Children of bodom ff5
Carry me away from my pain
Hirmumyrsky
This was never my world ,
you took the angel away
I'd kill myself to make everybody pay
Era notte fonda quando Janika si trovò seduta sulla poltrona
del
salotto a fissare la porta d'ingresso. Tutto quello che aveva sentito
era stata una forte fitta al petto prima della telefonata della madre
che le aveva annunciato la morte della sorella. Se l'era sentito
dentro, come se avesse sentito l'ultimo respiro esalato dal fragile
corpo della piccola, era stato tutto inutile. Non volle,
però,
fermarsi a pensare su quanto potesse essere giusto morire in
un'età così prematura. La risposta era comunque
troppo
ovvia. Non ebbe nemmeno l'impulso di entrare nella camera in cui
avevano trascorso insieme molto tempo a parlare di quando sarebbe
guarita e di tutte le cose che avrebbero potuto fare insieme. Tutto
quello che volle fare fu sedersi sulla grande poltrona che aveva il
profumo di sua madre; una leggera fragranza di fiori le penetrava nel
naso ricordandole tutti i bei momenti trascorsi in famiglia, prima
della malattia della sorella, quando tutti riuscivano a sorridere
davvero. Perché sia lei che la madre, ma sicuramente anche
la
sorella, sapevano che da quel momento i sorrisi erano diventati falsi,
di compassione, speranzosi forse ma comunque non sinceri. Janika
pensò all'inutile guerra silenziosa instaurata fra Janne e
Alexi
che, nonostante tutto, fingevano ancora una profonda amicizia, ma forse
era proprio così, forse gli eventi non li avevano toccati
minimamente, il tentato suicidio del vocalist poteva essere stato
causato da mille altri fattori che non fossero lei. Si sentì
sola. Sola nel dolore per la perdita della sorella, sola
perché
da sola aveva ucciso un uomo, sola perché solo lei aveva
provato
piacere nel farlo. Ma sopratutto si sentì lontana. Lontana
dal
mondo e da tutto quello che la circondava. La poltrona non era una
poltrona ma sua madre, la porta era il suo ex ragazzo e casa sua era
una scatola dei ricordi, ma al contrario delle normali scatole dei
ricordi nella sua vi si potevano trovare molti ricordi spiacevoli,
molte liti inutili, molte foto che avrebbe voluto stracciare.
Nonostante tutto l'universo continuava a espandersi, il tempo andava
avanti e le tazzine rotte non si ricomponevano. Janika sapeva
però che la sorellina sarebbe vissuta per sempre dentro di
lei,
perché nonostante i capricci di un Dio impotente Janika
l'avrebbe sempre ricordata con affetto, non con quella tremenda
tristezza che l'avrebbe fatta soffrire; non avrebbe ricordato i giorni
della malattia o la telefonata della madre, ma quando stava accanto a
lei ascoltando le note che uscivano fluide dal pianoforte o quando
insieme avevano visitato la Lapponia, così facendo, in un
certo
senso, la piccola sarebbe guarita e avrebbe vissuto una vita lunga e
felice insieme alla sorella maggiore che, in ogni caso, le sarebbe
sempre stata vicino.
Janne, al piano di sopra, aveva sentito il telefono squillare e le
parole sussurrate di Janika e aveva capito. Sapeva che quel momento
sarebbe arrivato e avrebbe voluto che la ragazza si infilasse di nuovo
sotto le coperte, che si stringesse al suo petto e che si sfogasse
invece si era limitata a scendere in soggiorno e a non tornare.
Più lontana che mai. Lontana dalle sue braccia e lontana dal
suo
cuore.
Ricordò quando l'aveva incontrata la prima volta, aveva
subito
capito tutto di lei nonostante alcune stanze della sua mente gli
rimanevano oscure e inesplorate. Continuava a chiedersi come
quell'angelo biondo avesse potuto uccidere, sapeva benissimo che dopo
quel giorno tutto era cambiato ma non voleva ammetterlo. Più
volte le aveva detto che non sarebbe riuscito a vivere senza di lei
eppure ora si sentiva estraneo a qualsiasi suo pensiero. Si
paragonò con lei. Janne aveva avuto tutto dalla vita, i
soldi,
la fama, buoni amici e l'amore di una famiglia che era sempre pronto ad
accoglierlo a braccia aperte mentre Janika non aveva avuto nulla di
tutto questo. Pensò a lei unicamente come il prodotto di una
famiglia disfunzionale, rotta da litigi e tristezza, l'amore che le era
stato negato su tutti i fronti non le permetteva di vedere le cose
obbiettivamente ed era come se sapesse che in ogni caso sarebbe andata
male. Ma quello che più lo preoccupava era il silenzio.
Nessun
singhiozzo, nessun pianto. Solo un gelido silenzio in un castello di
carte pronto a cadere al primo alito di vento.
Si alzò dal letto e scese piano i gradini, la
trovò
seduta in soggiorno, lo sguardo fisso e la mente altrove. Si sedette
sul divano e aspettò.
La ragazza voltò piano la testa e posò gli occhi
sul
tastierista che sentì un brivido lungo la schiena, non
parlava.
Sembrava una bambola di porcellana con gli occhi troppo profondi. Nella
penombra della notte tutto sembrava sospeso, nemmeno gli animali
notturni osavano rompere quel silenzio.
- Devi andare via, Janne.-
Il ragazzo scrutò la giovane chiedendosi se intendesse via
di
casa o via dalla stanza, ma non osò chiederlo. Si
avvicinò a lei e le strinse il viso contro al petto
cullandola
dolcemente ma lei lo respinse:
-Janne.. devi andare via-
Questa volta trovò il coraggio di chiedere il
perché ma
lei si limitò a fissarlo negli occhi. La voce di Janika
suonava
come un lamento, troppo infantile per essere la sua, quasi come se
fosse un capriccio. Chiuse piano gli occhi e si strinse a Janne:
- Ma se vuoi puoi rimanere... -
E ecco le lacrime. Il tastierista si chinò a baciarle la
testa
continuando a cullarla. Finalmente tutto andava come doveva andare, era
rassicurante sapere che da qualche parte anche lei aveva conservato un
briciolo di umanità, qualcosa che lasciasse intendere il suo
bisogno di affetto che per molto tempo aveva represso e lasciato in
fondo al cuore.
Janne le sussurrò dolcemente una ninna nanna finnica, che
parlava di un uomo di neve e di un bambino che sognava. Janika
scoppiò in un pianto più forte che
sovrastò la
musica leggera ma lui riuscì a calmarla e la prese in
braccio
portandola a letto dove tutto tornò come prima.
Janne sdraiato con il lenzuolo a metà busto e Janika con il
viso sul suo petto.
Tutto era tornato normale ma nulla sarebbe tornato indietro. Per quanto
entrambi potessero illudersi la tazzina rimaneva rotta, i cocci sul
pavimento non si sarebbero mai ricomposti per tornare sul tavolo.
****
Per capire questo capitolo
penso sia
necessario sapere, almeno a grandi linee, la teoria di Stephen Hawking,
lo scienziato era stato convinto un tempo che l'universo avrebbe smesso
di espandersi per contrarsi di nuovo e che l'entropia potesse invertire
il tempo. Qui nasce l'esempio più comune, quello della
tazzina.
Si suppone infatti che una tazzina rotta possa ricomporsi e tornare sul
tavolo da cui è caduta se il tempo si invertisse.
Grazie di nuovo a tutti,
PersephoneNebel_
|