111
Vlad
-E così ragazzi, quella che vedete raffigurata qui è la
trinità del nostro credo. Al centro in alto vi è Altar, che rappresenta la
saggezza, la temperanza e la costanza che vi è in ognuno di noi. Sulla sinistra
vi è Daemon, che rappresenta il coraggio del guerriero, la forza e la volontà.
Alla destra invece vi è Lucrezia, lei è la madre della natura, colei che si
uccise per salvare tutti noi”, descrisse la professoressa di religione,
guidando gli alunni dentro il tempio.
Vlad trovava tutto questo noioso e inutile, lui era ateo,
non aveva mai creduto in nessun Dio. Era un ragazzo di 17 anni, alto 1 metro e
80 e atletico, capelli scuri lunghi e occhi del medesimo colore, lo sguardo
sveglio. Frequentava il penultimo anno della sua scuola in Italia,era di media
bravura,ma non s’impegnava tanto. Era di
origine russa.
-Ragazzi dobbiamo ora tornare il classe che avete la lezione
di filosofia tra 20 minuti- disse la prof, ma Vlad a stento la udì, assorto nei
suoi pensieri s’incamminò con il resto della classe.
Finita la lezione, tornò a casa e, dopo pranzo, ascoltò un
po’ di musica. Mentre ondeggiava il capo su una canzone dei Cannibal Corpse, ad
un tratto la canzone cambiò improvvisamente, Vlad la conosceva a memoria e
pensò ad una interferenza.
Una voce profonda, confusa recitò queste parole: ““e anche
se nessuno ti rivedrà mai più, rimane il pensiero di vederli, di accarezzarli,
di salutarli per quell’ultima volta, prima che il sole nero scenda a
prenderti, prima che la tua anima si trasformi in vita, prima che il
mondo sia lontano e solo il ghiaccio sia raggiungibile. E sopraggiunge la
morte”.
Vlad non capì il senso di quelle parole e aprì il lettore
musicale per vedere che fine aveva fatto “Hammer Smashed Face”, ma quello che
trovò lì era “Hammer Smashed Faced” ferma a 1 minuto e 11 secondi.
Vlad la fece ripartire e non pensò più a quelle parole, fino
a quando spense la luce per dormire.A quel punto qualcosa gliele fece ricordare…
Tiril
Faceva freddo in Norvegia,
specialmente in quella parte dell’anno, ma a Tiril non importava, era
distesa sul suo letto e piangeva, la faccia rivolta verso il cuscino.
Il suo ragazzo l’aveva lasciata, improvvisamente, senza
neanche un perché, e lei era corsa in lacrime via, via da quel posto che tanto
aveva amato, ma che ora odiava.
Non poteva fare a meno di pensare a lui, così simile a lei
per aspetto e per carattere.
Tiril era una ragazza di 17 anni, alta circa 1 metro e 75,
magra e con i capelli biondi e lisci che
le ricadevano fino alle spalle e gli occhi verdi smeraldo. A detta dei suoi
amici era una ragazza molto carina. Ma questo non importava adesso, adesso che
lui non era più con lei, adesso che ogni parte di lui le sembrava distante,
irraggiungibile, come le stelle.
Ripensando ai bei momenti passati con lui, le lacrime e i
singhiozzi si fecero più forti. Erano le 9 di sera e Tiril chiuse le finestre
della sua stanza per dormire e riposarsi un po’, almeno ci avrebbe provato.
Trovò il sonno facilmente e il suo ultimo pensiero fu quello
di sperare di fare un bel sogno, e non un incubo. Al suo risveglio, non
ricordava niente di quello che aveva sognato, ricordava solo una frase che era
riecheggiata nelle sue orecchie mentre dormiva: “e anche se nessuno ti rivedrà
mai più, rimane il pensiero di vederli, di accarezzarli, di salutarli per
quell’ultima volta, prima che il sole nero scenda a prenderti, prima che
la tua anima si trasformi in vita, prima che il mondo sia lontano e solo il
ghiaccio sia raggiungibile. E sopraggiunge la morte”.
Non ci fece troppo caso, convinta che, come succede sempre,
i sogni finiscono per dimenticarsi facilmente, ma si sbagliava.
Guardando l’orologio si rese conto che si era fermato, ora
indicava le ore 1:11. Visto che sua madre l’aveva chiamata, dovevano essere
invece già le 8.
Halldor
Aveva la palla e mancavano 5 secondi alla fine della
partita, erano sotto di un punto, il canestro era ancora lontano, Halldor era a
metà campo. Avanzò palleggiando e si guardò intorno, alla sua destra vi era un
compagno libero, fece per passare la palla ma l’arbitro fischiò.
Tutti lì nella palestra si chiesero cosa fosse successo,
finché l’arbitro non indicò il timer, che doveva avere avuto un problema.
Secondo esso ora mancava 1 minuto e 11 secondi
alla fine della partita.
Mentre i tecnici riparavano il guasto, gli allenatori di
entrambe le squadre chiamarono a raccolta i giocatori. –Halldor tu verrai
sostituito- sentì dire all’allenatore.
-Cosa??- esclamò Halldor, -non..- - ho già deciso così
Halldor, non voglio altre discussioni- gli disse l’allenatore severamente.
Halldor uscì dalla palestra infuriato, con gli occhi di
tutti puntati su di lui. Era un ragazzo islandese di 18 anni, alto 1 metro e
85, i capelli biondo ceneri e gli occhi azzurri con riflessi viola. Aveva un
fisico possente, muscoloso, il più forte del suo anno, il più forte negli
sport. Perché l’allenatore lo aveva sostituito? Questo si chiese mentre fuori
camminava avanti e indietro, nervoso e infreddolito.
Mentre stava per tornare dentro e vedere com’era finita la
partita, fu attratto da un cofanetto, sotto un gradino, che non aveva visto
mentre usciva poco prima.
Prese in mano il cofanetto: era ordinario e tutto nero, lo
aprì con uno scatto e dentro trovò una pergamena. Srotolò essa e lesse queste
parole:” “e anche se nessuno ti rivedrà mai più, rimane il pensiero di vederli,
di accarezzarli, di salutarli per quell’ultima volta, prima che il sole nero
scenda a prenderti, prima che la tua anima si trasformi in vita, prima
che il mondo sia lontano e solo il ghiaccio sia raggiungibile. E sopraggiunge
la morte”.
Riposò il cofanetto e mise la pergamena nella tasca
sinistra. Rientrò nella palestra: avevano perso.
Alexanne
Ballare la faceva sentire viva, la gente attorno a se, la
musica, il calore, l’alcool che va alla testa, questo era quello che amava.
Alexanne, una dolce ragazza francese, di media statura, capelli castani e occhi
di un profondo nero. Una ragazza carina,
minuta e graziosa.
Si fermò per
riprendere fiato, era passato tanto tempo da quando aveva iniziato a ballare ed
era tutta sudata. I capelli ricci che solitamente le ricadevano un po’ sotto la
nuca ora erano tutti scombinati e le davano l’aria di una barbona.
Niente da fare, le sue amiche non erano ancora arrivate!
Decise di uscire fuori e di chiamarle, per vedere che fine avevano fatto. Una
volta che fu fuori e prese il cellulare, gli suonò immediatamente mentre lo
teneva tra le mani.
Il numero che chiamava era un’improbabile 111; incuriosita Alexanne rispose, una voce
metallica parlò, una voce che non conosceva: “e anche se nessuno ti rivedrà mai
più, rimane il pensiero di vederli, di accarezzarli, di salutarli per
quell’ultima volta, prima che il sole nero scenda a prenderti, prima che
la tua anima si trasformi in vita, prima che il mondo sia lontano e solo il
ghiaccio sia raggiungibile. E sopraggiunge la morte”. La chiamata s’interruppe
e Alexanne pensò ad uno scherzo. Rientrò dentro, si era già scordata per qual
motivo era uscita fuori.