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Autore: Hagne    18/08/2013    1 recensioni
Tratto dal primo capitolo:
"I fantasmi del passato erano mostri difficili da addomesticare, creature d’ombra che mal tolleravano le catene alle quali venivano costrette, ed i suoi, di fantasmi, non avrebbero potuto essere imbrigliati neanche se avesse avuto le catene più spesse, pesanti e dure con le quali vincolarli"
[ Seguito di " A Demon's Fate"]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything '
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Capitolo 6
“His soul was tortured by love and by pain
He surely would flee but the oath made him stay
He's torn between his honor and the true love of his life
He prayed for both but was denied “
[…]
“Was it worth the ones we loved and had to leave behind
So many years have past toward a noble land of lies
Will all our sins be justified?”
( Within Temptation – Hand of Sorrow)





I morti non erano creature da strappare alle braccia scheletriche dell’oblio, ma quelle stesse braccia Loki le aveva squarciate  non appena l’ombra silenziosa vomitata dalla terra putrida aveva provato a ghermirgli un piede.
Maciullò tra le mani il cranio di un  non-morto appena decapitato, sorridendo biecamente per la paura che le pupille lucide e pallide delle creature attorno a lui riflettevano sul terreno fangoso, mentre la pioggia battente fischiava nelle orecchie il brontolio  inquieto del suo stomaco.
- Non è permesso a nessuno di calpestare queste terre, figlio di Laufiel, neanche a voi – gorgogliò il più possente di loro, l’anima perduta di quello che un tempo era stato il più efferato degli assassini ma che ora scontava la propria colpa nell’oltretomba, lì dove né uomo, né dio, era ben accetto.
Ma le porte di Hel erano state forzate, e ciò che l’esterno  aveva rigettato lì dentro era una creatura meno viva di quanto avessero pensato.
Perché non c’era nulla, ad accendere quella pupilla dilatata, nulla se non follia e fame di sangue, di morte,  un’urgenza che Loki aveva appagato tappezzando gran parte del terreno circostante di cadaveri in putrefazione.
- Devo vedere la vostra regina.
Un grido isterico si levò dalla folla di cadaveri, improvvisamente appiattitisi contro il terreno in posizione animale nell’udire la richiesta del dio degli inganni, un ordine per il quale persino l’assassino si trovò a rabbrividire profondamente.
- La regina non può essere disturbata da un vivo.
La risata che gli ruggì in petto li fece trasalire per la nota malsana e stridente che gli risalì la gola, aggrappandosi alle labbra che videro curvarsi in un sogghigno ben più temibile di quello isterico della loro Regina.
- Ma io non vi stavo chiedendo il permesso – li avvisò asciutto – la mia era solo una semplice constatazione.
- Di qui non si passa! – gridò allora  un’ombra piccola e ingobbita, dalla barba incolta e dagli occhi incavati – ci è stato dato ordine di non lasciar passare nessuno, e nessuno lasc – il risucchio isterico della terra accolse la punta dello scettro affondato nel cranio piantato a terra, e quando il non- morto provò a dimenarsi si ritrovò sgozzato dalla mano che  dio aveva calato su di lui, tranciandogli la carotide di netto prima  di accostare al fianco una porzione del mantello per ripulire lo scettro dallo schizzo di sangue marcio.
- Presumo ancora che non vogliate lasciarmi passare, dico bene? – li riprese divertito, calciando il cranio e alzando su di loro l’unico occhio buono con un sorriso storpiato in una smorfia invasata.
Un singulto di paura sfuggì a tutti loro, ma fu l’assassino, in vero, a piantare la propria lancia nel terreno e alzare la mascella forte mentre alcuni dei suoi compagni tentavano di trovare rifugio sotto terra, scavando fosse dalle quali speravano di non essere strappati.
Ma quando lo videro inclinare il capo di lato e schiudere un sorriso di labbra arricciate, la puzza della loro paura appestò l’aria umida rendendo persino la pioggia acida e gravida del loro terrore.
- Tanto, alla fine, siete tutti destinati ad inginocchiarvi di fronte  a me.




°°°


Quando il corpo venne rigettato malamente sul pavimento scarno una testa grigia si alzò dal braccio magro e puntellato di morsi abbandonato sul bracciolo mentre le porte uggiolavano per la forza con la quale erano state schiantate contro le pareti.
Un viso pallido e incavato fece in seguito capolino dal fondo dell’immensa costruzione diroccata, lineamenti ruvidi senza pelle ad addolcire l’ossatura tanto visibile da poterne contare i segmenti, ma furono gli occhi, orbite cave svuotate da ogni senso di moralità e giustizia a sorridere isteriche nel vuoto, volando oltre il corpo malandato per puntarsi sulla figura immobile sulla soglia della sua dimora.
- Loki.
Una smorfia disgustata tagliò il viso del dio non appena il trillo irritante di quella voce gli perforò il cranio,  una voce che non era cambiata negli anni, ma che era rimasta ugualmente raccapricciante e ugualmente irritante, anche se da bambino, di quella creatura ne era sempre stato intimorito.
Nel vederla saltare in piedi sulle gambe sottili e appuntite come chiodi Loki ricordò a se stesso che nonostante l’aspetto gracile e inquietante di quella piccola cosa, c’era una vera bestia,  a dimorare in lei, una crudele fiera verso la quale persino il Padre degli dei aveva serbato una certa apprensione.
E non solo perché quella creatura fosse sua sorella, ma perché c’era qualcosa di malsano in quel viso emaciato, una fame che non sarebbe mai stata saziata per quanto avesse mangiato e bevuto, una voracità mai appagata che aveva finito col farla impazzire.
Una risata isterica le scosse il corpo secco come se fosse preda di convulsioni, ma era semplicemente il suo fisico ad essere tanto magro da non poter reggere neanche le vibrazioni del suo stesso riso, un tintinnio sinistro che seguì il ‘crack del braccio  che il non-morto si vide strappar via quando la creatura gli concesse la sua attenzione.
- Zenas, mio stupido e piccolo Zenas – canticchiò la dea, afferrando i capelli della creatura con rabbia, sputandogli in faccia la propria irritazione – neanche come cane da guardia vali qualcosa.
- Mi dispiace.
- Ti dispiace? – gli gridò contro, spillando saliva e azzannando l’aria con i denti affilati e cuneiformi – ti dispiace? Vuoi che ti strappi anche l’altro braccio?
- No, mia signora.
- Supplicami.
Il silenzio protratto del mostro parve indispettirla, perché c’era ancora orgoglio, in quel lurido assassino, una furia omicida che Hell aveva sempre apprezzato, come la prestanza fisica di quella carne  che rimaneva comunque possente, anche se oramai tumefatta, eppure era proprio quella scintilla di ribellione ad indisporla.
Il motivo per cui più di tutti lui fosse torturato e lasciato a marciare nei campi dimenticati per diventare preda degli ingordi, sempre affamati di nuova carne putrefatta.
- Vi supplico – e il non-morto fu costretto a mordersi l’interno del labbro per sputare quelle parole – vi prego di perdonarmi mia signora.
La mano si addolcì lievemente, ma tornò a scattare in artiglio come era solita tenerle, perché la poca pelle presente sul suo corpo non le permetteva di fletterle in modo da farle sembrare quanto meno umane.
- Allora Loki? Cosa ti porta nel mio bel regno? Hai finalmente deciso di arruolarti nelle mie legioni? – gli chiese civettuola, sventolando ciglia che parevano più ragnatele rinsecchite che altro.
- Sai come ucciderlo?
Nel mentre che Zenas riusciva a raggiungere l’angolo buio nel quale la dea aveva lanciato il suo braccio Hell era tornata a sedersi sul proprio trono d’ossa, con il mento abbandonato mollemente sulla mano chiusa in pugno.
 - Se non sei venuto per arruolarti, allora qualunque cosa tu abbia da dire non mi interessa.
Gli sfuggì un verso gutturale nel vedere il gesto annoiato con il quale la dea aveva indicato l’uscita, ma Loki rimase ritto e gelido.
- Tu sai come ucciderlo vero?
- Non so di chi tu stia parlando – replicò Hell, palesemente annoiata dalla conversazione.
- Invece sì – sibilò incattivito – ti ho sentito parlare di lui da bambino, tu e mio padre ne parlavate sempre.
Un guizzo isterico del viso della dea lo convinse di essere nel giusto, che Hell ricordava e aveva capito a cosa si stesse riferendo, ma per qualche ragione sembrava voler dirottare il discorso.
- Allora? Tu sai come ucciderlo? – insistette – sai come-
- Non può essere ucciso.
- Cosa?
Il salto con il quale Hell scese dal trono fu felino, calcolato, e osceno, perché ondeggiava più che camminare, e il modo in cui lo guardava fece stringere a Loki la presa sul suo scettro.
- Non.può.essere.ucciso – cantilenò sadica, soffiando una nuvola di aria rarefatta e tanto malsana da sbriciolare  la base della colonna contro la quale si era poggiata con le braccia intrecciate dietro la schiena.
- Che significa che non può essere ucciso?
- Perché credi sia servito l’aiuto di tutti e nove i sovrani Loki? – lo riprese aggressiva, indurendo il viso  congestionato dalla rabbia – siamo dovuti intervenire tutti, tutti per evitare che quell’abominio potesse divorarci tutti. E sai cosa abbiamo fatto?
Negò con un cenno distratto del capo, perché risponderle a voce avrebbe potuto darle l’alibi giusto per cambiare discorso.
- Abbiamo dovuto imprigionarlo, Loki, relegarlo nelle profondità dell’universo. Galactus, quel lurido piccolo bastardo! -  e il suo nome lo urlò fino a privarsi dell’aria che incanalò per un secondo grido frustrato.
- Lui non faceva  altro che mangiare e mangiare anche sapendosi sazio, ed ora, ora è libero, e tutto per colpa tua.
- Mia?
- Si tua! Tua e di quell’altro abominio!
Lo schizzo di sangue imbrattò la parete di polvere come un vaso di vernice gettato a caso, ma la ferita  che tagliava a metà la gola della dea era stata intenzionale, e calibrata, di una precisione millimetrica che impedì alla creatura di ritrovare la voce prima di riassorbire lo squarcio e sputare altro sangue raggrumato in gola.
- Non osare parlare di lei – la minacciò il dio con  asprezza, alzando lo scettro e puntandoglielo alla gola,  pronto a tranciarle la testa di netto – non permetto a nessuno di parlare così di lei.
Hell tossì ancora, coprendo la bocca con la mano che sfregò contro il proprio abito sgualcito per tornare a ridere isterica.
- Non posso credere che davvero tu ti sia invaghito di quella  cosa - e agitò la mano per mostrare il proprio disgusto al riguardo -  pensavo che fossero solo voci di corridoio, ma a quanto pare persino a te l’amore ti ha reso stupido.
- Bada a come parli.
- Altrimenti? – lo stuzzicò, balzando indietro di qualche metro nel cogliere l’agitare frenetico del suo scettro – mi ucciderai come hai fatto con mio fratello? Il padre che ti amato fino a morirne? Allora Loki? Potresti uccidermi tanto orribilmente solo per aver parlato male di lei?
- Ho ucciso per molto meno – ringhiò incattivito, seguendo i movimenti scoordinati con i quali la vide muoversi a destra e sinistra, come a prender tempo.
- Lo so, ho sentito dello sterminio dei Creatori, e tutto per quella piccola nullità!
Un altro schizzo di sangue, e un braccio volato dall’altra parte dell’androne mentre la Dea saltava verso le arcate della cattedrale, reggendosi al soffitto con gli artigli affondati nel marmo cedevole del tetto.
- Sei piuttosto protettivo nei suoi confronti - e c'era una nota d'invidia a graffiarle la voce - non credevo che il dio degli inganni potesse provare simili emozioni all’infuori dell’odio – gracchiò con voce isterica, saltando da una parte all’altra della sala per sfuggire ai raggi di magia scagliatele contro come frecce avvelenate.
- Ma vuoi sapere una cosa? Galactus la verrà a cercare, se non l’ha già fatto ovviamente.
- Perché lo credi?
Un sorriso divertito le piegò le labbra quando le sembrò di cogliere dubbio nello sguardo impenetrabile del dio, una fragilità della quale si cibò, tornando a terra e spolverandosi l’abito sgualcito con l’unica mano rimastele.
- Perché lui è come lei. Gli fu data la vita da uno dei Creatori per usarlo come pattumiera, se mai i loro esperimenti avessero dato cattivi frutti, capisci? Ha la sua stessa forza, ma è nato per distruggere, mentre lei è nata per dare la vita.
- E perché sarei stato io a liberarlo? – chiese disorientato, e questa volta c’era vera paura, a fargli tremare il cuore, il timore che fin da bambino lo aveva spinto ad allontanare il calore di sua madre Fridda e l’iperprotettività di Thor.
Paura.
Paura di essere ferito e tradito da chi ad amarlo aveva imparato, ma nessuno c’era riuscito fino in fondo, e a lui le cose incomplete non gli erano mai piaciute, ma ora, ora aveva davvero qualcuno che lo amava per quello che era.
Qualcuno da proteggere, da amare senza paura di rimanere scottato, qualcuno che forse aveva destinato lui stesso a soffrire per espiare  peccati suoi.
- Perché hai rotto l’equilibrio, Loki. Hai ucciso una razza, e seminato distruzione. Perché  hai distrutto un anello della catena che teneva Galactus relegato, e con la fine di Asgard hai sancito la rinascita di quel mostro e la dipartita della tua bella.
Il contraccolpo con il pavimento gli tolse il respiro, ma fece scattare una mano al viso per lanciare via il suo elmo coperto da una melma corrosiva che Hell gli aveva vomitato addosso prima di colpirlo con le mani artigliate e gettarlo indietro.
- E per questo entrambi dovrete pagare, ma sappi una cosa. Anche se in quanto divinità non possiamo morire, posso sempre condannarti ad un destino ben più orribile della morte stessa, una punizione che servirà a te e a quell’abominio da lezione.
- Tu non la toccherai con un dito – soffiò tra i denti, rimettendosi in piedi e caricando il colpo mentre la dea si acquattava in una posa animale per schiudere la dentatura affilata e sorridere melliflua.
- E chi ha detto che voglio solo toccarla?





°°°




Le immagini sfrecciavano  davanti ai suoi occhi sgranati per l’orrore, un prisma di colori sgargianti sfumanti dal ceruleo tiepido di quello che poteva  essere scambiato per un  fulmine passeggero, ma non era un fulmine, quello che Astrid fissava con angoscia sullo schermo del computer.
Era un portale, una via per l’universo che Loki aveva aperto e imboccato senza avvertirla, lasciandola indietro.
Lasciandola  sola.
- Sono sicura che sta bene, forse è andato su Jotunheim.
- Oppure ha deciso di prendersi una vacanza – ci scherzò su Tony Stark, meno attento della moglie che gli rifilò una gomitata nel fianco per avvertirlo che quello non era il momento di fare il sarcastico, e l’uomo lo capì quando non vide l’accenno di un sorriso sul viso pallido di sua figlia.
- Qualunque cosa sia successa, sono sicuro che quello squilibrato sia capace di cavarsela da sé tesoro– tentò allora di riparare, sospirando pesantemente nel non riuscire a scalfire la sua espressione angosciata.
Perché si sentiva sperduta, Astrid,  e spaventata, gravida di quella “paura” che da bambina aveva imparato a temere più di ogni altra cosa quando il buio della sua prigione l’aveva accolta nel mondo, quando,  per la prima volta, si era sentita abbandonata.
Ed erano una sensazione che aveva creduto di aver dimenticato, ma ora, con quelle immagini impresse a fuoco nella retina,  non poteva che sentirsi ferita da quella che le sembrava una fuga, un fuga da lei, dal dolore che gli aveva inflitto, dalla frustrazione di sapersi coinvolto in guerre non sue.
Un braccio forte la sollevò da terra  ancor prima di potersi abbandonare ad un gemito addolorato, e quando Bruce se la schiacciò contro si premurò di coprirle gli occhi e baciarle la tempia con forza.
- Non pensare a ciò che può accadere, ma a quello che vuoi fare ora – le sussurrò in un orecchio, cullandola dolcemente nel sentirla rilassarsi contro il suo petto e rilasciare un lungo respiro stanco.
Stanco come lo sguardo che Astrid puntava nel nulla, la mente proiettata in immagini di Loki ferito, catturato, o peggio, prigioniero di Galactus, ma si costrinse a non pensarci, perché suo padre aveva ragione.
Perdersi in fantasie non avrebbe fatto altro che farla soffrire, doveva perciò concentrarsi su come comportarsi, su casa fare ora per capire il perché di quel gesto.
- Andrò a cercarlo.
- Andremo tesoro, andremo – la corresse sua madre con un sorriso gentile – andremo tutti insieme.
- Su questo avrei da ridire – intervenne lo scienziato con voce grave, voltandosi a guardare la moglie con durezza – questa volta non credo sia il caso  che tu venga con noi.
Petto contro petto, Pepper Potts si trovò a fronteggiare il viso cupo dell’eroe senza remora alcuna, il mento alto e lo sguardo severo di chi, di sottostare a leggi imposte, non sembrava interessato.
- Invece io verrò.
- No, tu non verrai – la contraddisse arcigno, afferrandola per un braccio con un lampo di dolore per il quale, per un momento, la donna si trovò a schiudere le labbra  – non posso combattere sapendoti in pericolo.
- Ma non lo sarò – e così dicendo si districò dalla presa per accostare il dottore e aiutare Astrid a tornare di fianco a lei – perché sarò troppo occupata a proteggere mia figlia, e non ho il tempo di gettarmi in stupide schermaglie tra mostri e alieni.
Una giustificazione gettata quasi per scherzo, ma c’era qualcosa di strano, nello sguardo di sua moglie, una luce diversa che Tony fissò attentamente per un istante prima di aggrottare le sopracciglia.
- Cosa diavolo hai fatto?
- Io? – si ritrovò ad indicarsi la donna, colpita all’acume del marito che doveva aver annusato qualcosa – io non ho fatto nulla. Ho solo promesso ad una persona di proteggere Astrid.
- E chi sarebbe questa persona? La conosco? – si indispettì lo scienziato.
- Si papà, la conosci – gli rispose Astrid con semplicità –è mia madre.
- Tua madre? Cioè, tu ti sei ripromessa di proteggerla?
Una smorfia divertita le tese il volto nel ripensare alla frase preferita di suo marito, una critica che quella volta, sarebbe stata lei a rivolgergli.
- Hai dimenticato come si conta tesoro?  Quante dita  vedi alzate?
- Due – rispose prontamente lo scienziato, imbronciando le labbra nell’altalenare lo sguardo dalle affusolate dita al sorriso strafottente della moglie, e fu solo dopo molto, troppo tempo per un genio come lui, che Tony Stark si trovò ad impallidire e arrossarsi per la rabbia che gli gonfiò il petto e gli bruciò la gola.
- Tu hai incontrato uno dei Creatori? Quando? Come? Perché?
- Mi spiace tesoro, roba da donne.
- Roba da- mi stai prendendo in giro? Come osi tacere questi particolari?  - e andò avanti a sbraitare fino a diventare paonazzo mentre Astrid, assicuratasi di avere abbastanza forza da compiere quel viaggio, si allontanò dalla sua famiglia per andare in contro al capitano dello S.H.I.E.L.D. chino sull’ennesima scartoffia da firmare per dare il via all’operazione di difesa.
- Signor Fury?
Uno sguardo gettato distrattamente alle spalle, e l’uomo si convinse a lasciar perdere i codici di sicurezza inviati da Selvigg per dare la sua completa attenzione all’alieno, ancora provato da quanto accaduto poche ore prima anche per la sua incompetenza, ma pronto a gettarsi in campo.
- Si Astrid?
- Io e la mia famiglia andremo alla ricerca di Loki. Cercherò di fare il più in fretta possibile, ma renderò  Yssgradrill una difesa impenetrabile fino al mio ritorno, in caso di un attacco in mia assenza – gli spiegò severa, tornando a quella se stessa un po’ più adulta e meno ingenua, un piccolo soldato in gonnella che del proprio dovere non si era dimenticato.
E non lo avrebbe fatto, perché era un suo dovere come umana, come donna, e come Tesseract, proteggere ciò che andava protetto,  e la Terra sarebbe rimasta illesa fintanto che lei fosse stata in vita.
Una fedeltà per la quale l’uomo si trovò a ringraziarla con lo sguardo, richiamando l’attenzione dei sottoposti che scattarono in piedi con le mani portare al capo in un saluto militare che Nick Fury per primo compì.
- Aspetteremo il vostro ritorno allora. Buona fortuna agente Astrid – e c’era reale riconoscimento in quel titolo, un’identità che ora la investiva davvero di un ruolo concreto, e non solo immaginato.
Perché era Astrid, componente onorario degli Avengers, ed ora, soldato scelto degli Stati Uniti d’America.
- Si, si, ora basta con queste sciocchezze che abbiamo da fare. Astrid! Vieni qui vicino a me, non voglio che quella degenerata di tua madre ti spinga sulla cattiva strada, bugiarda com’è diventata – lamentò Iron Man, strattonando la figlia verso di sè prima di molleggiare il braccio e imitare un saluto fiacco e sbadato.
- Mi dispiace contraddirti, ma se c’è una persona che la può condurre sulla cattiva strada quello sei tu – lo rimproverò Bruce, arpionando il braccio destro di Astrid e tirandosela contro mentre dal lato opposto Iron Man si aggrappava al busto della figlia nel vano tentativo di fungere da zavorra.
- Tu che vuoi ora? Vatti a sbaciucchiare la Hills e non appestare me e mia figlia con la tua puzza di piedi!
- I miei piedi non puzzano!
- Ma davvero? Dove credi sia andata la mia colf Barner? In ospedale! E solo perché quella povera donna ha avuto la malaugurata idea di lavare i tuoi dannati calzini radioattivi!
- Non è vero!
- Si che è vero!
Con uno sguardo scanzonato Pepper si insinuò tra i due uomini che parevano fare  a gara su chi distoglieva per primo lo sguardo, salvando Astrid dalle loro grinfie per fare quanto promesso a Semjace.
E quando scomparvero in un tunnel di luce comparso dal nulla, Nick Fury si accostò alla finestra della stanza, osservando attentamente il campo di forza che l’albero sembrava lanciare come una rete sopra le loro teste, la protezione promessa e ricevuta da quella che non era più un alieno adottato, o una fonte d’energia condivisa, ma un eroe.
Il più grande eroe che l’America e il mondo intero avesse mai avuto il privilegio di avere come compagno.




°°°



 
- Dove diavolo siamo finiti?
Il fischio del vento fu l’unica risposta che Tony Stark ricevette mentre l’occhio si perdeva per miglia e miglia di terra ribaltata, cieli cupi e coperti da coltri di nebbia talmente fitta e compatta da sembrare una parete traslucida inchiodata al cielo come barriera dal sole.
Perché non c’era luce, lì dove erano capitati, non una scintilla.
- Sei sicura che Loki sia qui?
La risposta tardò ad arrivare, ma Astrid non riusciva a trovare la voce, incastrata in fondo alla gola assieme al nome che avrebbe voluto urlare, se solo non avesse percepito tutte quelle presenze attorno a sé, ombre sinistre che si agitavano attorno a loro come il riflesso frammentato di uno specchio rotto.
- Stiamo vicini – raccomandò loro Bruce prima di trasformarsi e raddoppiare la stazza, così da rinchiudere tra sé e l’uomo di metallo le due donne e avviarsi.
La terra si sgretolava sotto i loro piedi come creta, costringendoli a deviare per ammassi di rocce coperte di brina sotto i quali, con orrore, Pepper trovò il corpo mutilato di un uomo dal quale il marito la allontanò bruscamente, stringendo la cintura di difesa formata con Hulk che pareva altrettanto nervoso.
Ma più procedevano nella speranza di trovare qualcosa, più il nulla tornava a gettarli nella confusione mentre Astrid cominciava ad avere paura.
- Starà bene, sono sicura che starà bene – la rassicurò sua madre, stringendo la presa sulla mano che la donna portava al petto nel captare scricchiolii, risate sommesse, e dialoghi concitati di ombre che non osavano mostrarsi, forse per la stazza imponente di Hulk, o forse perché gli era stato ordinato di non farlo.
Perché qualcuno voleva che avanzassero, che calpestassero la terra putrefatta e urlassero di orrore nell’inciampare in qualche arto mozzato, una creatura che di quella desolazione era padrone, un mostro che forse, avrebbero trovato nell’imponente cattedrale diroccata a qualche metro di distanza.
Fu proprio nell’aguzzare la vista verso lo sgangherato edificio che Astrid vide un’ombra stesa al suolo, circondata da qualcosa, topi forse, ma erano troppo grandi per poterlo essere, ma avrebbe preferito che lo fossero, perché ciò che vide la disgustò a tal punto da costringerla a coprirsi la bocca per non vomitare.
- Astrid!
Risate isteriche irruppero nell’aria quando l’urlo di Pepper si levò alto, un richiamo per ciò che fino ad allora era rimasto nascosto ma che, nel vedere la piccola figura avanzare da sola, senza protezione, balzarono via dai loro nascondigli per raggiungerla.
E non ci fu più solo la sua ombra a sfrecciare veloce per la terra morta, furono decine, migliaia di figure che Astrid ritrovò davanti a sé, su quel corpo ferito che delle creature parevano torturare, generando urla di dolore che per un attimo, temette appartenessero a Loki.
Il lampo di luce fendette il cielo come la lama implacabile di una divinità, ma non era il suo dio, quello riverso a terra, non era Loki si rincuorò, il respiro affannato e la mano ancora tesa davanti a lei, per far arretrare quelle cose.
Ricadde in ginocchio con il cuore stretto in gola, lo sguardo lucido per ciò che vedeva, lo scempio di un corpo privato degli arti superiori, con il volto esangue e le iridi pallide rivolte al vuoto, come se fosse morto.
Ma lo sentiva respirare, e tanto le bastò per chinarsi a raccoglierlo tra le braccia e aiutarlo ad appoggiarsi al suo petto per ritrovare un minimo di ristoro.
Quando Zenas si decise a schiudere le palpebre lo fece per la meraviglia di sentire un tocco delicato sulle sue membra spolpate, un tocco che non poteva appartenere a nessuno dei suoi compagni che, poco prima, avevano tentato di privarlo di ogni parte del corpo come loro era stato ordinato della regina.
Una punizione alla quale  lui più di tutti era avvezzo, perché d’animo ribelle e violento, ma quella volta, c’era calore, attorno al suo capo, e una luce gentile che gli riempì lo sguardo quando la vide china su di sé.
Il disagio la investì nel sentire i suoi occhi puntati sul suo viso, ma Astrid non riuscì a distogliere lo sguardo come avrebbe voluto, perché c’era qualcosa di doloroso, in quella pupilla vitrea, una sofferenza senza fine per la quale si trovò a stringere le labbra prima di tergere il sangue con un lembo dell’abito e accostare la mano ai suoi arti mozzati.
- Allontanati da lui!
Lo strattone la fece sussultare per la sorpresa, ma Tony non perse tempo a mostrarsi compassionevole come la figlia di fronte a quell’orrore che Astrid teneva in grembo, come a concedergli un minimo di conforto.
- Lascialo!
- Ma è ferito.
- Ma non vedi cos’è ? Non vedi che –
- Cosa? – lo interruppe lei, fissando suo padre negli occhi con durezza – cosa papà? Cosa dovrei vedere? Che è diverso da me? È questo ciò che vuoi dire?
- Io non volevo-
- Solo per questo non dovrei aiutarlo? Solo perché è diverso da me ? – continuò con voce rotta – tutti hanno bisogno di aiuto, persino lui – e si districò dalla presa dell’eroe, tornando a chinarsi sulla creatura e riversare sulle ferite un po’ del suo potere.
Nel percepire il rigenerarsi dei suoi arti, Zenas tese una smorfia dolorosa, ma si costrinse a guardare in alto, su un cielo che aveva  visto sempre nero e cupo, ma che in quegli occhi vide tingersi di luce, un’abbacinante e gentile luce cerulea che lo investì, lasciandolo spossato ma nuovamente integro.
- Tornerò – gli promise, trascinandolo contro una roccia prima di tornare ritta e guardare la costruzione decadente con  occhi pesti e stanchi, mentre il suo corpo tornava ad emettere il bagliore accecante  dal quale le ombre si allontanarono frettolose tornando nella terra da dove erano uscite.
Ripresero ad avanzare, con un po’ meno timore, illuminati dalla scia di stelle che Astrid lasciava dietro di sé, perchè era tornata a proteggerli, come lei sapeva, era giusto che fosse, come era suo compito fare.
Perché, se l’umanità non ci sarebbe riuscita, se un dio non avesse potuto, sarebbe stata lei, a combattere per ognuno, e a mostrare pietà per chi, d’aspetto diverso, avrebbe potuto generare disgusto e avversione negli altri.
Ma non in lei, lei che diversa lo era sempre stata, e che compatita non era mai stata, una mancata premura per la quale Astrid aveva deciso di non privare nessuno.
Non chi escluso era stato, e né chi, assassino e sterminatore di razze, si trovò a vedere la luce per la prima volta.



°°°


Lo scricchiolio  sinistro della porta lì invito ad entrare, ma fu Hulk ad aprire loro la strada, avanzando lento e con gli occhi neri fissi su ogni cosa si muovesse, ma non c’era niente, in quella stanza.
Solo polvere, e i resti di colonne che ancora fumavano per uno scontro consumato con troppa violenza, una ferocia che gli schizzi di sangue sulle pareti imbrattate e le impronte di mani rosse che parevano aver provato a reggersi ad una delle colonne cadute resero ancora più agghiaccianti alla vista.
Pepper si abbandonò ad un rantolo sommesso nel vedere quell’orrore, e fu con fare apprensivo che vide le spalle di sua figlia sussultare ferocemente prima di vederla correre senza fiato verso un angolo buio della sala, lì dove la videro crollare in ginocchio con un gemito stretto in gola.
Le tremavano le mani, ma quando i polpastrelli toccarono le corna lucide dell’elmo Astrid se lo tirò al petto con tanta forza da ritrovarsi senza fiato per il contraccolpo, ma le sue braccia parevano essersi congelate in quell’abbraccio disperato, una stretta nella quale affondò il viso, schiacciando la fronte contro il freddo metallo con un singhiozzo.
- Tesoro? Cosa- la voce si perse nel nulla quando, nell’accostarsi alla piccola figura raggomitolata su se stessa, riconobbero ciò che Astrid stritolava tra le braccia, bagnando l’elmo delle lacrime che rotolavano giù dalle sue guance assieme ai singhiozzi sfuggiti dalle labbra tremanti.
- Forse è di qualcun altro, forse non è il suo – provò a consolarla Tony Stark, ma lui per primo sentiva la menzogna nella propria voce, una bugia che Pepper non ebbe cuore di raccontarle, perché era di Loki, l’elmo macchiato di sangue,  sue le impronte di mani insanguinate che avevano provato a reggersi a qualcosa.
Il dolore al petto non le permetteva di respirare, si sentiva soffocare, e le lacrime le gonfiavano la voce dello strazio con il quale si costrinse ad alzare il viso nel sentire il tocco delicato di una mano sulla spalla.
Ma fu proprio nell’aprire le palpebre serrate che lo vide.
Un luccichio.
Delicato e abbandonato nel buio dell’angolo, ma una luce verso la quale Astrid tese un braccio, strisciando verso il piccolo monile con il quale le sue mani, una volta entrate in contatto,  inviarono una fitta di dolore tra gli occhi, come se qualcuno le avesse appena trapassato il cranio con una lama.
Perché era il suo orecchino, quello che giaceva  a terra tra la polvere, il simbolo del loro amore, il dono con cui era divenuta sua secondo le leggi del suo popolo, la prova di quell’amore che Astrid sentì scricchiolare assieme agli occhi che avrebbero potuto infrangersi come specchi rotti, se non l’avesse raccolto da terra.
E quando lo strinse nel palmo, quando saggiò il familiare gelo, un’ondata di dolore le offuscò la vista, costringendola a curvarsi su se stessa e schiudere le labbra in un urlo che si trovò però ad inghiottire, quando lo sentirono sibilare nel vento.
Una voce.
- Le scale!
Correre le venne naturale una volta seguito il braccio di sua madre puntato alla loro sinistra, lì, dove una scala a chiocciola conduceva ai piani alti, alla fonte di quello che poteva essere stato uno spiffero del vento, ma non c’era tempo per perdersi in supposizioni.
Ed anche se l’elmo la rallentava, anche se l’anello stretto nella sua mano sembrava ustionarle la carne, Astrid non abbandonò mai la presa, salendo scalino dopo scalino con la voce che spingeva per urlare il nome di chi stava cercando, di quell’amore che le era stato rubato e senza il quale sarebbe morta.
Ma quando riuscì ad imboccare una piccola entrata nascosta da un nugolo di ragnatele, quando gli vi si gettò all’interno senza curarsi del pericolo, senza proteggersi da una ferita che avrebbe potuto raggiungerla, potè urlare quel nome, mentre il cuore tornava a battere e a farla sentire viva.
Quando Pepper precedette gli eroi all’interno della stanza dimessa si fermò sulla soglia della piccola entrata, le mani corse alla bocca che vibrò istericamente per il singhiozzo che le sarebbe sfuggito, ma non se lo permise, non di mostrare il proprio dolore per quella vista, persino gli occhi di Hulk si fecero lucidi.
Perché lo aveva trovato.
Steso su un quello che sembrava un altare scheggiato ai bordi, immobile, e con gli occhi chiusi, ma con il petto smosso da un respiro per il quale Astrid si era trovata a ringraziare, perché era vivo, Loki era vivo, ed era lì, tra le braccia che  lo strinsero al petto con disperazione, cavandole dalla gola quel gemito che a lungo aveva tentato di trattenere.
Un pianto silenzio le fece tremare le spalle, ma c’era sollievo, a farle brillare lo sguardo di nuove lacrime mentre le mani correvano ad accarezzare quel volto sfigurato, abbracciando con le dita quella porzione di viso che, benchè deturpata da quelle orribili cicatrici, tornò a farla innamorare.
- Incantevole, non trovi?
Si strinsero gli uni agli altri con uno scatto nervoso quando la udirono, ma la voce impiegò qualche altro minuto prima di disperdersi in un eco flebile e acuto come il fischio del vento.
- State dietro di me.
Pepper annuì severa, accostandosi alla figlia che aveva stretto Loki un po’ più a sé, come a fargli da scudo con il proprio corpo, ma c’erano Hulk ed Iron Man a rappresentare la prima linea di difesa, un muro divisorio contro il quale persino Hell avrebbe avuto qualche difficoltà, perciò fu con l’ennesima risata che venne giù dal soffitto, mostrando la sua  figura secca e rachitica.
- Attendevo con ansia il tuo arrivo – sussurrò melliflua la Dea, alzandosi sulle punte per vedere ciò che con tanto ardore il dio degli inganni aveva difeso assieme al suo onore, e quando  la vide, ne rimase affascinata, e affamata.
Perché pulsava vita, quella piccola creatura dalla pelle di cielo, tanta di quella vita da poter persino saziare lei se non fosse stata quello che era, una forza contro la quale la dea sapeva di non potersi misurare, non direttamente, almeno.
- Che cosa gli hai fatto?
- Io? Io non ho fatto nulla, è stato lui a fare tutto – le spiegò gentile, ondeggiando su se stessa con un sorriso che fu costretta ad inghiottire nel venire bruciata da una scheggia di luce lanciatale contro, una saetta che Astrid caricò nella mano destra, sentendo la furia divampare dentro di lei e bruciare.
- Non devi incolpare altri dei vostri peccati, Tesseract – e nel dire quel nome la dea sputò tutta la sua invidia per ciò che rappresentava – siete stati voi a meritare questa posizione, perché è colpa vostra, se Galactus si è liberato.
- Noi-
- Noi cosa? Voi siete stati la causa di tutto, e Loki ha meritato la sua punizione. Lui ha sterminato una razza per amore tuo, piccolo Tesseract, un amore che gli ha ridato ciò per il quale è stato condannato.
Amore.
Colpa.
 La sua.

Astrid potè sentire una voce nella sua testa urlare di non ascoltarla, perché quelle parole lei le aveva già udite in passato, una cantilena che il mondo non aveva mai smesso di usare come sua ninna nanna.
Perché era per amor suo, che Loki aveva ucciso la sua famiglia, per difendere lei, la sua dignità, il suo cuore sempre bersaglio della brama ed odio altrui.
- E con la distruzione di Asgard avete liberato quell’abominio dal giogo al quale i nove regni lo avevano costretto, perciò Loki è destinato a scontare la punizione per sempre.
L’orrore di quelle parole, di quella minaccia che sapeva d’eternità la tramortì come se l’avesse appena colpita, ma era stato il suo cuore, a ricevere la punta di quella freccia che le iniettò veleno nelle vene, nelle braccia che sentì afflosciarsi lungo i fianchi e su quel corpo che tornò a fissare con paura, terrore, disperazione.
Un sorriso stucchevole tese le labbra della dea di fronte a quella vista nell’annusare tutta quella disperazione, molta più di quanta lei stessa potesse mai aver nutrito, perché lei non aveva limiti, non nel suo potere, non per quelle emozioni che nella loro infinità avrebbero potuto ucciderla.
E stava morendo dal dolore, Astrid, lentamente, ma stava morendo con quel viso stanco stretto al petto come un salvagente al quale sapeva di non potersi più aggrappare, perché sarebbe venuto giù con lei.
- Non si sveglierà mai più – tuonò la voce della dea, gravida di quell’isterico godimento del quale si tinsero le sue orbite cave risucchiate da quell’immagine, affamate dal dolore che pareva sgretolare ogni cosa nel Tesseract.
Il corpo afflosciatosi al suolo, il viso distorto in una smorfia addolorata, e lo sguardo, frammentato in piccole schegge che sarebbero potute venire giù al suono della sua voce, al suono di quella che appariva come un destino inevitabile.
Ma non lo era, e la dea amava troppo se stessa per poter godere fino in fondo di tutto quel dolore, perché c’era un mostro, al di là dei suoi cancelli, una creatura che l’avrebbe uccisi tutti, una bestia che solo lei avrebbe potuto imbrigliare, ma solo se avesse avuto un motivo per combattere.
E il suo motivo era il dio sul quale aveva abbandonato il petto rigato dalle lacrime.
- Ma potrà riaprire gli occhi, se tu farai quanto da me richiesto.
- Cosa devo fare ? – fu l’immediata risposta che Astrid le diede in un sussurro, senza allontanare il capo dal petto che sentiva alzarsi sotto di sé, a ricordarle quanto dolore aveva seminato per far felice lei, per amare lei.
E si sarebbe caricata di quel dolore, lo avrebbe  preso tutto, senza lasciarne una minima goccia, in cambio del suo risveglio.
Perché si sarebbe sobbarcata di quei peccati che lei avrebbe potuto reggere, dei quali, in fondo, era responsabile, e perché, semplicemente, sapeva di dover sempre sacrificare qualcosa, per ciò che era, ma non lui, mai, lui.
- Devi ridare la vita a ciò che Loki ha distrutto, e quando Asgard tornerà a risplendere, lui potrà riaprire gli occhi.
Ma c’era un ma, nella sua voce, una pausa lunga un respiro con il quale Astrid riaprì gli occhi, osservando il vuoto mentre il cuore le andava in frantumi.
- Ma al suo risveglio, una volta riaperto gli occhi, lui non avrà più alcun ricordo di te o della tua esistenza. Tornerà al tempo della sua prigionia, della sua vecchia avita, senza avere memoria di te. È questo il prezzo da pagare per riaverlo indietro. Resta a te decidere se accettare di pagarlo, Tesseract.
Di nuovo quel nome, il fantasma più ingordo dei suoi ricordi, il suo tormento, il suo strazio, ma ciò che ora le avrebbe permesso di riportarlo da lei, e di fare quanto detto.
Lei che poteva riportare in vita ciò che una vita aveva già avuto, il limite per il quale si era ritrovata a piangere il proprio dolore, il confine per il quale, quella volta, si costrinse a ringraziare.
Fu un bacio lieve, quello che le labbra fredde di Loki accettarono, una bocca tremante che Astrid si costrinse ad allontanare per guardare di fronte a sé.
Non la dea, non la sua famiglia, ma il nulla, un punto che nessuno oltre lei avrebbe visto, perché era dentro se stessa, che si stava perdendo, in quella immensità che la spinse ad avanzare in silenzio, da sola, verso la finestra dalla quale volò giù in un soffio, tuonando a terra come se un fulmine avesse provato a spaccare quella parte di mondo a metà.
Ed una crepa si aprì, ai suoi piedi, mentre il nero del cielo gorgogliava nervoso per il suo cheto avanzare, lento, e solitario come sempre era stato il suo passo.
Perché nessuno avrebbe potuto reggerlo, sopportarlo, ma andava bene così, sarebbe dovuto, andar bene così.
Quando Zenas percepì la presenza calda accanto a lui si costrinse a riaprire le palpebre e a richiuderle frettolosamente per non rimanere accecato, mentre la figura camminava lenta per una via che la crepa tracciava di fronte a lei.
Lei che bruciava e spogliava il terreno da ciò che morto, sotto i suoi piedi, non fu più.
E ci furono erba e fiori, a tendersi verso di lei, verso la vita che gli umani e la dea affacciati alla finestra videro brillare nel vuoto, la guida di chi per strada si era perso, dalla quale era stato scacciato, chi Astrid avrebbe recuperato dal fondo dell’oblio per adempiere al suo dovere, al suo destino.
Pagare per ogni amore conquistato, perire, per ogni lacrima che sulle sue guance evaporava per le fiamme che le lambivano il corpo sottile e stanco.
Si udì un grido, al di là del vuoto, un coro di voci che lo squarcio aperto nel cielo rese più acute, isteriche, disperate, le urla di chi alla vita venne richiamato da lei, quella luce che smise di essere umana e divina, e che aria ed energia pura, si arrese a ritornare per un istante.
Il boato dell’esplosione coinvolse i pianeti a quello vicino, il palpito isterico di un cuore che tutti sentirono tuonare sulle proprie teste, un palpito per il quale Giganti di Ghiaccio ed umani si trovarono a fissare lo stesso punto di luce comparso d’improvviso lì dove nulla vi era più.
Ma era oro, quello che Zenas ed Hell si trovarono davanti.
E torri alte, dagli stendardi d’avorio che la grandezza di quel popolo non avrebbe smesso di mostrare, un’opulenza che l’armatura dorata del dio biondo riflettè nello sguardo tornato blu, senza più luce, né vita, solo uno sguardo che era divenuto stanco e cedevole come un cristallo abbandonato nel fondo dell’oceano.
- Che la tua gente abbia imparato la lezione, figlio di Odino – tuonò la sua voce, storpiata da quel potere che in lei ancora vibrava e che rendeva le sue parole l’eco lontano di anime grandi, antiche,  e solenni.
- La vita vi è stata restituita, ma  per l’ amore che tu per primo hai disprezzato – e c’era rancore, nella voce di Astrid, rancore per le sofferenze subite, e per quell’ascolto che mai le era stato permesso, ma ora avrebbero ascoltato tutti.
E lui, quel dio che in Loki aveva sempre generato amore ed odio, sarebbe stato il testimone delle sue promesse, delle sue minacce, dei suoi comandi.
Perché era il Tesseract, e a lei si doveva la vita, a lei avrebbero dovuto ogni sorriso, respiro, sguardo rivolto ai propri cari ritrovati, d'ora in avanti.
- E quell’amore, figlio di Odino, chiedo che a Loki sia concesso, come fin dall’inizio sarebbe dovuto essere. Perché ora avete la possibilità di riparare l’errore e riprendervi dalla vostra ignoranza, ed amarlo come si merita, questo è tutto ciò che vi chiedo in cambio.
Ci fu silenzio, e sguardi duri rivolti a ciò che di splendere smise in silenzio, ma lo sguardo di stelle mai Thor, dio dei fulmini, abbandonò, per amore del suo popolo, e del ruolo del quale era stato investito.
Protettore di Loki, da lì in poi, responsabile di quel dolore che lui per primo sapeva di aver causato al fratello, e fu per amor suo, che promise.
Fu per amor suo, che Astrid sorrise debomente prima di chiudere gli occhi e smettere di bruciare.
La videro rivolgere loro uno sguardo assente, vitreo e distante, ma quando Pepper non la vide girarsi al suo richiamo sentì le lacrime di disperazione riempirle gli occhi quando udì lo strappo che la figlia generò nel vuoto, uno squarcio dentro il quale ci fu neve e ghiaccio, ad accogliere i piccoli passi di Astrid.
E fu sulla neve, che lei ricadde, le mani affondate fino al gomito nella distesa ghiaccio che le sue lacrime tinsero d’azzurro.
Un pianto per il quale Yssgradrill intera si trovò a tremare mentre Asgard tornava risplendere di un fulgore che lentamente, sul manto innevato, si spense assieme all’urlo con il quale cadde riversa al suolo, il viso rigato di lacrime e lo sguardo stanco di chi, oramai, non aveva più nulla da sacrificare.




Continua…



Hel e il suo regno non sono di mia invenzione, poichè sono descritti nella cosmologia norrena come il regno opposto ad Asgard, che rappresenterebbe il cielo, ed Hel, di conseguenza, l'inferno.
Ringrazio tutti per la lettura, l'attenzione e il passaggio da queste parti!
Al prossimo aggiornamento, Gold Eyes
  
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