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03. Rosso
Se qualcuno
avesse alzato lo sguardo, quella sera, avrebbe visto Zero seduto sul cornicione
del campanile. Aveva la schiena appoggiata all’indietro, ma una delle gambe era
lasciata libera di ondeggiare – avanti e indietro – nel vuoto.
Anche i
capelli ondeggiavano al vento, ma lui non si muoveva. Lassù non si sentivano
bene i rumori della città, ma non era importante. Quella città, i suoi rumori e
le sue vittime…Niente era importante.
Lo era solo
la sua vendetta, ormai, perché non gli era rimasto nient’altro.
Davvero,
sulla Strada della Redenzione aveva pensato che avrebbe potuto portare Ci con
sé? Che avrebbe potuto riprenderselo?
Forse. Nei
quattrocento anni che gli erano stati necessari per purificare a sufficienza la
sua anima per calcare il suolo terrestre e non essere ricacciato all’Inferno,
probabilmente per un pochino, aveva sperato che Ci sarebbe tornato con lui.
Aveva
sperato che ci fosse una spiegazione al fatto che Ci non avesse dato più notizie
di sé, che non avesse cercato di contattarlo. Zero sapeva che Ci non sarebbe
potuto tornare all’inferno da solo, ciononostante aveva sperato – forse – in un
qualche contatto.
Zero sapeva
che l’anima di Ci era stata sigillata per qualche motivo: aveva fatto qualcosa
di così grave per cui la sua anima era stata sigillata e punita, impedendole di
tornare a casa propria.
I sigilli
posti sulla sua anima l’avevano tenuto in carcere. Anche se Ci non era mai stato
davvero dietro a delle sbarre, la sostanza non era molto diversa. Non poteva
andare da nessuna parte.
Ci era
stato obbligato a rimanere sulla Terra, soggiogato dalla volontà di Dio. Non era
forse uguale all’essere imprigionato?
Ma avrebbe
potuto trovare il modo di comunicare con Zero, di dirgli dove fosse…di dire
qualcosa.
E invece
non aveva fatto nulla, era semplicemente scomparso.
Con quanta
difficoltà Zero era riuscito a scoprire cosa fosse successo a Ci! E con quanta
difficoltà aveva abbandonato la parte più profonda dell’Inferno, aveva
abbandonato i Vendicatori suoi simili ed era risalito.
Probabilmente quindi, sì, aveva sperato di poter portare Ci a casa.
Ma l’altra
sera era stato evidente che Zero era solo un illuso.
Ormai non
gli rimaneva nient’altro che il suo istinto, che doveva assecondare: doveva
vendicarsi. Poi sarebbe tornato lui solo, a casa.
Sospirò e
si alzò in piedi. La veste cremisi venne scossa dal vento che s’era alzato, così
come i suoi capelli scarlatti: quella sera ci sarebbe stato un bagno di sangue.
Avevano
tutti fra i venti e i trent’anni e ballavano come dei forsennati. La musica era
alta e loro ballavano, strusciando i loro corpi sudati, l’uno contro l’altro.
C’era un che di orgiastico nella scena che Zero si fermò a guardare, un misto di
ingenuo e libidinoso che lo fece sorridere. La terra era stracolma di residui e
surrogati di scene e ambienti presenti in Paradiso o all’Inferno, e questa era
una. Zero arricciò il naso, infastidito.
Non aveva
voglia di perdere tempo: voleva andarsene via.
Non c’era
motivo per rimanere lì, fra cose e persone che l’annoiavano. Quattrocento anni
per raggiungere questo posto e un attimo per andarsene.
Non prima
di aver portato a termine quello che s’era prefissato di fare.
I suoi
capelli rosso fuoco e la sua veste catturano gli sguardi curiosi di molte
ragazze. Ha una bellezza così ultraterrena, che molte gli si avvicinarono,
incuriosite.
“Andatevene
subito” l’ordine di Zero fu perentorio. Non erano certo loro il suo obiettivo,
ma non si sarebbe fatto nessuna remora a schiacciare chiunque lo avesse anche
solo infastidito. Non parliamo poi di chiunque l’avesse rallentato.
C’era un
ragazzo, in mezzo alla sala, avvinghiato mani e bocca alla sua fidanzata, che
non si era accorto che Zero era entrato in discoteca. Se n’erano accorti tutti,
tranne loro due. La musica aveva rallentato, era diventata più fioca, le luci
s’erano spente, se non quelle rosse, che riverberavano sugli occhi scarlatti del
nuovo arrivato.
La stanza
era pregna di un forte odore di sangue, ma nessuno era ancora morto. La musica
s’interruppe del tutto, e solo quando fu completamente spenta, il ragazzo e la
ragazza se ne accorsero.
“Ehi…”
disse, ma poi non disse altro, scioccato dalla scena che gli si presentò davanti
agli occhi. Tutti i ragazzi all’interno della discoteca lo stavano guardando,
catatonici e immobili, sotto le luci rosse dei fari. E un uomo era così vicino a
loro che il ragazzo fu costretto a fare un passo indietro.
La ragazza,
però, non accettò nessun buon consiglio suggeritogli dalla ragione e cercò di
spingere via Zero.
“Ehi, qui
sto ballando col mio ragazzo…”
Che tono
petulante e che mani sudice addosso. Perché farsi coinvolgere, quando non era
lei che Zero cercava?
Ma il rosso
non era certo in vena di suggerimenti.
Lui odiava
quella ragazza, odiava quel posto e quel mondo.
Lui odiava
tutto quello che questo rappresentava e quello che gli aveva rubato!
Afferrò la
ragazza per la faccia, con una mano, e la scaraventò lontano, contro la parente.
Nella stanza silenziosa, si sentirono le sue ossa spezzarsi e il gemito di lei,
quando ricadde per terra, immobile. Nessuno si curò di andare a vedere se fosse
ancora viva, rimasero tutti immobili.
Uscì sangue
dal suo corpo, rosso intenso.
“Che cosa
vuoi?” gli chiese il ragazzo e Zero rivolse la sua attenzione verso di lui.
Sorrise
prima, poi rise, non riuscendo a fermarsi.
Che cosa
voleva…
“Voglio
qualcuno che mi ha lasciato” gli disse sinceramente “e voglio ucciderti”.
Il ragazzo
non fece in tempo a muoversi, perché un pugno lo colpì in pieno viso. Cadde a
terra, con la mandibola rotta e il sangue che gli usciva dalle labbra.
“Che cosa
voglio?” Zero chiese gelido “Innanzitutto ridammi quello che m’hai preso!”
Calpestò la pancia dell’uomo con tale violenza da lacerargli l’addome.
“Come siete
poco furbi…” disse Zero mentre l’altro gridava dal dolore “Siete così stupidi…”
L’Ectelium
s’illuminò di rosso, così come il corpo lacerato del ragazzo, che sgranò gli
occhi e smise di gridare.
“Prendere
qualcosa che non vi appartiene, vostra madre non vi ha insegnato che non si fa?”
Zero si
chinò sul ragazzo immobile, inzuppando la mano nel sangue che usciva copioso
dall’ addome. “E prendere qualcosa ad un demone, poi, è così stupido…Perché
davvero…Come potete pensare che rimarrà a guardare? Ma ancora di più…” fece una
breve pausa per leccarsi la mano insanguinata “Ancora più stupido è rubare
qualcosa che appartiene ad un Vendicatore. Come speravi di cavartela?”
Il ragazzo
cominciò a piangere.
“Sei
ributtante”
Zero
trafisse con l’Ectelium il cuore del ragazzo, che rantolò, ma non sfilò subito
la lama, nonostante il cuore avesse smesso di battere. Lo squarciò, per esporlo
alla luce rossa dei fari che ancora illuminavano la discoteca.
Ci non lo
voleva e lui era costretto a vivere col rifiuto dell’unica persona che voleva
vicino. Perché questi umani piangevano per così poco?
Da solo, in
eterno. Abbandonato. Con solo la Vendetta come compagna e amica e quell’odore di
sangue che lo illudeva di avere ancora senso, ora che Ci non sarebbe più tornato
da lui.
Per cosa
piangevano, questi umani, per cosa gridavano? Per cosa brillava di rosso il loro
sangue, quando potevano morire e smettere di pensare. E smettere di soffrire.
Cosa
esistevano a fare, nella loro stupidità?
Decapitò il
ragazzo, per cercare di non gridare d’ira.
Uscì dalla
discoteca e non riuscì a trattenersi, gridò. Gridò stringendosi il capo con le
mani. Accovacciandosi a terra. Aveva il fiato corto e rivoli di sangue non suo
che gli scorrevano sulle guance.
Ora il suo
compito sulla terra era finito, poteva tornare a casa.
Entra
nuovamente nella locanda come fosse la prima volta che ci mette piede. E invece
io lo riconosco, nonostante sia ancora diverso, coi capelli fulvi e gli abiti
color del sangue: io so che è Zero.
Sono sempre
più confusa perché non capisco chi sia. E’ Zero, ma di più non posso dire. Le
iridi rosse trasudano ira e disperazione. Si avvicina al bancone e nessuno osa
toccarlo, le persone nella locanda si scostano in fretta per lasciargli libero
il passaggio. Io sono lì, che sciacquo un bicchiere, ma non stacco gli occhi da
lui. Temo per la mia vita.
“Le chiavi
della mia stanza” mi dice, gelido. Sa bene che l’ho riconosciuto e sa bene che
ho paura di lui come non ne ho mai avuta prima. Se blu m’aveva spaventata e
derisa, se in bianco quasi avevo frainteso la sua distanza per tenerezza, col
rosso non ho dubbi: è sangue. E’ il sangue che lo nutre ed è il sangue che
vuole. Di chi sia il sangue, poco importa.
Mi affretto a dargli la chiave numero dodici.
Lui non
ordina nient’altro, se ne va e solo in quel preciso istante mi lascia
intravedere che non gli interessa nulla, né di me né degli avventori del locale.
Non è il mio sangue che vuole, né devo temere per gli altri. Vuole qualcosa che
non può ottenere, né che io posso dargli. Lo guardo salire le scale che portano
al primo piano e poi scompare. La locanda ritorna ad essere chiassosa come pochi
minuti prima, finché m’accorgo che il bicchiere che stavo asciugando è in
frantumi sul pavimento.
Devo averlo
lasciato cadere, il capo mi sgriderà.
“Ora
uccidimi” il buio della stanza era smerigliato solo da un piccolo lumicino
appoggiato sul comodino, ma per Zero non faceva alcuna differenza, perché i suoi
occhi erano abituati ad oscurità ben più cupe.
“Uccidimi”
ripeté.
La stanza
dodici, la sua stanza, non era vuota come l’aveva sempre trovata.
Ci era
seduto sulla poltrona nell’angolo, ma Zero non si era girato a guardarlo, si era
tolto il cappotto rosso, che aveva appoggiato sulla sedia vicino alla finestra,
e aveva disfatto i lacci che tenevano legata la sua Ectelium alla cintura. E poi
s’era messo a guardare fuori dalla finestra, dando le spalle all’ospite nella
sua stanza.
“Non posso
farlo” rispose Ci e Zero sorrise amaro.
“Mi vuoi
condannare di nuovo… Mi vuoi punire perché non condividi ciò che ho fatto,
obbligandomi a vivere in un mondo che detesto”
“Puoi
toglierti la vita tu stesso”
“Per
rientrare all’Inferno dall’Antro dei Suicidi? Davvero mi odi così tanto?” Zero
non cercò di nascondere l’amarezza nella sua voce “Quando morirò, ritornerò
all’Inferno, ma vi ritornerò come l’anima appartenuta ad un mortale, non come
Vendicatore”
“Non ti ci
vorrà molto per ritrovare la tua forza, un Vendicatore rimane un Vendicatore,
anche se è diventato mortale per un po’”
“Quanto ci
metterò? Dimmelo tu Ci. E per quel lasso di tempo mi vuoi obbligare a stare con
quelle anime insulse dei suicidi che, senza capire dove si trovano, gridano e
corrono alla rinfusa?”
“Non posso
ucciderti, Zero…”
Zero
sospirò.
“Ho
impiegato quattrocento anni per purificare la mia anima a sufficienza per
mettere piede sulla terra. Per ritrovarti… Uccidimi, è l’unico favore che ti
chiedo. Nessun altro può farlo”
Nessuno dei
due parlò, per un po’.
“Hai
liberato la mia anima dai tre sigilli” Ci riprese a parlare “Ma nessuno è ancora
venuto per legarmi e ricacciarmi all’Inferno”
“Questo
perché in questi quattrocento anni la tua anima s’è abituata alla terra e non è
più così nera…” Zero sorrise “Che ironia!” disse stringendo i pugni “Non lo
trovi anche tu ironico? Un demone, dal più profondo Inferno scompare senza
lasciare traccia di sé. Lascia la sua casa senza dirmi niente e solo dopo
ricerche affannose, scopro che ha fatto qualcosa di tanto grave da meritarsi una
delle punizioni peggiori: avere l’anima sigillata ed essere obbligato a seguire
i dettami di Dio. Obbligato a comportarsi come gli viene imposto e obbligato a
vivere sulla terra, senza far male a nessuno. Questo stesso demone ora, libero
dai sigilli che gli erano stati imposti, non sa neanche più quale sia casa sua e
ritiene la Terra un luogo degno dove vivere…”
Ci si alzò
in piedi.
“Cosa trovi
di ironico in tutto questo” chiese poi spazientito “Che cosa…?
Ma Zero lo interruppe.
“Hai idea
di cos’ho dovuto fare per sapere che cosa ti fosse accaduto? Hai idea di come e
quanto ti ho cercato? Della mia preoccupazione e della mia paura?”
“Un
Vendicatore che ha paura?” chiese Ci sarcastico.
“Risparmiami il tuo scherno, Ci, perché sai bene che vederti scomparire voleva
poter dire solo due cose: o eri stato obbligato ad andartene, o te n’eri andato
volontariamente. E stupidamente ho subito scartato quest’ultima ipotesi…
Stupidamente pensavo che non m’avresti mai lasciato so…”
“Non
parlare di ciò che non sai!”
“Di ciò che
non so?” il lumicino si spense, sotto l’ira di Zero e il cielo divenne più cupo
“Di ciò che non so, dici? Ti ho cercato, Ci. Ero disperato! Ti ho cercato, e tu
non eri da nessuna parte”
Ci non
rispose.
“Sono
risalito fino al confine esterno dell’Inferno, ma nessuno sembrava averti visto,
nessuno sapeva di te. Più probabilmente, stupidi come sono, quei demoni
inferiori non sanno come si entra nelle grazie di uno più potente di loro”
“E come hai
saputo dove fossi?”
“Me l’ha
detto Esse”
“Esse?”
Zero annuì
“M’ha detto che avevano posto tre sigilli sulla tua anima, perché eri stato
giudicato colpevole per qualcosa che lui non sapeva”
“Solo
Lucifero sapeva” Ci scosse la testa “Ma tu hai creduto ad Esse?” c’era
un’inflessione, nella sua voce, che tradiva un certo stupore. Sebbene non nemici
dichiarati, nessun demone avrebbe mai dato fiducia ad un altro.
“Non aveva
motivo di mentirmi” spiegò Zero.
“Esse è un
Sobillatore”
“E’ troppo
intelligente per mentire senza motivo. E fra noi non ce n’era alcuno.
L’informazione è stata debitamente pagata e, come vedi, non era errata”
“Esse ha
visto il processo” Ci sorrise amaro “Se così possiamo chiamarlo… Dovevi vedere
quanti mortali sono accorsi per accaparrarsi la cura dei tre sigilli che mi
erano stato apposti sull’anima. Migliaia. E di loro ne sono stati scelti solo
tre. I mortali che hai ucciso non ne avevano colpa, Zero. Se i sigilli non
fossero stati dati a loro, qualcun altro li avrebbe presi”
“Non
m’interessa!” Zero soffocò a malapena lo sdegno “Non m’interessa! Non doveva
presentarsi nessuno. Nessuno può appropriarsi di ciò che è mio. Avrebbero dovuto
temere le conseguenze delle loro azioni”
“Conservare
un sigillo di un demone rende immortali Zero. Sai come gli umani sono
ossessionati dalla morte, quanta paura ne hanno. La possibilità della vita
eterna è un aspettativa troppo succulenta per lasciarsela sfuggire”
Zero
sorrise “Da quand’è che sei diventato così ragionevole?” Poi gli andò vicino,
puntandogli la mano contro il petto “Da quando sei così buono, Ci? Se questo
mondo umano ti piace così tanto, rimanici. Vivi e muori come uno di quei dannati
umani! Ammazzami. Solo questo” La sua voce si spezzò “Ammazzami e poi ti lascerò
solo, come tu hai fatto con me, se è questo ciò che vuoi”
Zero si
ritrovò scaraventato contro la parete, con Ci addosso, le braccia imprigionate
nei pugni di Ci e gli occhi infuriati dell’altro davanti ai propri.
Non fece
nulla per liberarsi da quella stretta piena di rancore, guardò semplicemente
l’altro demone in attesa.
Ma Ci non
fece niente, combattuto fra troppi desideri e volontà, rimase immobile.
La stanza
fu invasa dal silenzio.
Poi Ci
prese fra le dita una ciocca di capelli di Zero
“Rossi come
il sangue… Ho sempre amato i tuoi capelli e quando ti ho visto entrare per la
prima volta, ammantato di blu, ho pensato avessi già vinto, solo grazie a quel
colore”
“E’ una
guerra quella che stiamo combattendo, Ci?”
“E’ una
guerra che io ho perso in partenza”
Zero aggrottò la fronte senza capire.
Ci sospirò
“Vuoi sapere perché sono stato condannato?” dovette interrompersi, per
riprendere fiato “Vuoi sapere che cos’ho fatto di così terribile da non meritare
un processo? Sono stato condannato immediatamente, senza la possibilità di fare
nulla. Devo avere davvero fatto qualcosa di terribile…”
Zero annuì.
“Ricordi di
cosa parlavamo, il giorno prima che io scomparissi?” Zero annuì, si ricordava
ogni parola, ogni gesto. Si ricordava tutto, perfettamente.
“Parlavamo
del Ling, la pianta eterna. Delle sue radici, che affondano fin nel centro
dell’Inferno, del suo fusto che percorre tutta la Terra, e dei suoi rami che
attraversano tutto il cielo”
Ci annuì,
allontanandosi da Zero e perdendosi un attimo con lo sguardo alla finestra.
“E ti
ricordi che cosa mi hai detto?”
“Che mi
sarebbe piaciuto rivederne i fior…” poi Zero s’interruppe di colpo, sgranando
gli occhi.
Ci rise,
sommessamente “Io sono un Notturno, Zero, e la mia irrazionalità mi guida. E’ un
fardello, oltre che una forza e…” fece una pausa, quasi quelle parole gli
provocassero dolore “Tu non facevi che aggravarla. Quando io ero con te…” di
nuovo, s’interruppe, appoggiandosi una mano sulla fronte.
“Quando tu
eri con me, cosa?”
“Io ho
invaso il Paradiso” l’amarezza di quelle parole permeò l’aria. Zero s’irrigidì
“Perché mi avevi detto che ti sarebbe piaciuto rivedere i fiori di Ling. Io, per
te, ho invaso il Paradiso.” Ci si guardò le mani e poi i polsi, dove ancora
potevano vedersi i segni delle catene.
“Volevo
solo prendere un fiore dall’Eden. Non volevo certo iniziare una guerra… Nella
totale irrazionalità di quel pensiero, non m’importava sapere che fosse
proibito. Me ne sarei andato subito, non se ne sarebbero neanche accorti…” Ci
rise “Avranno sentito la mia aura ben prima che entrassi l’Eden. Non l’avevo
certo purificata, né avevo camminato lungo la Strada della Redenzione. Nulla. E
mi hanno schiacciato. In Paradiso si è così deboli…”
Ci si girò
verso Zero, guardandolo in quegli occhi rossi che non dicevano una parola. “Per
rubarti un fiore sono stato condannato. E ora, dopo quattrocento anni, ho
imparato a convivere con questo mondo. Ma all’inizio, il supplizio che ho dovuto
subire non ha eguali. Mai ho pensato si sarebbe potuto soffrire tanto. Non solo
le catene, il dolore, ma la volontà di Dio imposta su di me mi schiacciava ogni
giorno. Mi accecava e mi uccideva, per poi farmi rinascere.” Fece una pausa,
intrecciando le dita fra i capelli di Zero, ancora. “Dici che la mia anima non è
più così nera…E’ stato un obbligo che m’è stato imposto.”
Zero fece
per dire qualcosa, ma Ci gli mise un dito sulle labbra “Come potevo, quindi,
farti sapere dov’ero? Io non volevo più vederti. Io volevo che tu scomparissi
per sempre dalla mia mente. Per te ho fatto una cosa così stupida, così
irragionevole. Ho passato gli scorsi quattrocento anni nel tentativo di
dimenticarti. Per quattrocento anni ho sperato che scomparissi dalla mia testa e
dalla mia pelle” disegnò con il dito la forma delle sue labbra “E ora, invece,
ti presenti qui, a casa mia, più bello e atroce di quanto volessi ricordarti, e
mi chiedi di ucciderti?”
Zero
appoggiò la propria mano su quella di Ci.
“Devi
ammazzarmi. Per favore”
“E ora so”
continuò Ci come se non avesse sentito le parole di Zero “Ora so che per
quattrocento anni hai camminato sulla Via della Redenzione per nessun altro
motivo se non quello di ritrovarmi. Proprio tu, che eri felice di respirare
nell’oscurità dell’Inferno, sei salito fin quassù…”
Lo baciò.
Dovette baciarlo, come fosse l’ultimo bacio di una vita e il primo di quella
nuova. E Zero lo lasciò fare, sopraffatto da quattrocento anni che per un
istante sembrarono nulli.
Poi si
scostò leggermente: “Io non rimarrò qui, Ci, io non posso perdonare”
L’altro lo
guardò negli occhi, lasciando che l’oscurità ritornasse, lentamente, in lui.
“Fra un po’
non potrò neanch’io stare più qui”
”A meno che tu non lo voglia”
“Mi
serberai rancore, Zero?”
“Non è
nella mia natura perdonare. Sono un Vendicatore.
Qualunque atto, qualunque cosa…”gli si fermarono le parole in gola “Perché sei
stato così stupido da…?”
“Perché ero
pazzo, ero irragionevole. Perché sono un Notturno. E portarti un Ling sembrava
essere l’unica cosa davvero importante…”
“Mi avessi
chiesto aiuto, avrei spezzato prima i sigilli di chi ti tenevano prigioniero”
Ci sorrise,
i Notturni non chiedono mai aiuto.
“Avresti
dovuto…”
“Non potevo
fare niente… Questa è la mia punizione, Dio è troppo furbo” disse appoggiando le
labbra sulla guancia di Zero. “Fare scomparire i quattrocento anni in un
istante. Farmi dimenticare i miei propositi. Permettermi di rivederti e capire
che non basteranno quattrocento anni, non basterà un’eternità…Farmi…”
Non c’erano più parole, Zero gliele spense una ad una. Questa volta il suo bacio
fu un bacio lungo, di desiderio negato da troppo tempo.
Fu un bacio
tremendamente irragionevole, per quanto fosse stato bramato.
E fu un
bacio di perdono, se solo un Vendicatore potesse perdonare.
Ci sapeva
che aveva già perso in partenza, già prima della punizione, già il giorno in cui
aveva incontrato Zero. Perché non aveva avuto scelta e quattrocento anni sulla
Terra, sotto la morsa della volontà di Dio non avevano cambiato niente.
Gli slacciò
la giacca rossa, che, sotto quei sensi umani, era morbida, ma troppo
ingombrante. Poi si fermò di colpo, di fronte ad un nastro carminio, intorno al
collo di Zero
Lo prese
fra le dita.
“Questo…”
“E’ il mio
e il tuo sangue, sì…”
“Pensavo
fosse andato perduto”
“Non
avevamo detto che finché qualcuno l’avesse indossato, noi saremmo
esistiti?”
Ci sorrise
“Sei uno stupido sentimentale”
Zero gli
passò le mani sul viso, su quegli occhi a mandorla
troppo lontani per tutto quel tempo, fra i capelli neri che più volte
aveva stretto.
“Ammazzami”
gli bisbigliò prima di riportare la sua bocca su quello dell’altro e le sue mani
sulla sua pelle “Amm…” Ci era ovunque, un bacio dopo l’altro. L’alito nelle
orecchie, il respiro sul collo.
“Am…”
Amami.
Il vento è
cambiato. Non solo il suo soffio, ma il suo odore. E’ acre, in questi giorni. E’
malinconico.
Pulisco i
tavoli della locanda ad uno ad uno, accuratamente, è l’alba. Zero non s’è fatto
più vedere, dopo quella sera e ormai – da quella sera – è passato molto tempo.
Non so chi fosse, né dove sia andato, ma so che non tornerà mai più.
Il mio capo
è appoggiato allo stipite della porta d’entrata, con le braccia conserte e
guarda lontano. Io so sempre dov’è il mio capo, e anche adesso so che ormai, non
è più qui. Lo è il suo corpo, forse, ma i suoi occhi e i suoi pensieri se ne
sono andati, lontano. Segue qualcosa – forse…O forse
qualcuno. Troppo lontano perché io possa seguirli.
Forse
partirà – così ha detto – ma ormai non è più importante perché mi ha già
lasciata. Nella brezza che ondeggia fra i suoi capelli cerco di trovare la
ragione per cui lui, ormai, non c’è più. Ma non mi è possibile vederla e la
nostalgia che provo per una persona che è di fronte a me è così intensa da farmi
scendere qualche lacrima. Lui è già lontano.
Si solleva
dalla porta e guarda all’interno della locanda, dove ci sono solo io che ormai
ho finito di pulire i tavoli. Non mi dice niente, ma cammina verso le scale per
andare in camera sua. Io lo guardo perché è l’ultima volta che lo vedo. Lo
guardo bene.
Noto al suo
polso un nastro. Il capo non ha mai portato bracciali. E’ rosso intenso, pare
rosso sangue. Il capo nota che i miei occhi
sono fissi su quel nastro, ma non dice nulla, né si ferma.
Il capo se
n’è andato.
Sale scale
silenziosamente e, nonostante le lacrime, cerco di imprimermi la sua immagine
nella mente, per sempre.
Il capo,
ormai, è davvero lontano.
Fine
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