Il Ritorno degli Arcangeli

di Lore Torri
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PROLOGO

Marco scese dall’elicottero nero sulla cui fiancata troneggiava uno stemma con un teschio trafitto da una spada all’interno di un’immensa “A”. Il suo fiato condensava immediatamente a contatto con l’aria gelida della notte artica, ma fortunatamente il suo corpo muscoloso era ben coperto da uno spessissimo cappotto di pelliccia sulla faccia squadrata indossava un passamontagna con la tetra raffigurazione di un cranio umano che gli lasciava scoperti solo gli occhi, freddi come il ghiaccio e dello stesso colore.
Gli scarponi chiodati avanzavano con relativa facilità sul ghiaccio e sulla neve, quindi arrivò velocemente all’ingresso del laboratorio segreto russo.
Fissò dell’esplosivo all’entrata e la fece saltare, attivando il sistema di sicurezza.
Tre guardie munite di mitragliatore gli intimarono di alzare le mani al cielo, ma lui fu più veloce a sparare con due Agram, falciando le guardie che probabilmente non avevano nemmeno disinserito la sicura. Le due pistole mitragliatrici erano fornite di silenziatore, ma l’allarme mandava una forte sirena e lo rese completamente inutile.
Marco rinfoderò le armi ed estrasse due piccole sfere di metallo che gettò nella stanza. Passò di stanza in stanza uccidendo chiunque vi trovasse e lasciando quelle piccole sfere, finché non entrò nella stanza principale.
Questa volta le guardie erano preparate e lo colpirono in pieno petto, mandandolo lungo disteso a terra, senza sapere che uno spesso giubbotto antiproiettile lo proteggeva sotto il cappotto. Quando si avvicinarono, Marco balzò in piedi e trafisse le loro giugulari con due coltelli, che poi lanciò contro uno scienziato che si accasciò a terra a sua volta. Tre sole persone erano ancora vive in tutto l’edificio, ma solamente due allo scoperto: Marco e la donna che tremava di fianco a lui, terrorizzata. L’uomo la prese per mano e le indicò la grande colonna centrale, certo che non avrebbe capito l’italiano. La donna comprese al volo: aprì la colonna, estrasse un piccolo tubo di metallo e lo consegnò all’assassino, che sorrise dietro al passamontagna, poi alzò una Agram e le svuotò quanto rimaneva del caricatore contro al petto, uccidendola.
Gettò la pistola a terra e nascose nel cappotto il cilindro, poi gettò a terra tre delle sfere di metallo che aveva cosparso per tutta la struttura ed uscì di corsa, impugnando la Agram che gli rimaneva per evitare inconvenienti. Quando fu fuori, azionò le sfere di metallo con un piccolo telecomando che portava nascosto nella tasca, facendole esplodere. Ben presto il laboratorio diventò un vero e proprio inferno fiammante, poiché le fiamme facevano esplodere anche numerosi prodotti chimici infiammabili o esplosivi. Marco tornò, silenzioso com’era venuto, all’elicottero, sorridendo per lo sterminio che aveva appena compiuto.




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