dall’altra parte dell’androne mentre
la Dea
saltava verso le arcate della cattedrale, reggendosi al soffitto con
gli artigli affondati nel marmo cedevole del tetto.
- Sei piuttosto
protettivo nei suoi
confronti - e c'era una nota d'invidia a graffiarle la voce - non
credevo che il dio degli inganni potesse provare simili emozioni
all’infuori dell’odio –
gracchiò con voce
isterica, saltando da una parte all’altra della sala per
sfuggire
ai raggi di magia scagliatele contro come frecce avvelenate.
- Ma vuoi sapere una
cosa? Galactus la verrà a cercare, se non l’ha
già fatto ovviamente.
- Perché lo
credi?
Un sorriso divertito
le
piegò le labbra quando le sembrò di cogliere
dubbio nello
sguardo impenetrabile del dio, una fragilità della quale si
cibò, tornando a terra e spolverandosi l’abito
sgualcito
con l’unica mano rimastele.
- Perché
lui è come
lei. Gli fu data la vita da uno dei Creatori per usarlo come
pattumiera, se mai i loro esperimenti avessero dato cattivi frutti,
capisci? Ha
la sua stessa forza, ma è nato per distruggere, mentre lei
è nata per dare la vita.
- E perché
sarei stato io a
liberarlo? – chiese disorientato, e questa volta
c’era vera
paura, a fargli tremare il cuore, il timore che fin da bambino lo aveva
spinto ad allontanare il calore di sua madre Fridda e
l’iperprotettività di Thor.
Paura.
Paura di essere ferito
e tradito da
chi ad amarlo aveva imparato, ma nessuno c’era riuscito fino
in
fondo, e a lui le cose incomplete non gli erano mai piaciute, ma ora,
ora aveva davvero qualcuno che lo amava per quello che era.
Qualcuno da
proteggere, da amare
senza paura di rimanere scottato, qualcuno che forse aveva
destinato lui stesso a soffrire per espiare peccati suoi.
- Perché
hai rotto
l’equilibrio, Loki. Hai ucciso una razza, e seminato
distruzione.
Perché hai distrutto un anello della catena che
teneva
Galactus relegato, e con la fine di Asgard hai sancito la rinascita di
quel mostro e la dipartita della tua bella.
Il contraccolpo con il
pavimento
gli tolse il respiro, ma fece scattare una mano al viso per lanciare
via il suo elmo coperto da una melma corrosiva che Hell gli aveva
vomitato addosso prima di colpirlo con le mani artigliate e gettarlo
indietro.
- E per questo
entrambi dovrete
pagare, ma sappi una cosa. Anche se in quanto divinità non
possiamo morire, posso sempre condannarti ad un destino ben
più
orribile della morte stessa, una punizione che servirà a te
e a
quell’abominio da lezione.
- Tu non la toccherai
con un dito
– soffiò tra i denti, rimettendosi in piedi e
caricando il
colpo mentre la dea si acquattava in una posa animale per schiudere la
dentatura affilata e sorridere melliflua.
- E chi ha detto che
voglio solo
toccarla?
°°°
Le immagini
sfrecciavano
davanti ai suoi occhi sgranati per l’orrore, un prisma di
colori
sgargianti sfumanti dal ceruleo tiepido di quello che poteva
essere scambiato per un fulmine passeggero, ma non era un
fulmine, quello che Astrid fissava con angoscia sullo schermo del
computer.
Era un portale, una
via per l’universo che Loki aveva aperto e imboccato senza
avvertirla, lasciandola indietro.
Lasciandola
sola.
- Sono sicura che sta
bene, forse è andato su Jotunheim.
- Oppure ha deciso di
prendersi una
vacanza – ci scherzò su Tony Stark, meno attento
della
moglie che gli rifilò una gomitata nel fianco per avvertirlo
che
quello non era il momento di fare il sarcastico, e l’uomo lo
capì quando non vide l’accenno di un sorriso sul
viso
pallido di sua figlia.
- Qualunque cosa sia
successa, sono
sicuro che quello squilibrato sia capace di cavarsela da sé
tesoro– tentò allora di riparare, sospirando
pesantemente
nel non riuscire a scalfire la sua espressione angosciata.
Perché si
sentiva sperduta,
Astrid, e spaventata, gravida di quella
“paura” che
da bambina aveva imparato a temere più di ogni altra cosa
quando
il buio della sua prigione l’aveva accolta nel mondo,
quando, per la prima volta, si era sentita abbandonata.
Ed erano una
sensazione che aveva
creduto di aver dimenticato, ma ora, con quelle immagini impresse a
fuoco nella retina, non poteva che sentirsi ferita da quella
che
le sembrava una fuga, un fuga da lei, dal dolore che gli aveva
inflitto, dalla frustrazione di sapersi coinvolto in guerre non sue.
Un braccio forte la
sollevò
da terra ancor prima di potersi abbandonare ad un gemito
addolorato, e quando Bruce se la schiacciò contro si
premurò di coprirle gli occhi e baciarle la tempia con forza.
- Non pensare a
ciò che
può accadere, ma a quello che vuoi fare ora – le
sussurrò in un orecchio, cullandola dolcemente nel sentirla
rilassarsi contro il suo petto e rilasciare un lungo respiro stanco.
Stanco come lo sguardo
che Astrid
puntava nel nulla, la mente proiettata in immagini di Loki ferito,
catturato, o peggio, prigioniero di Galactus, ma si costrinse a non
pensarci, perché suo padre aveva ragione.
Perdersi in fantasie
non avrebbe
fatto altro che farla soffrire, doveva perciò concentrarsi
su
come comportarsi, su casa fare ora per capire il perché di
quel
gesto.
- Andrò a
cercarlo.
- Andremo tesoro,
andremo – la corresse sua madre con un sorriso gentile
– andremo tutti insieme.
- Su questo avrei da
ridire –
intervenne lo scienziato con voce grave, voltandosi a guardare la
moglie con durezza – questa volta non credo sia il
caso che
tu venga con noi.
Petto contro petto,
Pepper Potts si
trovò a fronteggiare il viso cupo dell’eroe senza
remora
alcuna, il mento alto e lo sguardo severo di chi, di sottostare a leggi
imposte, non sembrava interessato.
- Invece io
verrò.
- No, tu non verrai
– la
contraddisse arcigno, afferrandola per un braccio con un lampo di
dolore per il quale, per un momento, la donna si trovò a
schiudere le labbra – non posso combattere
sapendoti in
pericolo.
- Ma non lo
sarò – e
così dicendo si districò dalla presa per
accostare il
dottore e aiutare Astrid a tornare di fianco a lei –
perché sarò troppo occupata a proteggere mia
figlia, e
non ho il tempo di gettarmi in stupide schermaglie tra mostri e alieni.
Una giustificazione
gettata quasi
per scherzo, ma c’era qualcosa di strano, nello sguardo di
sua
moglie, una luce diversa che Tony fissò attentamente per un
istante prima di aggrottare le sopracciglia.
- Cosa diavolo hai
fatto?
- Io? – si
ritrovò ad
indicarsi la donna, colpita all’acume del marito che doveva
aver
annusato qualcosa – io non ho fatto nulla. Ho solo promesso
ad
una persona di proteggere Astrid.
- E chi sarebbe questa
persona? La conosco? – si indispettì lo scienziato.
- Si papà,
la conosci – gli rispose Astrid con semplicità
–è mia madre.
- Tua madre?
Cioè, tu ti sei ripromessa di proteggerla?
Una smorfia divertita
le tese il
volto nel ripensare alla frase preferita di suo marito, una critica che
quella volta, sarebbe stata lei a rivolgergli.
- Hai dimenticato come
si conta tesoro? Quante dita vedi alzate?
- Due –
rispose prontamente
lo scienziato, imbronciando le labbra nell’altalenare lo
sguardo
dalle affusolate dita al sorriso strafottente della moglie, e fu solo
dopo molto, troppo tempo per un genio come lui, che Tony Stark si
trovò ad impallidire e arrossarsi per la rabbia che gli
gonfiò il petto e gli bruciò la gola.
- Tu hai incontrato
uno dei Creatori? Quando? Come? Perché?
- Mi spiace tesoro,
roba da donne.
- Roba da- mi stai
prendendo in
giro? Come osi tacere questi particolari? - e andò
avanti
a sbraitare fino a diventare paonazzo mentre Astrid, assicuratasi di
avere abbastanza forza da compiere quel viaggio, si
allontanò
dalla sua famiglia per andare in contro al capitano dello S.H.I.E.L.D.
chino sull’ennesima scartoffia da firmare per dare il via
all’operazione di difesa.
- Signor Fury?
Uno sguardo gettato
distrattamente
alle spalle, e l’uomo si convinse a lasciar perdere i codici
di
sicurezza inviati da Selvigg per dare la sua completa attenzione
all’alieno, ancora provato da quanto accaduto poche ore prima
anche per la sua incompetenza, ma pronto a gettarsi in campo.
- Si Astrid?
- Io e la mia famiglia
andremo alla
ricerca di Loki. Cercherò di fare il più in
fretta
possibile, ma renderò Yssgradrill una difesa
impenetrabile
fino al mio ritorno, in caso di un attacco in mia assenza –
gli
spiegò severa, tornando a quella se stessa un po’
più adulta e meno ingenua, un piccolo soldato in gonnella
che
del proprio dovere non si era dimenticato.
E non lo avrebbe
fatto,
perché era un suo dovere come umana, come donna, e come
Tesseract, proteggere ciò che andava protetto, e
la Terra
sarebbe rimasta illesa fintanto che lei fosse stata in vita.
Una fedeltà
per la quale
l’uomo si trovò a ringraziarla con lo sguardo,
richiamando
l’attenzione dei sottoposti che scattarono in piedi con le
mani
portare al capo in un saluto militare che Nick Fury per primo
compì.
- Aspetteremo il
vostro ritorno
allora. Buona fortuna agente Astrid – e c’era reale
riconoscimento in quel titolo, un’identità che ora
la
investiva davvero di un ruolo concreto, e non solo immaginato.
Perché era
Astrid, componente onorario degli Avengers, ed ora, soldato scelto
degli Stati Uniti d’America.
- Si, si, ora basta
con queste
sciocchezze che abbiamo da fare. Astrid! Vieni qui vicino a me, non
voglio che quella degenerata di tua madre ti spinga sulla cattiva
strada, bugiarda com’è diventata –
lamentò
Iron Man, strattonando la figlia verso di sè prima di
molleggiare il braccio e imitare un saluto fiacco e sbadato.
- Mi dispiace
contraddirti, ma se
c’è una persona che la può condurre
sulla cattiva
strada quello sei tu – lo rimproverò Bruce,
arpionando il
braccio destro di Astrid e tirandosela contro mentre dal lato opposto
Iron Man si aggrappava al busto della figlia nel vano tentativo di
fungere da zavorra.
- Tu che vuoi ora?
Vatti a sbaciucchiare la Hills e non appestare me e mia figlia con la
tua puzza di piedi!
- I miei piedi non
puzzano!
- Ma davvero? Dove
credi sia andata
la mia colf Barner? In ospedale! E solo perché quella povera
donna ha avuto la malaugurata idea di lavare i tuoi dannati calzini
radioattivi!
- Non è
vero!
- Si che è
vero!
Con uno sguardo
scanzonato Pepper
si insinuò tra i due uomini che parevano fare a
gara su
chi distoglieva per primo lo sguardo, salvando Astrid dalle loro
grinfie per fare quanto promesso a Semjace.
E quando scomparvero
in un tunnel
di luce comparso dal nulla, Nick Fury si accostò alla
finestra
della stanza, osservando attentamente il campo di forza che
l’albero sembrava lanciare come una rete sopra le loro teste,
la
protezione promessa e ricevuta da quella che non era più un
alieno adottato, o una fonte d’energia condivisa, ma un eroe.
Il più
grande eroe che l’America e il mondo intero avesse mai avuto
il privilegio di avere come compagno.
°°°
- Dove diavolo siamo
finiti?
Il fischio del vento
fu
l’unica risposta che Tony Stark ricevette mentre
l’occhio
si perdeva per miglia e miglia di terra ribaltata, cieli cupi e coperti
da coltri di nebbia talmente fitta e compatta da sembrare una parete
traslucida inchiodata al cielo come barriera dal sole.
Perché non
c’era luce, lì dove erano capitati, non una
scintilla.
- Sei sicura che Loki
sia qui?
La risposta
tardò ad
arrivare, ma Astrid non riusciva a trovare la voce, incastrata in fondo
alla gola assieme al nome che avrebbe voluto urlare, se solo non avesse
percepito tutte quelle presenze attorno a sé, ombre sinistre
che
si agitavano attorno a loro come il riflesso frammentato di uno
specchio rotto.
- Stiamo vicini
–
raccomandò loro Bruce prima di trasformarsi e raddoppiare la
stazza, così da rinchiudere tra sé e
l’uomo di
metallo le due donne e avviarsi.
La terra si sgretolava
sotto i loro
piedi come creta, costringendoli a deviare per ammassi di rocce coperte
di brina sotto i quali, con orrore, Pepper trovò il corpo
mutilato di un uomo dal quale il marito la allontanò
bruscamente, stringendo la cintura di difesa formata con Hulk che
pareva altrettanto nervoso.
Ma più
procedevano nella
speranza di trovare qualcosa, più il nulla tornava a
gettarli
nella confusione mentre Astrid cominciava ad avere paura.
- Starà
bene, sono sicura
che starà bene – la rassicurò sua
madre, stringendo
la presa sulla mano che la donna portava al petto nel captare
scricchiolii, risate sommesse, e dialoghi concitati di ombre che non
osavano mostrarsi, forse per la stazza imponente di Hulk, o forse
perché gli era stato ordinato di non farlo.
Perché
qualcuno voleva che
avanzassero, che calpestassero la terra putrefatta e urlassero di
orrore nell’inciampare in qualche arto mozzato, una creatura
che
di quella desolazione era padrone, un mostro che forse, avrebbero
trovato nell’imponente cattedrale diroccata a qualche metro
di
distanza.
Fu proprio
nell’aguzzare la
vista verso lo sgangherato edificio che Astrid vide un’ombra
stesa al suolo, circondata da qualcosa, topi forse, ma erano troppo
grandi per poterlo essere, ma avrebbe preferito che lo fossero,
perché ciò che vide la disgustò a tal
punto da
costringerla a coprirsi la bocca per non vomitare.
- Astrid!
Risate isteriche
irruppero
nell’aria quando l’urlo di Pepper si
levò alto, un
richiamo per ciò che fino ad allora era rimasto nascosto ma
che,
nel vedere la piccola figura avanzare da sola, senza protezione,
balzarono via dai loro nascondigli per raggiungerla.
E non ci fu
più solo la sua
ombra a sfrecciare veloce per la terra morta, furono decine, migliaia
di figure che Astrid ritrovò davanti a sé, su
quel corpo
ferito che delle creature parevano torturare, generando urla di dolore
che per un attimo, temette appartenessero a Loki.
Il lampo di luce
fendette il cielo
come la lama implacabile di una divinità, ma non era il suo
dio,
quello riverso a terra, non era Loki si rincuorò, il respiro
affannato e la mano ancora tesa davanti a lei, per far arretrare quelle
cose.
Ricadde in ginocchio
con il cuore
stretto in gola, lo sguardo lucido per ciò che vedeva, lo
scempio di un corpo privato degli arti superiori, con il volto esangue
e le iridi pallide rivolte al vuoto, come se fosse morto.
Ma lo sentiva
respirare, e tanto le
bastò per chinarsi a raccoglierlo tra le braccia e aiutarlo
ad
appoggiarsi al suo petto per ritrovare un minimo di ristoro.
Quando Zenas si decise
a schiudere
le palpebre lo fece per la meraviglia di sentire un tocco delicato
sulle sue membra spolpate, un tocco che non poteva appartenere a
nessuno dei suoi compagni che, poco prima, avevano tentato di privarlo
di ogni parte del corpo come loro era stato ordinato della regina.
Una punizione alla
quale lui
più di tutti era avvezzo, perché
d’animo ribelle e
violento, ma quella volta, c’era calore, attorno al suo capo,
e
una luce gentile che gli riempì lo sguardo quando la vide
china
su di sé.
Il disagio la
investì nel
sentire i suoi occhi puntati sul suo viso, ma Astrid non
riuscì
a distogliere lo sguardo come avrebbe voluto, perché
c’era
qualcosa di doloroso, in quella pupilla vitrea, una sofferenza senza
fine per la quale si trovò a stringere le labbra prima di
tergere il sangue con un lembo dell’abito e accostare la mano
ai
suoi arti mozzati.
- Allontanati da lui!
Lo strattone la fece
sussultare per
la sorpresa, ma Tony non perse tempo a mostrarsi compassionevole come
la figlia di fronte a quell’orrore che Astrid teneva in
grembo,
come a concedergli un minimo di conforto.
- Lascialo!
- Ma è
ferito.
- Ma non vedi
cos’è ? Non vedi che –
- Cosa? – lo
interruppe lei,
fissando suo padre negli occhi con durezza – cosa
papà?
Cosa dovrei vedere? Che è diverso da me? È questo
ciò che vuoi dire?
- Io non volevo-
- Solo per questo non
dovrei
aiutarlo? Solo perché è diverso da me ?
–
continuò con voce rotta – tutti hanno bisogno di
aiuto,
persino lui – e si districò dalla presa
dell’eroe,
tornando a chinarsi sulla creatura e riversare sulle ferite un
po’ del suo potere.
Nel percepire il
rigenerarsi dei
suoi arti, Zenas tese una smorfia dolorosa, ma si costrinse a guardare
in alto, su un cielo che aveva visto sempre nero e cupo, ma
che
in quegli occhi vide tingersi di luce, un’abbacinante e
gentile
luce cerulea che lo investì, lasciandolo spossato ma
nuovamente
integro.
- Tornerò
– gli
promise, trascinandolo contro una roccia prima di tornare ritta e
guardare la costruzione decadente con occhi pesti e stanchi,
mentre il suo corpo tornava ad emettere il bagliore accecante
dal
quale le ombre si allontanarono frettolose tornando nella terra da dove
erano uscite.
Ripresero ad avanzare,
con un
po’ meno timore, illuminati dalla scia di stelle che Astrid
lasciava dietro di sé, perchè era tornata a
proteggerli,
come lei sapeva, era giusto che fosse, come era suo compito fare.
Perché, se
l’umanità non ci sarebbe riuscita, se un dio non
avesse
potuto, sarebbe stata lei, a combattere per ognuno, e a mostrare
pietà per chi, d’aspetto diverso, avrebbe potuto
generare
disgusto e avversione negli altri.
Ma non in lei, lei che
diversa lo
era sempre stata, e che compatita non era mai stata, una mancata
premura per la quale Astrid aveva deciso di non privare nessuno.
Non chi escluso era
stato, e
né chi, assassino e sterminatore di razze, si
trovò a
vedere la luce per la prima volta.
°°°
Lo
scricchiolio sinistro
della porta lì invito ad entrare, ma fu Hulk ad aprire loro
la
strada, avanzando lento e con gli occhi neri fissi su ogni cosa si
muovesse, ma non c’era niente, in quella stanza.
Solo polvere, e i
resti di colonne
che ancora fumavano per uno scontro consumato con troppa violenza, una
ferocia che gli schizzi di sangue sulle pareti imbrattate e le impronte
di mani rosse che parevano aver provato a reggersi ad una delle colonne
cadute resero ancora più agghiaccianti alla vista.
Pepper si
abbandonò ad un
rantolo sommesso nel vedere quell’orrore, e fu con fare
apprensivo che vide le spalle di sua figlia sussultare ferocemente
prima di vederla correre senza fiato verso un angolo buio della sala,
lì dove la videro crollare in ginocchio con un gemito
stretto in
gola.
Le tremavano le mani,
ma quando i
polpastrelli toccarono le corna lucide dell’elmo Astrid se lo
tirò al petto con tanta forza da ritrovarsi senza fiato per
il
contraccolpo, ma le sue braccia parevano essersi congelate in
quell’abbraccio disperato, una stretta nella quale
affondò
il viso, schiacciando la fronte contro il freddo metallo con un
singhiozzo.
- Tesoro? Cosa- la
voce si perse
nel nulla quando, nell’accostarsi alla piccola figura
raggomitolata su se stessa, riconobbero ciò che Astrid
stritolava tra le braccia, bagnando l’elmo delle lacrime che
rotolavano giù dalle sue guance assieme ai singhiozzi
sfuggiti
dalle labbra tremanti.
- Forse è
di qualcun altro,
forse non è il suo – provò a consolarla
Tony Stark,
ma lui per primo sentiva la menzogna nella propria voce, una bugia che
Pepper non ebbe cuore di raccontarle, perché era di Loki,
l’elmo macchiato di sangue, sue le impronte di mani
insanguinate che avevano provato a reggersi a qualcosa.
Il dolore al petto non
le
permetteva di respirare, si sentiva soffocare, e le lacrime le
gonfiavano la voce dello strazio con il quale si costrinse ad alzare il
viso nel sentire il tocco delicato di una mano sulla spalla.
Ma fu proprio
nell’aprire le palpebre serrate che lo vide.
Un luccichio.
Delicato e abbandonato
nel buio
dell’angolo, ma una luce verso la quale Astrid tese un
braccio,
strisciando verso il piccolo monile con il quale le sue mani,
una
volta entrate in contatto, inviarono una fitta di dolore tra
gli
occhi, come se qualcuno le avesse appena trapassato il cranio con una
lama.
Perché era
il suo orecchino,
quello che giaceva a terra tra la polvere, il simbolo del
loro
amore, il dono con cui era divenuta sua secondo
le leggi del suo popolo, la prova di quell’amore che Astrid
sentì scricchiolare assieme agli occhi che avrebbero potuto
infrangersi come specchi rotti, se non l’avesse raccolto da
terra.
E quando lo strinse
nel palmo,
quando saggiò il familiare gelo, un’ondata di
dolore le
offuscò la vista, costringendola a curvarsi su se stessa e
schiudere le labbra in un urlo che si trovò però
ad
inghiottire, quando lo sentirono sibilare nel vento.
Una voce.
- Le scale!
Correre le venne
naturale una volta
seguito il braccio di sua madre puntato alla loro sinistra,
lì,
dove una scala a chiocciola conduceva ai piani alti, alla fonte di
quello che poteva essere stato uno spiffero del vento, ma non
c’era tempo per perdersi in supposizioni.
Ed anche se
l’elmo la
rallentava, anche se l’anello stretto nella sua mano sembrava
ustionarle la carne, Astrid non abbandonò mai la presa,
salendo
scalino dopo scalino con la voce che spingeva per urlare il nome di chi
stava cercando, di quell’amore che le era stato rubato e
senza il
quale sarebbe morta.
Ma quando
riuscì ad
imboccare una piccola entrata nascosta da un nugolo di ragnatele,
quando gli vi si gettò all’interno senza curarsi
del
pericolo, senza proteggersi da una ferita che avrebbe potuto
raggiungerla, potè urlare quel nome, mentre il cuore tornava
a
battere e a farla sentire viva.
Quando Pepper
precedette gli eroi
all’interno della stanza dimessa si fermò sulla
soglia
della piccola entrata, le mani corse alla bocca che vibrò
istericamente per il singhiozzo che le sarebbe sfuggito, ma non se lo
permise, non di mostrare il proprio dolore per quella vista, persino
gli occhi di Hulk si fecero lucidi.
Perché lo
aveva trovato.
Steso su un quello che
sembrava un
altare scheggiato ai bordi, immobile, e con gli occhi chiusi, ma con il
petto smosso da un respiro per il quale Astrid si era trovata a
ringraziare, perché era vivo, Loki era vivo,
ed era lì, tra le braccia che lo strinsero al
petto con
disperazione, cavandole dalla gola quel gemito che a lungo aveva
tentato di trattenere.
Un pianto silenzio le
fece tremare
le spalle, ma c’era sollievo, a farle brillare lo sguardo di
nuove lacrime mentre le mani correvano ad accarezzare quel volto
sfigurato, abbracciando con le dita quella porzione di viso che,
benchè deturpata da quelle orribili cicatrici,
tornò a
farla innamorare.
- Incantevole, non
trovi?
Si strinsero gli uni
agli altri con
uno scatto nervoso quando la udirono, ma la voce impiegò
qualche
altro minuto prima di disperdersi in un eco flebile e acuto come il
fischio del vento.
- State dietro di me.
Pepper
annuì severa,
accostandosi alla figlia che aveva stretto Loki un po’
più
a sé, come a fargli da scudo con il proprio corpo, ma
c’erano Hulk ed Iron Man a rappresentare la prima linea di
difesa, un muro divisorio contro il quale persino Hell avrebbe avuto
qualche difficoltà, perciò fu con
l’ennesima risata
che venne giù dal soffitto, mostrando la sua
figura secca
e rachitica.
- Attendevo con ansia
il tuo arrivo
– sussurrò melliflua la Dea, alzandosi sulle punte
per
vedere ciò che con tanto ardore il dio degli inganni aveva
difeso assieme al suo onore, e quando la vide, ne rimase
affascinata, e affamata.
Perché
pulsava vita, quella
piccola creatura dalla pelle di cielo, tanta di quella vita da poter
persino saziare lei se non fosse stata quello che era, una forza contro
la quale la dea sapeva di non potersi misurare, non direttamente,
almeno.
- Che cosa gli hai
fatto?
- Io? Io non ho fatto
nulla,
è stato lui a fare tutto – le spiegò
gentile,
ondeggiando su se stessa con un sorriso che fu costretta ad inghiottire
nel venire bruciata da una scheggia di luce lanciatale contro, una
saetta che Astrid caricò nella mano destra, sentendo la
furia
divampare dentro di lei e bruciare.
- Non devi incolpare
altri dei
vostri peccati, Tesseract – e nel dire quel nome la dea
sputò tutta la sua invidia per ciò che
rappresentava
– siete stati voi a meritare questa posizione,
perché
è colpa vostra, se Galactus si è liberato.
- Noi-
- Noi cosa? Voi siete
stati la
causa di tutto, e Loki ha meritato la sua punizione. Lui ha sterminato
una razza per amore tuo, piccolo Tesseract, un amore che gli ha ridato
ciò per il quale è stato condannato.
Amore.
Colpa.
La sua.
Astrid potè
sentire una voce
nella sua testa urlare di non ascoltarla, perché quelle
parole
lei le aveva già udite in passato, una cantilena che il
mondo
non aveva mai smesso di usare come sua ninna nanna.
Perché era
per amor suo, che
Loki aveva ucciso la sua famiglia, per difendere lei, la sua
dignità, il suo cuore sempre bersaglio della brama ed odio
altrui.
- E con la distruzione
di Asgard
avete liberato quell’abominio dal giogo al quale i nove regni
lo
avevano costretto, perciò Loki è destinato a
scontare la
punizione per sempre.
L’orrore di
quelle parole, di
quella minaccia che sapeva d’eternità la
tramortì
come se l’avesse appena colpita, ma era stato il suo cuore, a
ricevere la punta di quella freccia che le iniettò veleno
nelle
vene, nelle braccia che sentì afflosciarsi lungo i fianchi e
su
quel corpo che tornò a fissare con paura, terrore,
disperazione.
Un sorriso stucchevole
tese le
labbra della dea di fronte a quella vista nell’annusare tutta
quella disperazione, molta più di quanta lei stessa potesse
mai
aver nutrito, perché lei non aveva limiti, non nel suo
potere,
non per quelle emozioni che nella loro infinità avrebbero
potuto
ucciderla.
E stava morendo dal
dolore, Astrid,
lentamente, ma stava morendo con quel viso stanco stretto al petto come
un salvagente al quale sapeva di non potersi più aggrappare,
perché sarebbe venuto giù con lei.
- Non si
sveglierà mai
più – tuonò la voce della dea, gravida
di
quell’isterico godimento del quale si tinsero le sue orbite
cave
risucchiate da quell’immagine, affamate dal dolore che pareva
sgretolare ogni cosa nel Tesseract.
Il corpo afflosciatosi
al suolo, il
viso distorto in una smorfia addolorata, e lo sguardo, frammentato in
piccole schegge che sarebbero potute venire giù al suono
della
sua voce, al suono di quella che appariva come un destino inevitabile.
Ma non lo era, e la
dea amava
troppo se stessa per poter godere fino in fondo di tutto quel dolore,
perché c’era un mostro, al di là dei
suoi cancelli,
una creatura che l’avrebbe uccisi tutti, una bestia che solo
lei
avrebbe potuto imbrigliare, ma solo se avesse avuto un motivo per
combattere.
E il suo motivo era il
dio sul quale aveva abbandonato il petto rigato dalle lacrime.
- Ma potrà
riaprire gli occhi, se tu farai quanto da me richiesto.
- Cosa devo fare ?
– fu
l’immediata risposta che Astrid le diede in un sussurro,
senza
allontanare il capo dal petto che sentiva alzarsi sotto di
sé, a ricordarle quanto dolore aveva seminato per far felice
lei, per amare lei.
E si sarebbe caricata
di quel
dolore, lo avrebbe preso tutto, senza lasciarne una minima
goccia, in cambio del suo risveglio.
Perché si
sarebbe sobbarcata
di quei peccati che lei avrebbe potuto reggere, dei quali, in fondo,
era responsabile, e perché, semplicemente, sapeva di dover
sempre sacrificare qualcosa, per ciò che era, ma non lui,
mai,
lui.
- Devi ridare la vita
a ciò
che Loki ha distrutto, e quando Asgard tornerà a
risplendere,
lui potrà riaprire gli occhi.
Ma c’era un ma,
nella sua voce, una pausa lunga un respiro con il quale Astrid
riaprì gli occhi, osservando il vuoto mentre il cuore le
andava
in frantumi.
- Ma al suo risveglio,
una volta
riaperto gli occhi, lui non avrà più alcun
ricordo di te
o della tua esistenza. Tornerà al tempo della sua prigionia,
della sua vecchia avita, senza avere memoria di te. È questo
il
prezzo da pagare per riaverlo indietro. Resta a te decidere se
accettare di pagarlo, Tesseract.
Di nuovo quel nome, il
fantasma
più ingordo dei suoi ricordi, il suo tormento, il suo
strazio,
ma ciò che ora le avrebbe permesso di riportarlo da lei, e
di
fare quanto detto.
Lei che poteva
riportare in vita
ciò che una vita aveva già avuto, il limite per
il quale
si era ritrovata a piangere il proprio dolore, il confine per il quale,
quella volta, si costrinse a ringraziare.
Fu un bacio lieve,
quello che le
labbra fredde di Loki accettarono, una bocca tremante che Astrid si
costrinse ad allontanare per guardare di fronte a sé.
Non la dea, non la sua
famiglia, ma
il nulla, un punto che nessuno oltre lei avrebbe visto,
perché
era dentro se stessa, che si stava perdendo, in quella
immensità
che la spinse ad avanzare in silenzio, da sola, verso la finestra dalla
quale volò giù in un soffio, tuonando a terra
come se un
fulmine avesse provato a spaccare quella parte di mondo a
metà.
Ed una crepa si
aprì, ai
suoi piedi, mentre il nero del cielo gorgogliava nervoso per il suo
cheto avanzare, lento, e solitario come sempre era stato il suo passo.
Perché
nessuno avrebbe potuto reggerlo, sopportarlo, ma andava bene
così, sarebbe dovuto, andar bene così.
Quando Zenas
percepì la
presenza calda accanto a lui si costrinse a riaprire le palpebre e a
richiuderle frettolosamente per non rimanere accecato, mentre la figura
camminava lenta per una via che la crepa tracciava di fronte a lei.
Lei che bruciava e
spogliava il terreno da ciò che morto, sotto i suoi piedi,
non fu più.
E ci furono erba e
fiori, a
tendersi verso di lei, verso la vita che gli umani e la dea affacciati
alla finestra videro brillare nel vuoto, la guida di chi per strada si
era perso, dalla quale era stato scacciato, chi Astrid avrebbe
recuperato dal fondo dell’oblio per adempiere al suo dovere,
al
suo destino.
Pagare per ogni amore
conquistato,
perire, per ogni lacrima che sulle sue guance evaporava per le fiamme
che le lambivano il corpo sottile e stanco.
Si udì un
grido, al di
là del vuoto, un coro di voci che lo squarcio aperto nel
cielo
rese più acute, isteriche, disperate, le urla di chi alla
vita
venne richiamato da lei, quella luce che smise di essere umana e
divina, e che aria ed energia pura, si arrese a ritornare per un
istante.
Il boato
dell’esplosione
coinvolse i pianeti a quello vicino, il palpito isterico di un cuore
che tutti sentirono tuonare sulle proprie teste, un palpito per il
quale Giganti di Ghiaccio ed umani si trovarono a fissare lo stesso
punto di luce comparso d’improvviso lì dove nulla
vi era
più.
Ma era oro, quello che
Zenas ed Hell si trovarono davanti.
E torri alte, dagli
stendardi
d’avorio che la grandezza di quel popolo non avrebbe smesso
di
mostrare, un’opulenza che l’armatura dorata del dio
biondo
riflettè nello sguardo tornato blu, senza più
luce,
né vita, solo uno sguardo che era divenuto stanco e cedevole
come un cristallo abbandonato nel fondo dell’oceano.
- Che la tua gente
abbia imparato
la lezione, figlio di Odino – tuonò la sua voce,
storpiata
da quel potere che in lei ancora vibrava e che rendeva le sue parole
l’eco lontano di anime grandi, antiche, e solenni.
- La vita vi
è stata
restituita, ma per l’ amore che tu per primo hai
disprezzato – e c’era rancore, nella voce di
Astrid,
rancore per le sofferenze subite, e per quell’ascolto che mai
le
era stato permesso, ma ora avrebbero ascoltato tutti.
E lui, quel dio che in
Loki aveva
sempre generato amore ed odio, sarebbe stato il testimone delle sue
promesse, delle sue minacce, dei suoi comandi.
Perché era
il Tesseract, e a
lei si doveva la vita, a lei avrebbero dovuto ogni sorriso, respiro,
sguardo rivolto ai propri cari ritrovati, d'ora in avanti.
- E
quell’amore, figlio di Odino, chiedo che a Loki sia concesso,
come fin dall’inizio sarebbe dovuto essere. Perché
ora avete la possibilità di riparare l’errore e
riprendervi dalla vostra ignoranza, ed amarlo come si merita, questo
è tutto ciò che vi chiedo in cambio.
Ci fu silenzio, e
sguardi duri
rivolti a ciò che di splendere smise in silenzio, ma lo
sguardo
di stelle mai Thor, dio dei fulmini, abbandonò, per amore
del
suo popolo, e del ruolo del quale era stato investito.
Protettore di Loki, da
lì in
poi, responsabile di quel dolore che lui per primo sapeva di aver
causato al fratello, e fu per amor suo, che promise.
Fu per amor suo, che
Astrid sorrise debomente prima di chiudere gli occhi e smettere di
bruciare.
La videro rivolgere
loro uno
sguardo assente, vitreo e distante, ma quando Pepper non la vide
girarsi al suo richiamo sentì le lacrime di disperazione
riempirle gli occhi quando udì lo strappo che la figlia
generò nel vuoto, uno squarcio dentro il quale ci fu neve e
ghiaccio, ad accogliere i piccoli passi di Astrid.
E fu sulla neve, che
lei ricadde,
le mani affondate fino al gomito nella distesa ghiaccio che le sue
lacrime tinsero d’azzurro.
Un pianto per il quale Yssgradrill intera si trovò a tremare
mentre Asgard tornava risplendere di un fulgore che lentamente, sul
manto innevato, si spense assieme all’urlo con il quale cadde
riversa al suolo, il viso rigato di lacrime e lo sguardo stanco di chi,
oramai, non aveva più nulla da sacrificare.
Continua…
Hel e il suo regno non
sono di mia invenzione, poichè sono descritti nella
cosmologia norrena come il regno opposto ad Asgard, che
rappresenterebbe il cielo, ed Hel, di conseguenza, l'inferno.
Ringrazio tutti per la lettura, l'attenzione e il passaggio da queste
parti!
Al prossimo aggiornamento, Gold Eyes
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