Binario
9 e ¾
Harry Potter.
Sinceramente, chi l’avrebbe mai immaginato che il
grandissimo e assai illustre Harry Potter ‒ colui che sconfisse
Tu-Sai-Chi, il
Prescelto, il Salvatore, insomma Harry James Potter ‒ si sarebbe
iscritto al
mio, insulso suvvia, club?
Lo vidi in linea e non pensai minimamente che potesse
cominciare una chat tra me e il suddetto Potter. A dire la
verità non sapevo
che il Prescelto si dilettasse a iscriversi a forum creati su internet
e a
chattare. Non capita comunque ogni giorno di vedere il Salvatore del
Mondo
magico cercare d’instaurare una conversazione con una quasi
adolescente
pseudo-famosa per aver visto la morte del proprio padre in faccia con
almeno
una dozzina di Mangiamorte a un palmo dal naso.
Savior ‒ Ehi ciao!
Mother’s Eyes (fu
il primo nick che mi venne in mente) ‒ Salve signor Potter. Mi scusi,
ma come
ha fatto a iscriversi al forum?
Giusto per essere un po’ schietti e arrivare dritti al
punto. Sembrai distaccata e un tantino curiosa nel contempo: stavo
sempre e comunque
mandando messaggi a un trentenne che sconfisse uno dei più
grandi maghi oscuri.
Savior ‒ L’aveva
scoperto mio figlio Al navigando su internet.
E fu così che il Salvatore del Mondo magico mi
parlò dei
suoi figli James Sirius, Albus Severus e della piccola Lily Luna. Albus
o Al
come lo chiamava lui era pure del mio stesso anno e come aveva spiegato
fu lui
a trovare il club su internet, ma non si iscrisse perché
aveva gli occhi di suo
padre, gli somigliava molto diceva: occhi verdi, capelli corvini e una
corporatura minuta.
Non avevo mai conversato così a lungo con un adulto che non
fosse mia madre o il Professor Rowan. Era stato in un certo senso
liberatorio
parlare di me, della mia ‒ assai discutibile ‒ popolarità e
dei miei genitori.
Di solito non parlo con tutti di me e specialmente dei miei
genitori, ma il signor Potter si rivelò
davvero disponibile e comprensivo. Non parlavo di me
nemmeno con Kenny,
Barry e Leona. Sarei apparsa
troppo come
una bambina bisognosa di attenzioni di fronte ai ragazzi. E poi
onestamente,
apparire ancor di più solitaria, chiusa e da psicanalisi
credo non avrebbe
fatto bene a nessuno; oltretutto Leona è Babbana, quindi era
quasi impossibile
parlare quando stavamo tutti insieme.
Avevo sì appena conosciuto il Prescelto con cui avevo
discusso di argomenti prettamente personali, ma è stato come
se lo avessi
conosciuto da sempre, per un momento mi sembrò di parlare
con me stessa. Una
delle cose su cui sono sicura (alquanto bizzarro dato che sono la prima
ad
essere insicura su questo mondo) è il saper ascoltare. So
ascoltare, anche se
l’argomento della conversazione non mi interessa minimamente.
Ascolto,
recepisco il pensiero altrui e poi ne formulo uno mio. Mi piace
ascoltare le
persone, credo di non avere un motivo preciso sul perché, ma
mi fa sentire me
stessa. Io ascoltavo il signor Potter e lui ascoltava me. Ci fu quasi
un
rapporto di fiducia o forse era
già
radicato da quando ci eravamo presentati.
Salutai cortesemente il signor Potter verso le otto e mezza,
svegliai prima Piplup che si era appisolato sul letto e liberai Regina
dalla
gabbia lasciandola volare intorno al giardino, andai infine
giù a cenare.
A tavola io e mia madre eravamo entrambe silenziose come al
solito (e Piplup stava cercando di non collassare sulla ciotola di cibo
per
Pokémon). Non perché ci detestavamo o altro ‒ che
poi non è che ci detestiamo,
è che il nostro è un modo alquanto diverso di
amare: lei troppo protettiva e io
troppo desiderosa di libertà e di una vita sociale stabile,
sia chiaro, ma che
per amore rinuncio per farla stare bene ‒ ma perché non
c’era assolutamente
niente su cui discutere. Entrambe sapevamo benissimo che alla
sottoscritta
Lucinda Winslow non piacevano i suoi «Domani
vado al Ministero della Magia a parlare col ministro. Stai a attenta a
casa».
Ed entrambe sapevamo senz’ombra di dubbio che alla madre non
piacevano i miei «Sono riuscita a
suonare la prima parte di
Syrinx di Debussy» o «Sai
che la
prima fenice comparsa nel Mondo Interno è il
Pokémon Leggendario Ho-Oh?» oppure
semplicemente «Ho conosciuto il
signor
Potter su internet».
Forse l’ultima l’avrebbe interessata pure, ma sta
di fatto
che il silenzio incombeva, rotto forse dal rumore delle posate e dal
ticchettio
dell’orologio.
Sparecchiai e lasciai mia madre a lavare i piatti, presi
Piplup in braccio ormai collassato sulla ciotola e salii in camera, lo
misi
sotto le coperte e mi sdraiai accanto a lui sul letto.
Sentii qualcosa d’impresso sulla mia guancia destra che
toccai un paio di volte. Aprii gli occhi con un po’ di fatica
stropicciandoli.
La luce della stanza era spenta e l’orologio a forma di
Starly sul comodino
segnavano le tre e trentasei. Mi sedetti sul bordo del letto ma crollai
immediatamente sul fianco senza forze.
Una settimana e io
sarò ad Hogwarts.
Una settimana e
lascerò Due Foglie.
Una settimana e sarò
libera.
Una settimana e sarà
aperta la caccia ai Mangiamorte.
Rabbrividii al solo pensiero e mi raggomitolai sotto le
coperte.
I Mangiamorte. E
dire che Voldemort era stato sconfitto. E allora mi chiedo
perché? Perché
colpire la mia famiglia, mio padre, mia madre, me?
Perché colpire quando è
tutto finito?
Non riuscii a darmi ‒ a trovarmi ‒ una risposta ché la
stanchezza e l’angoscia mi pervasero, lasciandomi cadere in
sonno. Eppure i
sogni per quanto irreali possano essere sono un modo per sfuggire alla
realtà,
a volte ingiusta e a volte severa.
Li passai tranquillamente gli ultimi giorni qui a Due Foglie,
gli ultimi giorni prima della mia pseudo-libertà. Mi
mancherà la biblioteca, la
scrivania, soprattutto la sala degli strumenti. Gli archi, i fiati (sia
i legni
che gli ottoni), il piccolo mandolino nella sua custodia e il
pianoforte di
papà erano tutti in quella stanza. Il mio flauto
d’argento nella sua custodia
ricoperta di lana stava sempre sulla mia scrivania accanto al
metronomo. Invece
il violino di mia madre penso che stia in camera sua. Non
c’ero mai entrata là,
giusto qualche occhiata fugace da dietro la porta.
Ricordo ancora le mani di mio padre che premevano i tasti e
mia madre al suo fianco col suo violino, si esibivano nella sala degli
strumenti facendomi assistere a qualche mini-concerto. Era stato
papà a farmi
avvicinare alla musica: mi metteva seduta sulle sue gambe, prendendo
poi le mie
minuscole manine e facendole poi scorrere sui tasti. Non sono una vera
e
propria pianista, ma diciamo che me la cavavo abbastanza bene. Avrei
voluto
fare un brano per flauto con l’accompagnamento del pianoforte
di papà. Ma i
Mangiamorte giustamente me lo impedirono.
Avrei voluto chiedere al signor Potter a proposito della
caccia ai seguaci di Tu-Sai-Chi in quei giorni che mi rimasero, ma non
fu mai
in linea. Sembrava quasi mi evitasse. Ma sta di fatto che
l’ultima volta che mi
ero connessa lui non c’era.
Il 30 agosto mamma ed io, insieme a Piplup, baule e Regina,
prendemmo il primo vascello del pomeriggio da Canalipoli diretto ad
Austropoli,
per poi raggiungere Sciroccopoli con la corriera. Mamma ritenne saggio
non
abusare del mio fisico ‒ e diciamo anche della mia magia ancora in fase
di
controllo, Merlino! C’ho
messo secoli
per manifestare la magia ‒ per smaterializzarci.
Arrivammo così il pomeriggio del giorno dopo nel Mondo
Esterno. Andammo subito al Paiolo Magico e mamma prenotò una
stanza a due.
La camera si affacciava sulla via acciottolata di Diagon
Alley. Si vedeva spiccare l’imponente figura marmorea della
banca su tutte le
botteghe del viale. La stanza era la numero 21. C’erano
mobili di quercia
lucidissimi, a due lati opposti troneggiavano due letti a baldacchino e
uno
specchio era appeso vicino alla porta.
Mamma, ovviamente, mi proibì categoricamente di lasciare il
Paiolo, perfino di fare una passeggiata per i negozi.
Non la vidi poi per tutto il giorno, perciò ne approfittai
per impararmi tutta Syrinx di Debussy; Piplup era steso a pancia in
giù sul
letto a fissarmi insieme a Regina appollaiata sopra l’armadio
e si facevano
cullare dalla musica. Fu particolarmente difficile, era sì
per flauto solo,
perciò un brano molto libero (con pause e semibrevi lunghe a
piacimento), ma le
troppe alterazioni mi stavano uccidendo. Così finii per
ripassare i brani già
fatti fino all’ora di cena, quando mamma mi fece chiamare per
mangiare. La sala
era molto affollata: molti studenti erano al Paiolo per
l’inizio della scuola,
ma non vidi né Barry né Kenny. Tuttavia di
sfuggita notai il ragazzo del gelato,
ma solamente per
pochi secondi dato che era scomparso tra la folla. Abbozzai un piccolo
sorriso
che sparì quasi subito quando mia madre mi fece notare che
avevo la forchetta
sospesa a mezz’aria.
Piplup se la rideva in silenzio, ma lo squadrai di
sottecchi.
Mi ero svegliata veramente tardi la mattina seguente. Non
avevo chiuso occhio per circa sei ore per l’agitazione, forse
neanche per
quella, ma per mamma.
Alle undici meno dieci circa stavo superando la barriera che
separava i binari nove e dieci. Inspirai un paio di volte prima di
attraversarlo, avevo Piplup aggrappato alla mia spalla e il carrello
saldato al
mie mani. E poi presi l’ultima boccata d’aria, mi
guardai intorno un paio di
volte per assicurarmi che non ci fossero Babbani a guardarmi intorno
(all’entrata
alcuni mi guardavano storto e contemporaneamente fulminavano la mia
civetta) e
corsi verso il muro con gli occhi chiusi. Poi li aprii e la locomotiva
a vapore
era lì, davanti a me, di uno scarlatto acceso, che sbuffava
anelli di fumo. L’autunno
quest’anno a Londra si era fatto sentire prima e la banchina
era avvolta da una
densa foschia. Era
gremita di maghi, un
bel po’ a dire la verità ché mi sentii
a disagio. Non amo essere circondata da
troppa gente, forse perché ho passato la mia vita a non
circondarmi di molte
persone o forse anche perché non ho avuto molte occasioni di
legare.
Erano quasi le undici e il treno stava per partire. Salutai
mia madre con un strettissimo abbraccio; non ci parlammo, anche
perché le
parole in quel momento non servivano, avrebbero guastato
quell’atmosfera magica
che si era creata, carica sia di ansia sia d’amore. Mi diede
un piccolo bacio
fugace in fronte e mi aiutò a caricare i baule insieme a
Piplup che poi si
limitò a portare la gabbia di Regina a bordo. Lanciai
un’occhiata a mia madre a
constatai la sua preoccupazione. Le rivolsi un enorme sorriso e le
dissi di non
preoccupassi. Lei fece una faccia corrucciata ma poi sul suo viso si
dipinse un
grande sorriso, uno dei rari sorrisi di mamma, uno dei più
sinceri.
Balzai a bordo prima che il treno partisse e chiusi lo
sportello. Si udì un fischio, il treno sbuffò e
partì. Salutai mia madre dal
finestrino della porta finché il treno non imbucò
la prima curva. Mamma aveva
un’espressione così seria che faceva trasparire la
sua inquietudine, quasi
palpabile. Asciugai la lacrima che non riuscii a trattenere e mi misi
con
Piplup alla ricerca di uno scompartimento. Ne passammo in rassegna
cinque ma
erano tutti occupati da studenti. Ce n’erano tanti anche nel
corridoio, infatti
venni spintonata un paio di volte, una delle quali la botta fu
decisamente
forte che caddi a terra.
«Merlino, che botta!»,
mormorai.
Mi massaggiai la schiena perché avevo urtato contro il baule
che cadde anch’esso fragorosamente.
«Piplup! Pi-Piplup!», strepitò il
Pokémon accanto a me
contro la persona che mi fece crollare.
«Piplup, basta!», gli ordinai. Guardai in faccia la
persona
di fronte a me e involontariamente rifiutai la mano che mi porse.
«Perché?»,
mi
domandò Ash Ketchum, tra il perplesso e l’offeso.
Mi chiedi pure perché?
Mi limitai a scrutarlo torva e lo superai trovando poi uno
scompartimento vuoto. Mi ci infilai immediatamente, chiudendo poi la
porta,
isolandomi così dalla
confusione di
fuori. Misi il baule sul portabagagli in alto con il supporto del
Bollaraggio
di Piplup e mi sedetti sul sedile di pelle estremamente confortevole.
Regina in
gabbia affianco a me dormicchiava sotto l’ala. Guardai il
paesaggio fuori dal
finestrino: il cielo era coperto di nuvole ma non troppo e agli scorci
di
Londra babbana si sostituirono ben presto la campagna, immensi campi
dedicati
ai cereali e al pascolo. Piplup si era addormentato sulle mie gambe ma
fu
presto svegliato dallo sbattere della porta: Kenny e Barry entrarono
nello
scompartimento senza fare troppi complimenti.
«Ti abbiamo cercata per tutto il treno. Per un momento
abbiamo temuto che ti fossi infiltrata nella carrozza dei
prefetti!», mi
rimproverò Barry sistemando il proprio baule e poi quello di
Kenny.
«Be’, almeno adesso mi avete trovata»,
risposi sottovoce.
«Leggi», fece
Barry
schietto.
Mi lanciò il giornale, la Gazzetta
del Profeta.
In prima pagina c’era un’enorme fotografia in cui
potevo
distinguere mia madre e il signor Potter.
Caccia ai Mangiamorte
aperta
Si sono riuniti tutti gli Auror al Ministero
della Magia per prendere
ciascuno le informazioni sui Mangiamorte in fuga. Gli Auror si
muoveranno a
squadre. Secondo alcune fonti alcuni fuggiaschi sono
all’estero, probabilmente
sotto falsa identità, se non oltreoceano. Il Ministero
è cauto sul divulgare
alcune notizie.
Aprii la bocca un paio
di volte non sapendo trovare le
parole adeguate.
«Cosa?!», feci
infine perplessa con un tono di voce abbastanza alto da far sussultare
Regina
che stava riposando.
«Quello
che mi son detto io», disse Barry. «Anche se non
è
certo, perché all’estero?».
«Non
ci sono i controlli? Si saprebbe se un mago, oltretutto
Mangiamorte si fosse imbarcato per l’estero o anche
smaterializzato, no?»,
domandai.
«Non
tieni conto delle Passaporte illegali», aggiunse Kenny
piatto.
«Ma
ci dev’essere un modo, non credete? Mia madre deve
andare anche all’estero?».
«Ehi,
calma! Non è sicuro che vada fuori la Gran
Bretagna»,
cercò di rincuorarmi Barry.
«Tu
non hai una madre Auror, non hai una famiglia distrutta,
non sei mai stato rinchiuso in casa per anni affinché non
morissi», le parole
mi morirono in gola. Tentai di trattenere le lacrime ma inutilmente,
anzi,
scesero senza sosta.
Entrambi
ammutolirono, non sapendo come controbattere, forse
perché Piplup si era messo a scrutarli torvo. Credo fosse
pronto a lanciare uno
dei suoi miglior Bollaraggio se uno dei due fosse stato in procinto di
fare una
mossa sbagliata.
Intanto fuori
la confusione era diminuita e nel nostro
scompartimento si sentivano ogni tanto lo scoppio di qualche carta ‒
che fece
coinvolgere Piplup nella partita a SparaSchioccoBumBum tra Kenny e
Barry ‒ e le
pagine di giornale. Ben presto finii il quotidiano, così
dovetti chiedere ai
ragazzi di prendermi il baule. Fu più difficile del
previsto, ci impiegammo dei
minuti veramente sudati per tirarlo giù perché
Kenny mollava la presa. Presi dal
baule il libro che mi serviva e lo richiusi. Barry mi guardò
male: «No! Non te
lo metto a posto! Non ci pensare minimamente!»,
sbraitò.
Gli feci una
delle facce più innocenti che sapevo fare dando
energia alla mia vena d’attrice, tanto innocente che alla
fine prese il baule e
lo mise, sbuffando sonoramente, a posto. Sorrisi compiaciuta e aprii il
libro
al punto in cui ero arrivata: Volatili.
Ma prima che potessi cominciare il capitolo sentii dei colpetti battere
il
vetro della porta. Alzai lo sguardo e un’anziana signora con
una divisa da
cameriera mi sorrise. Kenny aprì la porta e chiese a noi se
avessimo fame:
Barry rispose che non aveva soldi, io invece una certa fame
l’avevo così uscii
dallo scompartimento e chiesi alla signora cosa ci fosse. Lei si
apprestò
subito a rispondere: il carrello era stracolmo di dolciumi di ogni
tipo,
Zuccotti di zucca, Gelatine Tuttigusti+1, Api Frizzole, Gomme Bolle
Bollenti,
Cioccorane, Mou, Cioccalderotti, Cioccoli, Calderotti, Bacchette
magiche alla
liquerizia.
Domandai a
Barry e a Kenny se volevano qualcosa ma risposero
entrambi che avevano il panino da casa; così decisi di
comprare un po’ di
tutto, presi il sacchetto con le monetine e le contai.
«Tre
Bolle Bollenti, per favore», chiese una voce familiare
dietro la signora. Alzai lo sguardo dal sacchetto di monetine e
incontrai due
occhi azzurri, il ragazzo del gelato.
«Niente
lacrime oggi, eh?», fece lui ammiccando.
«Tieni!»,
mi lanciò una delle Bolle Bollenti che aveva appena comprato
e sparì dietro la
signora.
«Allora
signorina, cosa vuole?».
Stavo
osservando il pacchetto di gomme come se fosse oro, ma
fortunatamente la signora del carrello mi riportò alla
realtà. Mi scrollai,
diedi un’occhiata fugace al sacchetto e risposi:
«Un po’ di tutto, grazie».
Pagai e posai
la refurtiva sul sedile, li spostai facendomi
un po’ di spazio per sedermi. Offrii più di
metà bottino ai ragazzi che
cominciarono a ingozzarsi come Piplup che aveva già finito
tre scatole di Api
Frizzole e ora stava levitando per lo scompartimento da più
di cinque minuti.
Cominciai con una Cioccorana aprendo la scatola di carta. La rana
(ormai avevo
imparato un po’ di animali col libro) di cioccolato fece un
balzo e si buttò
sul finestrino, verso la libertà.
«Devi
afferrarlo», bofonchiò Barry con la bocca piena.
«Fanno un solo salto. Carpe diem!».
Sì,
certo. Cogli
l’attimo.
Però
in compenso guadagnai una figurina, quella di Harry Potter. La girai e lessi la
descrizione:
Harry James
Potter,
Auror. Ritenuto uno degli Auror più forti del terzo
millennio. Noto soprattutto
per aver sconfitto nel 2 maggio 1998 a soli diciassette anni il mago
oscuro più
potente dell’epoca, Lord Voldemort, per aver vinto il Torneo
Tremaghi e per
aver ucciso il mostro nella Camera dei Segreti. Ama il Quiddtch ed
è stato uno
dei più giovani cercatori da un secolo.
La figurina
ritraeva un uomo sulla trentina, quasi
quarantina, dal viso sottile con i capelli corvini e due occhi di un
verde
molto intenso. Per un momento pensai che Harry Potter mi stesse
rivolgendo un
piccolo sorriso, ma poi la sua figura sparì.
Il paesaggio
fuori cambiò: ai grandi campi si sostituirono
fitti boschi e montagne e il cielo si fece più scuro.
Il sole stava
tramontando e molti studenti nel corridoio
giravano già con la divisa. Perciò con
l’aiuto di Kenny ‒ Barry si rifiutò
categoricamente ‒ e Piplup tirammo giù il mio baule. Presi
la divisa e proposi
ai ragazzi che sarei andata in bagno a cambiarmi e che loro potevano
mettersela
nello scompartimento nel frattempo ‒ con le tendine tirate ovviamente,
il
nudismo a undici anni non era il caso.
Così
uscii alla ricerca di un bagno. Ci misi cinque minuti
per trovarne uno, la quantità di studenti nei corridoi era
aumentata ed era
difficile sgusciare fuori. Poi finalmente trovai il bagno che
(giustamente) era
occupato. Mi appollaiai alla parete davanti alla porta con in braccio
la divisa
ad attendere.
«Domi
ci mette secoli a sistemarsi in bagno», disse una
ragazza che si era accostata a me, dai capelli rosso fuoco, leggermente
ondulati, il viso era tempestato di lentiggini e aveva due occhi vispi
color
miele. E aveva già la divisa.
Mi limitai ad
annuire in silenzio, sperando che questa Domi finisse presto.
«Se
vuoi puoi cambiarti nel mio scompartimento, posso far
uscire James e Al per qualche minuto», propose.
«Oh,
be’ grazie… aspetta un momento. Hai detto James e
Al? I
due Potter?».
«Proprio
loro due. Perché?», sorrise, mostrando le due
fossette che si erano formate sulle guance.
«Una
settimana fa conversai con loro padre», risposi
divertita.
Lei mi fece
strada verso il suo scompartimento che non era
molto distante.
«Comunque
io sono Rose, Rose Weasley», fece con un tono di
voce più alto per sovrastare il vociare nei corridoi.
«Io
invece sono…».
«Sì.
So
chi sei»,
mi interruppe. «Credo tutti sappiano chi tu sia. La figlia di Olga
Winslow non passa di certo inosservata», aggiunse
ammiccando.
Quando
arrivammo, Rose fece uscire i due Potter, in divisa
pure loro. Ci misero un po’ per uscire: la partita di scacchi
fra loro stava
entrando nel vivo per poi sfociare nello scacco matto vincente di
Albus. Mi
ritrovai perciò sola, tirai le tendine e nel modo
più veloce per potei mi
sfilai la maglietta e i pantaloni. Con altrettanta velocità
mi infilai la divisa
per poi uscire dopo non più di due minuti.
«Miseriaccia,
ci hai messo pochissimo!», si meravigliò Rose.
«Adesso è meglio che ti sbrighi che stiamo per
arrivare».
Non me lo feci
ripetere due volte: corsi il più in fretta possibile
da Kenny e Barry urtando contro una cinquina di studenti. I ragazzi
erano già
pronti nelle loro divise e i loro bauli a terra; io invece ancora
dovevo
mettere a posto gli abiti e il mio libro nel mio. Ma fummo di una
velocità
incredibile. Kenny, Barry ed io (col supporto del Bollaraggio di
Piplup)
posammo il mio baule sul sedile.
Il treno stava
pian piano decelerando e quando si fu
definitivamente fermato io ero pronta con Piplup sulla spalla, la
gabbia di
Regina nella mano sinistra e il baule nella destra.
La
quantità degli studenti nei corridoi era enorme,
tant’è
che pensai che fossimo gli ultimi a uscire, c’erano come
minimo duecento
studenti o forse anche di più.
Ero
completamente buio pesto quando eravamo scesi e non
vedevamo un palmo dal naso. Ma un uomo enorme alto sì e no
tre metri, con una
folta barba reggeva una piccola lanterna, piccola tanto da illuminarlo.
«Primo
anno! Primo anno! Quelli del primo tutti qua!»,
gridava in continuazione.
Angolo autrice
(a cui mancano 4 kanji per il test di
giapponese):
Allora…
che dire? Salve!
Sì
insomma, è dal 23 giugno 2012 che non aggiorno la fanfic
e oggi a mezzanotte mi metto a pubblicare il quarto capitolo.
:’D
Si ringrazia
la cara e vecchia babbana della mia Miki per il
betaggio (non ha efp, se volete sapere)
E tantissimi
auguri ad Andrea! Ecco il tuo regalo di
compleanno, spero ti piaccia :3
E mi dispiace
che abbiate aspettato così tanto per questo
aggiornamento, sono mortificata çwç
Però
tanto adesso potrete enjoyare, fangirleggiare,
volteggiare e recensire. E vi invito a
chiedermi l'amicizia su fb :3
Saluti a tutti
i babbani, pueri e puellae che cominciano l’11
la scuola (o l’hanno già cominciata)
dalla vostra
(pigra e tanto stanca) flautista_pearl :3
P.S. Se volete
saperlo il brano Syrinx io non lo so proprio
fare, come già detto nella ff troppe alterazioni. So fare
giusto le prime tre
battute. E se volete sentirlo ci sono alcuni video su youtube, vi
consiglio di
ascoltarlo se vi piace il flauto.
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