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Autore: PersephoneNebel_    04/09/2013    3 recensioni
Seconda parte della fafiction Carry me away from my pain, che mi vedo costretta a pubblicare con un altro account.
Nell'ultimo capitolo della precedente, Janika era stata picchiata dal suo ex ragazzo, ora si trova a a combattere contro il suo cuore e contro i suoi nervi; Infatti sia la sua vita sentimentale che quella materiale sono messi a dura prova dal destino.
Genere: Drammatico, Erotico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Children of bodom ff5
Carry me away from my pain

Hirmumyrsky

This was never my world ,
you took the angel away
I'd kill myself to make everybody pay

Era notte fonda quando Janika si trovò seduta sulla poltrona del salotto a fissare la porta d'ingresso. Tutto quello che aveva sentito era stata una forte fitta al petto prima della telefonata della madre che le aveva annunciato la morte della sorella. Se l'era sentito dentro, come se avesse sentito l'ultimo respiro esalato dal fragile corpo della piccola, era stato tutto inutile. Non volle, però, fermarsi a pensare su quanto potesse essere giusto morire in un'età così prematura. La risposta era comunque troppo ovvia. Non ebbe nemmeno l'impulso di entrare nella camera in cui avevano trascorso insieme molto tempo a parlare di quando sarebbe guarita e di tutte le cose che avrebbero potuto fare insieme. Tutto quello che volle fare fu sedersi sulla grande poltrona che aveva il profumo di sua madre; una leggera fragranza di fiori le penetrava nel naso ricordandole tutti i bei momenti trascorsi in famiglia, prima della malattia della sorella, quando tutti riuscivano a sorridere davvero. Perché sia lei che la madre, ma sicuramente anche la sorella, sapevano che da quel momento i sorrisi erano diventati falsi, di compassione, speranzosi forse ma comunque non sinceri. Janika pensò all'inutile guerra silenziosa instaurata fra Janne e Alexi che, nonostante tutto, fingevano ancora una profonda amicizia, ma forse era proprio così, forse gli eventi non li avevano toccati minimamente, il tentato suicidio del vocalist poteva essere stato causato da mille altri fattori che non fossero lei. Si sentì sola. Sola nel dolore per la perdita della sorella, sola perché da sola aveva ucciso un uomo, sola perché solo lei aveva provato piacere nel farlo. Ma sopratutto si sentì lontana. Lontana dal mondo e da tutto quello che la circondava. La poltrona non era una poltrona ma sua madre, la porta era il suo ex ragazzo e casa sua era una scatola dei ricordi, ma al contrario delle normali scatole dei ricordi nella sua vi si potevano trovare molti ricordi spiacevoli, molte liti inutili, molte foto che avrebbe voluto stracciare. Nonostante tutto l'universo continuava a espandersi, il tempo andava avanti e le tazzine rotte non si ricomponevano. Janika sapeva però che la sorellina sarebbe vissuta per sempre dentro di lei, perché nonostante i capricci di un Dio impotente Janika l'avrebbe sempre ricordata con affetto, non con quella tremenda tristezza che l'avrebbe fatta soffrire; non avrebbe ricordato i giorni della malattia o la telefonata della madre, ma quando stava accanto a lei ascoltando le note che uscivano fluide dal pianoforte o quando insieme avevano visitato la Lapponia, così facendo, in un certo senso, la piccola sarebbe guarita e avrebbe vissuto una vita lunga e felice insieme alla sorella maggiore che, in ogni caso, le sarebbe sempre stata vicino.
Janne, al piano di sopra, aveva sentito il telefono squillare e le parole sussurrate di Janika e aveva capito. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato e avrebbe voluto che la ragazza si infilasse di nuovo sotto le coperte, che si stringesse al suo petto e che si sfogasse invece si era limitata a scendere in soggiorno e a non tornare. Più lontana che mai. Lontana dalle sue braccia e lontana dal suo cuore.
Ricordò quando l'aveva incontrata la prima volta, aveva subito capito tutto di lei nonostante alcune stanze della sua mente gli rimanevano oscure e inesplorate. Continuava a chiedersi come quell'angelo biondo avesse potuto uccidere, sapeva benissimo che dopo quel giorno tutto era cambiato ma non voleva ammetterlo. Più volte le aveva detto che non sarebbe riuscito a vivere senza di lei eppure ora si sentiva estraneo a qualsiasi suo pensiero. Si paragonò con lei. Janne aveva avuto tutto dalla vita, i soldi, la fama, buoni amici e l'amore di una famiglia che era sempre pronto ad accoglierlo a braccia aperte mentre Janika non aveva avuto nulla di tutto questo. Pensò a lei unicamente come il prodotto di una famiglia disfunzionale, rotta da litigi e tristezza, l'amore che le era stato negato su tutti i fronti non le permetteva di vedere le cose obbiettivamente ed era come se sapesse che in ogni caso sarebbe andata male. Ma quello che più lo preoccupava era il silenzio. Nessun singhiozzo, nessun pianto. Solo un gelido silenzio in un castello di carte pronto a cadere al primo alito di vento.
Si alzò dal letto e scese piano i gradini, la trovò seduta in soggiorno, lo sguardo fisso e la mente altrove. Si sedette sul divano e aspettò.
La ragazza voltò piano la testa e posò gli occhi sul tastierista che sentì un brivido lungo la schiena, non parlava. Sembrava una bambola di porcellana con gli occhi troppo profondi. Nella penombra della notte tutto sembrava sospeso, nemmeno gli animali notturni osavano rompere quel silenzio.
- Devi andare via, Janne.-
Il ragazzo scrutò la giovane chiedendosi se intendesse via di casa o via dalla stanza, ma non osò chiederlo. Si avvicinò a lei e le strinse il viso contro al petto cullandola dolcemente ma lei lo respinse:
-Janne.. devi andare via-
Questa volta trovò il coraggio di chiedere il perché ma lei si limitò a fissarlo negli occhi. La voce di Janika suonava come un lamento, troppo infantile per essere la sua, quasi come se fosse un capriccio. Chiuse piano gli occhi e si strinse a Janne:
- Ma se vuoi puoi rimanere... -
E ecco le lacrime. Il tastierista si chinò a baciarle la testa continuando a cullarla. Finalmente tutto andava come doveva andare, era rassicurante sapere che da qualche parte anche lei aveva conservato un briciolo di umanità, qualcosa che lasciasse intendere il suo bisogno di affetto che per molto tempo aveva represso e lasciato in fondo al cuore.
Janne le sussurrò dolcemente una ninna nanna finnica, che parlava di un uomo di neve e di un bambino che sognava. Janika scoppiò in un pianto più forte che sovrastò la musica leggera ma lui riuscì a calmarla e la prese in braccio portandola a letto dove tutto tornò come prima.
Janne sdraiato con il lenzuolo a metà busto e Janika con il viso sul suo petto.
Tutto era tornato normale ma nulla sarebbe tornato indietro. Per quanto entrambi potessero illudersi la tazzina rimaneva rotta, i cocci sul pavimento non si sarebbero mai ricomposti per tornare sul tavolo.

****
Per capire questo capitolo penso sia necessario sapere, almeno a grandi linee, la teoria di Stephen Hawking, lo scienziato era stato convinto un tempo che l'universo avrebbe smesso di espandersi per contrarsi di nuovo e che l'entropia potesse invertire il tempo. Qui nasce l'esempio più comune, quello della tazzina. Si suppone infatti che una tazzina rotta possa ricomporsi e tornare sul tavolo da cui è caduta se il tempo si invertisse.

Grazie di nuovo a tutti,
PersephoneNebel_
  
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